lettera F

 Figure dell'anima" - arte  "irregolare in Europa
Cristina Ruffoni
Fitzcarraldo
Fernanda Fedi
Storia e Futuro
Forte Sperone
Federica Fusco

" Figure dell'anima" - arte irregolare in Europa



Scriveva il critico d'arte Gianfranco Bruno nel "Rapporto tra espressività degli stati" del 1974:"... i disegni dei malati sono simili ai diagrammi cui l'artista arriva in un definitivo abbandono dell'uso convenzionalmente rappresentativo dei segni... le posizioni di molti artisti non differiscono sostanzialmente (da loro, n.d.r.) se non in quanto l'immagine appare mediata da una logica di consequenzialità dei linguaggi artistici nell'ambito di determinate culture...".

La mostra "Figure dell'anima - arte irregolare in Europa" inaugurata a Palazzo Ducale (fino al 3 maggio), curata da Bianca Tosatti e corredata di un voluminoso catalogo a colori, edito da Mazzotta, tratta il tema della follia nell'ispirazione artistica, focalizzando l'attenzione sui primi decenni del secolo quando artisti (ricordiamo in particolare Jean Dubeffet fondatore dell'Art Brut composta da opere di pazienti psichiatrici), letterati e intellettuali hanno avuto stretti contatti con la malattia mentale.

"Come la follia funziona solo entro lo schema interpretativo via via adottato dalla storia e non è inquadrabile entro uno schema fisso, allo stesso modo gli esperimenti estetici degli psichiatrizzati devono essere interpretati entro la loro dimensione storica e sociale" scrive in catalogo Bettina Brand-Claussen ("Dal museo d'arte patologica alla collezione Prinzhorn"). In questo senso, oggi, con la chiusura degli istituti manicomiali sostituiti dalle "comunità protette" (nuove concezione dello spazio e dell'individuo portatore di handicap), stiamo assistendo a radicali cambiamenti.

Un segno del mutamento dei tempi si potrebbe cogliere proprio in questa mostra, la prima mi pare, per l'imponenza dei lavori raccolti e per la qualità dei numerosi interventi critici pubblicati in catalogo, riguardanti le qui denominate "espressioni irregolari".

Il percorso storico inizia con la collezione di Hans Prinzhorn, uno psichiatra

alla ricerca dell'originarsi dell'arte che pubblicò nel'22 il libro rivoluzionario "Produzione artistica dei malati mentali", raccogliendo più di 5OOO opere di degenti. Ma Prinzhorn non riuscì a definire la dibattuta questione se la produzione dei malati mentali potesse essere considerata arte; egli parla infatti di bildnis e non di arte, lasciando tutt'oggi il problema insoluto. 

Dal museo di Berna provengono le opere di Adolf Wolfli, artista amante della musica che nei suoi disegni inserisce caratteristicche file di uccelli; 

Nelle opere della svizzera Aloise, disegnate con matite colorate su cartone, appaiono immagini ossessive di maschere (spesso di colore blu con labbra rosse) che richiamano le coppie celebri della storia. E' anche presente lo svizzero Louis Soutter con drammatici contrasti di segni neri su fondo bianco; e ancora gli inglesi Madge Gill e Scottle Wilson con l'italiano Carlo Zinelli che dipinge fantasiose e coloratissime tempere. 

La sezione con opere più attuali è qui rappresentata da artisti che hanno operato in laboratori importanti: tra gli altri ricordiamo l'"Istituto Materie e Forme Inconsapevoli di Genova-Quarto, fondato da Claudio Costa (presente con una intera sala) con gli artisti genovesi Davide Raggio e Stefano Grondona ; quello di Genova-Cogoleto con le eccezionali decorazioni di Gino Grimaldi (fine anni '30) e la "Tinaia" di Firenze, tra i primi ateliers di questo genere in Italia.

Il problema della connessione tra arte e follia in questi ultimi anni è stato spesso sollevato da critici che si sono premurati di fissare modelli d'arte della sanità e della malattia, discutendo su ciò che è arte e ciò che non lo è. 

"Senza voler suggerire soluzioni a questo problema - precisa Bianca Tosatti - la mostra intende misurarne lo spessore storico e irrobustirne l'impalcatura formulativa rivelandone la vitalità, in alcune situazioni particolarmente significative per caratteristiche e qualità".



Miriam Cristaldi


Cristina Ruffoni

Cristina Ruffoni presenta al centro Culturale Satura (piazza Stella 1), una lunga carrellata di dipinti acrilici, disposti in successione filmica, così da tagliare lo spazio nella sua dimensione di orizzontalità.

Si tratta di una serie di piccoli quadri dipinti con colori vivaci, dagli effetti televisivi, che si allineano a parete e si collegano tra loro mediante i classici "dentini" neri delle pellicole da film.

Le immagini creano dunque una storia idealmente in movimento, da scorrere nella mente di chi osserva proprio attraverso la velocità di un feedback, con la fulmineità dell'attraversamento di un pensiero.

Infatti se le immagini e le parole scritte all'interno di ogni singolo formato sono all'apparenza statiche, la percezione visiva e l'immaginazione riescono a "muoverle" con gli occhi della mente.

Le immagini scelte dall'artista (e psicanalista) vogliono rappresentare un racconto di Savinio (fratello di Giorgio De Chirico), tradotto in linguaggio artistico-visivo, attraverso una sorta di narrazione illustrata.

Nasce allora una felice corrispondenza tra il pensiero creativo saviniano e l'interpretazione fantastico-immaginativa della Ruffoni, congiunti nella fusione dei due differenti codici espressivi.

Le scritte a stampatello dipinte dall'autrice corrispondono a sintesi verbali (tratte sempre dal racconto del noto pittore-scrittore) che ella stessa crea e dissemina pittoricamente nell'economia del lavoro, perseguendo il risultato di un armonico connubio tra immagine e parola.

Di lontana memoria futurista, il lavoro della Ruffoni appare quindi come una ricostruzione ipotetica del villaggio globale in cui le immagini mediali, coloratissime e arcinote della comunicazione, ri-vivono una storia personale che ciascuno può re-interpretare secondo la propria sensibilità.



Miriam Cristaldi



Fitzcarraldo

E' nato a Genova un nuovo spazio polivalente, il "Fitzcarraldo", un caratteristico bar ( piazza Cavour 35 r ) che interagisce con spazi dedicati alla musica e all'arte visiva. Sabato scorso si è inaugurata la mostra dedicata all'artista genovese Claudio Costa, prematuramente scomparso il 2 luglio del '95, curata dallo scrittore e filosofo Ettore Bonessio Di Terzet (fino al 29 marzo).

Se si può individuare un'immagine che possa far "riconoscere" l'operato dell'artista, penso che la più calzante sia quella del "cervello", un simbolo fortemente espressivo (spesso ricorrente in tutto il suo lavoro) che racchiude in sé tanti significati.

Forse il più calzante è quello dell'"uomo pensante" nell'universo cosmico, l'uomo che cerca di attingere dalla manifestazione una conoscenza sapienzale espressa attraverso l'umile e infaticabile prassi del fare artistico. Più precisamente si tratta di una conoscenza di carattere antropologico che studia i comportamenti dell'uomo rispetto all' ambiente nelle varie epoche in rapporto con lo spirituale, secondo un cammino a ritroso nel tempo: conoscere il passato ( soprattutto quello remoto) significa fornire alla propria identita quelle capacità atte a comprendere meglio il presente e il prossimo futuro.

In questo senso il suo lavoro si manifesta come un atto di continua trasformazione delle cose, degli oggetti trovati, spesso in disuso, che hanno perso la loro funzione originaria per acquisire nuove sembianze, a volte fantastico-terrifiche, sovente legate ai miti, ai riti, all'esoterismo, all'alchimia, scorrendo lo sguardo dalla preistoria alla civiltà contadina fino all'attuale universo tecnologico.

Particolarmente affascinante è "La falce del sole", dove una falce orizzontale diventa arcata entro cui s'inscrive la testa in creta di una divinità rinascimentale. IL lavoro, tutto dipinto di giallo e tempestato da frammenti di zolfo, fulgido nella luce solare, avverte anche del contrario: l'attrezzo contadino rimanda inequivocabilmente alla simbologia della morte e al principio della "trasformazione".

Penso alla sua grande opera firmata nel '92 col nome di "Museo attivo delle Forme Inconsapevoli" (oggi denominato "Museattivo Claudio Costa") - istituzionalmente fondato dallo stesso artista, Antonio Slavich, Luigi Maccioni, G.Franco Vendemiati e la sottoscritta - da intendere come "opera" in trasformazione mediante l'ampliamento continuo del corpus dei lavori artistici donati e l'esercizio di attività collaterali quali mostre, dibattiti, convegni, incontri, ecc...; ma anche come luogo di sofferenza psichica che l'artista, con la cura intensiva del "cuore a cuore" , ha cercato in piccola parte di trasformare in energia creativa.



Miriam Cristaldi

Fernanda Fedi

"La memoria come corpo" è il titolo della personale che Fernanda Fedi, artista milanese operante dalla fine degli anni '60 nel campo della scrittura e quindi della poesia visuale - ma in un'accezione tutta particolare - propone al "Pozzo" del Centro Culturale Satura (piazza Stella 1, fino al 30 novembre), curata da Amedeo Anelli.

Questo enunciato è già di per sé emblematico e rappresentativo del lavoro dell'autrice da sempre impegnata sulle ricerche dei segni significanti in contesti antropologici.

"La memoria come corpo" sembra infatti evocare, richiamare in vita, resuscitare calligrammi, codici espressivi, alfabeti di remotissime civiltà (egiziane, ebraiche, etrusche...) in cui i gesti calligrafici si offrono alla percezione come espressione di quella conoscenza sapienzale appartenente all'uomo originario, a quell'uomo che per leggere il mondo si affida ai fenomeni della Natura. Tali conoscenze, perdute nella storia dei tempi, tornano qui a vibrare con eccessi vitali in rigurgitanti ramificazioni sorgive, corroborate dall'adesione energetico-corporale dell'artista nell'atto di incidere sindoni arcaiche sulla fisicità del corpo ardente della pittura.

Una pittura, la sua, che diventa materia sensibile, forma aerea , acquea, ctonia o di fuoco, a seconda dei contesti di volta in volta codificati.

Nello spazio compresso del Pozzo medievale di Satura, Fernanda Fedi installa magistralmente sul pavimento in cotto "libri" antichizzati con scritte dorate, "sonde" verticali su cui si distendono pigmenti terrigni amalgamati con colorazioni infuocate (marchiate da indelebili flussi scritturali), mentre alle pareti s'illuminano "pagine" di scrittura incise su oli dalle tonalità brunite, carbonizzate, con accensioni di sangue e oro.

Quasi una sorta di discesa agli inferi, nel ventre della terra, al centro dell'universo dov'è racchiusa e compressa la totalità del cosmo leggibile come patrimonio sacrale, pietra d'angolo, ricchezza genetica di un DNA primordiale, utili per meglio comprendere il presente teso verso un acrobatico futuro.



Miriam Cristaldi

Storia e Futuro

1.3OO - 3.OOO: un abbraccio millenario tra Storia e Futuro





La cripta romanica che accoglie e circonda un pozzo naturale - vivificato dall'acqua sorgiva - si trasforma, per l'occasione, da indotto culturale fornito di fascino e attrazione, a ideale scenario per la realizzazione di simboli che sanno suscitare immagini virtuali dal profondo delle cose.

Ciò avviene nel caratteristico spazio del Circolo Culturale Satura, nel centro storico di Genova: qui nasce una correlazione di rapporti unici tra l'artista Waifro Spaggiari, che ha potuto acquisire un'esperienza psicogenealogica, e la struttura stessa del luogo espositivo.

Luogo identificabile nella cripta come simbolo archetipale della "Grande Madre" per la speciale forma a "cavità " o a "grembo ", ricca di stimoli evocativi suggeriti dall'opera stessa (un' avveniristica città in plexiglas), ma anche dal contesto per cui essa vive.

Lo spazio espositivo, databile attorno al 1.3OO, si trova perciò a compararsi con la futuribile metropoli del 3.ooo.

In questo ideale confronto tra millenni nascono ossimorici rapporti: l'oscurità dello spazio sembra misurarsi con la luce dell'etere, la pesantezza della materia con la leggerezza del vuoto, l'opacità ogivale con la trasparenza vettoriale, il calore del ventre col ghiaccio acrilico e la morbidità carnale col soffio della mente.

Infatti la fisicità delle possenti volte murarie, in cotto, dialogano con la levità del plexiglas, una sostanza plastico-trasparente usata dall'artista per simulare il cristallo e al contempo per sovraccaricarla di caratteristiche, proprie di tale materia silicea, come l'essere infrangibile ed eterna.

Ed ecco allora che dal pavimento della cripta, anch'esso di antico mattone, paiono svettare scintillanti torri e vitrei grattacieli nelle silhouette di luminosi pilastri, di algidi steli o di flessuosi cilindri per dirigersi idealmente verso spazi siderali, sedimentati nella memoria del futuro ( pre-memoria), così a pre-figurare città d'aria o acropoli sintetiche.

Già dai primi anni '7O, Waifro Spaggiari lavora con le materie plastiche per comporre raffinate costruzioni geometriche interagenti con immagini mediali, giungendo in seguito, negli anni '9O, alla definizione di rigorose architetture palladiane e all'attuale, felice lavoro delle "metropolii " (qui esposto in versione di grande formato) , installato nello spazio espositivo facendo uso di un'interattiva comunicazione linguistica, fatta di rimandi, echi, previsioni, memorie.

E proprio questi lucenti "pilastri" sintetici, accostati tra loro in diverse altezze e fogge, sembrano librarsi aerei nella forte compressione della volta muraria, attraverso sfondamenti illusori attivati dall'evocante suggestione di possibili zampilli.

Zampilli ibernati in ipotetiche glaciazioni, fuori dal tempo e dallo spazio.

Un tempo, quello dell'opera, di qualità astratta, prefigurato nell'immaginario come configurazione di "ordine superiore" ove la materia naturalistica, squadrata in solida geometria, tende a vivere una dimensione di assoluta perfezione.

Il materiale plastico, composto dall'acido acrilico polimerizzato in quarzi parallelepipedi o corpi cilindrici trasparenti, corrisponde a una materia con struttura formale simile a quella dell'acqua: alla percezione visiva appaiono bollicine d'ossigeno e zigrinature tipiche di quell' elemento.

E come blocchi virtuali di ghiaccio, inglobati in sintetiche architetture cristalline, gli svettanti grattacieli sembrano proiettarsi in dimensioni immateriali di astratta purezza, andando a configurare fantastiche metropoli di luce.

Succede allora che la città virtuale si coniughi con la naturalità della sostanza evocata (acqua come metafora di una spiritualità gorgogliante) e che la materialità del mattone di cui è composto lo spazio espositivo, richiami l'iconografia archetipale della caverna.

In questo caso assistiamo a un felice abbraccio tra materialità terrestre e spazialità celeste, tra pesantezza della storia e levità del mito, tra fisicità del corpo e immaterialità dell'essere, tra spessori del passato e liquidità future attraversando le pareti di un purissimo, ideale, universo sintetico.

Un'altra installazione, in un secondo ambiente, è composta da quarzi plastici collocati a soffitto: essi scendono dalla volta quasi a simulare il fantastico gioco di stalattiti e stalagmiti, proprie delle grotte millenarie.

L'opera di Waifro Spaggiari non sarà quindi solo concetto o solo forma, ma l'uno fuso con l'altra in un connubio osmotico, dove la forma rimanda al concetto e il concetto s'interroga attraverso una sua forma relativa: il suo medium si sottrae alla soggettività lasciando fluire la virtualità in quello che diventa corpo formante del lavoro.

In questo senso l'opera può collocarsi nell'ambito di una oggettualità carica di rimandi simbolici , quale possibile "museo in vitro " di una probabile antropologia del futuro.

Se Arman usava il plexiglas come cassa trasparente atta a catalogare e a conservare gli oggetti spaccati dalla furia distruttrice, Spaggiari ci avverte che questo materiale chimico-industriale sa contenere echi della natura e al contempo può assumere connotazioni creative riferibili alla sfera astratta dell'immaginazione.

Attraverso un cordiale invito ad "uscire dal mondo " egli configura spazi siderali dove ciò che è deve ancora accadere, e ciò che è stato può ri-vivere negli accadimenti del futuro.



Forte Sperone

Nelle afose giornate estive si può salire sulle alture di Righi, con la caratteristica funicolare se si vuole, per ammirare a 360 ° il panorama che si estende da Puntachiappa a Ventimiglia e dall'entroterra al porto di Genova. 

Volendo, si può ancora proseguire oltrepassando la Porta lungo la via delle Nuove Mura per giungere al sistema di mura e fortificazioni che racchiude ad anello la città. Si tratta di un vasto complesso recintale dotato di forti, (Castellaccio, Sperone, Begato, Puin, Diamante, ecc.) alcuni forniti di ponte levatoio sovrastante il relativo fossato, con portali in pietra, piazze d'armi, polveriere e così via, costruiti in posizioni strategiche per controllare i nemici che avrebbero potuto attaccare. 

La lunghezza delle mura a monte si estende senza interruzioni per circa 12 chilometri mentre il settore verso il mare, dalla Strega alla Lanterna, ne misura circa 7 . Questa cinta seicentesca è l'ultima e la più ampia opera fortificata continua , in epoca moderna, che abbracci nel suo perimetro l'intera città. 

Il 7 dicembre del 1626 è posta la "prima pietra" dell'opera alla presenza del Doge Lomellino. I forti invece vengono costruiti dopo, nel settecento, iniziati dalla Repubblica, ingranditi dai francesi e portati a termine dai Savoia. 

Oggi, le strutture storiche ubicate nel parco urbano delle Mura , che occupa un'area di circa 9OO ettari di terreno, non sono utilizzate attivamente dalle amministrazioni a cui appartengono per cui risultano fatiscenti, alcune in totale stato di abbandono. In questo senso è auspicabile una cessione di tali spazi alla città affinché essa possa intervenire con urgenti piani di recupero.

Eppure si tratta di eccezionali contenitori, forniti di straordinarie scenografie naturali (sia diurne che notturne!) ubicati in vaste aree che dovrebbero essere destinate ad uso urbano. Le architetture fortilizie potrebbero essere trasformate in alveoli culturali, capaci di ospitare esposizioni d'arte, performances, spettacoli teatrali e musicali, festival, cinema ecc. cosicché Genova , stretta tra monti e mare, potrebbe presto arrampicarsi in alto per recuperare gli antichi spazi militari mutandoli in luoghi socializzanti della cultura.

Un egregio esempio lo ha fornito il "Teatro della Tosse" che dall''89 presenta a Forte Sperone spettacoli ambientati all'aperto e nelle caserme (quest'anno col "Decameron"), promossi dalla Regione Liguria e con la collaborazione del Comune di Genova.



Federica Fusco

Nella splendida cornice dell'antica abbazia di San Nicolò del Boschetto sulle alture di Cornigliano, fondata nel 13oo dai Grimaldi e diventata in seguito cenobio per opera dei monaci Benedettini, si è inaugurata la mostra di pittura "Pensieri in libertà" (fino al 6 aprile, tutti i giorni dalle I3 alle 18,3O), organizzata dal centro cattolico d'arte LA SPIGA, composta da opere realizzate da giovani e meno giovani che hanno in comune una creatività risolta in termini figurativi.

Gli oli di Federica Fusco propongono un linguaggio consapevole e immediatamente comunicativo, capace di avvalersi di esperienze storiche morandiane o impressioniste, creando osmosi continue tra la concretezza strutturale della natura morta e lo spazio in cui essa vive. Il tempo dell'esistenza si accompagna in questo senso al tempo del vissuto: i registri freddi dei toni variano la frequenza delle proprie onde luminose in rapporto alle forme che si aprono nello spazio secondo arcuate e seducenti fattezze.

Raffaella Bisio si esprime con la tecnica della pirografia su legno per incarnare processi metamorfici condotti sulle trasformazioni della figura umana evolventesi in corpi di animali e di vegetali, processi propri di simbologie popolari e mitologiche suggerenti un metaforico abbraccio tra le infinite energie cosmiche della creazione.

Nicoletta Arcella nel passato recente indagava sulla figura umana partendo dallo studio sull'immagine fotografica riproposta in pittura: oggi l'attenzione si sposta nell'universo scientifico del microcosmo riflettendo sui rapporti cromatici e cromosomici del magmatico mondo biologico.

Tra gli artisti meno giovani si distinguono: Marcella De Ferrari per la singolare e delicatissima incisione su ardesia raffigurante fantastiche composizioni segniche capaci di accendere candidi paesaggi nel buio della materia; Dirce Bigazzi che tratta la ceramica creando un repertorio iconografico altamente simbolico dove la lucentezza degli smalti sottolineano gli stati dell'essere come la vita e la morte, la gioia e il dolore, l'infanzia e la vecchiaia, la guerra e la pace; Elsa Cebocli in grado di materializzare visionari paesaggi ad olio provocatoriamente giocati su registri cupi, richiamanti atmosfere incombenti nell'atto di risucchiare lo spazio esterno in dimensioni più propriamente intime; Giuliana Petrolini per la scelta linguistica dell'inchiostro a spruzzo con cui sa allacciare rapporti preferenziali con seducenti immagini femminili (in questo caso raffiguranti le stagioni rese nella tecnica della fotografia serigrafata) e con paesaggi liguri, liberati dal peso della gravità per dare luogo a sottili giochi di trasparenze e di leggerezza.

Altrettanto bravi gli artisti presenti: Vasco Luppi, Leonardo Caruso Rosalba Niccoli, Dario Re, Giorgio Malveni, Ivo Vassallo, Carla Costellano, Carlo Pedivella in arte Delisa, Giuseppina Mancuso e Gimmi.


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