ANTONIO VIOLETTA
Ovali perfetti o incorporati in masse sintetiche di docili chiome; occhi incisi
nella terra che guardano oltre il terreno o svuotati dallo spazio che
dall'interno fluisce verso l'esterno; bocche tumide leggermente socchiuse
nell'atto (forse) di pronunciare impercettibili sillabe o labbra serrate in
preoccupanti mutismi; atletiche corporature che si mostrano in tutta la loro
pregnante fisicità o corpi mutilati come mitici reperti di auliche statue che
potrebbero abitare gloriosi olimpi.
Figure comunque in piedi, queste di Antonio Violetta coricate o sedute, intere o
a mezzo busto; corpi modellati in terracotta, abilmente plasmati nella duttilità
dell'argilla umida per essere poi fissati nella durezza plastica della
terracotta attraverso il fuoco elevato ad altissimi gradi.
Infine il colore. Delicate, ricercatissime patinature rendono le forme
particolarmente vive, altamente pittoriche, palpabili in atmosfere pregnanti
anche se, in alcuni casi, ancora "informi" come se stessero per uscire
faticosamente da un ribollente fango o, al contrario, come se vi stessero per
affondare.
In entrambi i casi, dolorose maschere prive d'identità sfigurate dalla frusta
di un tempo che avanza a velocità insostenibile.
Una metafora della contemporaneità?
Uomo o donna, giovane o vecchio, nudo o vestito (dal modellato finito o non
finito), ogni figura - abilmente in chiave ossimorica - rappresenta allora un
universo univoco in cui la superficie plastica, corrosa o liscia, morbida o
rugosa, sa suscitare sensazioni gravide di fisicità proprie dell'epidermide.
Con una durata nel tempo: ieri come oggi, oggi come domani, senza soluzioni di
continuità.
In alcuni casi sembra quasi di afferrarne il respiro, di cogliere il pesante
abbandono di una stanchezza mortale che sta cedendo al sonno o viceversa di
percepire l'intima segretezza dell'anima che fa vibrare le forme fruscianti in
inafferrabili brusii mentre sono attraversate da guizzi luministici.
A volte appaiono “fantasmi", ombre fatiscenti il cui viso è sigillato in
silenzi ermetici mentre il corpo allungato (e oscillante nello spazio) si
smaterializza in lampi di luce capaci di ribaltare l'opera sul piano metafisico.
Ma anche corpi espressi in deformanti “mostri" simili a globi fangosi
(sempre in terracotta dipinta) incisi da una fitta rete di rughe che vanno a
strutturare parvenze di teste umane dagli occhi infossati dai quali fuoriescono
pericolose ed aggressive forme appuntite. Volti corrosi, forse più simili a
teschi in cui è appena sottolineata la cavità orbitale mentre sono molto
evidenziate le fosse nasali. Nella parte inferiore la bocca è addirittura
cancellata in un ghigno muto. E' forse questo l'uomo “vecchio" che deve
morire a quello “nuovo"?
In pratica una scultura eccellente, quella di Antonio Violetta, da intendere
quale felice recupero di una manualità propria della tradizione facendone però
uso del tutto particolare. Cercando cioè di mettere a fuoco i connotati di una
contemporaneità complessa e in continua trasformazione dove il banale e il
mitico si scambiano continuamente i ruoli: ora evocando certe enigmaticità
etrusche, ora i fasti di una monumentalità classica, ora le devastazioni
estetiche di un espressionismo “spinto" o ancora, un melanconico
abbandono nella pesante quotidianità fino a raggiungere interpretazioni
fisiognomiche che potrebbero materializzare futuribili entità correndo come
energia elettrica sul filo di una storia fissato alle estremità del tempo.