Anna Ramenghi

Rinaldi

Rizzoli

 

  MIMMO ROTELLA

Roh 

Ruggeri  

 

 Ramenghi

Con la mostra “Eros e il sogno di Pandora”, Anna Ramenghi, pittrice genovese d’adozione, ha inaugurato la splendida “Sala Maggiore” del centro culturale Satura (piazza Stella 1, fino al 7 febbraio), un vastissimo spazio rinascimentale al piano nobile in cui spicca il recupero dei preziosi affreschi a soffitto.

In armonia con tali affreschi, l’artista  ha proposto qui ”(a cura di Mario Napoli), uno scenario pittorico - in parte già sviluppato nella sede espositiva di “Rosa Leonardi V-Idea” - che ha per tema il mito e che per certi versi si rifà a stilemi figurali dell’epoca.

Le immagini dipinte ad olio, su tavola o su tela, quali presenze figurali acefale (secondo un’iconografia antica), attingono infatti a modelli pittorici della classicità (ad es. Tiziano), ma ciò che le rende contemporanee, è la fisicità della materia carnale che lentamente non cessa di trasformarsi in spumeggiante fioritura di rose per poi sfaldarsi in  cascate di petali.

Passando – al centro - dal biancore madreperlaceo del corpo nudo (fonte endogena di luce e di energia vitale), si giunge lateralmente al rosso purpureo delle rose fino a giungere ad un disfacimento fisiologico attraverso l’ombrosità dello spazio che circoscrive l’opera,. Spazio che affonda nell’oscurità e nel silenzio dei bruni.

Una vera apoteosi della forma e del colore.

 

                                               Miriam Cristaldi

 

Franz Roh     

 

A 40 anni dalla sua scomparsa, la galleria Martini & Ronchetti (via Roma 9, fino al 27 maggio), con il sostegno del Goethe-Institut, ha voluto ricordare la preziosa e duplice attività del critico d’arte e artista tedesco Franz Roh con 38 opere che ricostruiscono l’intero percorso dell’artista, dal 1922 al 1965.

Nato nel 1890 ad Apoda (Turingia), studia letteratura e storia dell’arte e nel ’15 si trasferisce a Monaco dove incontra il famoso critico d’arte Heinrich Wolfflin che tanto influirà sulla sua formazione culturale.

In quegli anni Franz Roh inizia a scrivere su riviste specializzate come “Kunstlatt” “Kunst” e “Werk” e in qualità di critico d’arte su “Neue Zeitung”.

Gli anni ’20 segnano la scoperta di potenzialità artistiche della fotografia e, con Jan Tschichold, egli seleziona 76 opere fotografiche per “Foto-auge”, una pubblicazione che è stata fondamentale per anni su tutto ciò che riguarda la Nuova Fotografia. Nel ’30 introduce la pubblicazione sul lavoro fotografico del grande artista Moholy-Nagy. Nel ’33 viene internato per alcuni mesi a Dachau perché sostenitore di quell’arte che dal nazismo fu chiamata “Degenerata”. In seguito viene nominato professore di Storia dell’arte all’Università di Monaco  e presidente della sezione tedesca dell’AICA (associazione internazionale dei critici d’arte).

Come ricerca artistica si muove subito verso il fotomontaggio (tutti ricordiamo gli splendidi lavori di Hannah Hoch, Man Ray, Moholy Nagy di quegli anni) tagliando fotografie o antiche incisioni per sovrapporre, con la tecnica del collage, frammenti  diversi con cui formulare nuove, ironiche, originali immagini che gli hanno permesso di creare un linguaggio assolutamente autonomo contraddistinto da creazioni di qualità onirica e da sottili richiami al dadaismo e surrealismo. Ad esempio nel lavoro “Piccola genesi” in un’incisione del ‘700 Roh inserisce frammenti di incisione dell’800 cambiando il fine del racconto. Infatti la settecentesca tavola didattica che illustra i pesci, in virtù dell’inserimento collagistico diventa più originalmente “La creazione dei pesci”. Oppure citiamo, tra gli altri, il curioso collage fotografico “Mano che protegge pecorella” in cui una pecorella, per mezzo del collage fotografico, viene ad essere protetta da una grande mano che la circoscrive amorevolmente. Una mostra da non perdere,

 

                            Miriam Cristaldi

Rinaldi

Una fantasmatica maschera Fang (della regione africana del Gabon) in legno, dipinto di bianco - il cui volto allungato ha sicuramente ispirato certe stilizzazioni del nostro artista Mimmo Paladino - occhieggia accanto a una Madonna con Bambino, del IV secolo, nel nuovissimo spazio “Archetipi”, di Arnaldo Giuliani, una curiosa galleria d'arte situata in v. Caffaro 29 r. (tel 0108685595) specializzata in opere africane antiche e moderne. Accostamento ardito, questo, ma sul quale vive l'intera esposizione dove terracotte africane (con più di mille anni) e maschere delle più significative etnie africane convivono con oli di Picasso, disegni di Jean Cocteau o sculture di Max Ernest.

Questa gran carovana del “Tribale Globale” sbarca a Genova con opere del continente nero di grande fascino e alle quali l'arte moderna e quella contemporanea devono un forte contributo perché folle di artisti vi hanno attinto ed attingono a piene mani. “Per capire il presente è necessario guardare alle radici della nostra cultura (l'Africa) con un'operazione di work in regress...” suggeriva Claudio Costa, artista genovese recentemente scomparso e che aveva eletto tale territorio come seconda patria.

Sono qui visibili cortecce battute e dipinte dai pigmei dell'Ituti, raffinati e colorati tessuti in rafia degli Mbuti e gli Shooowa, preziosi velluti conosciuti sin dal 1600, fabbricati nel Kasai mentre, al contempo, fanno bella mostra una sedia e un tavolo traforati (con materiale simile a cortecce rosicchiate), del contemporaneo biellese Urano Palma.

Particolarmente interessante un “rotolo” di preghiera copto (dell'Etiopia): un lungo foglio in pelle d'agnello su cui sono scritte le preghiere e che si tiene arrotolato al collo per srotolarlo in occasioni di preghiera. In galleria è pur a disposizione, per consultazioni, una ricca biblioterca d'arte africana.

 

 

                                                Miriam Cristaldi

 

Giovanni Rizzoli 20 10 2005

 

 

Dopo dieci anni di sospensione, la storica galleria “Unimedia” di Caterina Gualco (particolarmente attiva negli anni '70, '80 come centro sperimentale, attenta ai migliori esponenti neoavanguardisti dell'epoca, in particolare Fluxus), riapre i battenti in una nuova, elegante, sede ubicata nell'antico palazzo Squarciafico(piazza Squarciafico 5/b, fino a tutto novembre) sotto la denominazione di “Unimedia Modern”. Insieme alla Gualco, conduce la galleria anche Gloria Ragnoli.

Un programma, il loro, che abbraccia i diversi campi dell'arte oscillando tra innovazione e tradizione attraverso una contaminazione delle tecniche espressive quali scultura, pittura, installazione, video, fotografia, performance, ecc., proprio come nell'attualità in cui l'artista interattivo preferisce l'ibridazione dei linguaggi alla ricerca di una più soddisfacente multiespressività. Sono in programma anche dibattiti culturali per approfondire le condizioni odierne dell'artisticità.

Non smentisce Giovanni Rizzoli, giovane artista veneziano internazionale (ha partecipato alla Biennale di Venezia nel '99 con un suggestivo vaso di proporzioni smisurate) qui invitato ad inaugurare la galleria - allineata a “Start”, un'operazione artistiica che accomuna le gallerie genovesi ad inaugurare l'attività tutte lo stesso giorno - con un'interazione delle tecniche presentando contemporaneamente sculture, dipinti, installazioni, vetri soffiati legati tra loro con il filo sottile dell'ronia e con il gusto delicato del contrasto.

Ne è un esempio convincente l'installazione a terra composta da numerose “teste” in bronzo disposte a cerchio, alcune scintillanti nella doratura del metallo, altre materiche ed opache nella loro patina scurente. Forme vuote, queste, quasi gusci, pelle, involucri, sindoni di una possibile presenza umana che si è volatizzata. Un continuo proporsi e negarsi nel complesso gioco dell'arte.

 

 

                                                            Miriam Cristaldi

 Ruggeri

“Fare – vedere – fare vedere “ sono tre momenti di osservazione cui l’artista tarantino Antonello Ruggeri (vive e lavora a Milano) ci invita a comprendere per giungere ad una riflessione che egli stesso ci propone con un breve testo all’interno della mostra “L’osservazione interiore” (galleria UnimediaModern, palazzo Squarciafico, piazza Invrea 5B, fino al 15 marzo). Come a dire: l’intuizione artistica è sempre un fatto che coinvolge l’interiorità e si estrinseca in differenti e successive modalità. L’opera si compone di installazioni che abbracciano ad anello gli spazi della galleria e si realizzano attraverso tecniche diverse, legate insieme dal filo rosso di una ricerca concettuale fondata sull’esposizione di una serie di indizi, o tracce, capaci di suggerire un percorso logico-spaziale che ciascuno può intraprendere a suo piacimento per giungere ad una comprensione a carattere filo-unitario.

Trentanove disegni a parete in semplice matita su carta bianca riproducono, senza pretese, alcuni particolare degli spazi espositivi come - tra gli altri - il cardine di una porta, un rotolo di carta igienica, lo spruzzatore di doccia, o ancora, la maniglia di una porta. Particolari che dialogano con impronte (ad inchiostro) di piedi realizzate su carta bianca giapponese, tracce di un vissuto nel luogo espositivo stesso per essere mostrate, anch’esse a parete, e perciò in grado di promuovere una lettura personificata fortemente evocativa.

L’elemento unificante di tutto il percorso dell’artista risulta essere la prassi archeologica cui egli ha sempre attinto a piene mani, anche per soddisfare una personale ed invasiva necessità di strutturale catalogazione del pensiero e di ciò che ci circonda.

 

                                                            Miriam Cristaldi

MIMMO ROTELLA

Il lavoro di ricerca condotto da Mimmo Rotella nasce artisticamente nel '54, in Italia, quando egli giunge alla concezione del ready made duchampiano come laieson tra la Pop Art americana e il più concettuale spirito dadaista europeo attraverso azioni provocatorie come lo strappo dei manifesti pubblicitari.
Si colloca così come superbo pilastro della ricerca artistica contemporanea in quell'area del Nouveau Realisme francese (teorizzata nel '60 dal noto critico Pierre Restany) accanto ad esperienze similari dei francesi Villeglé, Hains e Dufrène.
Con i suoi “strappi" chiamati “DECOLLAGE", Rotella (tra i pochi artisti italiani di fama internazionale) intende mimare il gesto insofferente ed aggressivo che alcuni passanti compiono davanti alle affiches pubblicitarie, accentuandone però la portata, enfatizzandone il gesto e facendolo suo per trasformare tali immagini deturpate in icone simbolico-numinose, fuori dal tempo e dallo spazio. Un lavoro che in un certo senso può trovare matrici nell'anteguerra attraverso il Collage dei cubisti, gli Assemblaggi oggettuali di Schwitters, e il Ready made duchampiano dimostrando al contempo di caricarsi di qualità ludiche.
Prendono avvio una serie di lavori che l'artista ha creato nel suo studio con pezzi di manifesti e ritagli di giornali montati su tela: una specie di “traduzione" delle azioni vandaliche accidentali che Rotella osservava attorno a sé quando si trovava per strada a leggere i manifesti.
Nasce in questo senso un'operazione che è in grado di testimoniare una realtà urbana continuamente in atto, ma che al contempo sa fissare un'iconografia del tutto atemporale capace di essere trasferita nell'algida, mitica, dimensione di un metaforico olimpo. Infatti, i personaggi, gli oggetti o gli eventi (pur deformati da strappi creati in studio) che nel secolo scorso hanno fatto in qualche modo storia, occhieggiano nei suoi decollage come inossidabili, eroiche, presenze collocabili fuori dal tempo e dallo spazio, intervallati sovente da elementi giocosi, feticisti o drammatici (ad es. lamiere contorte a carattere ludico- totemico).
Operazione, questa, che l'artista ha sovente arricchito con sapienti effetti estetici attraverso la de-contestualizzazione del manifesto - prelevandolo appunto dalla strada - ed una consequenziale ri-contestualizzazione mediante vari assemblaggi su cui è spesso intervenuto con gesti di natura pittorica.
Dal “decollage" Mimmo Rotella passa facilmente ai “Pannelli monocromi di nascondimento" che usano gli afficheurs per dare avvio a collages di nuovi manifesti.
E' questa un'occasione per presentare superfici bianche di grandi dimensioni su cui intervenire con scritte, segni, gesti pittorici, strappi, come una grande lavagna capace di registrare gli umori, le sensazioni e i sentimenti di chi vi passa davanti per essere assorbiti dal magmatico ed imprevedibile flusso sanguigno dell'Arte.
Tuttavia Rotella è stato anche tra i fondatori della MEC-ART, arte meccanica basata sul riporto fotografico e su mezzi meccanici di riproduzione che sovente si avvale di immagini estrapolate dalla stampa. Si è interessato anche al fotomontaggio e agli aspetti ironico-ludici della “poesia fonetica" (forse richiamando in qualche misura i “Poemi sonori" di John Cage, frequentato in quegli anni a New York, come espressioni del caso che hanno particolarmente segnato gli anni '60 di tutto l'Occidente). Ricordo i suoi succosissimi monologhi di poesia fonetica che gli trasformavano il viso in smorfie incredibili.
Nato a Catanzaro nel '18 e mancato a Milano nel 2005, Mimmo Rotella ha studiato a Napoli finché nel '51 è partito per gli Usa dove ha conosciuto Pollock, Rauschemberg e alcuni giganti della Pop come Oldemburg.
Tornato in Italia, colto da una crisi sull'operare artistico, l'artista ha abbandonato le iniziali esperienze informali per dare corpo a nuove possibilità espressive.
Guardandosi in giro per cogliere l'arte là dove nasce la vita. Sempre.

 

 

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