pensiero debole

“Se con il “pensiero debole” si intende la filosofia degli ultimi duecento anni – specifica il filosofo Emanuele Severino – cioè il pensiero filosofico che da Hegel, cominciando con Schopenhauer, Leopardi e Nietzsche, arriva fino ad oggi, allora il pensiero debole ” (che dal punto di vista filosofico è in realtà fortissimo) è la filosofia che nega una verità assoluta, un essere immutabile, un fondamento del tutto. E’ cioè una critica al “pensiero forte” della tradizione, cui il pensiero debole si contrappone. E il pensiero forte si basa sullo “stare sopra” ogni forza che vorrebbe scuotere il sapere”.

Ma se la filosofia dei nostri pensatori ha vinto la battaglia con il passato  e si dà per scontato che non esistano più la verità e l’essere assoluto, oggi il pensiero filosofico sembra avere deposto le armi. Non ci sono teorie che rappresentino con particolare intensità le crisi identitarie attuali come lo sconvolgente ed inebriante fenomeno della “globalizzazione”. Il sociologo polacco Zygmunt Barman, che ha dedicato parecchi scritti ai cambiamenti nella società globalizzata e contro le paure postmoderne, suggerisce risposte di grande valore etico e morale spiegando che “…l’individualismo esasperato è stato una falsa liberazione che ha portato ansia, disagio e incertezza… Però c’è un antidoto: basta agganciare e sviluppare il culto della responsabilità individuale. Perché la globalizzazione ci ha alienati ma può fornirci conoscenze insospettabili. E la conoscenza è di per se stessa libertà…”.

Allora, di fronte all “oblio dell’essere”, allo strapotere del progetto tecnoscientifico che governa il mondo e ad una così fragile e precaria convivenza tra i popoli della terra anche l’arte sa avvertirci dei pericoli che corre l’uomo contemporaneo, talvolta indicandoci alcune vie salvifiche da percorrere.

Una potrebbe essere quella proposta da Claudio Costa, artista che ha fatto parte dell’Arte Antropologica e che da sempre ha saputo guardare al futuro nel comprendere l’importanza di una comunicazione globalizzante, il più allargata possibile, come da sempre ha saputo “ascoltare” un passato lontanissimo carico di simboli e di ritualità tribali che tanto affascinano oggi la gioventù metropolitana . Claudio Costa ha saputo mirabilmente cavalcare le prospettive – anticipandole -  di un pensiero debole degli anni ’80 (affidato al recupero di un passato che riguardasse in particolare all’epoca manierista), ma spingendosi ben più lontano nel tempo. Ha infatti trovato nuova linfa in passati remotissimi, ormai seopolti nella coscienza dell’uomo ma ben radicati nella wudercammer dei suoi simboli e del suo inconscio.

“Nel segno del blu” è la mostra a quattro mani allestita da Nicoletta Conio e Simonetta Porazzo al centro culturale Satura (piazza Stella 1, fino al 10 febbraio). Un colore, questo, scelto da Ives Kline come espressione della totalità, come immagine simbolica dell’universo intero. Il suo blu coinvolge qualunque oggetto per trascenderlo in uno spazio atemporale. Il blu caratterizza anche un periodo stilistico di Pablo Picasso, un frammento di vita caratterizzato da profondo sconforto. Questa tonalità gli ha permesso affondi incondizionati di carattere psicologico. Anche Nicoletta Conio e Simonetta Porazzo si misurano con tali gradazioni cromatiche. Nel loro caso, perlustrazioni nel campo dell’inconscio si fondono con la fisicità pittorica del cielo e del mar Ligure della riviera ponentina , ove le artiste abitano.

Strappi, frammenti di carta, forme accidentali, sovrapposizioni logiche, graffiature,  affilati cromatismi, gioco.

Onio Porazzo

La materia dell’arte si avvita sulla materia del gioco. E nel gioco Nicoletta Conio riflette la propria identità.

Psicologa, psicoterapeuta, artista, prossimamente mamma, Nicoletta si muove su diversi livelli: quando è psicologa non si ferma al dato analitico ma preme l’acceleratore su qualità emozionali che sanno condurre nel fertile terreno della creatività, quando è artista s’ispira alle profondità dell’inconscio che esprime nella violenza gestuale delle carte straziate o negli ingorghi delle materie pittoriche. Giocando.

Nascono allora fragili stratificazioni di brani cartacei (collages di carte strappate) che si articolano (e si sovrappongono) nello spazio dell’opera in ritmi consequenziali, quasi a suggerire universi indicibili, oltre agli universi stessi della pittura.

L’artisticità di Simonetta Porazzo, psicologa e arteterapeuta, si esplica soprattutto nel territorio della scultura attraverso la lavorazione della ceramica con cui modella forme. Forme a parete o a tutto tondo che, per loro stessa costituzione, rimandano a strutture visive frastagliate ed in parte ossessive, percepibili nella striature laceranti delle superfici formali e nella reiterate presenze di alcuni elementi figurali come gli arabeschi dei corpi solari, le lamelle dei moti ondosi o le geometrie degli astri.

Duplice è quindi lo spostamento mentale che provocano i lavori di Simonetta: se da un lato sanno evocare un poetico mondo di stelle dorate, onde marine, vele al vento, dall’altro possono rimandare alla violenza dei tagli, alla sofferenza delle piaghe, a trituramenti carnali, a frantumazioni di interi…

Affiora così un’appassionata quanto intima sensualità, celata e sublimata dagli accecanti bagliori della foglia d’oro che riveste il cotto o dai preziosismi astrattizzanti delle decorazioni incise.

                                     Miriam Cristaldi

                           

        

 

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