Mostra fotografica palazzo Ducale

Mostra Ducale

Mostra Nervi

Mostra Genova villa Croce

Mostra Genova i palazzi di Rubens

 mostra Genova Palazzo Ducale giovani creatori  

Mostra Genova villa Croce suoni e visioni

Mostra Russia & Urss,Genova palazzo Ducale

mostra Museo Casa-Jorn Savona

Mauro Marcenaro

Martinengo

Martini & Ronchetti

Mauri e  Menegon

Melotti  

Mesciulam

Millefiore  

Mori

Martinengo

 

Bocche spalancate o serrate a scimmia, occhi sovente strabici, mani e piedi ingigantiti e gonfi come plastificati, corpi colti in prospettive deformanti, personaggi al limite di certe “diversità dawn” eppure, queste figure caricaturali, dipinte dal genovese Claudio Martinengo, sanno suscitare alla visione intriganti e al tempo stesso affascinanti immaginari dell'anima.

Ciò avviene proprio “caricando” l'effetto “diversità” resa attraverso una raffinata e meditata pittura che, per certi aspetti, non nega anche espressioni di violenza.

Anzi, suonando quasi come denuncia - come un pugno allo stomaco - questa pittura poco rassicurante ed antiestetica riesce a descrivere un'umanità sofferente, reietta, ai margini della società benestante la quale sa nascondere molto bene la smorfia delle turbe personali dietro il “trucco” di una appariscente ma fragile bellezza esteriore. Viene in mente il famoso versetto evangelico “... gli ultimi saranno i primi...”

Sì, perché sembra qui di cogliere - nei curiosi ed ironici personaggi di Claudio Martinengo - una pulizia di fondo, una purezza d'animo visibile in certe espressioni meravigliate dei visi o nelle azioni prive di pomposa vanagloria: ad esempio, ragazzi che giocano felici con la barchetta in una piccola tinozza o che si divertono spensierati sulle piste di un otto-volante o, ancora, che si stringono affettuosamente e “rumorosamente”, l'uno in braccio all'altro, come se si volesse evidenziare il “fanciullino” che abita in noi. Per questa occasione, e per questa mostra realizzata nello Studio Ghiglione (piazza S. Matteo 6, fino al 20 dicembre), l'artista ha eccezionalmente dipinto la squadra di calcio della Sampdoria. Erano presenti all'inaugurazione tutti i giocatori della squadra e il loro presidente Riccardo Garrone che così precisa in catalogo: “I suoi soggetti, spesso caricature grottesche facenti parte del più svariato teatro umano che durante la vita di tutti i giorni possiamo incontrare, esprimono un'innocenza che sfiora la demenza ma sempre trasmettendo sentimenti...”.

Una pittura dell'anima.

 

Fabio Mauri e Giuliano Menegon

 

“Il muro occidentale o del pianto” , come viene chiamato a Gerusalemme il muro residuo del Tempio di Salomone - dove gli ebrei una volta all’anno si raccolgono in preghiera - è qui magnificamente interpretato dall’artista romano Fabio Mauri, di origine ebraica, che lo rievoca attraverso la drammatica costruzione di un’alta parete interamente composta di valigie, tanto da coprire alla vista l’intero ingresso  della sede espositiva di Palazzo Ducale ( Munizioniere, piano terra, fino ad aprile - l’operazione è già stata inserita nella Biennale di Venezia del ‘93).

Appunto, un vasto frammento di “muro” sconnesso, certosinamente edificato mediante l’ordinata sovrapposizione di vecchie valigie dai volumi variabili, molte di cartone pressato, che sono servite agli ebrei per il loro ultimo viaggio sui treni della morte.

Così come negli anfratti o fessure del “Muro del pianto” gli israeliti infilano biglietti di carta con preghiere relative a profonde  riflessioni riguardanti la propria anima, il corpo o come vivere sulla terra in attesa dell’eternità, allo stesso modo Fabio Mauri ha infilato nel suo muro di dolorose reliquie un unico rotolo di tela come silenziosa, accorata, invocazione: una sorta di “preghiera dell’Arte” dedicata all’olocausto.

Spiega L’artista: “Vi cresce anche una pianta, segno di un proseguimento di esistenza che… le valige vuote e inerti nemmeno loro possono impedire…”.

Accompagna l’operazione una mostra di pittura, anch’essa fortemente drammatica, del pittore genovese Giuliano Menegon, riferita alla giornata del ricordo, intitolata “Du denk mit mir = Rammenta con me” ed ispirata ad alcune frasi del poeta Paul Celan.

Sono questi dipinti creati con vari strati sovrapposti di colore su cui cadono copiose sgocciolature che vanno a tessere una densità materica tenuta sui registri di brunite opacità messe in rilievo da biancastre accensioni lattiginose.

Corpi ombrosi, dunque, appena accennati, larve umane che si piegano sotto le staffilate di un’atmosfera pungente. E’ questa una raffinata figurazione appena percettibile alla visione in cui le immagini, di qualità fantasmatiche, sanno al contempo creare un diffuso stato di presenze capaci di richiamare in vita coloro che nel sudario di un eccidio non  saranno certamente “dimenticati”. Mai.

 

                                                            Miriam Cristaldi

Mostra fotografica palazzo Ducale

                                                            Miriam Cristaldi

All’interno della mostra “Tempo Moderno da Van Gogh a Warhol” curata da Germano Celant si articola un intero spazio (Spazio Liguria,  Palazzo Ducale, fino al 30 luglio) dedicato all’esposizione fotografica di Uliano Lucas intitolata “Lavoro, lavori a Genova” che bene si innesta nelle tematiche del lavoratore e dell’età delle macchine affrontate dalla mostra celantiana.

Una forma di omaggio, questa, all’autore ormai scomparso, nata da un’idea dell’operaio e dirigente sindacale Franco Sartori

Duecento fotografie in bianco e nero, di formato medio, che riguardano l’area metropolitana genovese  di “antica industrializzazione”, strutturano una paziente raccolta di volti, ambienti lavorativi, macchinari e figure sociali che avviano “il processo di scomposizione delle monoculture rigide del lavoro e l’esaurimento del modello di sviluppo incentrato sulle grandi fabbriche manifatturiere insieme alle attività marittimo-portuali”.

In pratica, una formidabile inchiesta sul lavoro che cambia, sulla trasformazione della città e del suo tessuto sociale dove si confrontano esperienze ed idee e si avviano nuovi rapporti tra soggettività e lavoro riferiti a decenni del secolo scorso. Dai macchinari ospedalieri del Galliera si passa alle biotecnologie dell’ospedale S. Martino, dalla vetusta figura del “camallo” ai macchinari complessi che sollevano le merci nel porto, da supponenti e poveri asili infantili alle moderne attrezzature neo-natali del Gaslini, dalle acciaierie di Cornigliano alle industrie aeronautiche della Piaggio, dalle autoreferenziali strutture dell’Enel agli operatori di banca al computer, e così via.

Non mancano le antiche botteghe manifatturiere del centro storico come il calzolaio, l’uomo che lavora la pelle, le caratteristiche friggitorie, il fabbro, il tappezziere, il lavoratore dell’ ardesia e persino un arruffato spazzacamino che sta sistemando le sue lunghe spazzole per pulire le tubature. Le mani deturpate, spaccate e gonfie di un contadino, aperte verso il fruitore, e quelle di pescatori con le reti, sembrano segnare inesorabilmente ciò che eravamo mentre oggi, un destino incerto sembra proporre capacità e risorse non ancora ben identificabili. Lucas ci aiuta a capire, forse, dove stiamo andando.

 

                                                            Miriam Cristaldi

Pietro Millefiore: evocazione dei luoghi

  Millefiore

Giovedì scorso, alla libreria spazio-esposizioni DADA (via Giustiniani 3r, fino a marzo), ha avuto luogo la presentazione del progetto-evento “Kollection Lindenau”, dell'artista genovese Pietro Millefiore. Hanno parlato i critici Matteo Fochessati, Sandro Ricaldone e Franco Sborgi che hanno evidenziato come questa operazione “IMPORT – EXPORT” ruotante attorno al tema della rigenerazione urbana, sia attivata da due gruppi di artisti e architetti delle città Lipsia e di Genova attraverso interscambi tra le due differenti sedi. Il gruppo di Genova è intervenuto in una zona di Lipsia-Ovest un luogo anche se densamente costruito è praticamente disabitato, una sorta di archeologia industriale che tanto incantava i coniugi Beker (artisti francesi concettuali).

L'intervento tecnico-archeologico di Pietro Millefiore - di qualità concettuale - in questi spazi non-luoghi (o luoghi anonimi e senza identità) consiste in una documentazione fotografica, digitale e filmica di quelle aree dismesse - attraverso un lavoro di esplorazione e di conoscenza - con annessa l'esposizione in piccole teche (dodici) di alcuni frammenti oggettuali trovati sul posto. Un forte, pregnante richiamo, questo, a un passato ormai scomparso e che si pone come testimonianza storica da consegnare a futura memoria.

Ricordo in questo senso il gruppo “ARTE COME EVOCAZIONE” (tra cui i genovesi Claudio Costa, Francesco Arena, Antonella Spalluto, Vittorio Valente) di fine anni '80 e primi anni '90 che ha lavorato in spazi dismessi evocando con tracce e segni minimi le attività del passato e la storia che trasudava dal luogo.

Inoltre, un secondo intervento di Pietro Millefiore è qui documentabile nella libreria DADA attraverso la presentazione degli stessi oggetti esposti nella città straniera, ma non autentici bensì realizzati in cera su copia perfetta mediante un curioso tentativo di ibernazione allontanandoli dal reale per consegnarli fuori dal tempo e dallo spazio: una sorta di museificazione che sottrae tali oggetti industriali (in disuso) dall'anonimato, dal degrado e dalla dimenticanza totale.

Piccole forme in cera, dunque, che formulano un piccolo, magico, alfabeto capace di attendere nuove, creative codifiche. Nel nome dell'arte.

L'iniziativa è stata realizzata in collaborazione con Miria Monaldi.

Martini & Ronchetti

 

Camminando “Sul lato assolato della strada” (titolo dell'esposizione), cioè in quella porzione di spazio illuminata dalla luce splendente dell'arte, ci imbattiamo nella galleria “Martini & Ronchetti” (Via Roma 9, fino al 29 gennaio) che - a un anno dalla scomparsa di Ronchetti e in suo omaggio - presenta artisti avanguardisti del secolo scorso, in particolare quelli che si sono mossi nel severo e radicale ambito della ricerca e ai quali è stata precedentemente dedicata una personale dalla galleria stessa. Tra questi, alcuni stretti amici dell'attento e vivace duo galleristico.

Soffermandoci sulle opere storiche troviamo il movimento futurista documentato da opere pittoriche di Balla, Depero e Prampolini, quest'ultimo presente con un curioso quanto singolare dipinto dell'isola di Capri con una leggera e spugnosa struttura ctonia galleggiante sulla tersa e bluastra stesura marina.

Sono pure visibili opere di importanti artisti surrealisti e dadaisti come Man Ray, Hannah Hoch, Meret Oppenheim insieme a quelle dello scultore internazionale Julio Gonzalez.

Si possono trovare anche artisti che hanno usato la fotografia a livello pionieristico-sperimentale comegli ironici scatti di Florance Henri, Laszlo Moholy Nagy e ancora Man Ray qui presente con un'immagine dall'effetto flou (in bianco e nero), realizzata con oggetti messi in posa e lentamente spostati durante il tempo d'impressione della pellicola, senza l'esecuzione dello scatto.

Inoltre, la rivoluzionaria pittura “a metri” di Pinot Gallizio e l'originale scultura in ferro di Franco Garelli che qui si mostrano come significative opere del dopoguerra mentre la sperimentazione contemporanea è rappresentata da tre generazioni: Allan Kaprow, artista fluxus, teorico e ideatore dell'happening, visibile con una documentazione fotografica di un happening nella natura; Claudio Costa con un'antropologica opera composta da un guscio rovesciato di testuggine al cui interno, affondata nella cera, sta veramente una bizzarra e stravagante “Palla di pelle di pollo. Tutti...” ; infine, Marc Didou che realizza estrose ed eccentriche anamorfosi attraverso l'uso tecnologico della risonanza magnetica. La realtà si ricompone nel riflesso di uno specchio piegato.

Mauro Marcenaro, 3 – 2 – 2005

 

 

Ricordo, quando nei primi anni '90 frequentavo regolarmente l'ex ospedale psichiatrico di GE-Quarto (allora ancora presidiato) e con l'artista Claudio Costa (fondatore del Museo delle Materie e Forme Inconsapevoli) ci si occupava d'arte in quello spazio di dolore e di sofferenza tangibili, in un tempo al di fuori del tempo, avulso dalla vita pulsante del mondo, eppure un universo così denso di forti progettualità e così straordinariamente ricco di energie tanto da attrarre artisti, medici, psicologi, critici d'arte esterni al nostro territorio cittadino per organizzare insieme dibattiti, convegni, mostre...

In questo difficile, unico e delicato contesto nasce l'artista Mauro Marcenaro, giovane genovese che con coraggio e passione si era gettato a quel tempo in questa particolarissima avventura, aprendo uno studio all'interno dell'o. p. e lavorando alacremente, instancabilmente, accanto all'indimenticabile amico e maestro Claudio Costa. Oggi, una grande mostra antologica, con pezzi realizzati in maggior parte in quella stagione a Quarto è in esposizione alla Loggia della Mercanzia (fino al 23 febbraio), corredata di un bel catalogo a colori e testi di Andrea Del Guercio e di Maurizio Sciaccaluga.

Si tratta di un lavoro complesso in cui la pittura si contamina con l'oggettualità mentre il supporto si avvale della “tela” delle “camicie di forza” in disuso (allora molto numerose in quell'ambiente).

Una pittura, questa, che per certi versi ricorda il lavoro africano di Costa: i colori arrugginiti di quelle terre, le sabbie brillanti, il collage oggettuale (sovente Mauro propone immagini sacre raccolte negli scarti), ricerche alchemico-antropologiche, ma che allo stesso tempo si articola come un'ossessiva presenza astratto-figurale in cui pullunano segni, tracce, graffiti, freccette impazzite direzionate per ogni dove senza alcun nesso logico. Un lavoro decantato nel tempo e che oggi ne prova la durata. Esteticamente armonico ed espressivo di un'endogena, reiterata, energia repressa.

 

                                                            Miriam Cristaldi

 Melotti

Con “Melotti Consonanze” è stata inaugurata domenica scorsa al CAMeC di La Spezia (il nuovo Centro Arte Moderna e Contemporanea, fino al 15 ottobre) la mostra omaggio che Bruno Corà - valido critico d’arte ed ex direttore del prestigioso Museo Pecci di Prato, oggi direttore del Centro spezzino -  ha dedicato al grande scultore italiano Fausto Melotti (Rovereto 1901 –Milano 1986).

Artista, questo, che ha un precoce inizio artistico legato al Costruttivismo degli anni ’30 (quando aveva fatto parte del gruppo Astrattismo Lombardo) e che in seguito, per un lungo periodo è stato assente dalla scena artistica come protesta all’allora imperante corrente del “Novecento” impastata di valori della tradizione. Probabilmente per uscire dalle secche di questo movimento e privilegiare un nuovo ed affascinante tipo di scultura, Melotti sviluppa successivamente un segno astratto che molto originalmente si contamina con l’universo figurale andando a creare magiche figurazioni di carattere poetico-surreale (di piccole o grandi dimensioni).

Nascono così magiche sculture fortemente differenti da quelle in uso in quegli anni, lontane dalla produzione plastica corrente.

Mentre prende corpo una fittissima produzione, la sua, sovente composta da un rigore purista della linea e della forma che non è mai disgiunto da una forte tensione lirica endogena all’intera opera.

Si  potrebbe allora affermare che vivono in lui due diverse componenti che interagiscono tra loro: da un lato la forma allusiva che si carica di qualità simboliche (come ad esempio nell’opera “Il suono del corno nella foresta”), dall’altro la presenza costante dell’invenzione ritmica (come nell’  “L’arte del contrappunto plastico”) dove ritmi e forme, cadenzate in armonici arpeggi, si caricano di qualità melodico-strutturali. In pratica, una scultura, quella di Melotti, che suggerisce armoniosità musicali esaltate dai materiali stessi come il dorato “ottone”, il caldo “rame” , il freddo e scintillante “acciaio” o ancora il candore del “marmo” in cui il mito e il reale intrecciano passi di danza sconfinanti nella poesia. E’ a testimonianza di questo versante poetico il suo prezioso sodalizio con Italo Calvino.

Sono presenti in mostra anche interventi di artisti  dell’Arte Povera come Luciano Fabro  e Giulio Paolini non ché opere monocrome di Enrico Castellani. Catalogo con testo critici di Corà, Gillo Dorfles e Alberto Fiz.

 

                                                            Miriam Cristaldi

 

 

Mariko Mori

 

“Wave ufo” è il titolo dell'installazione a carattere extra-planetario della coreana Mariko Mori, “allunata” nel grande atrio centrale di Palazzo Ducale, nell'ambito della mostra “Arte & Architettura 1900/2000”, a cura di Germano Celant.

Si tratta di una sorta di “macchina volante” la cui forma naturalistico-visionaria è paragonabile ad una macrocellula dal taglio ad “occhio a mandorla”, gonfia e morbida alla percezione visiva e al tatto per assoluta mancanza di spigolature e sinuosamente arrotondata come quella di un dirigibile o di un sottomarino. Una luminosissima, avveniristica, archi-scultura color bianco panna ma cangiante alla luce per arricchirsi di sfumature appartenenti all'intero arcobaleno - dal giallo-rosa all'indaco-violetto - proprio come i mille riflessi di un ologramma o di un diamante. Un involucro abitativo, questo, fatiscente e spumeggiante che evoca sfere siderali, atmosfere esplorative, personaggi extraterrestri, cyborg dello spazio profondamente avvinghiati all'immagunario collettivo dove il sogno collima con il reale. Al suo interno immagini digitali traducono su numerosi monitor le onde cerebrali che il visitatore emette normalmente nella vita di pensiero (possono entrare nell'abitacolo solo tre persone alla volta) dando origine ad una partecipazione attiva che lo auto-legittima come “creatore” passivo di coloratissime video-immagini “attive”, piaceri visivi corrispondenti appunto alle proprie onde del cervello.

Mariko Mori, ex modella e prodotto metropolitano newyorkese, trascende l'umano trasformando il mortale con il divino coniugando la millenaria tradizione giapponese con le forme sofisticate della storia dell'arte contemporanea occidentale servendosi di immagini artificiose e immateriali, fantasmatiche come ectoplasi nell'etere, utilizzando tecnologie avanzate per spaziare dalla moda alla cultura pop a alla fantascienza, allo stesso tempo non esente da aspetti mistico-religiosi nalla concezione spirituale di una misterica “illuminazione” buddista che pervade l'intera sua opera.

 

 

 

                                                Miriam Cristaldi

 

Plinio Mesciulam

 

Con una “Lontana somiglianza” - titolo del libro di Plinio Mesciulam, edizione de Ferrari, 178 pagine, a cura di Viana Conti - l'inossidabile ed infaticabile “ricercatore”, artista genovese, presenta una vasta galleria di personalità (artisti, attori, critici d'arte come Chianese, Barbareschi, Sborgi, Solimano, Bossaglia, ecc. ) ritratti curiosamente non tanto attraverso la loro persona fisica, quanto attraverso la loro ombra (da qui l'origine del titolo).

L'incredibile capacità creativa di Plinio Mesciulam - sempre alla ricerca di nuove possibilità linguistiche collegate fin dagli anni '50 col tema della “precarietà” - lo ha portato, in questi ultimi tempi, ad un lavoro pittorico paziente e allo stesso tempo pregno di implicazioni psicologiche e di qualità percettive non indifferenti.

Con un'operazione di scavo nell'essere umano, Plinio Mesciulam interpreta sulla tela personaggi non tanto ricostruendone la somiglianza fisica, quanto identificando le loro ombre che esaltano ed enfatizzano gli atteggiamenti (a secondo delle posizioni delle membra, della postura delle spalle o della testa ecc.) rivelando caratteristiche e qualità intime.

Un sottile feeling unisce l'emozione dell'artista quando incontra l'interiorità della persona ritratta.

Ma non basta.

Mesciulam indaga anche sull “aura” che promana dalla persona stessa: un brusio e pulviscolo luminoso che avvolge l'ombra del personaggio e che si collega ad una fragile, dinoccolata “catena” (composta da anelli luminosi) articolata all'interno delle nere silhouette figurali e che, da qui, si diparte per espandersi nello spazio (coloratissimo), a guisa di uno scintillio energetico capace di elettrizzare l'ambiente con continue, sussultorie, “scosse” luminescenti.

Una sorta di Dna in cui, nella complessità degli intrecci, si annidano le differenti potenzialita dell'individuo.

Una pittura, questa, preziosa come un mosaico, brillante e concitata come certe espressioni digitali, mutevole e cangiante come pelle di un vivacissimo camaleonte.

Un dipingere aureo e al contempo preciso simile a una miniatura medievale, eppure concitato e gonfio come affabulanti illusorietà barocche, ma anche attuale e contemporaneo come potrebbe esserlo la straordinaria versione frattale al computer.

Mesciulam, a 79 anni, continua a creare senza fermarsi: dal '48 frequentatore dell'Avanguardia e membro del MAC nel '52, performer con le “Epifanie ostensibili”, concettuale ideatore dell'operazione “Mohammed”e felice transavanguardista negli anni '80, continua ad indagare l'uomo attraverso i cambiamenti della società.

Oggi , ne coglie la massima fragilità, attraverso l'ombra, e ne denuncia la sparizione.

 

                                                Miriam Cristaldi

 

 

Mostra Ducale

Spiega Luca Borzani, assessore alla cultura, durante la presentazione a Roma della grande mostra “Tempo moderno, da Van Gogh a Warhol”: «C´è un filo che lega la restituzione alla città delle ex Acciaierie agli investimenti in innovazione a questa mostra a Palazzo Ducale. Una grande riflessone sulla modernità e sulla post-modernità, sul passaggio dal lavoro ai  <lavori> che ovviamente avviene a Genova, che del mondo del lavoro moderno, della siderurgia e della portualità, è una delle culle», accennando in questo senso come la nostra città sia modello di  trasformazioni in atto.

Una mega-esposizione, questa, organizzata dal celebre critico genovese Germano Celant e dedicata ai vasti temi del lavoro contadino e operaio, ma soprattutto pensata dalla Cgil per festeggiare i suoi cento anni di vita. Una mostra che guarda appunto, con un giro di boa da 360 gradi, al mondo del lavoro contadino e operaio attraverso gli occhi degli artisti (pittori, scultori, cineasti, grafici, fotografi..) per giungere ad un’ambiziosa panoramica che abbraccia due secoli, tanto è il tempo che intercorre tra il pittore olandese e il  “ papa” della Pop Art.

Aggiunge Epifani all’interno della presentazione: “Non è casuale la scelta di questa mostra a Genova, città che non rinnega le proprie radici, semmai le rielabora alla luce dei tempi, in un contesto allargato al terziario”. Fa eco il sindaco Pericu affermando come la città “abbia subito il senso profondo delle trasformazioni industriali che hanno inciso sui cittadini provocando  modificazioni sociali profonde”.

Una superba esposizione che sarà inaugurata il 14 aprile a Palazzo Ducale (negli appartamenti del Doge) per concludersi il 30 luglio attraverso la realizzazione associata di Comune, Provincia, Regione e Cgil.

Un’operazione costata niente meno che un milione e settecentomila euro, quasi interamente coperti da sponsor (Monte dei Paschi di Siena, Fincantieri, Compagnia di S. Paolo…)  composta da circa duecento opere tra dipinti, fotografie, manifesti, film, disegni, sculture.
Riferendosi al senso della mostra ha sottolineato Celant alla presentazione: “ Alla rievocazione del passato fa da contrappunto un cuneo che in ogni sala rappresenta lo sviluppo possibile delle nuove dinamiche del lavoro. Valga un esempio. Al classico lavoratore muscoloso che si erge virilmente sulle proprie fatiche risponde l’automa nel quale il lavoro si snatura diventando quasi non più demarcabile”.

Si passa infatti dal lavoro faticoso ma indipendente del contadino al dramma della catena di montaggio che annulla la personalità e che rende l‘uomo parte passiva del sistema macchinico. Testimonianze artistiche rendono ben visibile l’esplosiva e goliardica eccitazione della scoperta della macchina che solleva l’uomo dalla fatica fisica e subito dopo la delusione per il crearsi di una sconvolgente dimensione umana ridotta a numero e a oggetto (che ripete lo stesso gesto all’infinito) quale ingranaggio nell’ingranaggio.
Si passa dal luogo della “fabbrica” - simbolo di una regressione dell’operaio a uomo-massa con opere di Balla, De Pero, Boccioni, Conciarova accompagnate da quelle dei realisti americani - all’ossessiva celebrazione del lavoro ripetitivo della fabbrica attraverso la pomposa idealizzazione della civiltà macchinino-industriale esaltata dal Futurismo, Costruttivismo, Suprematismo e dagli artisti rivoluzionari russi condivisa poi dalla scuola tedesca del Bauhaus e dal meccanicismo del francese Fernand Leger.

Una mostra che vuole dare un segnale forte  dove la parte riferita all’acciaio è da cogliere come momento evocativo delle radici industriali della nostra città, testimoniate più di cento anni fa con gli scioperi del dicembre 1900 per appoggiare i diritti dei lavoratori. Claudio Burlando ha invece sottolineato come per la prima volta la Regione si sia unita al Comune e Provincia per la realizzazione di questo grosso progetto che raffigura la città come  “radicata alla sua tradizione industriale e portuale ma attenta ai servizi, alla cultura e al turismo”.  Tra gli altri, saranno presenti in mostra (in ordine alfabetico): Frank Capra, Charlie Chaplin, Fortunato Depero, Vittorio De Sica, Fritz Lang, Louis Lumiere, Tina Modotti, Mario Monicelli, Plinio Nomellini,  Pellizza da Volpedo, Gillo Pontecorvo, Jean Renoir, Mario Sironi, Giulio Turcato.

 Miriam Cristaldi

Mostra Nervi

L’associazione Amici dei Parchi di Nervi, insieme all’Università della Terza Età e alla circoscrizione del Levante hanno presentato sabato scorso la mostra di pittura “Una finestra sui parchi” nella sala espositiva Spazio IX in via Marco Sala 83r a Nervi fino al 1 febbraio (Orario 10 – 12; 16 – 18), realizzata dagli allievi dei corsi di disegno e acquarello. Una mostra insolita, affascinante, che profuma di natura e che verte unicamente sulle fantastiche gradazione generate dall’infinita varietà dei verdi delle piante, su particolari di rami intrecciati e debordanti palmizi colti in scorci arditi, sulle strisce allungate di ombre che ricamano gli asfalti dei vialetti del parco, ricco di piante esotiche ed unico nel suo genere per originalità e bellezza.

Tra i diversi artisti che hanno presentato gli elaborati ad acquarello si distinguono Giovanna Luschi, presente con un solido disegno strutturale sul quale si armonizzano delicate tonalità pittoriche mentre Alida Farina evidenzia tronchi e fogliame attraverso incisivi contrasti generati dal prezioso gioco di luci ed ombre. Franca Alemanni mostra chiare e definite architetture di un’antica scuderia del parco che diffonde nello spazio circostante morbide e soffuse luminosità. Castrignano Maria Concetta fa ruotare delicatissime velature di colore attorno ad una costruzione-gazebo dando corpo ad una natura composta di fragili umoralità. Scorzoni Floriano e Bruzzone Elvira puntano sulla visione paesaggistica con delicati acquarelli che fanno intravedere, tra il fogliame in primo piano, la caratteristica torre Gropallo della passeggiata a mare. Cecilia Marchitiello plasticizza le forme arboree naturali conferendo loro, attraverso cristallizzate lumeggiature, densa corporalità. Ed ancora Morone Meri che mostra un piccolo scorcio di parco al cui centro sta una panchina proiettante sull’erba azzurrognole velature d’ombra. Infine Lucia di Natale, Ingrid Zeitz e Giacomina Targani pongono l’attenzione al gioco frastagliato delle foglie di palma e agli aggettanti tronchi che incidono, su cieli tersi, elastiche lumeggiature.

Scriveva Kandinski: “… vivere interiormente  lo spirituale nelle cose materiali e nelle cose astratte rende possibili infinite esperienze…”, quasi un suggerimento per la lettura di questi acquarelli.

 

                                                                       Miriam Cristaldi

Con “Attraversare Genova – Percorsi e linguaggi internazionali del contemporaneo. Anni '60 – '70”, al Museo di arte contemporanea di Villa Croce (via Ruffini, fino al 27 febbraio 2005) la curatrice Sandra Solimano, col suo staff scientifico, ha voluto offrire uno spaccato di quegli anni dove più che il pubblico hannnno retto le sorti (illuminate) dell'arte contemporanea il privato con le gallerie di allora Il Deposito, La Bertesca, Martini & Ronchetti, La Polena, Sammangallery, Galleria Forma, Arteverso, Caterina Gualco...) e critici d'eccezione come Eugenio Battisti che ha collezionato un'illustre raccolta (allora vergognosamente rifiutata da Genova) e il nascente Germano Celant che ha fondato nel '68 l “Arte Povera”. Ma anche una nutrita schiera di collezionisti che, lungimiranti, si sono lasciati guidare dalle gallerie più vivaci riuscendo a salvaguardare un patrimonio d'arte dei più stimolanti, attento alla qualità e alle ricerche di quel ricco, fertile, innovativo periodo storico che corrisponde a una straordinaria stagione artistica, densa di fermenti con creazione di gruppi, a volte con aspetti legati al politico e al sociale.

Patrimonio che oggi ha permesso la realizzazione di questa grande mostra, proseguendo così la stagione GEnova 2004, capitale della cultura, dedicata all'arte contemporanea e che ha raggiunto l'apice con la mostra del Ducale “Arte & Architettura” invadendo anche spazi pubblici del centro storico per un'area di circa 4000 metri quadrati.

Genova oggi respira un'aria nuova: finalmente si riconosce la ricchezza dell'arte contemporanea documantata da preziose testimonianze che occupano tutti gli spazi pubblici dedicati a tali scopi.

Se con la mostra del Ducale è fornita una complessa e incrociata lettura del '900 internazionale, qui si considera un ventennio “caldo” di esperienze e ricerche nel campo dell'innovazione a Genova con testimonianze artistiche che nella nostra città hanno transitato allargando il sapere attraverso legami e sconfinamenti con altre città (dalle esperienze similari alle nostre), come il genovese gruppo autogestito Tempo 3, sono documentati il transito alla galleria Rotta del romano Gruppo 1 o quello del tedesco Gruppo Zero alla galleria La Polena (qui assente), e presenze intellettuali che ruotarono attorno alle riviste “Ana Eccetera”, legata alla ricerca filosofica e linguistica condotta sul linguaggio e “Tre Rosso”, nata come critica dei massmedia realizzata dal Gruppo Studio che ha fondato inoltre il club d'arte “La Carabaga. Qui infatti, nel '65, ha preso avvio la prima mostra nazionale di Poesia Visiva in collegamento con altre città italiane come Napoli, Firenze e Bologna, attivando tra loro un'intensa e proficua comunicazione.

Sempre negli anni '60 è qui presente la fervida attività della galleria “Il Deposito” che con la mostra “Situazione 66” annunciava, sotto la direzione di Celant, una nuova e intensa stagione artistica formata da un crogiuolo di esperienze diverse e in apparenza contradditorie.

Sono presenti degli anni '70 correnti artistiche legate all'Arte Antropologica e a quelle di carattere Pop nate sulla scia del grande movimento americano come pure le esperienze della Nuova Pittura e alle vicine Support-Surface non tralasciando il discorso sui linguaggi extrapittorici del concettuale, Land art, Body art con, inltre, opere delle prome avanguardie sconfinanti nella fotografia sperimentale (che influirono sulla ricerca di quel periodo) e testimonianze di performance con le presenze degli artisti Fluxus e dell'Azionismo Viennese sul nostro territorio, come pure del Lettrismo.

Un'esposizione, questa di Villa Croce, composta da circa 200 opere e che occupa l'intera palazzina, dalla mansarda ai fondi, iniziando, nel parco con la scintillante scultura obelisco di Arnaldo Pomodoro per poi proseguire al primo piano con l'opera “Ambiente Spaziale” del '67 di Lucio Fontana, una camera buia in cui la luce di Wood illumina puntini fluorescenti disposti in linea verticale che coinvolge, con la vista, tutti i sensi “in un'esperienza totale, fisica e psicologica”.

Un lavoro, questo creato per la galleria “IL Deposito”, luogo di incontri per artisti, critici, intellettuali (legata più all'arte astratta) e che, oltre alle mostre. produceva multipli.

 

 

 

 Mostra Genova villa Croce

 

 

 

La mostra “Attraversare Genova. Percorsi e linguaggi internazionali del contemporaneo. Anni '60-'70”, a cura di Sandra Solimano - in collaborazione con lo staff scientifico composto da Buonaccorsi, De Batté, Giromini, Lercari, Papone, Prato, Ricaldone, Sborgi, in esposizione al museo d'arte contemporanea di Villa Croce (via Ruffini 3, fino al 27 febbraio 2005) – si presenta con caratteristiche didattiche. Soprattutto attraverso gli scritti del comitato scientifico che testimoniano con precisione certosina attraverso date, documentazioni, fotografie, questo “caldo” ventennio genovese attraversato da presenze significative e stimolanti con artisti di grosso calibro come Fontana, Allan Kaprow, Joseph Beuys, Laurie Anderson, Rebecca Horn, I coniugi Becher, Christian Boltanski, Daniel Buren, Gordon Matta-Clark, Daniel Spoerri, Wolf Vostell, Bernar Venet, Ben Vautier ... che sicuramente hanno inciso nel territorio su personalità artistiche più attente e vivaci, soprattutto aperte alle innovazioni linguistiche, sovente operando insieme sinergicamente.

Le opere esposte, circa duecento, se si esclude la bronzea, alta “Colonna del viaggiatore” di Arnaldo Pomodoro (collocata nel parco di fronte all'ingresso), in generale sono di piccolo formato (con forti presenze di multipli, fotografie, manifesti e depliant) e non riescono ad essere molto esplicative del singolo artista ma, nell'insieme - e con questo preciso itinerario voluto dalla curatrice - costituiscono un prezioso corpus capace di illuminare storicamente la realtà dei due decenni presi in esame.

Decenni che hanno fatto conoscere, tra gli altri, a livello internazionale, e per strade diverse, i genovesi Emilio Scanavino (Informale segnico), Claudio Costa (Arte Antropologica), Plinio Mesciulam (Movimento Arte Concreta), ciascuno proseguendo poi con un discorso personalissimo attraverso il quale si sono distinti sul palcoscenico dell'arte.

Nella prima metà degli anni sessanta l'arte si contamina con l'industria di stato. A Genova, artisti come Calder, Pomodoro, Consagra, Carmi, David Smith, l'architetto Waksmann, hanno trovato ispirazione operando anche nella fabbrica metalmeccanica dell'Italsider aprendo la stagione dell'industria statale, mutandola euforicamente in “bottega d'arte” attraverso le loro performance, qui documentate.

Al primo piano (nobile) della palazzina, dopo l “Ambiente spaziale” del '62 di Lucio Fontana pensato per la galleria “Il Deposito” di Boccadasse, nelle tre stanze successive si sottolinea un particolare e felice momento per la nostra città: quello della costituzione del “Museo Sperimentale” da parte di Eugenio Battisti, allora professore dell'università di Genova, che invitò gli artisti (famosi o “saranno famosi”) a donare un'opera per questo scopo. Prestigiosa collezione che allora fu rifiutata da una miope Genova e quindi donata alla città di Torino, dove tutt'ora risiede.

Figurano in questo senso ricerche concrete, programmate e cinetiche di Castellani, Soto, Dorazio e Vasarely e ricerche segnico-informali di Twombly (con un singolare pezzo di “scrittura”), Novelli, Turcato, Scanavino (originale pittura bituminosa) vicino ad opere concetto-informali di Gallizio e Mondino (che rifà ironicamente il verso a Capogrossi).Famosi i grandi, armoniosi “Cromemi” di Rocco Borella.

Sono inoltre presenti testimonianze di sicuro impatto visivo come gli artisti dell'Arte Povera che nel '67 esposero a Genova, da Francesco Masnata (galleria La Bertesca).

Sono lavori, questi, che denunciano i primi “veleni” iniettati nella società dal “boom economico, una presa di coscienza che piega il gruppo - guidato da Celant - verso un rigore di tipo “poveristico” nell'uso del materiale, ma al contempo ricco di stimoli energetici e vitalistici di carattere anche ideologico.

Sono visibili le opere di Anselmo, Boetti, Ceroli, Fabro, Gilardi, Kounellis, Merz, Paolini, Parmiggiani, Pascali, Penone, Pistoletto, Zorio, e del genovese Emilio Prini presente con il “Perimetro” della sua stanza, un filo luminescente al neon arrotolato attorno ad un grosso rocchetto.

Nell'ultima sala di questo piano figurano grandi tele che propongono un uso nuovo della pittura: azzerata nelle sue qualità pittoriche e considerata esclusivamente come materiale, accanto al supporto, del fare arte.

Per questo il francese Toroni traccia col pennello punti neri su fondo bianco considerandoli esclusiva sedimentazione di materiale da depositare sul supporto mentre, sempre in questo senso, Buren propone tela stampata a strisce verticali.

E ancora si raggiunge il “grado zero” della pittura con Viallat, Dolla, Isnard e i genovesi Zappettini (una sorta di bianco su bianco) e Rizzo che mostra come campo pittorico una suggestiva tela cerata di camion. Esperienze di nuova pittura a Genova possono essere considerate quelle di Renata Boero che ottiene il colore con materiali vegetali e di Giuliano Menegon che “libera il segno calligrafico dall'assillo di un'impaginazione rigorosa”.

Negli altri spazi di Villa Croce si trovano i lavori di esponenti Fluxus con Filliou, Brecht, Vostell, Wotts e Ben Vautier, artisti che si ponevano rispetto all'arte in posizione critica, rovesciando la tradizione per vivere l“arte” in equazione con la “vita”.

Inoltre gli esponenti della Minima Art come Sol LeWitt, Robert Morris... o della Narrative art con Wegman, Boltanski, Franco Vaccari... ed artisti dell'area concettuale come Manzoni, Agnetti, Dan Graham... e la prima rassegna complessiva del fenomeno - esposta alla galleria Unimedia nel '77 - con lavori di Art Language degli artisti (tra gli altri) Kosuth, Venet, Agnetti, On Kawara, Weiner introdotti da un testo di Enrico Pedrini in cui si chiarisce come il linguaggio delle proposte concettuali sorregga ogni funzione espressiva dell'opera.

Sono anche esposte le proposte filosofiche degli artisti genovesi Anna e Martino Oberto che ruotaro

no attorno ad “Ana Eccetera” (rivista da loro fondata) e la complessa operazione “Mohammed” di Plinio Mesciulam; le performance dei genovesi, Pretolani, Dellepiane, Rossini e il “Controprocesso” di Aurelio Caminati, qui presente anche in veste di pittore iperrealista con un grande ritratto di persona anziana effigiante l'Inghilterra. Per l'antropologia spicca l'operato di Claudio Costa con il poetico, suggestivo lavoro “Gli occhi dei Maori riflettono i colori latenti della foresta”, del '73.

Inoltre sono riscontrabili numerosissime esperienze della Poesia Visiva, in particolare dei genovesi Tola, Vitone, Carrega, accanto ad esponenti del panorama nazionale e internazionale.

Corredano la mostra le categorie della Musica nelle sue componenti più popolari, la Grafica Aziendale e di Comunicazione che elabora l'immagine della città, il Fumetto, il Teatro che a Genova ha una storia solida ed esclusiva, la Fotografia che documenta le vicende cittadine, infine l'Architettura e l'Urbanistica che ne hanno strutturato la qualità formale. Video, manifesti, fotografie documentanol'intera operazione. Compreso il voluminoso catalogo delle edizioni Skira.

 

 

                                               Miriam Cristaldi

 

Mostra Genova i palazzi di Rubens

 

 

Splendide immagini digitali, riprodotte su carta, rappresentano preziosi Palazzi storici genovesi decontestualizzati dallo spazio urbano per galleggiare fantasmaticamente su fondi rigorosamente neri. Appariscenti visioni, queste, che vanno a comporre un pregiato volume pubblicato dall’Electa, intitolato “Genova i Palazzi di Rubens”, una straordinaria opera fotografica, presentata alcuni giorni fa a Palazzo Rosso e tuttora in esposizione, che documenta i 21 palazzi - disseminati nel centro storico di Genova – raccolti e disegnati da Pietro Paolo Rubens. Le stesse pregiate architetture seicentesche qui riproposte in fotografie (tratte da immagini digitali) scattate da Piero Migliorini (fotografo) e ricomposte da Gianfranco Carrozzini (artista) con l’aiuto imprescindibile della tecnologia poiché la maggior parte di queste immagini risultano impossibile da fotografare frontalmente in quanto manca lo spazio antistante che ne permetta l’inquadratura. Migliorini è dovuto così arrampicarsi alle finestre che stanno di fronte ai soggetti da fotografare (esplicativa una sua immagine in catalogo) per riuscire a scattare svariate foto di frammenti di facciata che Carrozzini poi, con pazienza certosina ed abilità tecnica, ha elaborato al computer unificandoli, esattamente come si fa con le tessere di un mosaico per comporre l’intero. Dunque un lavoro a quattro mani che segue la pubblicazione del volume dell’anno scorso che i due autori hanno dedicato a via Garibaldi, riproducendone i Palazzi con la stessa tecnica. Il prossimo libro sarà dedicato ai Palazzi dei Rolli, alcuni già presenti in questo volume.

Colpisce l’abilita tecnica, la luminosità delle vedute, gli effetti tridimensionali delle strutture plastiche di chiese e palazzi, alcuni quasi irriconoscibili perché ne è impossibilitata la visione d’intero, se non ci si accontenta di un’osservazione con il naso all’insù ma da cui appare una prospettiva fortemente deformante. Notevole è anche il confronto tra le incisioni  create dal Rubens sui modelli antichi e le foto degli stessi soggetti scattate oggi. Si notano le trasformazioni, i cambiamenti causati dal tempo. Ma si evidenziano anche luci riflesse da qualche vetrata frontale,  particolari messi a fuoco da raggi di sole, tagli d’ombra che creano ricami sui ricami architettonici rinforzandone gli effetti chiaroscurali e pittorici.

Una delicata operazione, questa, particolarmente affine all’artisticità di Franco Carrozzini, stimato artista genovese che sa presentare le complessità del mondo contemporaneo sia attraverso la robustezza di un pensiero concettuale sia mediante un’oggettualità mai scissa da delicati lirismi.

 

                                                           Miriam Cristaldi

 

 Ho scritto di questo libro perché ci tengo molto in quanto Carrozzini è un bravo artista genovese d’arte contemporanea. grazie .

Mostra Genova villa Croce suoni e visioni

Si conclude il 13 settembre , al museo d’arte contemporanea di Villa Croce, la mostra “Suoni e visioni”, a cura di Fabrizio Boggiano: un curioso viaggio nel tempo capace di attraversare l’universo della fotografia e quello della musica nell’arco degli ultimi cinquant’anni. Tra i maestri della fotografia non mancano Berengo Gardin, Branzi, D’Amico, Fontana, Galimberti, Leoni mentre tra i giovani Costa, Basilé, Carati, Ranno e Scheda le cui opere interagiscono fluidamente con un’antologica  della musica contemporanea italiana rappresentata da punte come Berio, Bussotti, Clementi, Gentile, Maderna, Pennini, Scelsi e, tra i più giovani, Fedele, Incardina, Lauricella, Bianchi, Buccino…

Oggi, nella scena artistica il linguaggio fotografico ha assunto un ruolo predominante: la tecnologia digitale, gli interventi fotografici, le solarizzazioni, i trucchi scenografici, le decontestualizzazioni, i risvolti concettuali e allo stesso tempo l’immaterialità dell’oggetto fotografico bene rappresentano l’immaterialità del vivere contemporaneo fondato sul villaggio globale dove l’informazione corre su reti e vie satellitari e l’umanità si sta adattando a full immersion on line.

Luisa Castellini puntualizza in catalogo: “… la forza della fotografia è insita non nel suo oggetto quanto nell’urgenza progettuale e sistematica e la sua potenza comunicativa continua a fondarsi sulla pulsione verso l’ignoto…”.

Dello scomparso fotografo genovese Francesco Leoni sono presenti foto singolari che ritraggono attori stranieri nella nostra riviera e quella con la famosissima immagine  dell’omicidio di Alessandro Floris ai piedi della lambretta. Spaccati di storia anche in Lucas e Berengo Gardin (curiosa l’immagine di un’antica carrozzella-carrello contenente una manciata di bambini dell’asilo). E poi la solitudine di Lasalandra espressa dall’immagine di un uomo, al centro di una stanza disadorna, che consuma la cena in un unico pentolino posto su di un mega-tavolo vuoto. Espressiva anche la foto di D’Amico in cui una ragazza nascosta da un foulard è caricata dai carabinieri. Fanno da contrappunto le immagini spaziose, solari, geometrizzanti e poetiche di Fontana. Tra i più giovani  si evidenziano le complesse immagini di sovraffollamento edilizio di Giacomo Costa o quelle di un realismo soffocante, con riprese di massa, di Massimo Vitali o ancora le algide geometrie naturalistiche con gli inserimenti di frammenti umani di Stefano Scheda. Si notano anche le gigantografie coloratissime e graffiate di  Basilè mentre attirano l’attenzione le complesse solarizzazioni di Mauro Ghiglione capaci di deformare volti doloranti.

Di Elettra Ranno prendono corpo -  attraverso intriganti distorsioni create da un sistema di riflessi - entità larvate, misteriosamente decapitate o magicamente fluttuanti come per sviscerarne l’anima e cogliere, mediante l’attimo fuggente dello scatto, tutta l’intima interiorità.

 

                                                           Miriam Cristaldi

“Salone europeo dei giovani creatori”

 

 mostra Genova Palazzo Ducale giovani creatori

Nata da un’idea del comune di Montrouge, in Francia, ha preso corpo una preziosa iniziativa che, ogni anno, seleziona giovani artisti europei. Per ora, in attesa di un miglior collegamento che coinvolga più paesi, oltre la Francia, partecipano a questa selezione Austria, Italia, Spagna e Portogallo. La selezione italiana  nasce dalla collaborazione  tra il museo di Villa Croce (Sandra Solimano)  e l’accademia Ligustica (Emilia Marasco).

La mostra del “Salone europeo dei giovani creatori” ha sede a Palazzo Ducale (piano terra, fino al 19 marzo) per offrire un’importante panoramica dell’attualità di cui i giovani ne sono privilegiati portatori.

Tuttavia i lavori presenti - non certo esenti da peculiarità espressive nelle diversità e nelle contaminazione dei differenti linguaggi come disegno, pittura, scultura, fotografia, opere digitali, installazione, video, proiezioni a parete ecc. -  sono tutti più o meno caratterizzati da sobrietà di linguaggio, da spiccati estetismi, da pungenti sintesi dell’immagine con richiami concettuali e antropologici facilmente individuabili nell’area degli anni ’70 dove sovente il reale interagisce con la finzione fotografica o l’oggetto si riporta in fotografia per essere contestualizzato nel suo habitat o ancora dove l’attenzione si fissa sul banale quotidiano. Ancora, si evidenziano comuni richiami al Nouveau Realisme, qui espressi in chiave più rigorosamente estetica. Poche le innovazioni linguistiche, comunque un’esposizione dignitosa di indubbio valore che mostra la complessità dei linguaggi artistici di oggi, sovente (ed ovviamente) legati alla tecnologia.

Di particolare efficacia le grandi forme a “siluro” color piombo di Alfred Haberpointer, interamente rivestite di metalliche puntine da disegno, che fuoriescono minacciose da una candida base. I problemi del cibo sono qui ben espressi nel disagio di una fame insaziabile nel video di Rosa Caminals, mentre Xavier Escriba mostra un camaleontico, coloratissimo tondo con intriganti effetti optical. Convincente anche le interazioni tra realtà e finzione del lavoro fotografico di Miguel Angel Pascual.

Efficace anche il lavoro di Lucia Elefante, una sorta di abito-lampadario in fil di ferro e gocce di vetro come pure l’estetico assemblaggio di variopinti skaterbord non disposti ad accumulo bensì ordinati in chiara sintesi geometrica. Curiosa l’animazione digitale di Stefano Buro in cui figure robotizzate (viste dall’alto) percorrono, senza meta, uno spazio vuoto.

Pulito e delicato il lavoro di Yoko Fukuscima concettualmente composto da un legno bendato (metafora dell’innasto?) allo stesso tempo ricontestualizzato in fotografia. Interessante anche la complessa installazione di Frank Mas in cui fibre naturali si alternano ad  elementi sintetici.

                                     

Miriam Cristaldi

Genova esce un’altra volta dal suo guscio. Russia & Urss, gemellaggio culturale tra Genova, Mosca ed Ekatenrinburg

 

 “Russia & Urss. Arte, letteratura, teatro dal 1905 al 1940”  è il titolo della mostra riferita all’arte russa della prima metà del secolo scorso che s’inaugurerà  il 26 ottobre a Palazzo Ducale (appartamento del Doge, fino al 14 gennaio 2007) con una carellata di circa 300 pezzi, ad opera della coppia di curatori Giuseppe Marcenaro e Piero Boragina (reduci dal successo di “Viaggio in Italia” del 2001) promossa da Comune, Regione e Palazzo Ducale di Genova suggellando così un ferreo gemellaggio tra Genova, Mosca ed Ekatenrinburg.

Intanto, il 3 ottobre a Palazzo Reale di Milano, si è tenuta, alla presenza di Vittorio Sgarbi e degli assessori genovesi Borzano e Castellano, la conferenza stampa dove i curatori hanno disegnato a grandi linee i percorsi dell’esposizione tenendo conto come data d’inizio il 1905: momento storico in cui si avvicendarono, in Russia (come in Europa), i rivoluzionari fenomeni delle avanguardie per terminare nel ’40, data dell’avvento del regime totalitario che ha bloccato ogni sviluppo creativo.

In mostra appaiono non solo dipinti ma anche fotografie, manoscritti, scenografie teatrali che rappresentano al meglio l’evoluzione estetica di quei tempi secondo cui da un realismo classicista si passa ad espressioni futuriste, raggiste, costruttiviste, suprematiste, pervenendo a forme astratte intese come superamento della tradizione. Si assiste così alla sparizione o estrema deformazione della figura: una rivoluzione, questa, che si accompagna anche a concetti politici e sociali nuovi che sfoceranno nella Rivoluzione d’Ottobre  per abbattere l’ultima e anacronistica dinastia degli zar e che vede contrapposti gli artisti avanguardisti - tra i più noti Larianov, Concarova, Tatlin, Popova, Rodcenko, Kandinsky, Chagall, Malevic (accaniti sostenitori del nuovo e delle avanguardie europee) -  e i tradizionalisti, ad esempio Kustodiev, Korovin, cioè coloro che si comportarono come se non fosse esistita la bufera rivoluzionaria e continuarono ad esprimersi con il linguaggio figurativo del passato.

Anche quest’ultimi sono qui rappresentati per dare una visione, del periodo storico contemplato, il più omogenea ed allargata possibile dando origine ad un miscuglio e convivenze di linguaggi diversi, andando a configurare - come ha sottolineato Boragina - “una Babele della creatività”.

Per questo, secondo la proficua consuetudine dei curatori, la mostra non si ferma alla sola opera pittorica ma  abbraccia anche aspetti letterari con esperienze di estrema avanguardia attraverso personaggi come Blok, Kamenskij, Bélvj, Majakovskij, Acmatyova, compresa la cerchia di collaboratori e amici che ruota attorno a loro. Con la repressione socialista e il governo Stalin si soffocheranno le libere espressioni per restaurare un clima di ritorno all’ordine che andrà sotto il nome di  “Realismo sociale” qui rappresentato da noiose tele “celebrative” di Youn, Nikonov, Petrov-Vodkin, Gerasimov, Brodskij. Mentre i collezionisti russi compravano questi dipinti nella loro terra, di nascosto correvano in Europa ad acquistare opere astratte ed espressioniste delle avanguardie.

Perfino il grande Malevic, dal suo “quadrato bianco”  ha dovuto ripiegare sul paesaggio tradizionale.

Non mancano curiose chicche come l’uovo di Fabergé in acciaio, oro e diamanti donato allo zar dalla zarina., le scarpette da ballo di Nijnskij o le carte per caramelle “Stelle dell’armata rossa” disegnate da Majakovskij.

Degne di nota anche le prime edizioni con dediche manoscritte dei futuristi, il mondo pitto-letterario di Majakovskij con dipinti, prime edizioni, manifesti, manoscritti, progetti teatrali.

“Genova esce un’altra volta dal suo guscio e si apre al mondo” ha precisato Arnaldo Bagnasco (direttore del Ducale) alla conferenza stampa della mostra. Questo evento lo dimostrerà.

Mostra URSS_RUSSIA Genova palazzo Ducale

 

Luce e buio: “Russia & Urss. Arte, letteratura, teatro 1905 – 1940”, fino al 14  gennaio

 

 

 

“E’ questa una mostra (Palazzo Ducale: “Russia & Urss arte, letteratura, teatro 1905 – 1940”, fino al 14 gennaio) costruita come una macchina  che corrisponde a un itinerario mentale in cui si raccontano storie attraverso immagini (quadri) e realizzata all’insegna del buio per aumentare l’attenzione mentale poiché vuole rivolgersi all’intelligenza…” -  spiega Giuseppe Marcenaro che, con Piero Boragina, ne è il curatore.

In realtà l’allestimento risulta pesante (è una costante dei curatori) in quanto fondato sull’oscurità di pareti e fondali neri  in cui solo piccoli faretti direzionati illuminano i dipinti. Illeggibili restano i nomi degli autori trascritti negli spazi sottostanti.

Non solo, ma la bellezza pittorica di un’opera d’arte (che appartiene a tutti) può risultare eccellente proprio in virtù della luce (specialmente quella naturale!) che la illumina completamente in tutta la sua energia cromatica e non abbassata nella penombra - come succede qui - dove la luce artificiale del faretto riesce a illuminare solo la parte centrale dell’intera superficie pittorica penalizzando quella restante.

Il percorso della mostra, le cui opere corrispondono ad una scelta politica, vuole mettere in evidenza una civiltà, quella russa, che dai festosi ed emozionanti risvegli avanguardistici man mano degrada verso il regime totalitario dove oltre alla mancanza di libertà di pensiero e di parola corrisponde anche l’azzeramento della libera creatività. Coabitano in questo senso, in complesse sinergie che determinano l’originalità della mostra, eccezionali opere di estrema avanguardia accanto ad altre assolutamente tradizionali conviventi con altre che denunciano il severo e inequivocabile “ritorno all’ordine” voluto da Stalin. Un capo di stato qui immortalato in un realistico e suggestivo ritratto (a grandezza d’uomo) dove l’incombente personaggio politico assume sembianze mitiche nel contrasto tra la pastosa oscurità del corpo e l’evanescenza luminosa dello sfondo azzurrino d’un cielo metafisico.

“Una mostra di contrasti” , la definisce Boragina sotto suggerimento di Arnaldo Bagnasco.

Di fatto si può saltare da un Larianov tradizionale con “Giocatori di carte” del 1904 - un olio giocato sulle basse tonalità delle ocre e ancora figurativo (un po’ vicino alle atmosfere del “Mangiatori di patate” di Van Gogh) - ad un Larianov raggista (1881, 1964), fondatore del Raggismo (presentato in manifesto come “sintesi di cubismo, futurismo, orfismo”) capace di  comporre uno spazio fatto esclusivamente di movimento e di luce; vedi “IL gallo”, del 1912, reso con ritmi dinamici di raggi intersecanti che si scompongono nei colori del prisma.

Stessi motivi che prevalgono anche nella  Concarova (1881, 1962), anch’essa raggista in cui però eccelle il motivo futurista-meccanicista attraverso la sintesi di corpo e spazio, qui in esposizione con diversi quadri figurativi estremamente forti (quasi espressionisti) come  “Autunno. Parco”, del 1909, un olio realizzato tra i contrasti dei rossi-verdi e neri-gialli  accanto ad un eccezionale paesaggio d’autunno - ancora figurativo ma fortemente stilizzato, del 1908, di Kandinskij, padre dell’astrattismo lirico che ha riconosciuto piena autonomia ai segni e ai colori passando attraverso un processo psicologico-mentale di totale rinuncia alla figurazione. Ciò ha portato l’artista alla redazione del noto testo teorico “Lo spirituale dell’arte”. Grande personalità qui in visione anche con piccoli ma eccellenti dipinti astratti come “Composizione infinita”, del 1916, in cui pseudo-forme molecolari sembrano ruotare attorno a un ipotetico centro.

E’ presente anche un curioso bozzetto di Tatlin dipinto per un dramma popolare andato in scena al circolo artistico di Mosca nel 1911 accanto, ad esempio, ad una splendida opera oggettuale di grande valore come “Controrilievo”, del 1914, composta di frammenti di legno e metallo, completamente astratta ed armonizzata sui toni delle ocre. Un pregiatissimo ed innovativo lavoro è la “Prima idea del quadrato nero” del 1913 del suprematista  Malevic, piccolo quadrato disegnato su carta e totalmente riempito di matita nera con cui l’autore intende fenomenizzare lo spazio attraverso simboli geometrici. E pensare che anni dopo, col regime comunista, l’artista sarà costretto a tornare al paesaggino…

E ancora, non manca la Popova (1889, 1924) - artista e designer che ha conosciuto il cubismo a Parigi e il Futurismo in Italia partecipando poi alle avanguardie artistiche russe, al Suprematismo di Malevic come alla “cultura dei materiali” di Tatlin, in mostra con una bella “Composizione suprematista”, del 1921 - come pure Chagall (1887, 1985), qui con “Sogno del mio paese natale” del 1926, che ha elaborato un suo peculiare cubismo fantastico con cui ha sviluppato il tema di mitici villaggi con presenze e ritualità ebraiche: famose le sue attonite e poetiche figurine volanti, sospese in dimensioni oniriche.

Non mancano le tele celebrative come, tra le altre, il grande quadro, del 1932, “Montaggio del reparto” di Vil’jamis che ha modellato uno stile in grado di rappresentare la Russia socialista attraverso una dinamica quanto retorica enunciazione dei mestieri.

Giganteggia qui la figura di Majakovskij, un rivoluzionario poeta, artista, cantore e vittima di un’epoca di rottura, morto suicida, che ha spiegato la fine della sua vita con la metafora “La barca si è infranta con la vita quotidiana”, volendo specificare che “… l’attività sociale e letteraria aveva smesso di elevarlo abbastanza sulla vita quotidiana per salvarlo dalle insopportabili scosse personali…”.

Si può vedere il manifesto del dramma di Majakovskij “Il bagno”, del 1930, in sei atti con circo e fuochi d’artificio. L’idea che fonda l’opera drammatica è quella di servirsi della comunicazione teatrale per propagandare un teatro di massa contro il teatro da camera: lottare cioè contro le ristrettezze di vedute e le pastoie burocratiche a favore dello slancio eroico e delle prospettive socialiste.

E ancora, Rodcenko, pittore, scultore, grafico, designer, e fotografo, uno dei protagonisti dell’avanguardia russa che si è accostato al Suprematismo, al Costruttivismo e promotore del Produttivismo. Nella sua intensa attività di designer si è adoperato per il rinnovamento della grafica e della scenografia: notevolissimo è stato il suo interessamento alla fotografia come espressione d’arte “… non si può negare il grosso sforzo da noi compiuto per individuare tutte le possibilità offerte dalla fotografia”, ha avuto occasione di precisare in un lungo testo teorico.

Una grossa chicca consiste nell’Uovo “Militare”, del 1916, di produzione Fabergé, un omaggio dell’imperatore Nikolaj II all’imperatrice Aleksandra. Un uovo in acciaio decorato in oro con la corona imperiale e lo stemma dell’impero russo e fissato sopra quattro mine-proiettili in acciaio, fissate su piedistallo in nefrite. All’interno, come sorpresa, è custodita una miniatura ad acquarello dipinta su osso raffigurante l’imperatore con il figlio sul fronte russo durante la prima guerra mondiale.

La mostra si è potuta realizzare con gli enti promotori  Comune di Genova, Regione Liguria, Palazzo Ducale S.p.a.; con gli sponsor istituzionali Gruppo Amga, Coop Liguria e quelli della mostra Autostrade Milano, Banco di Novara, ENI; con il contributo Fondazione Carige. L?esposizione è accompagnata da catalogo Skira con testi dei due curatori.

E mail:  www.palazzoducale.genova.it

Visite guidate tel. 010 5574004. Orario: 9 – 19 tutti i giorni, chiuso il lunedì.

Una mostra da non perdere.

 

                                               Miriam Cristaldi

 

   \                                                              mostra Museo Casa-Jorn Savona

Sempre nell’ambito delle manifestazioni  “Tribale-globale” organizzate da Giuliano Arnaldi in varie sedi: Museo Casa-Jorn, Museo della ceramica di Savona e galleria Arnaldi (via Caffaro 29r – tel. 010 8685595, fino a tutto dicembre), si possono ammirare (in quest’ultimo spazio) curiosissime opere africane consistenti in una straordinaria serie di fionde scolpite in legno, denominate POTOMO WAKA. Per l’esattezza, si tratta di 150 esemplari posizionati in tripla fila su di un piano, così da sembrare un folto esercito di piccoli personaggi lillipuziani (alti circa 20 centimetri) realizzati con la lavorazione di tronchi di rami biforcuti per dare corpo a speciali fogge e forme: veneri steatopige, divinità, maschere tribali, musi di animali stilizzati, sempre secondo una ricca tipologia fantastica in cui ogni sculturina si consolida come unica . Sono queste, piccole oggettualità, lanciasassi costruiti dalla popolazione africana Baulé con cui si serviva (primi anni del secolo scorso) per cacciare grandi pipistrelli chiamati AKPANNI, animali molto gustosi se affumicati e quindi affogati in salse prelibate. Dunque una originalissima, unica nel suo genere, marea di fionde di cui ciascuna è stata trattata con delicata operazione di cesello per giungere ad una raffinata stilizzazione compositiva. Anche per ciò che riguarda l’aspetto utilitario dell’oggetto, questo popolo - come tutti gli africani - ha dimostrato di non trascurare gli effetti estetici quasi a conferma di un forte bisogno di “bellezza”. Accompagnano la collezione azzeccati e delicati dipinti del giovane spagnolo Juan Segura raffiguranti frammenti di spazi oceanici segnati da  palme filiformi capaci di materializzare il sapore salmastro delle coste africane.

Un delicato e prezioso omaggio al continente nero.

            Miriam cristaldi

 

 

 

 

 

juan segura obres 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

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