Liberti

Levo Rosenberg

VIA LUCIS mediterranea

COLLEZIONE   LUNARDI

VIA LUCIS mediterranea2

 

 

 

Liberti

Il Don Chisciotte di Bruno Liberti

 

Più che un Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento, il Don Chisciotte di Bruno Liberti (centro culturale Satura, piazza Stella 5, fino al 27 aprile) - artista sovente presentato da Vico Faggi - sembra egli stesso vento, ciclone, forma-formante fantasmatica, imprendibile. Così come si manifesta la pittura degli ultimi anni del noto pittore genovese in cui la scena espositiva brulica di presenze ossessive, ritmate, spesso concitate in azioni e gesti convulsi, quasi a rappresentare l'ansia angosciante dei repentini cambiamenti di un mondo sempre più globalizzato in cui la voce del singolo è inghiottita dal rumore assordante del sistema mediatico.

E i lavori più belli di Bruno Liberti sono proprio quei dipinti di grandi dimensioni (dove è più difficile dare l'idea di unitarietà dell'opera) in cui i personaggi mitici, e non, interagiscono con una natura abbagliata di luci ed al contempo offuscata da pesanti ombre, proprio come l'interpretazione figurale, ora accesa col fuoco dei rossi-amaranto, ora irrigidita nella freddezza siderale dei verdi-turchese. Come sempre, quando si ammira l'opera di Liberti a distanza ravvicinata, quasi non si conprende l'intera trama pittorica a causa dei continui ritmi interrotti e sfibrati, ma misteriosamente, ad una giusta distanza, i fili si riannodano e l'opera risulta fortemente compatta nella sua struttura interna. L'artista si avvale di una sapiente tecnica pittorica propria dei maestri del novecento, qui non smentita. Anzi, l'inganno di un'atmosfera classica ci trascina idealmente nella pittura del passato ma, ci sorprende favorevolmente quando un'odalisca indossa tacchi a spillo oppure una venere si distende mollemente indossando jeans. Il passato e presente si fondono armoniosamente indicando un sentiero, un cammino verso future, probabili mete oscillanti tra sogno e realtà e, come spiega Luciano Caprile (il curatore insieme a Gabriele Morelli) in catalogo : “ Liberti non descrive, interpreta i climi... si è spogliato di certi dettagli... evitando richiami iconografici di maniera... ha compreso la lezione del passato e l'ha resa pittoricamente plausibile come avviene nelle sue composizioni più ispirate”.

 

                                                            Miriam Cristaldi

 

 

Lupi

 

Immateriali sculture di luce di Alessandro Lupi

 

Sculture di luce, forme evanescenti che fluttuano eteree - ma senza corpo - nello spazio della galleria.

Figure femminili, queste, luminose - fisse o volteggianti – che si definiscono e prendono consistenza tridimensionale solo nell'oscurità dell'ambiente.

Sì perché, per esistere, devono essere protette dal buio totale. Costituiscono, infatti, l'originalissimo ed affascinante lavoro che il giovane artista genovese Alessandro Lupi (classe 1973) presenta alla galleria “Guidi & Schoen” (vico Casana 31 r, fino al 12 novembre). Ogni opera, è composta da centinaia di fili colorati, posti in verticale ed illuminati dalla luce di Wood (che per generare effetti fosforescenti necessita, appunto, di un ambiente buio). Un po' come succede alle stelle: con la luce del sole la loro presenza svanisce.

E' assolutamente incredibile: alla parcezione visiva sembra di vedere un corpo perfetto, simile ad una scultura marmorea, toccandola invece con la mano ci si accorge che non esiste nessuna forma plastica se non una giungla incomprensibile di fili colorati che costituiscono i “punti d'appoggio” per la luce di Wood affinché possa materializzare, nell'immaterialità dei fili colorati, un corpo umano “compiutamente espresso”.

Queste immagini di luce - tridimensionali - non sono percepibili né come pittura (manca la pennellata), né come scultura (manca la materia scolpita), né e possibile equipararle a qualsiasi corrente artistica esistita o esistente. Rimane il sottile mistero di tali forme larvali (ma alla vista compiutamente “finite”) che si librano nello spazio con tutta la delicatezza della loro inconsistente leggerezza, e che, allo stesso tempo, sanno determinare, alla visione, un' inquietante ma precisa presenza di difficile codifica.                 

Scrive in catalogo il curatore Maurizio Sciaccaluga riferendosi a questi corpi-luce: “... sono fatti d'aria non hanno nemmeno campiture e pennellate a ereditare e sostituire la rigidità delle ossa e degli apparati interni. Vuoti plasmabili, fuggenti, sono architetture futuristiche e impalpabili...”.

Una mostra da non perdere.

                                                Miriam Cristaldi

 

 

 

Materia immateriale, sculture di luce senza corpo. Figure femminili statuarie, alla percezione visiva plasticamente definite ma al tatto inesistenti. Soltanto centinaia di fili colorati che, illuminati dalla luce di Wood, sono in gradi di “materializzare” un corpo perfetto nell'assoluta oscurità dell'ambiente. Sì, perché queste icone luminescenti (azzurre, verdoline, rosso-fiammanti) per vivere hanno bisogno del buio dato che l'effetto fosforescente avviene solo con l'oscurità.

Un po' come le stelle: quando il sole le investe, scompaiono alla vista.

Un lavoro, questo, di Alessandro Lupi, un giovane artista genovese (classe 1973) che da tempo studia gli effetti luminosi supportati da manciate di fili tesi in verticale: una ricerca paziente, lunga nel tempo e certosina per la difficoltà realizzativa ma dai risultati sconvolgenti che non trovano precedenti in nessuna arte contemporanea, né tantomeno in quella della tradizione. Opere che esulano dalla pittura (non esiste la pennellata) e dalla scultura (manca la materia scolpita) e da qualsiasi linguaggio tecnologico digitale e non. Forse più vicino all'immagine-video per la luminescenza delle figure ma lontano anni luce dalla mobilità dei pixel. Alla galleria “Guidi & Schoen” (vico Casana 31 r fino al 12 novembre) è possibile visionare alcuni lavori: per l'occasione lo spazio è completamente buio, qua e là, quasi come splendidi ectoplasmi, in una (forzata) notte magica, appaiono corpi femminili fissi o ruotanti su di un piedistallo. Forme misteriose imprendibili: se si affonda una mano in esse si rimane impigliati in una giungla di sottilissimi fili e niente più. Scrive Maurizio Sciaccaluga in catalogo riguardo ai corpi-luce: “... sono fatti d'aria non hanno nemmeno campiture pennellate a ereditare e sostituire la rigidità delle ossa... vuoti plasmabili fuggenti...”.

 

                                                Miriam Cristaldi

COLLEZIONE   LUNARDI

 

 

All’interno della suggestiva mostra dedicata a Cristoforo Colombo (“Galata”, museo del mare, porto antico), ricca di cimeli, filmati, manoscritti, imbarcazioni, s’inscrive come preziosa chicca la pregevole collezione Lunardi (proveniente dal museo omonimo) composta di piccoli oggetti in terracotta, metallo, giadeide, ossidiana, pietra vulcanica di epoca precolombiana. Precisamente del periodo che va dal 6° secolo d.c. a poco prima della scoperta dell’America.

Esposizione promossa dal MUMA, istituzione Musei del Mare e della navigazione, a cura di Camilla Di Palma, direttore del Castello d’Albertis, in collaborazione con la sovrintendenza Archeologica della Liguria.

Una rara raccolta, questa, di cimeli arcaici che monsignore Federico Lunardi (1880 – 1954), “studioso sul campo”, ha pazientemente raccolto durante la sua avventurosa vita consumata in viaggi in sud America alla ricerca di antichi reperti. Ha inoltre consultato musei, ricercatori, antropologi, scienziati per confrontare ed approfondire esperienze e conoscenze acquisite durante i suoi percorsi di ricerca e di studio. Si possono qui ammirare vasi sferici o semiglobulari, tazze, piccole anfore, vasi e figurine antropomorfe della Bolivia e del Nicaragua, oggetti per la maggior parte in terracotta di cui alcuni trattati con pitture policrome. Curioso il fischietto antropomorfo, in terracotta,  (600, 900 d.c.) rappresentante un misterioso personaggio seduto  - trattato con strisce di pittura rossa sul volto e sul corpo - a metà tra l’immagine dell’uomo e quella ddell’uccello. Fanno pure capolino decorati spilloni metallici per capelli fluenti. Particolarmente espressiva una macina per cereali (in pietra vulcanica) il cui manico è a forma di testa di giaguaro dalle fauci spalancate. Vi sono anche esposte punte nere di ossidiana (civiltà Yoia, del 7°, 8° secolo d.c.), di forma lanceolata, usate come utensili da taglio, e teste di ascia in giadeide levigata (600, 900 d.c.).

La giada, per quelle civiltà, era collegata al culto dell’acqua, della vita e della fertilità ed era usata frequentemente per oggetti ornamentali femminili come spille e orecchini. Particolarmente efficaci i piedi di vaso cefalomorfo (600, 900 d.c.), in terracotta dipinta,  raffiguranti testa di rapace e una testina di felino (giaguaro) con fauci digrignanti (600, 1200 d.c.) qui menzionato come probabile elemento decorativo del coperchio di un’urna funeraria. E ancora, piccola forma in terracotta simile ad un orso dormiente, testine antropomorfe rappresentanti fantastici personaggi stilizzati…

Un incredibile universo oscillante tra figuralità umane e animali in cui le espressioni, bloccate in ieratiche pose, sembrano proiettare le immagini in favolosi mondi a carattere mitico-onirici.

 

                                                            Miriam Cristaldi

 

 

 

All’interno della suggestiva mostra dedicata a Cristoforo Colombo (“Galata”, museo del mare, porto antico), ricca di cimeli, filmati, manoscritti, imbarcazioni, s’inscrive come preziosa chicca la pregevole collezione Lunardi (proveniente dal museo omonimo) composta di piccoli oggetti in terracotta, metallo, giadeide, ossidiana, pietra vulcanica di epoca precolombiana. Precisamente del periodo che va dal 6° secolo d.c. a poco prima della scoperta dell’America.

Esposizione promossa dal MUMA, istituzione Musei del Mare e della navigazione, a cura di Camilla Di Palma, direttore del Castello d’Albertis, in collaborazione con la sovrintendenza Archeologica della Liguria.

Una rara raccolta, questa, di cimeli arcaici che monsignore Federico Lunardi (1880 – 1954), “studioso sul campo”, ha pazientemente raccolto durante la sua avventurosa vita consumata in viaggi in sud America alla ricerca di antichi reperti. Ha inoltre consultato musei, ricercatori, antropologi, scienziati per confrontare ed approfondire esperienze e conoscenze acquisite durante i suoi percorsi di ricerca e di studio. Si possono qui ammirare vasi sferici o semiglobulari, tazze, piccole anfore, vasi e figurine antropomorfe della Bolivia e del Nicaragua, oggetti per la maggior parte in terracotta di cui alcuni trattati con pitture policrome. Curioso il fischietto antropomorfo, in terracotta,  (600, 900 d.c.) rappresentante un misterioso personaggio seduto  - trattato con strisce di pittura rossa sul volto e sul corpo - a metà tra l’immagine dell’uomo e quella ddell’uccello. Fanno pure capolino decorati spilloni metallici per capelli fluenti. Particolarmente espressiva una macina per cereali (in pietra vulcanica) il cui manico è a forma di testa di giaguaro dalle fauci spalancate. Vi sono anche esposte punte nere di ossidiana (civiltà Yoia, del 7°, 8° secolo d.c.), di forma lanceolata, usate come utensili da taglio, e teste di ascia in giadeide levigata (600, 900 d.c.).

La giada, per quelle civiltà, era collegata al culto dell’acqua, della vita e della fertilità ed era usata frequentemente per oggetti ornamentali femminili come spille e orecchini. Particolarmente efficaci i piedi di vaso cefalomorfo (600, 900 d.c.), in terracotta dipinta,  raffiguranti testa di rapace e una testina di felino (giaguaro) con fauci digrignanti (600, 1200 d.c.) qui menzionato come probabile elemento decorativo del coperchio di un’urna funeraria. E ancora, piccola forma in terracotta simile ad un orso dormiente, testine antropomorfe rappresentanti fantastici personaggi stilizzati…

Un incredibile universo oscillante tra figuralità umane e animali in cui le espressioni, bloccate in ieratiche pose, sembrano proiettare le immagini in favolosi mondi a carattere mitico-onirici.

 

                                                            Miriam Cristaldi

 

VIA  LUCIS  MEDITERRANEA

di Miriam Cristaldi

 


Nessuno accende una lucerna e la mette in un luogo nascosto, ma sopra il lucerniere, perché quanti entrano vedano la luce. La lucerna del tuo corpo è l'occhio. Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è malato, anche il tuo occhio è nelle tenebre. Se il tuo corpo è luminoso, senza alcuna parte nelle tenebre, tutto
sarà luminoso, come quando la lucerna ti illumina con il suo bagliore".

                                                                                                                                                  (Luca 11, 33-35)


Oggi, nella moltitudine dei suoni, delle immagini e delle voci, nell'infinito sviluppo di tele-icone sintetiche, di mondi virtuali, di cyberspace, di interattività delle informazioni, di pixel elettronici, delle tecnologie digitali, si sta modellando una nuova “Materia Immateriale"  (1) 

che costituisce il tessuto della giovane cultura mediatica.
Una materia fluida, affascinante e al contempo ancora misteriosa che avvince e ritrae, con cui tutti dobbiamo fare i conti per accedere ai siti del villaggio globale alla quale universalmente apparteniamo.
In questo cammino video-luminoso, avveniristico e ancora ricco di incognite, dove la memoria del tempo sta scomparendo per cedere il passo alle memorie artificiali, si fa quasi necessaria (come sempre del resto, ma adesso ancor più), la presenza di uno “sguardo interiore" che sappia misurare una sorta di “distanza" per evitare l'irreversibile full immersion in questa “materia" in formazione (riflesso della complessità odierna), e che allo stesso tempo permetta di cogliere quei punti di collegamento tra il simultaneo universo telematico e quello opaco-materiale preesistente.
Una fusione tra tempo storico e tempo istantaneo, tra natura e cultura, tra reale e virtuale, tra passato e futuro, transitando attraverso la strettoia d'un presente “acrobatico" alla ricerca di nuovi e dilatati equilibri.
Un possibile spazio percorribile, capace di cogliere le altezze sintetiche di un cybermondo e le strade dissestate della tradizione, potrebbe essere quello proposto dalla Via Lucis: la Via della Luce, consistente in una ricerca della luce (in tutti i sensi) passando per la via luminosa di una ricerca nel profondo per suggerire valenze oltre il mondano, oltre il contingente.
Lo sguardo interiore è una componente essenziale della creatività artistica ed è stato sempre presente in moltitudini di artisti (dalla preistoria ad oggi) che hanno fondato la loro poetica su di una visione quotidiana o extra mondana dove il “terrestre" evoca il “celeste".
L'attuale, sofisticato mondo elettronico fornisce l'attrezzatura concettuale e i presupposti tecnologici per elaborare e trasmettere l'informazione con simultaneità, precisione e flessibilità non altrimenti accessibile, proponendosi come conoscenza ai limiti dell'universo con sviluppi ancora inimmaginabili. Questa realtà sintetica, virtuale, via etere, potrebbe anche servire da potente volano per raggiungere altezze metafisiche direzionate verso una creativa “uscita dal mondo".
Attualmente, la ridondanza del clamore sul dibattito culturale (sempre acceso nei decenni precedenti) lascia spazio a meditativi silenzi, mentre si assiste ad una muta convivenza di linguaggi espressivi “senzatetto", costituiti da infinite proposte che si muovono in tutte le direzioni e in particolare verso nessuna identificabile.
Sembra evidente allora che, in questa prima fase di millennio, l'artisticità si debba far carico di uno “stato silenzioso" riflessivo, attuando, attraverso la luce del pensiero, una possibile, simbolica visione con segni-significanti capaci di rappresentare concettualmente i linguaggi dell'universo tangibile per collegarli con la categoria dell'extra-mondano.

Queste premesse e il processo operativo degli artisti non comportano necessariamente una fuga in avanti nel cerimoniale metaforico dell'irreale, né un retrocedere nel recente passato con
 

(1)   Cristaldi Miriam, Materia Immateriale  / Identità, mutamenti e  ibridazioni dell'arte nel nuovo millennio, con prefazione di Gillo Dorfles, Edizioni Peccolo, Livorno, 2003.

 

interpretazioni viscerali di una storiografia scenografica, né si allinea con il sistema della “sparizione del contemporaneo" con il tentativo di far condividere il presente con la sua attualità e occasionalità (Germano Celant - Impressionismo - Ed. Costa e Nolan).
Opera piuttosto una condizione spazio-temporale di un “ic et nunc " dove il vivere “qui e ora" tiene conto anche delle istanze di questa realtà mediatica, selezionando attivamente l'iper-barocchismo iconografico del contesto attuale per procedere in un percorso ascensionale da intendere come serbatoio di immagini “simbolico-numinose".
Dal tempo presente ci si può volgere allora all'atemporalità dell'infinito dove materia e spirito si combattono e si abbracciano continuamente in complessi rapporti tra relativo e assoluto, tra immanenza e trascendenza...
Per questa mostra la “Via Lucis" diventa “Mediterranea" ed è la parte seconda del progetto editoriale ed espositivo di “Materia Immateriale". Gli artisti invitati, con le loro opere si fanno portavoci di una visione che è propria di quella parte storica e fascinosa della Magna Grecia essendo tutti originari di quella geografia che si affaccia sul Mediterraneo.

 

 


 




VIA LUCIS mediterranea


Oggi, abbiamo a che fare con una nuova “Materia Immateriale"  che costituisce il tessuto della nascente cultura mediatica.
Una materia fluida, affascinante e al contempo ancora misteriosa nell'infinito sviluppo di tele-icone sintetiche, di mondi virtuali, di cyberspace, di tecniche digitali con cui tutti dobbiamo fare i conti per accedere ai siti del villaggio globale alla quale universalmente apparteniamo.
Questo cammino dove la memoria del tempo si sta sostituendo con il tessuto etereo delle memorie artificiali, accanto alle problematiche della contemporaneità, si trasforma in “Via Lucis”, una mostra che la curatrice Miriam Cristaldi ha realizzato per il museo civico di Taverna (CT), in via di conclusione il 10 settembre, con le presenze significative di Claudio Costa, Giulio De Mitri, Giuseppe Gallo, Mauro Ghiglione, Mimmo Rotella, Antonio Violetta.

 E lo fa collegando tempo storico con il tempo istantaneo attraverso un abbraccio tra natura e cultura, tra reale e virtuale, tra passato e futuro, passando attraverso un difficile presente proiettato alla ricerca di nuovi equilibri dove la Via della Luce tenta di condurre una riflessione nel profondo per suggerire valenze oltre il mondano, oltre il contingente.
Per questa esposizione la “Via Lucis" diventa “Mediterranea" ed è la parte seconda del progetto editoriale ed espositivo di “Materia Immateriale/Identità, mutamenti e  ibridazioni dell'arte nel nuovo millennio (con prefazione di Gillo Dorfles, Edizioni Peccolo, Livorno, 2003) della curatrice.

In questo caso gli artisti invitati attraverso le loro opere si fanno carico di una visione appunto mediterranea in quanto sono tutti appartenenti a quella parte storica e fascinosa della Magna Grecia che geograficamente si affaccia sul Mediterraneo.

Se Costa presenta un lavoro di carattere antropologico De Mitri invece insiste sulla qualità simbolico-visionaria mentre Gallo dispiega la quotidianità; viceversa Ghiglione pone l’accento sulla drammatica condizione dell’uomo contemporaneo. Rotella si erge invece a potente cantore di  micro-storie mentre Violetta recupera la tradizione.

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Oggi, abbiamo a che fare con una nuova “Materia Immateriale"  che costituisce il tessuto della nascente cultura mediatica.
Una materia fluida, affascinante e al contempo ancora misteriosa nell'infinito sviluppo di “tele-icone sintetiche, di mondi virtuali, di cyberspace, di interattività delle informazioni, di pixell elettronici, delle tecnologie digitali, che avvince e ritrae, con cui tutti dobbiamo fare i conti per accedere ai siti del villaggio globale alla quale universalmente apparteniamo”.
In questo cammino composto di immagini-video luminescenti dove la memoria del tempo si sta sostituendo con il tessuto etereo delle memorie artificiali nasce la necessità - osserva acutamente la curatrice Miriam Cristaldi - di uno “sguardo interiore che sappia misurare una sorta di distanza per evitare l'irreversibile full immersion in questa “materia" in formazione, e che allo stesso tempo permetta di cogliere quei punti di collegamento tra il simultaneo universo telematico e quello opaco-materiale preesistente”.
Per collegare tempo storico con il tempo istantaneo attraverso un abbraccio tra natura e cultura, tra reale e virtuale, tra passato e futuro, passando attraverso un difficile presente proiettato alla ricerca di nuovi equilibri, ci suggerisce di percorrere uno spazio “capace di cogliere le altezze sintetiche di un cybermondo e le strade dissestate della tradizione” attraverso il singolare progetto dalla VIA LUCIS: la Via della Luce, consistente in una riflessione in tutti i sensi sulla luce passando per “la via luminosa di una ricerca nel profondo per suggerire valenze oltre il mondano, oltre il contingente”.
In pratica si richiede agli artisti invitati un approfondimento sull’incidenza della luce sulla realtà quotidiana e sulla propria interiorità per scoprire - attraverso la creatività - quella particolare visione dove il mondano si illumina di una dimensione spirituale.
Sottolinea ancora la Cristaldi che “L'attuale, sofisticato mondo elettronico fornisce l'attrezzatura concettuale e i presupposti tecnologici per elaborare e trasmettere l'informazione con simultaneità, precisione e flessibilità non altrimenti accessibile, proponendosi come conoscenza ai limiti dell'universo con sviluppi ancora inimmaginabili….” e che questa “realtà sintetica, virtuale, via etere, potrebbe anche servire da potente volano per raggiungere altezze metafisiche direzionate verso una creativa "uscita dal mondo”. E precisa ancora come oggi si assiste ad una commistione di linguaggi diversi che lei ha definito senzatetto perché “costituiti da infinite proposte che si muovono in tutte le direzioni e in particolare verso nessuna identificabile”.
Sembra evidente che per elaborare la complessità del vivere contemporaneo non sia obbligatoria una “fuga in avanti nel cerimoniale metaforico dell'irreale, né un retrocedere nel recente passato con
interpretazioni viscerali di una storiografia scenografica” ma si richieda piuttosto “una condizione spazio-temporale di un  ic et nunc dove il vivere qui e ora  tiene conto anche delle istanze di questa realtà mediatica, selezionando attivamente l'iper-barocchismo iconografico del contesto attuale per procedere in un percorso ascensionale da intendere come serbatoio di immagini simbolico-numinose".   Per questo ci si potrà allora collegare con i picchi della infinitezza dove relativo e assoluto si stringono la mano.
Per questa mostra la “Via Lucis" diventa “Mediterranea" ed è la parte seconda del progetto editoriale ed espositivo di “Materia Immateriale/Identità, mutamenti e  ibridazioni dell'arte nel nuovo millennio (con prefazione di Gillo Dorfles, Edizioni Peccolo, Livorno, 2003) di Miriam Cristaldi.

Levo Rosenberg

In questo caso gli artisti invitati attraverso le loro opere si fanno carico di una visione appunto mediterranea in quanto sono tutti appartenenti a quella parte storica e fascinosa della Magna Grecia che geograficamente si affaccia sul Mediterraneo.

Se Claudio Costa presenta un lavoro di carattere antropologico che verte proprio sulla specificità geografica della terra nord-africana anch’essa affacciata sul Mediterraneo e che egli mirabilmente nomina (attraverso lo statuto dell’arte) “Opera d’Arte”, Giulio De Mitri invece insiste sulla qualità simbolico-visionaria di Light box, scatole di luce in cui interne immagini fluttuano evanescenti ed eteree nello spazio immateriale dell’installazione. Viceversa Giuseppe Gallo insiste sulla quotidianità, mista a meraviglia, dell’icona pittorica disseminata di tracce e segni di un’umanità dissestata mentre Mauro Ghiglione pone l’accento sulla drammatica condizione dell’uomo contemporaneo stretto nella morsa di una perdita d’identità. Mimmo Rotella si erge allora a potente cantore di un’epoca, il secolo scorso, fissando nella scia pubblicitaria immagini-cult che hanno fatto storia e micro-storia. Con Antonio Violetta si assiste ad un recupero della tradizione attraverso la manualità del fare per meglio spiegare fenomeni di allucinazione o sparizione dell’uomo contemporaneo. Una mostra, questa, di grande impegno e di sostanziosa qualità.

Dalla fragile ma insistente traccia rossa di una biro al rosso scintillante di fogli di plastica ritagliati e piegati a cono. Poi fissati con graffette al supporto così da comporre smaglianti campiture (quadrate o a cerchio) che occhieggiano incisive dalle pareti della galleria (Studio Ghiglione, piazza S. Matteo 3, fino alla fine di giugno; catalogo a cura di Ettore Bonessio Di Terzet).

Ecco come si presenta l’ultimo lavoro di Margherita Levo Rosenberg, artista e psichiatra genovese che da tempo percorre un cammino riferibile alle possibilità intrinseche ed estrinseche di questo appassionante zenit del colore.

Rosso come rappresentazione del sole, del fuoco, degli dei della guerra, principio attivo maschile; regalità, amore, gioia, passione, ardore, rinnovamento vitale ma anche energia, ferocia, sangue, vendetta, martirio, forza d’animo.

In alchimia il colore rosso equivale al principio maschile-attivo raffigurato dal Leone rosso o dal Drago rosso; per gli Atzechi fertilità in quanto colore del sangue ma anche aridità desertica; per la Cina fuoco, estate, gioia, felicità, il più fortunato dei colori mentre per l’ebraismo è sinonimo di grande severità.

Per Margherita Levo Rosenberg simboleggia invece un potente richiamo alla natura, in particolare al profumato e polposo frutto del pomodoro o agli sterminati campi di papaveri.

Qualche anno fa mi aveva raccontato che tutto era nato quando un giorno, aprendo il frigorifero per preparare il pranzo, vi trovò solamente un unico, solitario, ma allo stesso tempo splendente pomodoro rosso che spiccava tra il biancore interno dell’oggetto casalingo. Un po’ come lei, in quel momento sola in casa, ma ricca interiormente di calda umanità. Allo stesso tempo l’artista ricorda lo sfavillare dei papaveri quando, piccolina, viveva nella grande quiete della campagna e questi oscillavano sotto le insistenti sferzate del vento.

Oggi, il lavoro dell’artista, giunto a piena maturazione, mostra un rigore compositivo ineccepibile e non trascura certo un forte impatto visivo dato dall’incidenza della luce sul materiale plastico riflettente. Sembra allora di visualizzare l’oscillare dei papaveri o la carnosità dei frutti della terra ma, più ancora, pare di cogliere - alla percezione tattile-visiva - l’idea di grandi alveari composti da fruscianti brusii nelle cui cellette-cono (di plastica) vi si annida la quintessenza della comunicabilità. Vasi comunicanti, dunque, capaci di recepire (e scaricare) gli stimoli esterni per proiettarli al loro interno, nel profondo, proprio là dove s’incupisce il rosso.

 

                                                            Miriam Cristaldi

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