EDIZIONE  PECCOLO  ARTE  CONTEMPORANEA

Prefazione di Dorfles 

 Alle mie nipotine Jennifer e Francesca

MATERIA IMMATERIALE

 

Identità, mutamenti e ibridazioni dell’arte nel nuovo millennio

opere ed autori

 sopra le foto relative al nome,sotto la didascalia della foto

 

Marina Abramovich1

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Marina Abramovich2

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Joseph Beuys

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Claudio Costa1

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Claudio Costa2

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Giulio De Mitri1

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Giulio De Mitri2

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Shirin Neshat1

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Shirin Neshat2

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Alessandra Tesi1

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Alessandra Tesi2

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Bill Viola1

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Bill Viola2

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PREFAZIONE

  DI  GILLO DORFLES

  Premessa

 

Che l’arte sia spesso una cartina di tornasole per quanto concerne certe situazioni della nostra società, è molto verosimile.

Forse proprio così si spiegano molti aspetti assunti dalle arti negli ultimi tempi e che, in apparenza, possono sembrare privi d’ogni ragion d’essere e lontani da ogni addentellato con le precedenti stagioni artistiche e culturali.

In altre parole: fenomeni come quelli della Body art, del concettualismo, delle performance, delle installazioni oggettuali, ecc. che molta parte del pubblico stenta ad accettare e di fronte alle quali addirittura si ribella, devono essere, almeno in parte, la spia di situazioni sociali e culturali che ne giustifichino l’esistenza.

E’ questo, tutto sommato, la tesi da cui parte – anche se in realtà non lo afferma esplicitamente – Miriam Cristaldi in questo suo ultimo – molto criptico ma molto stimolante – saggio dedicato appunto a “Materia Immateriale - Mutamenti e ibridazioni nell’arte del nuovo Millennio”.

Gli artisti che Miriam Cristaldi cita a esemplificazione della sua tesi, sono tutti apparentati alle correnti dianzi citate; e basterebbero i loro nomi, ben noti, e tra i più originali delle ultime stagioni artistiche (come Beuys, Costa, Marina Abramovich, Giulio De Mitri, Shirin Neshat, Alessandra Tesi, Bill Viola) a confermarlo.

Non è il caso, qui, che io mi soffermi a considerarne l’opera: lo ha già fatto con molto acume l’autrice.

Quello che invece vorrei sottolineare, almeno di sfuggita, è quanto Cristaldi sostiene nei brevi capitoli iniziali del libro, dedicati ad argomenti particolarmente attuali e problematici come: “Corpo tra mutamento e clonazione”, “Scollatura tra tempo e spazio”, “Tra inspirazione ed espirazione”, “Dal simbolo all’oggetto: nuova iconografia” e che costituiscono un’autentica messa a punto – teoretica ed esegetica – dell’attuale situazione culturale.

Capitoli, come accennai all’inizio, che permettono di considerare alcune situazioni odierne e le relative “visioni del mondo” come rispecchianti, appunto, certe categorie estetiche presenti in parecchi dei più interessanti artisti contemporanei e dunque quelli qui presi in esame.

Quali sono, allora, alcune delle più significative tendenze che ci si presentano se osserviamo come si svolge e si sta svolgendo la nostra vita di relazione e il nostro “in der welt” – il nostro essere nel mondo?

Ebbene, è sotto gli occhi di tutti che la componente spazio-temporale, cui siamo inesorabilmente legati, è stata alterata negli ultimi cinquant’anni dall’avvento delle infinite scoperte tecnologiche: rapidità dei mezzi di trasporto, trasvolate atlantiche, sbarchi sulla luna, vita senza gravità  di astronauti, ecc. presenza di fenomeni virtuali in seguito all’avvento di apparecchiature elettroniche, di simulator, creazioni di spazi e tempi fittizi.

In generale la virtualità (divenuta ormai di moda nel linguaggio comune e dominatrice in molti settori esistentivi) e d’altro lato tutta la serie di fenomeni legati alle bio e neuro scienze, alla manipolazione genetica, all’applicazione di protesi meccaniche ed elettroniche… hanno fatto sì che la stessa corporeità umana sia divenuta, spesso, succube di condizionamenti cibernetici, si sia robotizzata, assieme alla corrispettiva o supposta umanizzazione (si fa per dire) dei servomeccanismi di tante apparecchiature elettroniche dove si verrebbero a verificare effetti legati alla memoria, ma anche condizionamenti capaci di condurre fino all’avvento di operazioni autonome da parte di macchine dalla - si spera - apparente coscienza.

Tutti questi dati - ormai risaputi, ma che l’autrice analizza con molta acutezza e molto distacco – giustificano parecchie delle attuali produzioni artistiche.

Così ad esempio la presenza, da un lato, di un ritorno di interesse per la corporeità (proprio in antagonismo con la robotizzazione di cui sopra); così la presenza di performance di genere teatrale (proprio in contrasto con l’avvento di videoarte, computerart, televisione ecc.); così la presenza di forme artistiche legate alla concettualità e spesso sine materia (proprio contro l’eccesso di meccanicità e di brutale ricorso a costruzioni basate su macchinismi meccanici  o elettronici).

Se tutto quanto ho citato sembrerebbe un fatto positivo, esiste tuttavia un pericolo, al quale Cristaldi non allude ma che si può ricavare dalle sue stesse analisi.

Ed è l’aspetto negativo assunto da molte di queste forme artistiche recenti.

Ecco: mi sembra che questo sia il lato oscuro di molta arte contemporanea sempre derivato dalla situazione tecnico-scientifica di cui sopra, e cioè: se è altamente positivo  l’avvento di molta body art come recupero del proprio “Leib”  (Il corpo proprio husserlianamente inteso, e Marina Abramovich ne è una ormai leggendaria eroina); se lo è l’interesse per l’aspetto gnoseologico dell’opera (e chi meglio di Beuys ha saputo trasformare le sue prediche spirituali, illustrate alla lavagna, in un fatto estetico sulla scia del grande modello di Rudolf Steiner?); e se lo è la minuziosa catalogazione  oggettuale (alchemicamente impostata sui quattro Elementi, di Claudio Costa che appare oggi come una sacrosanta scesa in campo contro l’oggettualizzazione mercantile di troppe odierne installazioni); è invece da considerare negativa, o quantomeno pericolosa, l’ibridazione (termine usato troppo spesso a vanvera) del corpo e dell’elemento elettronico (quale ci presenta ad es. un artista come Stelarc che avvilisce il suo corpo sottoponendolo a meccanismi elettronici eterodiretti); come mi sembra  altresì controproducente l’esuberante invasione di videoarte, priva di qualsiasi originalità; a differenza appunto d’un Viola o d’una Alessandra Tesi, o, per citare un altro interessante video-artista, Oursler.

Ben vengano allora le opere di artisti come quelli analizzati da Miriam Cristaldi e tutti quelli che sapranno ribellarsi all’agguato di miracoli cibernetici e di virtualità elettroniche – certo indispensabili per migliorare le condizioni di vita dell’umanità – ma che possono pericolosamente incrinare le qualità più peculiarmente umane e essenzialmente autonome della creazione artistica di oggi come di sempre.

 

INTRODUZIONE

 

Materia Immateriale

 

  Oggi viviamo in una società mutante soggetta a sostanziali e inimmaginabili cambiamenti. Una trasmutazione dell’epoca sta investendo tutti i campi, sociologici, politici, economici azzerando i parametri precedenti. Causa di tali trasformazioni è lo sviluppo tecnologico e scientifico mentre i mezzi d’informazione ne sono i protagonisti. La comunicazione è il tema principale di questa società : la macchina elettronica dell’informazione che “si sta innestando nei nostri cervelli sta cambiando le nostre strutture percettive: i nostri cinque sensi subiranno un forte sviluppo che ci permetterà di applicare una prensione più fisica sul mondo” spiega Pierre Restany mentre “l’arte costituirà il vettore di tale comunicazione globale. Ma - avverte il critico d’arte francese - se l’arte ne sarà il vettore, dovrà essere un vettore umanistico” (P. Restany, conferenza al centro culturale Satura, Genova 2002).

Siamo, infatti, testimoni diretti di una nuova era e la tecnologia digitale sta sradicando il nostro modo di pensare, di agire e di operare. I media si sono fatti portavoce di tali innovazioni facilmente individuabili in tutte le aree: nascono in questo senso nuove professioni, nuovi modelli di business on line, nuovi rapporti interpersonali, nuove dimensioni a carattere virtuale mentre navigare in cyber-space è ormai pratica quotidiana.

Il denaro ha perso stabilità e spessore corporeo: i capitali fluttuano nelle borse di tutto il mondo, salgono e scendono tra rialzi e flessioni imprevedibili poiché l’incidenza sui valori economici  dipende dai risultati di interscambi mondiali. Intanto in Europa si è  attuata l’internazionalizzazione della moneta, per la prima volta una unica, l’euro.

D’altra parte le tecnologie, in particolare internet,  si sono rivelate strumenti fondamentali per favorire scambi, affari, comunicazioni tra paesi lontani, attuabili attraverso proficui ed elastici “ponti informativi”. Convegni, seminari, incontri, vertici, fanno a gara per progettare massimi sviluppi raggiungibili nei più svariati settori lavorativi, cercando di captare in anticipo i cambiamenti che con ritmo sempre più veloce stanno investendo l’intera società.

 

“Chiunque alla velocità della luce tende a diventare nessuno… e alla velocità della luce tutti gli eventi su questo pianeta tendono a diventare simultanei” (Marshall Mc Luhan  “L’uomo e il suo messaggio” ed Sugarco, Milano1992).

Come dice Mc Luhan: ”La tecnologia ha esteso l’uomo in modo colossale e superumano, ma non ha fatto in modo che gli individui si sentissero importanti… i media tendono a ridurre tutti a piccoli uomini pur offrendo a tutti l’opportunità di diventare superuomini” (op. cit.). Questa schisi tra onnipotenza e nullità porta al problema vero che è quello di pensare a nuove identità, a nuovi parametri che ci permettano di vivere consapevolmente i grandi cambiamenti epocali, comprendendone le irreversibili trasformazioni per poterle controllare ed evitare il rischio, non conoscendole, di esserne annientati.

Se gli sviluppi scientifici e tecnologici comportano, attraverso linguaggi performativi, cambiamenti radicali, radicale dovrà essere la modificazione del modo di pensare di chi li vive. E ancora, se da un lato la tecnologia ci permette di attraversare on line, in tempo reale, l’universo intero, e la scienza di vivere sdoppiamenti  e trasmutazioni genetiche, nascono necessariamente problemi comportamentali ed etici assolutamente nuovi che attendono codifiche altrettante  inedite.

Potenti e diverse sono le conseguenze di tali sviluppi: le capacità umane possono estendersi attraverso l’infinito prolungamento di un’ipotetica protesi tecnologica, allungata a braccio, che afferra il mondo intero mentre, in virtù di tali potenzialità, si accorciano macroscopicamente le distanze del mondo.

Un mondo telematico che si  articola e comunica alla velocità della luce (nella dimensione elettronica) e  che si rende fruibile, nella riduzione video, all’interno di una stanza.

Da qui la nascita del “villaggio globale”, termine coniato da McLuhan per definire la riduzione del mondo (attraverso la comunicazione mediale) nella canonica dimensione del “villaggio primitivo” (Bruce Power “Il villaggio globale”, Sugarco, Milano 1992).

E piano piano, quasi senza accorgercene, ci si avvia sempre più verso un processo globalizzante, irreversibile, di “dematerializzazione” e di perdita d’identità.

Sta prendendo corpo un nuovo elemento di natura fuggevole, una materia immateriale. Materia imprendibile che corre nelle reti su sistemi di trasmissioni-dati, costituiti da linee in fibra ottica, ponti radio, fili telefonici.

 

Le industrie pesanti, meccaniche e le officine, che negli anni ‘50,’70 lavoravano l’acciaio o il ferro oggi non ci sono più: si sono convertite in società telematiche basate su welfare digitali, e la conformazione aziendale appare strutturata in materiale etereo, virtuale.

L’azienda si è trasformata di fatto in  parola, informazione, conoscenza. Il lavoro materiale si svolge altrove, sovente nel terzo mondo poiché meno costoso e ricco di manodopera.

Caduto il wellstate, lo stato sociale,  è caduta al contempo la sicurezza (economica e personale) mentre, in maniera proporzionale, è aumentata l’incertezza. Se infatti negli anni ’50,’70 c’era un eccesso di domanda (boom economico), oggi assistiamo ad un pericoloso eccesso di offerta e viviamo perciò una società che i sociologi o esperti del settore, chiamano del “rischio” in cui per smaltire l’offerta è necessario presentarla arricchita di sofisticati accessori. Nasce quindi l’obbligo di fornire un prodotto supplementato da servizi specifici che lo rendano più appetibile.

Con la conseguenza di tenere premuto il pedale sul consumo così da evocare il classico esempio del serpente che si morde la coda.

Questo processo dematerializzante specifico dell’universo aziendale non riesce naturalmente a tenere conto del materiale umano, del suo aspetto emozionale. A favore di tali mancanze pullulano oggi dei micro-valori: quasi un “sì” creativo all’interno di significati ristretti.  In quest’ottica prendono allora campo due vie, entrambi percorribili: dare maggiore rilievo ai micro-valori del privato e cioè dare corpo a una nuova imprenditorialità creativa del privato o avviare nuovi tipi di socialità concedendo un forte valore al tempo libero, che è quanto si sta attualmente sperimentando.

Sarà interessante sapere, ad esempio, come si trasformerà il linguaggio giornalistico: si stamperanno ancora i giornali? Probabilmente sparirà la categoria dell’inviato speciale per privilegiare la comunicazione esclusiva via internet. Ma, soprattutto, quale sarà la dimensione creativa e professionale che tale figura potrà svolgere nel rispetto di un “bagaglio necessario alla cultura dei popoli”?

Anche gli acquisti subiscono un processo di dematerializzazione attraverso il sistema on line: si può rinnovare la casa, cambiare mobili, sostituire elettrodomestici, ordinare il cibo per i pasti quotidiani stando  comodamente seduti  in poltrona. Visionando cataloghi web e navigando in rete  è possibile ordinare e ricevere il tutto sulla porta di casa.

Sempre in rete si possono virtualmente realizzare infinite possibilità: ad esempio compiere “safari”, leggere “libri”, visitare “musei” e attingere a innumerevoli siti informativi.

Così come si può arrangiare musica in tempo reale inserendo nel computer i relativi simboli e visualizzare l’intera partitura sullo schermo.

 

Anche l’architettura contemporanea si allinea a tale condizione d’immaterialità: oggi le strutture abitative metropolitane si fanno sempre più slanciate, snelle e svettanti verso l’alto (per esigenze spaziali) basandosi proprio sulla “levità” e “trasparenza” dei materiali.

I grattacieli sembrano infatti monumenti al cristallo.

L’architetto Renzo Piano basa i suoi progetti esclusivamente sulla dinamicità e leggerezza della costruzione con forte predominio del vuoto sul pieno per raggiungere l’obiettivo di “eliminare il senso del peso”.

Una delle ultime meraviglie architettoniche, già luogo di culto, è quella dell’architetto giapponese Toyo Ito che ha progettato e realizzato la mediateca giapponese di Sendai, un palazzo avveniristico dove trionfa la leggerezza del materiale (anche per il nuovo modo di costruire i pilastri vuoti), in cui si può “agilmente nuotare come pesci nel vasto mare dell’informazione”.

Un palazzo dalle pareti interamente di vetro, questo, costruito come un guscio immateriale, aereo, trasparente, che poggia su sottili e filiformi alghe elastiche, senza muri e finestre (ritagliate da mattoni).

Per arrivare a costruire un acquario dell’informazione, l’architetto ha immaginato immensi spazi che avvolgono i vari piani del sapere mettendoli in relazione tra loro. La novità di queste strutture (si stanno ora moltiplicando in diversi luoghi del pianeta), sta nel far diventare protagonisti gli strumenti elettronici mettendoli bene in vista.

Un diverso canale informativo fortemente in uso è il telefono cellulare - oggi in esubero rispetto la telefonia fissa - capace di accentuare il senso d’isolamento che alberga nei rapporti interpersonali, pur nell’utilità del comunicare in qualunque spazio/tempo.

Di fatto, col portatile si è continuamente esposti ad un’azione di rice-trasmittenza che obbliga ad esercitare le facoltà del mezzo movendosi in ogni luogo sotto una virtuale campana di vetro per assolvere il farsi di una comunicazione alquanto complessa, carente di presenza umana, d’ immagine, di stereofonia e di luogo specifico.

Tra le innumerevoli invenzioni in corso, focalizzano l’attenzione i cosiddetti Avata, i nostri alter ego on line: figurine virtuali, digitali, che parlano e si muovono in tv. Questi visi hanno un’incredibile mobilità, e i loro visemi (movimenti della faccia), in perfetta sincronia con i fonemi (suoni delle parole), sono così ben realizzati  che anche i sordomuti - attraverso i movimenti delle labbra - possono comprendere ogni parola.

Non più, quindi, una simulazione del reale, ma immagini virtuali umanizzate  (presto potranno sostituire gli speaker televisivi in carne ed ossa) o composte da figuralità inedite, tridimensionali, completamente costruite al computer ben diverse dai tradizionali (e bidimensionali) disegni animati.

È in prima visione in questi giorni il rivoluzionario film “Final fantasy”, tratto dai videogiochi e realizzato per la prima volta senza attori, con protagonisti che nonostante siano forniti di nei e di rughe, in realtà sono tutti sintetici, nati da software e da mouse. Dopo i dinosauri di Jurassic Park e i giocattoli di Toy Story, tocca ora agli uomini essere clonati sinteticamente. Spiega in un’intervista ad un settimanale il regista del film, Hironobu Sakaguchi: “Questi personaggi non sembrano più generati dal computer e d’altra parte non sono cartoni, né persone vere, ma qualcosa a metà e di completamente inedito… il difficile sono i sentimenti, mi sono concentrato sulle espressioni, sui dettagli del viso di ogni muscolo facciale…”.

L’ibridazione tra reale e virtuale è ormai  prassi consolidata.

E l’arte rappresenta oggi questa realtà non totalmente reale: cioè una dimensione ambigua, una commistione tra realtà e finzione, tra reale e immaginario.

Alla scienza tecnologica, causa di questo, spetta un’irrefrenabile corsa su terreni assolutamente inesplorati.

                  

                                                        M. C.

 

  TRASFORMAZIONI   E   MUTAMENTI

PARTE PRIMA

 

L’atto rituale trasmette il soffio vitale

creatore di ogni nuova impresa

(Gustav Jung)

 

IL CORPO TRA MUTAMENTO E CLONAZIONE

 

  Intanto, le ricerche in campo delle biotecnologie, dell’ingegneria genetica, dell’industria telematica e delle intelligenze artificiali stanno preparando nuove relazioni tra corpo e mente, tra natura e artificio, tra reale e virtuale, dando origine a un mutamento dell’immaginario collettivo.

Scienziati, filosofi, artisti, storici dell’arte, si sono riuniti per discutere gli estremi confini delle biotecnologie cercando d’indagare questo secolo, denominato dall’economista Jeremy Rifkin “biotech” (Jeremy Rifkin “L’era dell’accesso”, ed. Oscar Mondatori, Milano 2001), e soprattutto tentare di capire come queste avventure scientifiche  possano incidere sulla società, sull’economia, sul lavoro, in pratica sulla qualità della vita di questo pianeta.

Per la prima volta, oggi, il corpo umano subisce mutazioni così radicali da tagliare irrimediabilmente il cordone ombelicale con l’uomo dei millenni precedenti.

Infatti, s’interviene direttamente sul suo codice genetico, in particolare sui genomi (il corredo delle informazioni genetiche), capaci di trasmettere i caratteri ereditari in tutte le speci di animali e vegetali. Una nota importante da non sottovalutare: si stanno compiendo studi sull’origine e sull’evoluzione della specie umana mediante l’analisi del DNA di diversi gruppi etnici (genetica delle popolazioni) pervenendo così ad una conoscenza esatta dei nostri antenati. (vedi enciclopedia della scienza e della tecnica, De Agostini)

Gli studi attuali d’ingegneria genetica portano alla rivoluzionaria possibilità di modificare il patrimonio genetico di un organismo intervenendo sui singoli geni di una cellula per produrre DNA confezionati su misura.

Una pratica, questa, ancora esente da vincoli internazionali se si eccettuano alcune norme deliberate da singoli stati. Si possono perciò immaginare infiniti risultati, anche se per ora solo teorici: per esempio prefigurare l’uomo volante se solo si riuscisse ad alleggerire il peso delle ossa…

Nascono qui problemi di difficile comprensione e le domande da sempre fondamentali si trasformano in  rovelli per l’etica e la filosofia.

La bonaria immagine della pecora clonata Dolly è il simbolo odierno di tale rivoluzione scientifica: nonostante la  pacifica apparenza essa nasconde in sé una scoperta sconvolgente che è simile, per portata, solo a quella della bomba atomica.

Dice il filosofo Paul Virilio: “Stiamo assistendo ad un’apocalisse, alla fine di un mondo che vede la nascita di quello nuovo, da qui il pericolo di un’estetica siderale della sparizione e non più dell’apparenza…” (Paul Virilio “L’incidente del futuro”, ed. Raffaello Cortina, Milano 2002)

La nuova umanità potrà nascere dalla polverizzazione di questa?

In tale civiltà post-umana, concepita su uno stretto, ibrido, rapporto tra natura e artificio, tra reale e virtuale, tra scienza e tecnologia, il corpo - privato del suo naturale codice genetico - inaugura una svolta epocale con cui ci si dovrà rapportare creando nuovi paradigmi a cui fare riferimento.

Una figura umana emblematica, questa del terzo millennio, carica di aspettative e allo stesso tempo di angosce  a motivo di “inimmaginabili correlazioni che si dovranno configurare tra i vari saperi”. “Oggi conosciamo solo anime individuali rese asfittiche dall’incapacità di correlare la loro sofferenza quotidiana con il dolore del mondo”, spiega Umberto Galimberti, in risposta ad una lettera su di un settimanale di moda.

Si potranno allora ipotizzare condizioni dell’essere umano capaci di sciogliere nodi rappresentativi di vecchia costituzione a favore di modelli extra.

La struttura corporea si arricchirà di equipaggiature tecnologiche già in parte oggi accessibili  come  computer portatili, ridottissimi data glove, micro telefonie-cellulari (attivati da microprocessori) che permetteranno di camminare per strada in perfetto assetto di  full- immersion in rete, così da poter rice-trasmettere in tempo reale, 24 ore su 24, ed assolvere a qualunque necessità, prevista e non.

Inoltre il corpo sembra oggi lanciato verso nuove primavere: lo conferma la figura dei bisnonni d’oggi corrispondente a quella dei nonni di ieri. In questo senso paradigmatico è il sistema americano di vita collettiva pensata per anziani, basato su attività sociali, sportive, turistiche, culturali, con possibilità di lifting ed operazioni estetiche attraverso frequentazioni di cliniche specializzate.

E’ di questi giorni la scoperta, in America, del gene dell’anzianità: sarà probabilmente possibile, nel prossimo futuro, garantire (geneticamente) longevità  a tutti.

Il sistema di trasmissioni-dati assottiglia il mondo e lo astrattizza in percorsi comunicazionali visualizzabili in  piccoli monitor.

Monitor-video che assorbono le dimensioni di altezza, larghezza e profondità   per restituirle in immateriali interfacce.

La stessa natura - che ha abbattuto le differenze tra il giorno e la notte e che ha subito forti allontanamenti dall’esperienza umana - è anch’essa percepibile attraverso la lente della tecnologia.

Ad esempio è noto come i bimbi  pensino che il latte nasca da scatole-contenitori e che le  mucche siano quelle dipinte di viola appartenenti alla pubblicità televisiva.

Inoltre le statistiche dimostrano che anche la sessualità trova una collocazione non trascurabile nella dimensione on line:  la rarefazione dei contatti fisici risulta essere un procedimento già avviato. L’erotismo può essere consumato in rete.

Una rarefazione inquietante che polverizza la fisicità della materia per direzionarci verso un lanciatissimo e inimmaginabile work in progress.

Rarefazione e immaterialità che possono permettere straordinari eventi come operare chirurgicamente “a distanza”: ciò è avvenuto con il chirurgo che ha “operato” il paziente da lontano, oltre oceano, attraverso l’uso di sofisticatissime apparecchiature computerizzate.

“La fuga nell’immaterialità erotica, la traslazione nel cybersex, il rifugio nella sessualità virtuale rappresenta l’apertura a una mutata percezione tecnologica, una forma di eccitazione artificiale e intensificata, una compenetrazione di neuroni e pelle, un’accensione orgasmica…” suggerisce Teresa Macrì, che continua: “ …questo corpo programmato, clonato, replicato, manipolato, de-naturato è divenuto semiosi cibernetica…e invera una nuova carne sintetica, una materialità artificiale, una biocompatibilità tra natura meccanica  e tecnica chirurgica” (Teresa Macrì, “Il corpo postorganico”, ed. Costa & Noland, Milano 1996)

In effetti, il corpo umano è sempre più potenziato da interne protesi metalliche, in plastica o al silicone, come chiodi, arcate dentali, ricostruzioni in acciaio di frammenti ossei, by-pass, ricostruzioni mammarie, chip e microprocessori (per attivare il funzionamento di alcuni organi inefficienti), ecc., mentre ad uso esterno si moltiplicano le perforazioni carnali con tecniche del piercing.

Una tecnica, questa, che modifica la superficie corporea e, al contempo, un mezzo utile per appropriarsi del proprio corpo o, ancora, un modo di liquidare l’ultimo confine (la pelle) che separa la persona dal reale circostante: un’eliminazione del dentro e del fuori per favorire un’unica corrente osmotica. Ma anche un linguaggio estetico capace di aprire una nuova via di comunicazione.

Comunicazione che per taluni versi può richiamare certe ritualità con cui i popoli primitivi cercavano di appropiziarsi il favore degli spiriti. Un’inquietante, sottile violenza, il piercing, attribuibile anche a connotazioni di protesta e di rifiuto della norma.

Se la violenza rivolta verso se stessi assume caratteri fortemente distruttivi può diventare patologia anoressica, oggi fortemente in espansione, specie nell’universo femminile. Si manifesta allora come estrema denuncia di un profondo disagio attraverso l’ostentazione (al mondo) della propria magrezza: un corpo fatto d’aria, inesistente, leggero e fluttuante come quello delle top-model dove magrezza è anche sinonimo di felicità e di benessere.

Più sottilmente, lo stretto rapporto tra corpo e protesi metalliche può prefigurare l’uomo bionico: una fantasia contemporanea sull’uomo-robot, nata dall’associazione di componenti organiche con quelle meccaniche (il personaggio “Frankenstein”, di Mary Shelley, ne è la fonte letteraria).

In arte si contano numerosi casi di simbiosi  tra corpo e tecnologia: Vito Acconci, Bill Viola, Stelarc, Antunez forniscono esempi significativi di tali ibridazioni.

Spiega Mario Perniola a questo proposito: “Ciò che suscita inquietudine e costituisce un enigma è proprio il confluire in un unico fenomeno di due dimensioni opposte: sembra che le cose e i sensi non combattano più tra loro, ma abbiano stretto un’alleanza grazie alla quale l’astrazione più distaccata e l’eccitazione più sfrenata siano quasi indistinguibili” (Mario Perniola “I situazionisti”, Castelvecchi, Roma 1998)

Incalza Lorenzo Taiuti: “Superare o rinnovare le strutture simboliche e rifondare l’immaginario è l’obiettivo delle tecno-arti” (Lorenzo Taiuti “Corpi sognanti”, Feltrinelli, 2001).

Un coacervo di emozioni e fantasie sintetiche potrebbero dare l’avvio ad avveniristici programmi scientifici che superino le vie dell’inconscio freudiano.

Allo stesso tempo un corpo, quello odierno, che virtualmente attraversa le reti telematiche per raggiungere ogni parte del mondo e che “…con la tecnologia, estende e amplifica le funzioni sensomotorie, psicologiche e cognitive della mente…” (Teresa Macrì op. cit.).

Ecco perché oggi, in arte, riprende con intensità il linguaggio performativo: qui si evidenzia l’artista come soggetto, capace di mettere in moto energie, umori, sensazioni, condivisioni, incitazioni “…per arrivare alla forma embrionale della materia e poter ricominciare dal punto zero della storia dell’arte…” (Mircea Eliade,   1963), mentre l’oggetto perde significanza, si smaterializza o diventa presenza accidentale che ruota attorno al soggetto.

Afferma Pierre Restany: “… oggi il corpo diventa oggetto di comunicazione e di racconto, un territorio prediletto per tutti gli scenari possibili, è inseparabile dal racconto, un racconto apocalittico da fine del mondo…” (op. cit.).

Un corpo post-umano che, per quanto la medicina e le biotecnologie perfezionano, migliorano, imbelliscono, mutano o clonano, ha sempre più l’aspetto di guscio vuoto, di campo di battaglia ove si sperimentano le fantasie più impossibili e che, allo stesso tempo, è gravemente attaccabile da contemporanee pestilenze (Aids) e aggredibile da funzionamenti impazziti di cellule (tumori) e che abita contesti inquinati. Un corpo bello, ma fragile, che la televisione ci mostra sempre più giovane e incorruttibile. Ma che dietro l’angolo  mostra tutta la sua vulnerabilità di simulacro.

Se fino ad oggi la tradizione filosofica ha sempre privilegiato la superiorità della mente rispetto al corpo, oggi si assiste al processo contrario: il corpo è egli stesso l’universo dell’informazione, delle percezioni e delle emozioni sensoriali, “…siamo tutti chimere, ibridi teorizzati…dei cyborg. Il cyborg è un’immagine condensata di fantasia e di realtà materiale, i due centri congiunti che insieme strutturano qualsiasi possibilità di trasformazione storica…(Donna Araway “Manifesto cyborg”, ed. Feltrinelli, Milano 1995).

In questo senso stanno avvenendo trasformazioni secondo cui non siamo più creature dotate di soli cinque sensi. “La tecnologia ce ne ha dati centinaia: possiamo osservare l’universo attraverso tutto lo spettro elettromagnetico; udire le vibrazioni…captare le forze molecolari. Possiamo contemplare l’universo dall’esterno e averne una visione d’insieme; sentirci vicini alle stelle grazie all’analisi spettrale. Per farlo, dobbiamo però convertire i dati trasmessi in una forma interpretabile dai cinque sensi originali” (Myron W. Krueger).

Probabilmente l’energia che ha sostenuto la mente (che fin’ora abbiamo largamente usato) si veicolerà alle capacità sensoriali dell’uomo che acquisirà di conseguenza una più complessa e pregnante fisicità. Questo come reazione all’immaterialità tecnologica per evitare il pericolo di una possibile, consequenziale, estinzione.

D’altra parte avverte Gillo  Dorfles: “… una delle innate prerogative dell’uomo è quella di volere – e sapere – rendere la propria immagine attraverso mezzi artistici, quasi a convalidare l’aspetto narcisistico e insieme di auto protezione antropologica e psicologica che fa parte dei più profondi istinti dell’uomo, sin dalla sua prima infanzia e sin dall’infanzia della stessa umanità” (Gillo Dorfles “Ultime tendenze nell’arte d’oggi” ed. Feltrinelli, Milano 1987).

 

 

Il tempo e lo spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto,

perché abbiamo già creata  l’eterna velocità onnipresente.

(Filippo Tommaso Marinetti)

 

 

LA VELOCITA’  :   SIMULTANEITA’  DEGLI  EVENTI

 

 

 

Per questa volata nel domani, si sta correndo oggi contro la barriera del tempo e la velocità ci sta portando all’estremo dell’accelerazione, eliminando il più possibile la sostanza opaca, la materia inerte, per dare corpo all’etereo del tempo globale,  concepibile attraverso l’intercomunicazione spaziale del pianeta Terra.

D’altra parte quest’incredibile velocità comunicazionale, destinata a moltiplicarsi infinitamente nel futuro prossimo, “ha facoltà di rovesciare le coordinate culturali poiché il cambiamento d’oggi non è assolutamente paragonabile ai milioni d’anni passati” (da rivista “D’Ars”), quando l’uomo viveva la sua esperienza nell’universo ai ritmi di un’estrema lentezza.

Una velocità che, nella consapevolezza umana, tende ad abolire il tempo e lo spazio e  a far affiorare i fattori inconsci. Spiega Paul Virilio “L’immaginario tecnoscientifico non ha smesso di ruotare attorno al concetto di sparizione: inesorabile messa in opera della spoliazione del Mondo, della sostanza del mondo vivente” (op. cit.).

Si sta assistendo ad una drammatica ed euforica catarsi e si partecipa a cambiamenti che danno avvio a nuove condizioni di vita e di pensiero.

Tutto è passibile di manipolazione, mutazione, clonazione e se si volesse (per ora a livello teorico) si potranno - in un prossimo futuro - riprodurre le energie dell’universo  a un certo istante della sua evoluzione, magari “tornando indietro nel tempo attraverso la teoria del bing bang quando la materia dell’universo (nei suoi primi istanti) era estremamente condensata e la sua energia altissima” (enciclop. De Agostani, op. cit.).

La velocità è di fatto il risultato di “qualunque comunicazione, il paradigma con cui ci si misura e con cui si stabiliscono i rapporti d’informazione: sia per il microcosmo ove s’inviano e si ricevono dati necessari a governare la vita biologica che per l’universo cosmico, sistema di riferimento che a sua volta individua e registra il moto di ciò che avviene al suo interno” (enciclop. De Agostani, op. cit.), poiché la velocità di un corpo, come la sua posizione, può essere specificata solamente rispetto a un sistema di riferimento fissato (si può in questo caso riferirsi a velocità relative).

D’altra parte conoscere  la posizione di un corpo nella sua traiettoria in funzione del tempo non è poi così fondamentale dato che assistiamo a nuove correlazione di simultaneità degli eventi.

Nel mondo della produzione, basato su continue innovazioni e costanti aggiornamenti,  con prodotti dal ciclo vitale sempre più breve, “tutto invecchia molto in fretta: in un’economia la  cui unica costante e il cambiamento, avere, possedere, accumulare ha sempre meno senso” spiega l’economista Rifkin (op. cit.). Sembra infatti che nel prossimo futuro sia possibile accedere sempre più al franchising (una combinazione di vantaggi reciproci), fenomeno in cui si uniscono tutti le componenti del “nuovo approccio reticolare  all’attività economica” (op. cit.). In questo senso le società di servizi predispongono “pacchetti” composti da formule di attività e marchi, fornendo così una produzione di massa di concetti (immateriali) piuttosto che di prodotti fisici.

Si sviluppa in tal modo il “diritto di accesso” (Jeremy Rifkin, op. cit.), cioè l’usufruire (anziché possedere) di proprietà private.

 

In arte, nei primi anni del secolo scorso, la velocità ha caratterizzato il movimento Futurista. Qui, velocità fa equazione con energia, giovinezza, macchinismo, patriottismo, guerra.

La civiltà della macchina (simbolo dell’eros) e le possibilità intraviste in questo genere di sviluppo hanno riempito - a quel tempo - gli animi di fiducia, di velleità e di orgoglio tanto da credere ad un grandissimo potenziamento delle risorse umane.

Una fede, appunto, illimitata “nel progresso e nelle capacità della tecnologia per rinnovare e rinsanguare il mondo” (Lara Vinca Masini op. cit.).

Il manifesto futurista esalta infatti “la velocità… il movimento aggressivo, il coraggio, l’audacia, la ribellione… la guerra come igiene del mondo” per concludere con la celebre frase “Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!”.

Oggi ci si può idealmente collegare a questa matrice storica nella forma di un’immaginazione fantastica che pervade l’uomo nell’attraversare in rete l’universo intero.

Ma i contesti sono diversi: la tecnologia odierna, ad alta definizione - che garantisce la possibilità di una comunicazione interplanetaria e “in tempo reale” -  può comportare il pericolo di una sparizione del reale circostante, rimanendo l’umanità sospesa ad un’infinita ragnatela di fili invisibili nell’etere che, come sospetta Paul Virilio, potrebbe crollare da un momento all’altro paventando il simbolismo di un prossimo “diluvio universale”.

Nella scena contemporanea gli artisti presagiscono tali pericoli: i loro linguaggi espressivi, figli dell’epoca elettronica, non cessano di immaginare paesaggi apocalittici da visionari day after.

Nel quotidiano, il termine velocità è sempre più sinonimo di morte.

A una domanda su di un settimanale alla moda (“Donna”), Paul Virilio risponde: “Quanto alla velocità, all’accelerazione costante dei nostri apparecchi e macchinari, credo sia una specie di violenza non sancita. Lo diceva bene Paul Morand: la velocità trasforma una carezza in uno choc mortale”.

I morti per incidenti stradali, a causa dalla velocità, sono equiparabili ai caduti di una nuova, invisibile, quotidiana e metodica guerra bianca.

Velocità sempre più come rischio, pericolo, possibilità di distruzione.

“ Chiunque alla velocità della luce tende a diventare nessuno…” ribadisce Marshall Mc Luhan.

 

 

 

L’immaginario scientifico  unifica quello dei telespettatori

che l’11 settembre 2001 credevano che l’attentato al World Trade Center

fosse un film  catastrofista.

(Paul Virilio)

 

SCOLLATURA TRA TEMPO E SPAZIO

 

 

 

Il tempo oggi subisce forti accelerazioni in quanto stratifica e “accumula” avvenimenti di portata eccezionale e che si succedono con ritmi sempre più ravvicinati: la guerra del Vietnam, la caduta del muro di Berlino, il frantumarsi dell’ideologia marxista, il violento risveglio di etnie sopite in Iugoslavia, la nascita di repubbliche democratiche, la guerra del Golfo, il buco nell’ozono, la strage dell’AIDS, il genocidio del Ruanda, il crollo delle Torri gemelle… Avvenimenti così fortemente incisivi per la nostra esperienza da sembrare concentrati in un presente continuum, senza la possibilità di uno spazio temporale che possa “consegnare i fatti alla storia” (Marc Augé “Non luoghi” ed. Eléuthera, Milano 2000).

Manca il tempo per prendere le distanze e poter valutare serenamente, diventando così dei possibili “testimoni passivi” (Marc Augé, op. cit.) d’avvenimenti che ci assorbono e ci vengono incontro “al di fuori delle intenzioni o delle previsioni” (op. cit.)

Un tempo che  “ …secondo alcuni non è più principio di intelligibilità poiché l’idea di progresso che lo implica si è arenata con la scomparsa delle speranze e delle illusioni che avevano accompagnato il secolo scorso…” afferma Marc Augé che aggiunge: “Se oggi gli storici dubitano della storia è perché essi  incontrano difficoltà non solo a fare del tempo questo principio di intelligibilità, ma ancor più a iscrivervi un principio d’identità” (op. cit.).

E continua: “L’accelerazione della storia corrisponde infatti ad una moltiplicazione di eventi il più delle volte non previsti… e questa sovrabbondanza di avvenimenti si sovrappone alla sovrabbondanza della nostra informazione” (op. cit.).

“Con la riduzione del tempo e dello spazio nel modello degli eventi non c’è solo un grande aumento della quantità dei dati per l’esperienza quotidiana, ma l’azione e la reazione tendono a fondersi” (Marshall Mc Luhan, op. cit.) cosicché l’intervallo tra l’una e l’altra non esiste più. “L’antica consapevolezza di causa ed effetto  si trasmuta nella consapevolezza della simultaneità” (op. cit.).

Di fatto, oggi gli eventi avvengono simultaneamente in tutta l’ampiezza del pianeta, senza possibilità realizzative di progetti o di obiettivi a lungo termine: tutto si realizza nell’istante del presente.

Se si pensa alle generazioni passate che hanno vissuto esperienze dirette di guerra partecipandovi in prima persona, si può constatare quanto sia diversa oggi la condizione umana occidentale che assiste indirettamente, da muta testimone (quasi senza partecipazione), agli orrori consumati in video di ininterrotte guerre o guerriglie.

Una condizione definita da Mc Luhan come “ terza guerra mondiale, ovvero una guerriglia per televisione senza distinzioni fra fronti civili e militari” (op. cit.).

L’attacco terroristico dell’11 settembre alle Torri newyorchesi insegna.

Il reale orrore del terrorismo islamico (visto in diretta in alcuni frammenti) è stato mediato dal linguaggio video che ci ha proposto un racconto “addomesticato” attraverso il quale il reale si è contaminato col linguaggio virtuale della fiction (cui la tecnologia ci ha assuefatti). Cosicché il reale ha assunto connotazioni da film.

Un’informazione, quella on line, allo stesso tempo sovrabbondante e capillare poiché riusciamo in tempo reale ad essere informati di tutto ciò che di più eclatante succede nel mondo, ma filtrato da punti di vista magari parziali, non obbiettivi, poiché gli stessi mezzi comunicazionali macroscopizzano e isolano gli avvenimenti dal loro contesto naturale con il rischio di distorcerne l’autentica portata.

 

Se il tempo sembra allora scorrere in un eterno presente, spezzato nella sua successione con la storia (attraverso una sorta di immanente continuum crono-scope) e bloccato nella sua continuità col futuro (assorbito dall’attuale velocità d’azione), anche lo spazio sembra subire una trasmutazione: esso non viene più fruito fenomenologicamente, ma assottigliato e allontanato dal filtro della tecnologia che ce lo consegna in immateriali icone, nella dimensione virtuale propria del video.

Un orizzonte digitale che accorcia le distanze e che ci permette di essere presenti là dove arriva l’occhio tecnologico della telecamera.

D’altronde anche i mezzi contemporanei di trasporto (aerei boeing) in poche ore riescono a farci fare il giro del mondo e i satelliti artificiali possono virtualmente farci “passeggiare” nello spazio.

Questo spazio - visibile e percepibile in tempo reale sui teleschermi - riduce la spazialità della terra (del resto percorribile in tempi brevi) attraverso un processo di restringimento e di dematerializzazione che è causa di forti “mutamenti di scala”.

“Viviamo l’era dei mutamenti di scala in relazione alla conquista dello spazio e della terra…” commenta l’antropologo Augé, che precisa: “ Viviamo  una lusinga spaziale di universi ampiamente fittizi, essenzialmente universi di riconoscimento nella moltiplicazione dei riferimenti immaginifici e immaginari e nelle spettacolari accelerazioni dei mezzi di trasporto…”(op. cit.).

“Spazio simultaneo” lo definisce Mc Luhan, “simile a una sfera  il cui centro è dappertutto e i cui margini non sono da nessuna parte: uno spazio compresso e indivisibile…” (op. cit.).

In questo spazio tecnologico, specifico del nostro villaggio globale, sottolinea ancora Augé “… antropologicamente l’individuo deve ridefinire la sua collocazione nella società poiché tali spazi si nutrono sempre più di  nonluoghi… ” (op. cit.).

Termine che lo studioso usa per definire quei luoghi anonimi, privi di identità e di storia che frequentiamo quotidianamente, come ad esempio le autostrade, i supermercati, aerostazioni, distributori di benzina, stazioni di ristoro, aerei, pullman, automobili…

La frequentazione sempre maggiore di questi nonluoghi può portare il cittadino ad una perdita d’identità, al disagio  del non riconoscersi in tale anonimato spaziale: da qui l’esigenza di confrontarsi con solidi punti d’appoggio, e in particolare di rapportarsi a luoghi carichi di senso come i luoghi antropologici della storia.

E’ noto che l’esigenza culturale di ridefinire i confini personali sta portando gli agglomerati cittadini ad un riappropriamento della cultura locale e che a fronte delle antiche divisioni razziali assistiamo oggi ad un fortissimo risveglio delle etnie e in generale ad una ripresa di quelle culture che in passato hanno caratterizzato quel borgo, quella regione o quello stato.

Particolarmente calzante e riferibile alla condizione che stiamo vivendo è il nuovo termine “glocale” configurabile come sintesi tra globale e locale: due dimensioni  rappresentative della complessità del vivere odierno che condividiamo in esperienza simultanea.

Poiché se da un lato “…l’uomo è pericolosamente lanciato come palla da biliardo sul panno-pelle della realtà…” (Claudio Costa in “AFRIca”, op. cit.), dall’altro deve potersi ancorare a qualcosa di solido: un qualcosa che può ad esempio provenire dalle “sicurezze” dei luoghi antropologici o del bagaglio esperienziale, entrambi necessarie affinché possano riflettere quelle componenti umane specifiche del sé, e divenire terreno fertile da cui potranno germogliare nuove mitologie.

Con la caduta delle ideologie e delle grandi narrazioni e con le crisi societarie dovute alla formazione di nuovi assetti politico-economici, l’uomo sembra oggi ripiegare verso un sofferto isolamento, in arte visualizzabile nelle proposte di narrazioni private, di elucubrazioni narcisistiche, generatrici di ideologie personali, volte alla ridefinizione di nuove, più calzanti identità.

Questo processo è facilmente riscontrabile nel lavoro delle ultime generazioni dove il  vissuto e l’esperienza personale diventano distillati coi quali è possibile leggere il mondo, considerandolo da altri presupposti.

Mai come oggi, a fronte di un’omogeneizzante dimensione culturale di “cittadini del mondo”, spinti nell’universalità della comunicazione, è così prepotente, doloroso e acuto il senso di solitudine nell’uomo, vivibile come possibile spogliazione del proprio essere.

Da qui il pericolo di perdita dell’intimità (o intimità esacerbata dalla carenza di comunicazione umana, inversamente proporzionale all’eccesso di comunicazione mediale) come della possibile sparizione dell’antropos.

Un primo passo verso il riconoscimento del sé paradossalmente può compiersi attraverso il confronto col passato e con la storia antropologica: come specchi entro cui rifletterci possiamo allora “riconoscerci” in quello che eravamo per comprendere meglio quello che non siamo più…

Quello che non siamo più ci può essere utile per verificare i mutamenti, le complessità, le ibridazioni del vivere nel nuovo millennio, proprio cogliendo quelle differenze  che ci stanno ri-definendo.

Un cammino creativo, che permetta di uscire dalle secche di una afasia strisciante, potrebbe  prendere avvio “da nuovi approcci con le scienze attraverso una possibile ed auspicabile contaminazione tra etno-antropologia, comunicazione e arte” (Massimo Canevacci, atti del convegno “Arte: luoghi, percorsi e voci” Museo-attivo delle Materie e Forme Inconsapevoli, Genova 1993), saperi che possono sinergicamente attivarsi attraverso “un incrocio ermetico, dato che forte è la sensazione di una sorta di attesa da parte di molte discipline affini verso una discesa antropologica nel campo creativo…”(M. Canevacci, op. cit.).

Un tempo e uno spazio, allora, da ri-codificare per trovare una collocazione nella complessità del reale e un’identità con cui  ri-conoscersi.

 

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