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MAYA

Incontri con un uomo straordinario:
Don Josè Diaz Bolio.

" Col sospetto di essermi imbattuto per caso in una scoperta molto importante, acquistai parecchi di quei libretti e li portai nella nostra stanza per leggerli.
Avrei appreso così che non si trattava di semplici curiosità, ma della chiave che stavo cercando per capire come mai tutte le civiltà precolombiane, e non solo i maya, fossero ossessionate dai serpenti.
Rimasi sveglio metà della notte per leggerli tutti e, quando scoprii che Diaz Bolio viveva a Merida, decisi che il giorno dopo sarei andato a cercarlo.
Preso un taxi per raggiungere i sobborghi della città, arrivai poco dopo il tramonto.
Fui accolto sulla porta con affabilità da Josè Diaz Bolio in persona, che si rivelò un uomo sull'ottantina. Non più agile, era tuttavia ancora lucido e acuto, e più che disponibile a espormi le sue teorie relative all'origine della cultura dei maya.
A quanto disse, erano circa cinquant'anni che studiava l'arte e l'architettura maya, ma in modo non ortodosso. Nel corso della sua lunga vita era stato soldato, poeta e musicista, oltre che archeologo.
Scorsi le tracce di tutte quelle carriere incise sulla sua pelle rugosa, e lo immaginai combattere da giovane nelle rivoluzioni che avevano squassato il Messico per tanti anni.
La ferrea determinazione che doveva averlo servito bene per tanti anni dolorosi era ancora ben viva, e mi resi conto di parlare con un vecchio non comune.
Come il Don Juan di Carlos Castaneda, aveva una presenza speciale; era un uomo ricco di cultura, di saggezza, che aveva visto il mondo e ora non temeva la prospettiva dell'aldilà.
Sparsi sul tavolo davanti a noi c'erano più di venti libri e opuscoli, tutti scritti e pubblicati da lui senza alcun aiuto da parte di istituzioni esterne.
Superando ogni ostacolo, era riuscito a esporre le sue idee al mondo, malgrado l'opposizione non solo degli ambienti ufficiali, che lo ritenevano quasi un disonore per il Messico perché diceva la verità sulla civiltà maya, ma persino dei suoi amici.
Ora, seduto tranquillamente nella sua modesta casa, si concentrò nel tentativo di trasmettermi almeno in parte l'essenza delle sue idee.
I concetti chiave erano molto semplici da afferrare, ma le ramificazioni erano infinite.
Infatti secondo Diaz Bolio i maya, anzi tutte le altre culture del Centro America degne di essere definite civiltà, erano profondamente pervase dal culto del serpente a sonagli.
Quella, mi assicurò, non era un'ipotesi ma un dato di fatto, che egli aveva dimostrato infinite volte nel so lavoro nel corso degli ultimi cinquant'anni.
Per gli ambienti ufficiali erano un dato sconvolgente, non perché non avessero compreso il ruolo centrale del serpente nell' arte dei maya, ma perché, secondo il suo punto di vista, i maya dovevano letteralmente la loro conoscenza del mondo " alla bocca di un serpente a sonagli ".
Ormai affascinato, mi raddrizzai sulla sedia mentre mi esponeva la sua tesi che, tanto per darle un nome, ha definito tesi delle ramificazioni culturali del serpente a sonagli.
Mi spiegò come nei primi anni di ricerche avesse l'abitudine di tenere in casa dei serpenti a sonagli per studiare di prima mano il loro comportamento.
Non gli bastava leggere le voci dedicate loro nelle enciclopedie o consultare esperti, voleva vedere e sentire di persona.
Accanto a noi c'erano due pelli di serpente a sonagli chiuse in un sacchetto di plastica, e cominciai a sentirmi a disagio al pensiero che ci fosse un serpente vivo nascosto sotto il divano o in qualche altro luogo inaccessibile.
Mi assicurò che ormai non teneva più serpenti vivi, ma in passato c'erano state occasioni in cui i suoi serpenti addomesticati erano fuggiti, causando un terribile scompiglio fra i vicini.
Oggigiorno invece, la situazione era tranquilla e lui si concentrava sul compito di scrivere, pubblicare e tenere qualche conferenza per gli studiosi interessati. A quel punto fra noi si era stabilito un buon rapporto e lui cominciò a fornirmi informazioni, anche se non in modo ordinario.
Facevo del mio meglio per tenere dietro a quello che diceva, usando un registratore per non farmi sfuggire qualcosa di importante.
Il mio compito principale era fare in modo che la conversazione coprisse il terreno che m'interessava, perché ero convinto che la sua concezione del serpente a sonagli fosse l'anello mancante nella nostra comprensione della cronologia maya.
Continuammo così per alcune ore, finchè lui non cominciò ad accusare la stanchezza e io non mi sentii saturo di informazioni nuove.
Il pomeriggio seguente dovevo prendere l'aereo per rientrare in patria, ma promisi di tornare a trovarlo la mattina dopo per mettere a punto alcuni accordi relativi alla distribuzione dei suoi libri in Inghilterra.
Dopodiché tornai all'hotel Casa del Bahlam ( Giaguaro ) per cominciare a mettere un po' di ordine in quelle nuove idee e meditare sulla loro rilevanza per il lavoro di Maurice ( Cotterell ) sui cicli delle macchie solari. ( … ) Trattandosi di un animale solare, la cui vita era strettamente legata al ciclo annuale del sole, credere che il Crotalus fosse in qualche modo dotato di un'intelligenza di origine solare, e come nel racconto di Adamo ed Eva prima del peccato originale, il serpente stesso rappresentava il maestro dell'umanità.
Essendo il più saggio degli animali avrebbe insegnato ai maya la cronologia, la matematica e gli schemi essenziali della loro arte ( geometria ). In virtù del disegno della pelle ( croci ) e del loro modo di vivere, riuniva in sé per natura gli elementi base della civiltà.
Questa, se volete, è la spiegazione razionale, che forse potrebbe trovare qualche conferma fra gli antropologi; ma ne esiste anche un'altra. Per una curiosa ironia della sorte, il parallelo più calzante per la seconda spiegazione si può trovare nella storia di San Patrizio che, secondo la leggenda, scacciò tutti i serpenti dall'Irlanda subito dopo aver portato il Vangelo sulle coste dell'Isola.
Si narra che Patrizio, volendo spiegare agli irlandesi la dottrina della Santa Trinità, si chinò a raccogliere un trifoglio, vedendo nella sua forma a tre elementi un simbolo calzante di ciò che voleva esprimere.
Pertanto l'umile trifoglio fu onorato come un simbolo sacro tipicamente irlandese, cosicché ancor oggi rappresenta non solo la Trinità, ma l'Irlanda stessa.
In ogni caso non fu certo il trifoglio a spiegare la Trinità, ma San Patrizio che lo usò come simbolo.
Guardando i disegni della pelle di serpente mi domandai se nello Yucatan di tanti e tanti anni prima poteva essere accaduto qualcosa di simile.
Era possibile che fosse esistito un "san Patrizio" sbarcato sulle coste dello Yucatan che, cercando di farsi capire, avesse usato un serpente locale per insegnare a coloro che incontrava i rudimenti di una religione evoluta?
Era possibile che il motivo del canamayte ( * ), così come il trifoglio, fosse diventato un'icona culturale a causa della sua associazione con un uomo tanto saggio?
Questa mi sembrava una spiegazione più probabile di quella semplice dell'evoluzione culturale.
Cominciavo inoltre a sospettare che questo "san Patrizio" potesse essere il vero Quetzalcoatl e stavo per scoprire il suo vero nome: Zamna.
Lo zamnaismo era una religione non violenta e non cruenta.
I sacrifici umani furono introdotti nello Yucatan da Quetzalcoatl\Tepolzin-Ce-Acatl che lasciò a Tula, come fra i maya quichè del Guatemala, la pratica diffusa di sacrificare le tribù alla sua presenza. ( … )
Il libro di Ordonez riguarda un capo leggendario, Votan, che portò il suo popolo a Palenque e il cui simbolo era un serpente.
E' possibile che questo Votan, che si dice venisse da Atlantide, sia stato un profeta di Zamna, un equivalente maya san Patrizio? " ( * ) disegno a croce all'interno del quadrato ritratto sul dorso del Crotalus Durissus Durissus dello Yucatan, Messico

Tratto da " Le Profezie dei Maya " di Adrian G. Gilbert e Maurice M. Cotterell Ed. Corbaccio

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