il Rimino Sottovoce 2021

In ricordo di Bruno Ghigi, scomparso il 7 gennaio, una
pagina web del 2005,
ed una
pagina web del 2004.


La «Storia» di Ghigi
in uno speciale de il Ponte (23 gennaio 2005)

La nuova «Storia di Rimini dall'epoca romana a capitale del turismo europeo», condensata in 400 pagine di testo, è un'iniziativa originale per il mercato librario cittadino. Voluta dall'instancabile editore Bruno Ghigi, e presentata dalla prof. Anna Falcioni, è stata compilata da Anita Delvecchio, Tania Mazzotti, Cinzia Cardinali, Benedetta Baroni, Antonio Montanari, con cronologie curate da Emiliano Bianchi ed Alessandro Ghigi. Sottolinea Anna Falcioni che gli autori trattano «argomenti specifici, consueti e nuovi, con un ampio utilizzo di fonti e di strumenti storiografici per delineare lo sviluppo ed i problemi portanti della nostra comunità nel suo evolversi storico».
Ad Antonio Montanari, che ha trattato il periodo 1859-2004, chiediamo quali caratteristiche abbia l'opera.
«E' un libro che mancava, con tutte le vicende dalle origini di Ariminum ad oggi narrate in breve ma anche in modo completo, e che continua la benemerita attività di Ghigi, svolta prima con la riproposta della 'Storia' di Luigi e Carlo Tonini sino a tutto il 1700, poi con la sua ideale continuazione uscita fra 1977 e 1981 in sei volumi che toccano i vari settori, dalla cultura alla politica, all'economia dal 1800 a metà novecento. Il libro appena uscito è aggiornato al 28 settembre 2004, quando in Iraq è liberata di Simona Pari».
Quali novità presenti nel tuo capitolo?
«Ad esempio, cito l'episodio inedito della venuta a Rimini di Gaetano Bresci per addestrarsi al regicidio nel cortile di palazzo Lettimi dove abitava l'anarchico Domenico Francolini, con la rivoltella portata da Paterson (New Jersey). Forse Bresci si ferma a Rimini prima di andare dalla sorella sposata a Castel San Pietro dove (secondo i suoi biografi) conosce un'operaia, la ventitreenne Teresa Brugnoli che porta con sé a Bologna sino al 21 luglio, quando parte per la Lombardia. Ma cronache giornalistiche del tempo spiegano che Teresa Brugnoli (fervente anarchica pure lei) era l'amante di Bresci a Paterson, dove aveva lasciato una figlia di diciassette anni. Quindi anche lei è giunta dall'America in Italia, e non poteva avere soltanto ventitré anni. Da palazzo Lettimi, come testimoniava una lapide dettata nel 1907 dallo stesso Francolini, s'erano pure mossi "nel 1845 gli audaci rivoltosi, preludenti l'italico risorgimento", guidati da Pietro Renzi. E lì, io ci sono nato nel 1942...».
Racconti pure un altro particolare inedito legato a Bresci...
«Bresci fu ospitato nel borgo San Giuliano dall'oste Caio Zanni il quale era ben noto alle autorità come anarchico. Zanni fu arrestato dopo il regicidio e trasferito al carcere di San Nicola di Tremiti. Zanni era figlio di Laura Poluzzi il cui fratello Federico, detto 'Bellagamba', fu giustiziato il 22 dicembre 1854 davanti alla Rocca malatestiana come responsabile dell'uccisione di don Giuseppe Morri, mansionario della cattedrale».
Quali conclusioni tiri alla fine del capitolo?
«Nell'ultimo paragrafo, dedicato alla 'natura dei riminesi', lascio la parola a Piero Meldini, al sito ufficiale del Comune, a Claudio Costantini, a Stefano Zamagni, a Pier Giorgio Pasini, e, anche quale omaggio, a Carlo Tonini che chiudeva il suo 'Compendio della Storia di Rimini' apparso nel 1896, sottolineando come un felice avvenire potesse esser raggiunto soltanto con il buon volere e la solerzia dei cittadini. Parole valide ancora oggi».

Alessandra Leardini

L’articolo è stato accompagnato da queste due schede ricavate dal volume, precisamente dal capitolo di Antonio Montanari:

La gestione pubblica dei bagni
I risultati della gestione dello stabilimento «privilegiato de' bagni» creato nel 1843 dall'avvocato Claudio Tintori e dai fratelli Alessandro e Ruggero Baldini, non sono quelli sperati. Dopo la stagione del 1845 il passivo di gestione ammontava a settecento scudi, tanti rispetto ai quattromila prestati dalla Cassa di risparmio di Faenza per avviare l'impresa. Claudio Tintori uscì dalla società a causa del fallimento suo e del padre per ottomila scudi, tra la «sorpresa comune» registrata dal cronista Filippo Giangi (Memorie riminesi, 4 dicembre 1845). L'inondazione del Marecchia nel 1866 danneggia tutte le strutture dello stabilimento. I fratelli Baldini guidano la società sino al 21 settembre 1868, quando il Consiglio comunale vota a favore della gestione pubblica dei bagni. Quest'ultima però avrebbe dovuto essere garantita dallo stesso Comune, in cambio degli utili rimasti dopo la remunerazione del capitale privato. Entrambe le ipotesi attribuiscono all'ente locale il ruolo finanziario maggiore. La classe dirigente riminese non considera conveniente l'investimento turistico, ma nello stesso tempo ne vede l'importanza. E così impegna il Comune per rendere sicura una speculazione che ha forti rischi. I servizi dell'industria balneare sono destinati ad una clientela ristretta. Lo scarso numero di frequentatori, dovuto alla mancanza di infrastrutture alberghiere e d'intrattenimento, non riesce a coprire le spese. L'intervento del Comune aumenta il prestigio della marina, ma mette in difficoltà le finanze pubbliche.
[…]
La città vecchia e i borghi
Il Comune non può intervenire per mancanza di mezzi sull'altra faccia di Rimini, che ha condizioni arretrate di vita nella città vecchia e nei borghi. Quello di San Giuliano, racconta Achille Serpieri, è «minacciato da un lato dalle fiumane, dall'altro dai flagelli dei mostri dove si annidano signore la tisi, la scrofola e il tifo». Su «Il Nettuno», periodico fondato da Domenico Francolini, Costantino Bonini il 15 agosto 1873 parla delle «abitazioni dei Poveri», definendole «semenzai di miasmi pestilenziali, case che avvelenano per tutta la vita il sangue, massime ai bambini con la scrofola e colla tisi». Gli «abitatori di queste bolge infernali, massime i ragazzi» appaiono «squallidi, macilenti, cogli occhi infossati e col pallor della morte sul viso».
Bonini nel 1887 come segretario comunale pubblica ne Le case operaje e l'igiene pubblica in Rimini i risultati di un'indagine municipale del 1884, quando c'è stata un'altra epidemia di colera. Vi si segnala una situazione allarmate: «mondezzai in moltissime case, anche di persone agiate», e strade più simili a «latrine che luoghi di pubblico passaggio». Queste condizioni hanno favorito nel 1855 la precedente epidemia di colera, durante la quale si sono registrati 717 decessi sopra una popolazione cittadina di 17.627 abitanti.
Bonini propone che il Comune introduca una sovrimposta «della salute pubblica» alla tassa di successione, ed una «sovratassa sulle villeggiature»: «non dovrebbe increscere ad alcuno, mentre si delizia in villa, di sostener qualche piccolo sacrificio di denaro per far meno triste l'abitazione del povero».


Nuova ed originale «Storia di Rimini» edita da Bruno Ghigi [2004]

L’editore Bruno Ghigi ha pubblicato (in libreria dal 23 dicembre 2004) la «Storia di Rimini. Dall’epoca romana a capitale del turismo europeo», con presentazione di Anna Falcioni e testi di Anita Delvecchio, Tania Mazzotti, Cinzia Cardinali, Benedetta Baroni, Antonio Montanari.
Il volume è di 437 pagine, più le illustrazioni in pagine non numerate.
Il sottoscritto, Antonio Montanari, ha curato l’ultimo capitolo, Dall’Italia all’Europa, 1859-2004 (pp. 249-320).
Il lavoro uscito a stampa è ridotto rispetto ad una prima stesura troppo ampia (quindici pagine in eccesso) per le necessità tipografiche dell’editore.
Desidero ringraziare la prof. Anna Falcioni, che ha curato l’introduzione, per le parole che ha voluto dedicare al mio lavoro:

«Le grandi trasformazioni, che cominciarono tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento (...) sono segnalate nell’ampio ed articolato saggio di Antonio Montanari, che con indiscussa competenza delinea un pregevole spaccato di storia politica, istituzionale, sociale, economica e persino religiosa dal 1859 ai giorni nostri. Inoltre la ricostruzione degli eventi, precedenti e successivi i due conflitti mondiali, viene puntigliosamente esaminata dall’autore sulla scorta di una ricca documentazione coeva e di un’aggiornata bibliografia»

Riproduco qui sotto l’incipit della prima stesura che non appare nell’edizione definitiva.

Ci sono immagini diventate simboli della storia cittadina. Segnalano continuità tra passato e presente come il Tempio malatestiano, oppure testimoniano un’assenza: ad esempio il Kursaal. Nel 1993 celebrando i 150 anni dalla nascita del primo stabilimento balneare, la civica amministrazione lo fece raffigurare nel parco Fellini con una gigantografia di legno. Fu un ricordo misto d’illusione e nostalgia. L’imponente edificio aperto il primo luglio 1873 era scampato pressoché indenne alle bombe ma fu distrutto dalla volontà di scrivere una nuova pagina politica durante la ricostruzione, quando rappresentava «la scomoda memoria storica di una attrezzatura d’élite» (Gobbi 2002, p. 264). Lo demolirono gruppi di disoccupati guidati da sindacalisti, così come fecero in centro con la parte sopravvissuta del teatro Vittorio Emanuele II. Per il sindaco del 1948 ing. Cesare Bianchini (Pci), il Kursaal costituiva «una bruttura» da eliminare. Nell’estate 1993 quando a palazzo Garampi siede Giuseppe Chicchi (Pds), la gente più che pensare ad una sua ventilata ricostruzione, tiene d’occhio la tangentopoli locale dopo l’arresto di un alto funzionario del Comune, che sarà condannato a ventidue mesi di reclusione per una mazzetta nel settore edilizio.

Offro in anteprima dalla edizione a stampa una pagina con una notizia inedita.

Nel settembre 1888 giunge in città il re Umberto I per visitare il Kursaal, e pronuncia queste parole: «Qui può venire chiunque». Pure un anarchico giunto dall’America, Gaetano Bresci (1869-1901), passerà da Rimini prima di recarsi a Monza per regolare i conti con lo stesso Umberto I domenica 29 luglio 1900. Ospitato nel borgo San Giuliano dall’oste Caio Zanni (1851-1913), Bresci si esercita con la rivoltella portata da Paterson (New Jersey) nel cortile di palazzo Lettimi sotto gli occhi di Domenico Francolini (1850-1926), un borghese prima repubblicano, quindi socialista ed infine anarchico. Francolini abita lì con la moglie, donna Costanza Lettimi. La notizia inedita era raccontata dallo scrittore e giornalista Guido Nozzoli (1918-2000), e trova conferma da altre fonti orali da cui apprendiamo che Zani, noto alle autorità come fervente anarchico, fu arrestato dopo il regicidio.

La madre di Zanni, Laura, era la sorella di Federico Poluzzi, soprannominato «Bellagamba» (su cui vedi sotto).

Dalla prima stesura, riporto un passo sacrificato.

Forse Bresci si ferma a Rimini prima di andare dalla sorella sposata a Castel San Pietro dove (secondo i suoi biografi) conosce un’operaia, la ventitreenne Teresa Brugnoli detta «la rizzona», che porta con sé a Bologna sino al 21 luglio, quando parte per la Lombardia. Ma cronache giornalistiche del tempo spiegano che Teresa Brugnoli (fervente anarchica pure lei) era l’amante di Bresci a Paterson, dove aveva lasciato una figlia di diciassette anni. Quindi anche lei è giunta dall’America in Italia, e non poteva avere soltanto ventitré anni. Da palazzo Lettimi, come testimoniava una lapide dettata nel 1907 dallo stesso Francolini, s’erano pure mossi «nel 1845 gli audaci rivoltosi, preludenti l’italico risorgimento», guidati da Pietro Renzi.

A proposto di «Bellagamba», ecco il passo a lui relativo della stesura originale.

Il 22 dicembre 1854 davanti alla Rocca malatestiana la ghigliottina aveva mozzato il capo di Federico Poluzzi, soprannominato «Bellagamba», fratello di Laura che era la madre del ricordato anarchico Caio Zanni che ospitò Bresci. Secondo Carlo Tonini (1896), Poluzzi era un assassino abituale («imputato, come dicevasi, di molti omicidii»), che doveva rispondere soltanto dell’uccisione di don Giuseppe Morri, mansionario della cattedrale: «La pena era il taglio della testa colla ghigliottina, e fu eseguita sopra un palco eretto nella piazza Malatesta, o del Corso, sul campo presso la rocca. Intrepido porse il collo alla scure: e un senso di ribrezzo e di orrore ne rimase per lunga pezza al popolo non usato a così fatti spettacoli». Guido Nozzoli nel 1992 ha scritto: Bellagamba non era uno stinco di santo, anzi aveva fama pessima. Di natura indocile e considerato pertanto una «testa calda», doveva essere uno di quei giovani che, nei giorni inquieti di allora, «tra lom e scur i andeva a prét e a pulizai»; nulla deponeva a suo favore, anche se «tra chi lo conosceva, si sussurrava che altri fossero gli uccisori di don Morri e che lui avesse rinunciato a difendersi presentando un alibi per non compromettere la moglie di un fornaio con cui aveva trascorso in intimità l’ora in cui era stato ucciso don Morri».

Antonio Montanari



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