16.01.2017.  Sigismondo, la lezione
politica degli antenati

Mia lettera sul "Corriere di Rimini" di oggi.

Sigismondo non ebbe infanzia, scrive Charles Yriarte (1832-1898) in un celebre saggio, "Un condottière au XVe siècle" (Parigi 1882), richiamando l'episodio del 1430 quando il Nostro (per difendere il territorio governato da Galeotto Roberto, figlio di suo padre Pandolfo III e di Allegra de' Mori), "rivestì l'armatura fatta a sua taglia, montò a cavallo, e fu un vero combattente" battendo le truppe papali.
Come tutti i nati da re, principi o duchi, Sigismondo eredita oltre ai beni materiali anche quelli intellettuali e "politici" della famiglia e del tempo. Allora c'era uno spirito di perenne competizione, derivante dalla crisi dell'Italia frammentata per la carenza di una forza capace di guidare un processo unitario per potenza finanziaria, economica e militare (F. Gaeta, 2012).
Yriarte parla di una disperazione diffusa. Sono tempi di anarchia profonda, generati da una lunga e persistente confusione tra urbanizzazione nascente e barbarie passata. Trionfa un individualismo che provoca un'estrema licenza da cui nasce l'estrema tirannia. "Le signorie esercitavarono un'azione politicamente diseducativa a tutti i livelli, anche se promossero le arti e la letteratura al servizio della corte" (G. Fasoli, 1975).
I capi delle Signorie dovevano fare i conti pure con le competenze comunali per magistrature ed uffici, e con la nascente struttura democratica (B. Andreolli, 1999), anche se prevale la scelta di "funzionari eletti dal signore tra i suoi fedeli" (Fasoli).
Venti di rivolta soffiano nella vita religiosa e politica. La repressione è terribile. Sigismondo ha un cugino cardinale, Galeotto, nato da Rengarda, sorella di suo padre, e da Masio Tarlati. Nominato a 22 anni nel 1378 su suggerimento del nonno Galeotto I, nel 1386 Galeotto, quando il Papa Urbano VI fa uccidere cinque cardinali (dopo aver ammazzato l'anno prima il vescovo dell'Aquila), fugge in quell'Avignone da Petrarca definita luogo di corruzione, in cui Satana sedeva "arbitro tre le ragazze e quei vecchi decrepiti". Vi resta sino al 1397 quando scappa perché privato dei suoi redditi, recandosi prima a Valence e poi a Vienne, dove muore l'8 febbraio 1398.
L'attacco a Galeotto nell'ambiente avignonese va di pari passo all'ascesa politica dei Malatesti nel mondo pontificio romano: nel 1397 Pandolfo III è nominato comandante supremo delle armi della Chiesa.
Sigismondo conosce queste vicende, sa che i suoi antenati nella Chiesa sono stati forti ed ascoltati mediatori politici.

Antonio Montanari

Memoria cancellata
del Cardinale "malatestiano"
Le pochissime notizie su Galeotto Tarlati di Pietramala (1356-1398), Cardinale "malatestiano" (per via della madre, la riminese Rengarda), giunte sino a noi attraverso Luigi Tonini, non raccontano nulla del personaggio ma lasciano intravedere tanto sulla sua rimozione dalla memoria storica.
Galeotto, nominato a 22 anni nel 1378, passa attraverso momenti drammatici della vita della Chiesa, quando Papa Urbano VI fa uccidere un Vescovo (1385) e cinque Cardinali (1386), preparando quel clima di intolleranza che sfocia nei roghi "conciliari" di Costanza per ammazzare Giovanni Huss (1415) e Girolamo da Praga (1416).
Galeotto di Pietramala, dotto umanista, fu coraggioso uomo di Chiesa, capace di proporre nel 1395, con una celebre lettera, la via di risoluzione dei contrasti tra Roma ed Avignone, facendo dimettere il Pontefice di quest'ultima città dove lui stesso si era rifugiato. In tutt'Europa egli diventa una figura rispettata per la sua capacità di studiare e dibattere temi culturali e questioni teologiche, come documentano numerosi volumi.
Consono allo spirito di Galeotto da Pietramala (morto a Vienne nel Delfinato, e poi sepolto alla Verna) , è il Tempio di Sigismondo Pandolfo, suo cugino, dove si realizzano i progetti albertiani di un "umanesimo civile", che si leggono nella Cappella delle Arti liberali, il cui scopo principale è educare alla "polis", creando Concordia tra i cittadini, ai quali tocca di costruire la "Città giusta" con leggi per formare persone moralmente integre. Non è soltanto l'antica lezione platonica, ma pure quella che a Bologna, in quell'Università attorno al 1430, delinea Lapo di Castiglionchio, come Ezio Raimondi scriveva nel 1956.

Antonio Montanari
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