il Rimino 2018

"Uno bianca", l'Italia "nera" dei misteri
Per Rimini un ruolo decisivo nelle indagini.
L'assalto alla Coop delle Celle del 30 gennaio 1988.

Una pagina del 2010 e IL PONTE 1987-96.

Quindici storie dal lato oscuro, le chiama uno slogan nella quarta di copertina. Sono quelle che Roberto Sapio, magistrato in pensione, napoletano di origine e riminese di adozione, racconta in un libretto interessante per molti aspetti, non ultimo quello di fornirci la testimonianza diretta del suo lavoro, svolto nella "Rimini nera" di cui dice il titolo. Sono storie che partono dagli anni '80 e che dovrebbero delineare, come suggerisce il sottotitolo, "L'altra faccia di una città".
L'introduzione dell'editore Massimo Roccaforte annuncia una Rimini post-moderna come sintesi di quella nuova società italiana in cui tutto sembra perduto, guastato e putrefatto. Il libro di Sapio è come un piccolo mosaico, le cui tessere delineano un'immagine inquietante, se ci si lascia sopraffare dall'emozione. Se usiamo la freddezza che richiede la volontà di capire, scopriamo che non si parla soltanto di Rimini.

Il volume raccoglie testi già apparsi sulla stampa locale e contributi originali, il più importante dei quali, per il suo contenuto e contesto, è quello intitolato "Banditi in divisa", ovvero la storia della banda della "Uno bianca". Storia che meritava maggior spazio, se non tutto il libro, per un approfondimento che appare indispensabile.
Sapio parte dal 18 agosto 1991, quando due senegalesi (Babon Cheka e Malik Ndiay, operai, 27 e 29 anni) sono uccisi a San Mauro Mare: "La Uno bianca degli assassini fugge e, all'altezza di San Vito, non si ferma ad uno stop e quasi investe una Ritmo con a bordo tre ragazzi provenienti da un locale da ballo. Alla rabbiosa protesta di costoro la Uno bianca si mette ad inseguirli sparando un colpo che per fortuna non raggiunge alcuno dei ragazzi, che arrivati al vicino paese, si rifugiarono in un bar mentre gli inseguitori proseguirono verso Torre Pedrera dove abbandonarono la macchina".
Il sostituto procuratore di Rimini Sapio, avvisato dai Carabinieri, interviene sul posto, e decide di saltare le ferie per chiarire il mistero di quel fatto. Si forma una convinzione: quelli che hanno ucciso a San Mauro i due giovani (ferendone un terzo) sono "persone che indossano una divisa o che, all'occorrenza, possono mostrare un tesserino".
Questo è l'aspetto autobiografico del racconto, in cui si aggiunge: la riflessione di quel sostituto procuratore "provocò la reazione dei superiori e la minaccia di esonero dall'inchiesta". A questo punto Sapio riassume come giunse a quella scandalosa conclusione che sarebbe stata confermata dagli sviluppi delle indagini.
Sono considerazioni psicologiche che il cronista può riassumere con una sola parola, arroganza. Sapio fa un ritratto dei banditi basandosi anche sui precedenti episodi in cui la banda della "Uno bianca" ha agito. Quello di San Mauro non è il primo della serie.
Ripercorriamoli, gli altri fatti. Dal libro di Antonella Beccaria intitolato "Uno bianca e trame nere", riprendiamo l'elenco delle vittime con i luoghi dei ferimenti o delle esecuzioni, che precedono il delitto di San Mauro.
Antonio Mosca, poliziotto, ferito a Cesena il 3 ottobre 1987 muore nel 1989; Giampiero Picello, guardia giurata, ucciso il 30 gennaio 1988, Rimini; Carlo Beccari, guardia giurata, ucciso il 19 febbraio 1988, Casalecchio di Reno; Umberto Erriu e Cataldo Stasi, carabinieri, ammazzati il 20 aprile 1988, Castelmaggiore; Adolfino Alessandri, pensionato, ucciso il 26 giugno 1989, Bologna; Primo Zecchi, autista Hera, ammazzato il 6 ottobre 1990, Bologna; Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina, nomadi, uccisi il 23 dicembre 1990, Bologna; Andrea Farati, benzinaio, e Luigi Pasqui, dirigente aziendale, uccisi il 27 dicembre 1990, Castelmaggiore; Paride Pedini, artigiano, ammazzato il 27 dicembre 1990, Trebbo di Reno; Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini, carabinieri, uccisi il 4 gennaio 1991, Bologna; Claudio Bonfiglioli, benzinaio, ammazzato il 20 aprile 1991, Borgo Panigale; Licia Ansaloni, commerciante, e Pietro Capolungo, carabiniere a riposo, ammazzati il 2 maggio 1991, Bologna; Graziano Mirri, benzinaio, ucciso il 19 giugno 1991, Cesena. In tutto fanno 19 vittime. Giancarlo Armorati, pensionato, ferito il 15 gennaio 1990 a Bologna, muore nel 1993. Siamo così a 20 vittime.

Antonio Mosca, ferito a Cesena, era un poliziotto di Rimini. Leggiamo le nostre cronache nel Ponte del 1987. La banda del racket che ha preso di mira l'autosalone riminese di Savino Grossi, è intercettata dalla polizia il 3 ottobre, mentre sta ritirando a Cesena sull'autostrada una valigetta piena di soldi. I banditi sparano contro la vettura di Grossi e l'auto-civetta del Commissariato di Rimini, colpendo tre agenti: Antonio Mosca (39 anni), Luigi Cenci (25), Addolorata Di Campi (22). Il Ponte si domanda: "Dietro tutta la vicenda, c'è solo una richiesta di trenta milioni?". Antonio Mosca muore nel 1989 in seguito a quelle ferite.
Saltiamo al 1988, sabato 30 gennaio. Alla Coop delle Celle, due portavalori sono assaliti da altrettanti malviventi mascherati che sparano tra la folla, con fucili a canne mozze. Una guardia privata, Giampiero Picello, 41 anni, di Ravenna, è uccisa, un suo collega ferito gravemente, altre cinque persone colpite, tra cui una bimba di nove anni raggiunta da pallini alla testa.
È una "nuova malavita senza volto" quella che si affaccia in città, scrive Il Ponte, sottolineando un particolare che sfugge alla cronache dei quotidiani, e che verrà confermato dalla indagini sulla banda riminese della "Uno bianca": "Il piano della fuga era stato predisposto con attenzione, utilizzando scappatoie che solo gente molto pratica della zona" poteva conoscere.
All'allarme che si diffonde in città, il questore di Forlì Francesco D'Onofrio risponde che sulla Riviera la malavita non è un'epidemia come a Palermo, anche se, ammette, la nostra è una zona "estremamente ricettiva ad accogliere una criminalità stanziale". Il vice-questore di Rimini Alessandro Fersini parla di "criminalità che viene da fuori e si muove disposta a portare a termine a qualsiasi prezzo un'impresa".
Le ultime vittime della banda, dopo i due senegalesi, sono Massimiliano Valenti, fattorino, 24 febbraio 1993, Zola Predona; Carlo Poli, elettrauto, 7 ottobre 1993, Riale (BO); Ubaldo Paci, direttore di banca, 24 maggio 1994, Pesaro. Il bilancio finale è di 25 morti e 10 feriti in 103 delitti. Esso non è geograficamente limitato alla nostra zona, per poter parlare soltanto di "Rimini nera".

È la solita storia. Quella delle storie di periferia che scivolano nel dimenticatoio perché le si crede secondarie, in base all'opinione alquanto ridicola che a far notizia dev'essere soltanto quanto accade nelle capitali o nelle grandi città.
Provate a guardare nei libri più famosi sulla recente storia italiana usciti in questi anni: non troverete una riga della vicenda della "Uno bianca". Una agente di Polizia, Simona Mammano, recensendo su Repubblica-Bologna il bel volume di Antonella Beccaria, nel 2007 ha scritto: "Una questione irrisolta per tutte: come è stato possibile che un commando di assassini potesse operare indisturbato per così tanto tempo?", concludendo: "Questa, dunque, è una storia scandita da errori, valutazioni sbagliate, depistaggi palesi e false testimonianze".
Nel 2003, Sandro Provvisionato su "L'Europeo" ha ricordato che il sostituto procuratore di Rimini Roberto Sapio fu "il primo a sostenere (non creduto)" che la banda fosse composta di gente in divisa.

Sapio era osservato da vicino. E minacciato dalla Falange Armata. Anche con un messaggio cifrato, come il richiamo ad un racconto di Poe, "La lettera rubata". Dove una missiva scomparsa nella casa di una gran dama è ritrovata sulla scrivania di un prefetto.
Nel 1995 si è discusso se la banda della "Uno bianca" fosse collegata a Gladio, come suggerivano i servizi segreti francesi. Smentiva Daniele Paci, il magistrato riminese che ha incastrato i sei feroci assassini della banda: "occuparsi dei servizi segreti o della falange, sarebbe come occuparsi dei marziani".
Sulla Falange Armata scrive Beccaria che nel 1994 essa è indicata da una informativa della DIGOS come un gruppo formato da uomini appartenuti al Sisde ed alla Folgore.
Nicola Mancino nel 1991 quale ministro dell'Interno la ritiene composta da "terroristi della disinformazione che lavorano in orario di ufficio".
Un sostituto procuratore romano parla di gente che ha piena disponibilità di una rete informativa all'intero dell'apparato pubblico. Le telefonate intercettate della Falange sono circa 500, delle quali 221 riguardano la banda della "Uno bianca". Tutte arrivano a fattaccio avvenuto.
Nel 1995 a Roma in Senato il prefetto di Forlì Raffaele Pisasale sembra non credere ad un'organizzazione a vasto raggio: "Voglio dire che mi sembra strano che una organizzazione, sia essa terroristica o mafiosa, non sia intervenuta in aiuto, non abbia tentato un qualche intervento".

Quella della "Uno bianca" non è soltanto una vicenda della Rimini nera, ma una pagina sconosciuta e misteriosa delle politica italiana. Come tante altre storie simili. Ridurla ad un fatto locale è una stranezza provinciale di chi, come l'editore, scambia il proprio ombelico per il centro del mondo.
A risolverla furono due poliziotti riminesi, Pietro Costanza e Luciano Baglioni, che da soli scoprirono i Savi. Il loro capo era Oreste Capocasa, attuale questore (ed ex compagno di corso nel 1979 di Antonio Di Pietro). "Dopo la vicenda dei Savi me ne sono successe di tutti i colori" confidò Baglioni a Simonetta Pagnotti di "Famiglia Cristiana", dichiarando che il vero errore della Procura di Bologna era stato di seguire la pista del "clan dei catanesi" e poi quella della "quinta mafia" del Pilastro.
Antonio Montanari


La vicenda tragica della "Uno bianca". Dalla Storia de "il Ponte" 1987-1996, riprendo una pagina del 1988.

L'anno si è aperto con la tentata rapina alla Coop delle Celle a Rimini, la sera di sabato 30 gennaio: due portavalori sono assaliti da altrettanti malviventi mascherati che sparano tra la folla, con fucili a canne mozze. Una guardia privata (Giampiero Picello, 41 anni, di Ravenna), è uccisa, un suo collega ferito gravemente, altre cinque persone colpite, tra cui una bimba di nove anni raggiunta da pallini alla testa. [24]
È una "nuova malavita senza volto" quella che si affaccia in città, scrive Il Ponte, sottolineando un particolare che sfugge alla cronache dei quotidiani, e che verrà confermato dalla indagini sulla banda riminese della "Uno bianca": "Il piano della fuga era stato predisposto con attenzione, utilizzando scappatoie che solo gente molto pratica della zona" poteva conoscere. [25] All’allarme che si diffonde in città, il questore di Forlì Francesco D’Onofrio risponde che sulla Riviera la malavita non è un’epidemia come a Palermo, anche se, ammette, la nostra è una zona "estremamente ricettiva ad accogliere una criminalità stanziale". [26] Il vice-questore di Rimini Alessandro Fersini parla di "criminalità che viene da fuori e si muove disposta a portare a termine a qualsiasi prezzo un’impresa". [27]

NOTE
[24] Cfr. A. M., La mala spara, la città in ginocchio, n. 6, 7/2/88.
[25] Cfr. L. Mari, Nuova malavita senza volto, n. 7, 14/2/88.
[26] Cfr. L. Mari, E il questore dice: "Rimini non è Palermo", n. 7, 14/2/88.
[27] Cfr. A. Montanari, Il giallo si addice alla costa, ultima puntata dell’inchiesta "Rimini come, viaggio dentro la città", n. 34, 11/9/88.
ARCHIVIO "Riministoria":
1. "Uno bianca", l'Italia "nera" dei misteri
Per Rimini un ruolo decisivo nelle indagini


2. La storia della banda della "Uno Bianca" in Antonio Montanari, IL PONTE 1987-96.

1987
La banda del racket che aveva preso di mira l’autosalone riminese di Savino Grossi, viene intercettata dalla polizia il 3 ottobre, mentre sta ritirando a Cesena sull’autostrada una valigetta piena di soldi. I banditi sparano contro la vettura di Grossi e l’auto-civetta del Commissariato di Rimini, colpendo tre agenti: Antonio Mosca (39 anni), Luigi Cenci (25), Addolorata Di Campi (22). Il Ponte si domanda: "dietro tutta la vicenda, c’è solo una richiesta di trenta milioni?". [77] Le cronache future registreranno a proposito di questo episodio la firma della banda della "Uno bianca". Antonio Mosca morirà nel 1989 in seguito a quelle ferite

1991
Malavita ed "Uno bianca"

È l'intera regione a vivere l'emergenza per l'ordine pubblico. A Bologna, dopo l'uccisione di due zingari il 23 dicembre '90, al quartiere Pilastro il 4 gennaio '91 vengono assassinati tre giovani carabinieri. A Torre Pedrera in aprile, una bomba molotov è lanciata contro un campo nomadi. A Rivazzurra tre carabinieri sono feriti durante un agguato che poteva provocare una nuova strage: i pallettoni usati provengono da un'armeria di Bologna, nella quale la proprietaria (Licia Ansaloni) ed il commesso (Pietro Capolungo, ex carabiniere), sono stati uccisi tempo prima. Due sparatorie avvengono a Rimini e a Cattolica, contro altrettanti cittadini campani.
A Riccione, il 6 luglio una rapina (fallita) all'ufficio postale di San Lorenzino ha il preludio nel lancio di una bomba, ed il seguito in un attentato a sette giorni di distanza, con il ferimento del direttore di quell'ufficio, Aniello Di Martino, e di suo figlio. Sempre a Riccione, vanno a fuoco misteriosamente quattro ville.
Dopo che a Cesena il 19 giugno è stato ucciso il benzinaio Graziano Mirri di 55 anni (gli assassini viaggiavano su di una vettura Uno bianca rubata a Rimini), il sen. Libero Gualtieri, presidente della Commissione parlamentare stragi, ipotizza un'azione di destabilizzazione politica operata da "schegge impazzite di apparati statali". Anche i banditi che uccidono due senegalesi a San Mauro, la notte di domenica 18 agosto, sono a bordo di un'auto Uno bianca. Le vittime hanno 27 e 29 anni. Un altro loro connazionale, di 26 anni, resta ferito gravemente, ma si salverà. Subito dopo questo episodio, gli stessi assassini si accaniscono contro la vettura di tre ragazzi che stavano rientrando a casa a San Vito: soltanto uno di loro resta ferito.
Le forze dell'ordine arrestano alcune persone di Cervia e Forlì, ritenedole coinvolte nella banda dell'"Uno bianca". Ma è un buco nell'acqua. Intanto al magistrato riminese Roberto Sapio viene rivolto, tramite l'agenzia giornalistica Ansa di Firenze, "un messaggio fra il beffeggiante e l'ironico", con il quale lo si invita "a leggersi un racconto di Edgar Allan Poe nel quale, oltre ad essere descritto un fallimento della magistratura, si ricorda che spesso la soluzione è più vicina di quanto si pensi. Insomma, i malviventi sarebbero ancora liberi e così tranquilli da permettersi il lusso di rischiare". Sapio, per avere lumi, si rivolge ad un semiologo. La telefonata all'Ansa presenta dei particolari che, letti a distanza di anni, si rivelano rispondenti alla realtà: la banda aveva la sua base a Rimini.
Nel '90 Rimini ha registrato un primato in Romagna per le rapine, una ogni quattro giorni. La città fa (ed ha) paura: di riminesi "in guerra, da soli, contro il crimine", parla l'avv. Stefano Cavallari. Secondo l'on. Franco Piro, presidente della Commissione Finanze alla Camera, Rimini è una "città piuttosto appetibile per gli interessi mafiosi". E fa alcuni nomi di ‘catanesi' che, per ottenere la residenza, avrebbero ricattato la Giunta riminese, la quale respinge le "illazioni" del deputato socialista. Piro prima riceve alcune querele, poi subisce nell'abitazione riminese un furto di documenti ed infine si dimette dall'incarico parlamentare, per motivi psico-fisici.
Il procuratore capo Franco Battaglino illustra la situazione della Giustizia riminese: quella civile "è ormai morta, quella penale moribonda". Fra procura e tribunale, mancano quattro magistrati. In maggio arriva Daniele Paci, 32 anni, come uno dei vice di Battaglino: legherà il suo nome alle indagini sulla banda dell'"Uno bianca". I processi sono in continuo aumento, come i reati: i più frequenti sono quelli finanziari, i furti (2.500 nel '90) e quelli legati alla droga. Sempre più spesso risultano coinvolti i giovani di età inferiore ai 25 anni.
Rimini ha anche un triste primato, legato alla situazione turistica, per i morti da overdose. La statistica del '91 rileva diciassette decessi, due in meno dell'anno precedente.
NOTA
Cfr. Giorgio Tonelli, Cosa sta succendo a Bologna, n. 2, 13/1/91; Non è solo microcriminalità, n. 17, 5/5/91; La Settimana, n. 3, 20/1/91 e n. 27, 21/7; Tama, "Italia modello Rimini", n. 30, 25/8/91; M. Forcellini, Quella ‘falange' romagnola, n. 25, 30/6/91; Id., Un'auto di terrore, n. 26, 7/7/91; Una base terroristica in Romagna, n. 30, 25/8/91; M. Forcellini, Dov'è la ‘falange' armata?, n. 33, 22/9/91; M. Tassinari, Il degrado è sempre più evidente, n. 11, 17/3/91; Una molotov sociale, L'ombra del razzismo sulla Riviera, e M. Tassinari, Malviventi più giovani… e depenalizzati, n. 15, 21/4/91 (sui reati finanziari, vedi Id., Malavita in colletto bianco, n. 28, 28/7/91); Id., Ai limiti della vivibilità, n. 27, 21/7/91; M. Forcellini, Rimini alla malavita, n. 30, 25/8/91; La Settimana, n. 31, 1/9/91 e n. 32, 8/9; M. Forcellini, Quando il benessere fa paura, e F. Semprini, Ordine pubblico: un problema preso sottogamba, n. 18, 12/5/91; La Settimana, n. 20, 26/5/91; N. Concolino, Tante piste di fuoco, n. 23, 16/6. Sul racket, vedi Tama, Scuole di pensiero, n. 33, 22/9/91. Per l'AIDS, si registrano questi dati: 76 decessi dal 1986, 2.500 sieropositivi e 125 casi conclamati: cfr. La Settimana, n. 44, 8/12/91. Vedi pure AIDS, la risposta di San Patrignano, n. 30, 25/8/91.

1994. La "Uno bianca"
Un’altra pagina di cronaca giudiziaria riminese finisce sulle prime pagine dei giornali nazionali. È la storia della banda della "Uno bianca". "Ha 40 anni e dal 1976 lavora alla Centrale operativa della Questura di Bologna: Roberto Savi, verucchiese" è uno dei presunti killer della banda che per quattro anni ha seminato morte e terrore in Emilia-Romagna e Marche, 105 delitti, 17 morti e 10 feriti fra il 1987 ed il 1994.
Lo arrestano lunedì 21 novembre notte. Poi finiscono in manette altri quattro agenti della Polizia, e i due fratelli di Roberto Savi, Fabio ed Alberto (ex poliziotto). Coinvolta (marginalmente) anche la compagna rumena di Fabio, Eva Mikula, un personaggio rimasto misterioso sino alla fine delle indagini: sapeva, e perché non ha parlato? Lei si difende dicendo di aver temuto di essere uccisa. [10]
Nel 1997 la vicenda della banda approda, a Bologna, a tre ergastoli per Fabio e Roberto Savi, e due per Alberto. Stessa sentenza per l’agente Marino Occhipinti, e diciotto anni ad un altro poliziotto, Pietro Gugliotta. Il ministero dell’Interno, ritenuto "responsabile civile", dovrà risarcire i parenti delle vittime. Chi c’era dietro la banda? La magistratura bolognese esclude che i Savi avessero coperture o protezioni "in alto". Resta però il dubbio sul perché di una così ripetuta e gratuita ferocia.
NOTA
[10] Cfr. i servizi nei nn. 43, 27/11/94; 44, 4/12; 46, 18/12. Gli sviluppi sono in "Società" 1995.

1995
Alla sbarra la banda Savi

Per tutti i mesi dell'anno la cronaca si deve occupare della vicenda della banda della "Uno bianca". A gennaio si discute se i Savi fossero stati legati all'organizzazione Gladio, in base a voci attribuite ai servizi segreti francesi: "nessun mistero" sostiene il magistrato riminese Daniele Paci "che ha incastrato i sei feroci assassini" della banda, "occuparsi dei servizi segreti o della falange, sarebbe come occuparsi dei marziani".
Intanto Eva Mikula posa come fotomodella su "Venerdì", con l'autorizzazione del "Comando Operativo della Polizia", come precisa una piccola didascalia. Lei dichiara: "Sexy? Non posso esagerare finché c'è il processo". Silvestri s'interroga sul Ponte: "C'è un limite?". La giovane è assolta dall'accusa di importazione di armi da guerra. È invece condannata a sei mesi per furto di 40 milioni ai danni dell'ex amante Fabio Savi.
La relazione affidata dalla Commissione parlamentare "stragi" all'ex magistrato Antonio Di Pietro, sottolineerebbe errori nelle indagini, mancanza di una strategia investigativa e di collegamenti con gruppi eversivi. Inizia il processo riminese alla banda. [12]
[12] Cfr. la cronaca nel n. 3, 22/1/95; M. Tassinari, Savi, nessun mistero, n 11, 19/3; Tama, n. 13, 4/4; P. Silvestri, Stampa e Mikula: c'è un limite?, n. 29, 6/8; La Settimana, n. 16, 30/4; ed i servizi nei nn. 20, 28/5; 25, 2/7; 27, 23/7; 28, 30/7; 36, 15/10; 37, 22/10; 41, 19/11; 42, 26/11; 43, 3/12; 45, 17/12; e 46, 24/12. (A più riprese in queste note torna il dilemma: malavita soltanto, oppure eversione?)

1996
Un testimone, ex ispettore di Polizia, rivela di aver saputo da Alberto Savi che dietro la loro banda c’erano i servizi segreti. Lyubisa "Manolo" Urbanovic , del quale ci siamo occupati nelle cronache del 1990, sostiene di esser stato liberato dal carcere di Rimini in quell’anno, grazie all’aiuto dei poliziotti della "Uno bianca".
Il processo riminese alla banda dei Savi si conclude con la condanna all’ergastolo per tutti i tre fratelli, e tredici anni per Pietro Gugliotta.
Nel 1990 scrivevamo:
A Rimini è legata indirettamente anche la storia di Lyubisa "Manolo" Urbanovic (28 anni). Arrestato a Riccione per un furto d’auto, fornì false generalità e non fu riconosciuto, mentre era ricercato per rapine, stupri, omicidi. Venne rimesso in libertà. E in grado di uccidere ancora: a suo carico la Giustizia pone otto morti. Così, "il ‘grande’ delinquente (che uccide lontano dalla Riviera), finisce nelle statistiche della nostra ‘piccola’ criminalità, a causa di un furto d’auto". [10]
[10] Cfr. La Settimana, n. 27, 29/7/90, n. 17, 13/5 e n. 32, 23/9; A. Montanari, Malavita in Riviera per tutte le stagioni, n. 37, 28/10; Id., Mafia s.p.a. sulla Riviera, n. 38, 4/11; Tama, Vista, n. 33, 30/9; e La Settimana, n. 18, 20/5. Urbanovic viene arrestato poi in Iugoslavia: cfr. La Settimana, n. 3, 20/1/91.

Citazioni riprese da: Antonio Montanari, IL PONTE 1987-96.

La lapide esistente alle Celle con la data sbagliata che io riportai nel volume su "il Ponte" 1987-1996.



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2550, 26.01.2018, 09:30//01.02.2018