il Rimino 2018

Sigismondo difeso da Garattoni
Lettera apparsa sul "Corriere di Rimini", 21.05.2018

La "genuina anima religiosa" del Tempio malatestiano è ribadita in un volume ad esso intitolato, prezioso ma dimenticato, apparso nel 1951 dopo il restauro postbellico chiuso l'anno prima, del canonico riminese don Domenico Garattoni (1877-1967). Intellettuale raffinato, egli debutta nel 1896 con una raccolta di versi in cui leggiamo anche l'incontro con una "vezzosa e pia" monaca apparsa tra i cespugli di una siepe come "un bocciuol fresco di rosa".
Fu seguace di don Romolo Murri e del suo movimento democratico-cristiano, poi aderì al fascismo (1922) come lo stesso Murri (sospeso 'a divinis' nel 1907 e scomunicato nel 1909). Nel 1922 Garattoni fu costretto a dimettersi da direttore del settimanale cattolico "L'Ausa". Considerò il movimento di Mussolini una reazione sana ed accettabile alla violenza socialista. (Cfr. P. Donati, E. Grassi, P. Grassi, G. Tonelli, 2015.)
Nella prima parte del volume intitolata "Tempio diffamato quanto famoso", Garattoni ripercorre criticamente, togliendo loro ogni credito storico, le opinioni che ne fanno un monumento eroico, erotico ed eretico.
Per difendere la natura cristiana del Tempio, Garattoni attacca papa Pio II che aveva scomunicato Sigismondo per motivi non religiosi ma politici, volendo insediare a Rimini un nipote, Niccolò Piccolomini. Favole e frottole, Garattoni definisce gli attacchi al Tempio che è "genuinamente sacro e cristiano nel suo contenuto", ed ispirato alla filosofia degli Umanisti che con essa "abbracciavano tutto lo scibile, tutta la cultura dello spirito, con la quale ambivano sollevarsi al disopra del volgo". Per Alberti aggiunge: era prete, canonico, priore, prelato ed abbreviatore apostolico negli uffici pontifici, e non fu mai accusato o sospettato di eresia.
Circa l'accusa di tempio erotico, Garattoni ricorda che "di Isotta nel Tempio non vi è che il suo sepolcro". Isotta fu donna "gentile e forte, animosa e saggia", che calmò le terribili tempeste di Sigismondo, uomo "feroce". L'amore di lei fu una fortuna per lui, ma "per essa fu sacrifizio".
Il volume si chiude ricordando la distruzione bellica del Tempio e la sua ricostruzione, con sullo sfondo l'immagine del dolore della Storia: "Chi ci ha liberati ha lasciato qui, in questa terra di Romagna, migliaia dei suoi morti che noi religiosamente custodiremo. Sangue versato, vite immolate, nulla di più sacro per riconciliare, affratellare" popoli che si erano combattuti.


Precedenti lettere mie sul tema, pubblicate dallo stesso quotidiano:
Lettere malatestiane.

Antonio Montanari



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