Post segnalati Blog Stampa, 2007

Post segnalati Blog Stampa, 2006-2010

Un'esperienza indimenticabile

04/01/2007
La giacca di Prodi
Romano Prodi, simpaticamente accusato ieri dalla Stampa di non aver mai cambiato giacca da sci nel corso degli ultimi dieci anni, ha scritto oggi al giornale promettendo di mutare la sua tenuta da uomo delle nevi: «... ho potuto constatare che in dieci anni la tecnologia delle giacche a vento a difesa dal freddo è molto migliorata: prima di tornare a sciare rinnoverò quindi il mio guardaroba e lo renderò più riformista».
Prodi proviene da un ambiente culturale e geografico che una volta considerava il cambiar giacca un grave peccato politico. Il voltagabbana in Emilia e in Romagna non è mai stato tanto simpatico. Anzi è sempre stato considerato un traditore.
Rendendo il suo guardaroba più riformista dove sceglierà: più a destra o più a sinistra? Ritorna il tormentone della canzone di Giorgio Gaber.
Per essere «riformista» chi «tradirà»: Rutelli o Fassino?
Con l'augurio che non si possa mai dire: sotto quella giacca (nuova) niente.

23/01/2007
Perlasca di Romagna
I trentanove ebrei che Ezio Giorgetti ospitò nel suo albergo a Bellaria dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, riuscirono a salvarsi grazie a carte d'identità fornite loro da Virgilio Sacchini (1899-1994).
La vicenda ci è rivelata per la prima volta dalla dottoressa Patrizia Sacchini D'Augusta, nipote di Virgilio. Suo nonno in quei giorni era Commissario Prefettizio del Comune di Savignano sul Rubicone: «Era fascista, ma era anche un uomo buono ed estremamente generoso (con la sua Industria di Legnami e Imballaggi, prima che gli eventi bellici la distruggessero, aveva dato lavoro a tanti Savignanesi ed era un padrone che rispettava profondamente gli operai) ed è per questo che né lui né gli altri membri della sua famiglia furono oggetto di ritorsioni da parte dei partigiani del luogo».
Virgilio Sacchini mise al corrente del suo intervento a favore degli ebrei 'bellariesi' soltanto il proprio figlio Marino.
Ascoltiamo ancora la dottoressa Patrizia Sacchini: «La storia mi è stata raccontata diversi anni fa da mio padre, Marino Sacchini, prendendo spunto da un articolo comparso sul Corriere di Rimini (29/09/1994). Alla fine della guerra mio nonno, Virgilio Sacchini, nato a Savignano sul Rubicone il 26 dicembre 1899, Cavaliere della Corona D’Italia, confidò a mio padre di avere aiutato quel gruppo di ebrei, nel 1943, a fuggire e a raggiungere il Meridione. Si diceva felice che tutto avesse avuto termine, poiché aveva messo a repentaglio, con il suo gesto, la sicurezza della sua famiglia».
Prosegue la dottoressa Sacchini: «Ezio Giorgetti (che, attraverso un amico comune, il Sig.Bertozzi, conosceva mio nonno) ottenne da mio nonno le famose carte d’identità in bianco che nel recente articolo pubblicato dal Corriere di Rimini in data 22/01/2007 risulterebbero essere state fornite dal Segretario Comunale di San Mauro Pascoli, Sig. Alfredo Giovanetti. Le carte d’identità appartenevano al Comune di Savignano sul Rubicone e mio nonno, pur correndo un serio pericolo, per il ruolo che ricopriva, non esitò a metterle a disposizione del gruppo di ebrei. Non so se questo fatto fosse noto al Maresciallo Osman Carugno, al Sig. Giovannetti e a Don Emilio Pasolini, immagino che mio nonno avesse chiesto e ottenuto la garanzia del riserbo assoluto attorno al suo gesto. Mi fa immenso piacere offrire questo piccolo contributo alla vostra ricerca. Ricordo mio nonno sempre con tanto affetto e, da convinta antifascista, lo ringrazio di aver contribuito alla salvezza di quel piccolo gruppo di ebrei».
A parlare di carte d'identità fornite ad Ezio Giogetti da Alfredo Giovanetti fu la moglie dello stesso Giorgetti, Lidia Maioli nel volume curato da Bruno Ghigi nel 1980, «La guerra a Rimini», pag. 321.

08/02/2007/
Tagli alle pensionate
Finalmente giustizia è fatta!
Alle pensioni di reversibilità versate alle vedove di dipendenti statali, è stato imposto un taglio del dieci per cento.
Essendo io il pensionato statale, tocco... ferro, e mi auguro lunga vita.
Ma ai signori che governano e che ho lietamente votato, dico: attenzione, non fateci fessi, perché noi elettori possiamo e sappiamo vendicarci.
Se avete bisogno di soldi, andate a stanare gli evasori fiscali dai quali siamo circondati, e non rapinate le già scarse nostre sostanze.
Per il momento vergognatevi.
Per il seguito non voglio dirvi pentitevi, perché non voterò mai a destra. Ma forse non voterò la prossima volta. State dimostrando che è del tutto inutile scegliere un partito, una linea, un programma.

02/04/2007
Se piangi, se ridi

Se piangi, se ridi... diceva una canzone di successo. Ognuno ha i suoi buoni motivi per scegliere una delle due strade emotive.
Elisabetta Gardini era allegra giovedì 29 marzo e confidava le ragioni del suo buonumore: «Il presidente ci ha come resettato il cervello. Ripulito, ecco».
Sentir dire una signora che era lieta perché le avevano ripulito il cervello, lasciatemelo dire, fa un certo effetto. Ancor più che se lo avesse proclamato un distinto signore afflitto dal mestiere di portaborse.
Lei, che è una portavoce, fa degnamente il suo mestiere. Le dicono di ripetere a pappagallo una certa cosa, e lei obbedisce. Come darle torto? Pur tuttavia, non mi convince la signora Gardini quando batte i tacchi (a spillo), allunga le mani sui fianchi stando sull'attenti e sembra l'incarnazione aggiornata del credere ed obbedire che una volta (anticamente) era di destra, poi in tempi più recenti anche di sinistra, all'epoca dei trinaraciuti su cui scherzava Giovannino Guareschi.
Più emozionante il pianto di ribellione con cui Katia Zanotti al congresso bolognese della Quercia, ha sigillato il suo addio ad un partito che lei guardava mirando alla base e non al vertice come la sua collega Gardini.
Sono storie diverse, Katia Zanotti si farebbe fucilare prima di dire (o soltanto pensare) quello che invece rallegra Elisabetta Gardini. La quale non discute su nulla, il partito sta nella volontà del capo che guida e resetta i cervelli.
Peccato che la portavoce di Berlusconi dimentichi che, mezzo secolo fa, l'accusa di portare i cervelli all'ammasso, era proprio diretta a quei «cumunisti» che il cavaliere vede dovunque. Accusa che adesso può attribuirsi anche ai suoi seguaci. Se ci pensa bene, guardandosi allo specchio, dopo le parole della sua portavoce, Berlusconi può pure lui definirsi un «cumunista». Ed essere soddisfatto di incarnare governo ed opposizione. Prendi due e paghi uno.
Al supermarket della politica italiana, il pianto di Katia Zanotti (giusta o sbagliata che sia la sua scelta nel partito) fa intravedere un senso di umanità che spinge ad augurare alla signora Gardini d'andare a fare quattro chiacchiere con la collega di Bologna. Ma questa volta senza farsi resettare nulla.



10/04/2007
Prodi e Strada

La vicenda drammatica di Adjmal Naqshbandi, l'interprete di Daniele Mastrogiacomo ucciso dai talebani, divide Gino Strada da Romano Prodi.
Si ripete come sempre il dramma della Storia. Le ragioni dell'umanità soggiacciono a quelle della politica.
Le ragioni dell'umanità sono destinate a perdere, dovunque. Quella della forza non vincono mai, anche quando trionfano.
Quelle della politica non si sa se vincano o perdano assieme. La politica è l'inganno, la parola di meno o la parola di troppo. La storia è frutto e vittima di questo inganno. I politici alla fine hanno sempre ragione. Tuttavia nel tempo vincono soltanto le ragioni dell'umanità, non quelle dei leader o dei capi di governo.
A Mario Lozano, il soldato Usa che da un check point a Baghdad sparò contro l'auto dove viaggiavano Nicola Calipari (rimasto ucciso) e Giuliana Sgrena, i politici hanno insegnato che se non uccidi ti uccidono.
Lui ha eseguito, ha obbedito: «Se esiti, torni a casa in una bara. E io non volevo tornare a casa in una bara. Ho fatto quello che avrebbe fatto qualunque soldato al mio posto».
Poi con una terribile osservazione tutta politica cambia discorso a proposito di Giuliana Sgrena: «Sono sicuro che la sua vita non è come la mia: lei fa i soldi, è famosa».
Sembra di ascoltare un commento tutto italiano.
Stamani l'articolo di Giulietto Chiesa sulla Stampa terminava con queste parole a proposito di Gino Strada: «Ugo Intini ha detto che "Gino Strada è un uomo esasperato"», un po' meno volgare di Berlusconi che parlò di un "chirurgo confuso"».



18/04/2007
Quell'Ulivo che fine farà?

Nei giorni di vigilia decisivi per le future sorti del Partito democratico, con lo svolgimento degli ultimi congressi di Quercia e Margherita, forse sono troppi i conti in sospeso per poter sperare in una serena gestazione della nuova formazione. La quale dovrebbe raccogliere con entusiasmo riformisti e moderati, insomma una specie di matrimonio d'interesse fra diavolo ed acqua santa, del tutto improbabile se non addirittura improponibile dal punto di vista logico. Ma si sa che spesso, nella storia e nella vita, non conta la logica. Talora vincono i buoni sentimenti ed in altre occasioni trionfa la capacità di reagire con durezza ai fatti che ci sono davanti.
I buoni sentimenti sono spesso causa di forti delusioni e fregature. L'esperienza di ognuno potrebbe farne un catalogo illuminante. Figurarsi se andiamo a vedere le vicende collettive. Una per tutte, lo sconforto che dopo tangentopoli ha coinvolto tante persone perbene che s'erano illuse con il programma riformista socialista craxiano, per superare l'eterno dualismo fra biancofiore e bandiera rossa.
Ma anche la durezza ha le sue controindicazioni ed i suoi gravi effetti collaterali. La storia politica italiana ne ha tanti esempi, riassumibili in quella frase ironica e drammatica al tempo stesso, che usava Pietro Nenni: «Alla fine c'è sempre uno più puro che ti epura».
Il centro-sinistra sta navigando faticosamente fra due scogli, quello della conservazione sostenuta dai moderati e quello della fuga in avanti (per usare formule vecchie ma spero comprensibili) di chi non vuole accettare lo status quo, l'immobilismo e l'inerzia. E dicendo di non stare al gioco, se ne esce dalla casa-madre non più sbattendo la porta ma avvertendo in anticipo con un significativo galateo: guardate che ce ne andiamo.
Un tempo i moderati avrebbero risposto deridendo come Togliatti fece con Vittorini. Oggi questo non basta più o non è più possibile. Oggi ai moderati, proprio in virtù della loro posizione che dovrebbe essere elastica e non dogmatica, tocca il compito certo difficile di comprendere che il dissidente di casa propria non è un eretico, che la sua fuga indebolisce la possibilità di una gestione «ulivistica» (insomma, tutti assieme appassionatamente), e che si fa soltanto il gioco politico di una destra litigiosa, senza idee, in affanno costante per barcamenarsi tra il peronismo berlusconiano e la necessaria visibilità dei singoli leader delle piccole formazioni che però hanno grande capacità di ricatto. Come dimostra il fatto che nella discussione sulla riforma elettorale la soglia di sbarramento del 5 per cento è stata abbassata addirittura al 2 (cioè praticamente a zero) per non scontentare nessuno.
Nelle settimane che passeranno tra gli ultimi congressi di Quercia e Margherita per arrivare alla fase costituente del Partito democratico, le ragioni dei dissidenti dovrebbero trovare ascolto, non per patteggiare alcunché ma per comprendere la posta in gioco (drammatica) che richiama in un certo senso quella del primo dopoguerra del secolo scorso.
Nel 1920 socialisti e popolari vinsero elezioni comunali e provinciali, dopo che nel 1919 la vecchia maggioranza liberale era passata da 310 a 179 seggi. Nel 1919 socialisti e popolari ebbero 257 seggi contro i 251 degli altri partiti. Nel 1921 i socialisti persero 33 seggi, di cui 15 andarono al pci. I popolari con 108 seggi (+7) ed i fascisti al debutto con 35, furono collegati nel blocco nazionale che raccolse in tutto 274 deputati. Gli agrari scelsero l'aiuto dello squadrismo, e poi l'uomo di Predappio fece la marcia su Roma in carrozza letto.
Era lo stesso ottobre 1922 in cui i riformisti furono cacciati dal partito socialista. Si chiamavano Turati, Treves e Matteotti. Il quale nel 1924, dopo aver denunciato le illegalità e le violenze compiute dal governo a danno dell'opposizione, fu rapito ed ucciso.
Oggi i contesti sono fortunatamente diversi. Ma resta la lezione. I dissidenti non hanno torto per principio. Soprattutto oggi che la regola della discussione democratica dovrebbe essere rispettata dai partiti per primi. Soprattutto da quelli che debbono ancora costituirsi.

23/04/2007
Tra Parigi e Roma

La Roma politica che ruota attorno al governo ed al nascituro Partito democratico, avrebbe potuto ricavare una tranquilla lezione ammonitrice dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi, se madame Ségolène Royal avesse avuto più di quel 25,84% dei voti che ha conseguito. Un risultato che tuttavia supera quasi di un punto quanto le accreditavano i sondaggi.
Invece a Roma si danno le solite contraddittorie interpretazioni come ai tempi del «Candido» di Giovannino Guareschi, con il «visto da destra» ed il «visto da sinistra». C'è una sola differenza. Adesso, le opposte valutazioni del voto francese sono all'interno dello stesso Pd, non in schieramenti concorrenti. A Parigi l'ago della bilancia si mostra il centro di Bayrou. A Roma nel Pd il centro rutelliano che guarda a Bayrou, fa da bastiancontrario rispetto all'ala fassiniana che plaude a Ségolène Royal. Dunque, una tipica situazione da «fratelli coltelli».
Osserva il sociologo della politica Alain Touraine nell'intervista di stamane fattagli da Domenico Quirico: «Ségolène ha realizzato un buon colpo ma ora tutto dipende da Bayrou e dai suoi voti». Se il buon colpo di madame Royal si ripetesse nel ballottaggio e lei la spuntasse su Nicolas Sarkozy proprio grazie ai centristi di Bayrou, quali conseguenze si registrebbero in Italia nella gestazione del Pd, è facile immaginare.
Per Roma, se il centro francese risultasse determinante, sarebbe (forse, mi auguro di sbagliare) un indebolimento della nostra sinistra che guarda con simpatia a Ségolène Royal. Però, se madame perdesse e trionfasse Sarkozy, altrettanto probabilmente le cose andrebbero male per il nostro Pd.
Ci sarebbe sempre qualcuno pronto ad accusare il nome «socialista» della candidata quale causa della sconfitta.
Se entrambe le ipotesi (vittoria o sconfitta di madame Royal) non vanno bene per il partito Democratico italiano in gestazione, significa forse che, per chi ci crede, si preparano giorni meno sorridenti di quelli vissuti a Firenze ed a Roma durante lo scioglimento di Ds e Margherita.

26/04/2007
Bayrou e l'omlette romana

François Bayrou si farà un partito e lo chiamerà democratico, come quello di Prodi Rutelli e Fassino. I quali si troveranno così in un bel guaio.
Per restare centrista (o come osserva argutamente Domenico Quirico, per rimanere centrale nel gioco politico francese), Bayrou userà un'etichetta che a livello italiano indica però non soltanto il centro dell'elettorato moderato europeo, ma pure quella parte di sinistra che in Francia guarda a Ségolène Royal.
Dunque l'etichetta di Bayrou turberà alla fine ancor di più gli umori italici.
Già c'era stato un equivoco tra Ségolène Royal e Prodi. Lei dice che lui andrà domani venerdì a Lione. Lui risponde che non sa nulla poi aggiunge: le manderò una cartolina (in video).
Adesso insomma le cose francesi rischiano di spaccare altre uova nella casa «democratica» in costruzione a Roma. Ovvero una bella frittata.
Non so se la traduzione di omlette renda l'idea, ma la sostanza è quella. (I francesi hanno l'equivalente della nostra frase «rompere le uova nel paniere»?)
Comunque la morale della favola è questa. Quando parla il centrista francese Bayrou s'agita il centrista italiano Rutelli, anche perché Bayrou tratta male Berlusconi.
Al quale i «democratici» nostrani di governo stanno invece guardando con simpatia per l'affare Telecom.
Bayrou ha accusato Sarkozy d'avere «qualche somiglianza» con Berlusconi, quasi ricalcando il discorso fatto il giorno precedente da madame Royal. Per la quale, Sarkozy «vuole un'Europa che non vogliamo, un'Europa ultraliberale alla Berlsuconi».
In tal modo pure madame Royal inquieta i colleghi-compagni romani mentre questi pensano appunto al Cavaliere come salvatore della Patria nel campo nella telefonia nazionale.
Quando Fassino e Prodi guardano verso Parigi, tremano. Come quando tengono d'occhio i loro dissidenti interni, in fuga verso l'appuntamento di domenica prossima, detto degli «Uniti a sinistra». (Diceva Totò: «Ma mi faccia il piacere!».)
Intanto si pensa alla gestazione del Pd nostro non di Bayrou. E si cerca di capire il senso di quel motto «una testa - un voto».
A me sembra l'eco della discussione avvenuta nel 1789 agli Stati generali francesi, sul voto non per «ordine» ma appunto per testa.
Quello per «ordine» avrebbe favorito nobili ed ecclesiastici. Il voto per testa avrebbe fatto invece trionfare il «terzo stato», quello da cui nasce tutto quanto succede poi.
Venendo all'oggi, i partiti hanno sostituito gli «ordini» dell'antico regime.
La proposta è di votare non secondo i partiti (cioè la loro consistenza parlamentare odierna), ma secondo le «teste» degli elettori che s'iscriveranno alle primarie a venire del Pd.
Tornando alle storie parallele di Parigi e Roma: Bayrou dimostra come perdendo le elezioni non si abbandoni la speranza di condizionare il quadro politico.
Se vivesse in Italia, lo chiamerebbero Andreotti.

23/04/2007
Tra Parigi e Roma

La Roma politica che ruota attorno al governo ed al nascituro Partito democratico, avrebbe potuto ricavare una tranquilla lezione ammonitrice dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi, se madame Ségolène Royal avesse avuto più di quel 25,84% dei voti che ha conseguito. Un risultato che tuttavia supera quasi di un punto quanto le accreditavano i sondaggi.
Invece a Roma si danno le solite contraddittorie interpretazioni come ai tempi del «Candido» di Giovannino Guareschi, con il «visto da destra» ed il «visto da sinistra». C'è una sola differenza. Adesso, le opposte valutazioni del voto francese sono all'interno dello stesso Pd, non in schieramenti concorrenti. A Parigi l'ago della bilancia si mostra il centro di Bayrou. A Roma nel Pd il centro rutelliano che guarda a Bayrou, fa da bastiancontrario rispetto all'ala fassiniana che plaude a Ségolène Royal. Dunque, una tipica situazione da «fratelli coltelli».
Osserva il sociologo della politica Alain Touraine nell'intervista di stamane fattagli da Domenico Quirico: «Ségolène ha realizzato un buon colpo ma ora tutto dipende da Bayrou e dai suoi voti». Se il buon colpo di madame Royal si ripetesse nel ballottaggio e lei la spuntasse su Nicolas Sarkozy proprio grazie ai centristi di Bayrou, quali conseguenze si registrebbero in Italia nella gestazione del Pd, è facile immaginare.
Per Roma, se il centro francese risultasse determinante, sarebbe (forse, mi auguro di sbagliare) un indebolimento della nostra sinistra che guarda con simpatia a Ségolène Royal. Però, se madame perdesse e trionfasse Sarkozy, altrettanto probabilmente le cose andrebbero male per il nostro Pd.
Ci sarebbe sempre qualcuno pronto ad accusare il nome «socialista» della candidata quale causa della sconfitta.
Se entrambe le ipotesi (vittoria o sconfitta di madame Royal) non vanno bene per il partito Democratico italiano in gestazione, significa forse che, per chi ci crede, si preparano giorni meno sorridenti di quelli vissuti a Firenze ed a Roma durante lo scioglimento di Ds e Margherita.

06/05/2007
Politica all'azoto

Ieri era scontro. Un giornale lo indicava fra Berlusconi e Prodi. Un altro quotidiano fra Rutelli e lo stesso Prodi.
La causa del contendere con il signore di Arcore, è la legge sul conflitto d'interessi. Con il leader della Margherita, la questione dell'Ici sulla prima casa. L'uomo di palazzo Chigi ha detto no alla sua abolizione.
Scontro? Va a finire che si è trattato soltanto di un errore di stampa. E che tutto il problema (sia con gli amici sia con l'oppositore) si ridurrà nel trovare la strada dello «sconto». La solita maniera di evitare appunto gli scontri. E di mettere tutti d'accordo abbassando i prezzi. Con gli alleati nel governo e con gli avversari in parlamento.
Bisogna capirli. Berlusconi conta soltanto nei comizi quando può sfoderare il suo repertorio. Prodi sa in scienza e coscienza che il conto alla rovescia non riguarda la sua amabile persona, ma il discorso politico di una maggioranza in debito di ossigeno al Senato ed agitata dalla gestazione del Partito democratico con annesse partenze di personaggi di rilievo.
Dei due sta meglio Prodi. Che conosce il messaggio con cui ad ogni nuovo papa la Chiesa ricorda la vanità delle cose terrene: mentre brucia uno stoppino, si pronuncia la frase «Sic transit gloria mundi».
Berlusconi invece si crede ancora l'ago della bilancia della «sua» destra, ovvero di tutta la destra nel Paese. Ma non c'è più l'ago e qualcuno (Casini?) gli ha nascosto persino la bilancia.
Al supermercato della politica, se Prodi fa lo sconto al cavaliere, ne riceve uno pure lui per sopravvivere fino alle prossime elezioni (fra quattro anni).
Anche la questione del conflitto d'interessi sembra la vecchia storia dell'ammuina: ci muoviamo per far paura al nemico. E Berlusconi deve urlare, sbraitare, imitare se stesso per far vedere che in casa sua comanda lui.
Intanto allegramente ossigeno ed azoto si scambiano le parti nelle rianimazioni ospedaliere. Credono di essere al governo.

15/05/2007
Cicoria & cicuta
Al posto del churchilliano «lacrime e sangue», Francesco Rutelli aveva riassunto i sacrifici di una vita ricorrendo ad una immagine più casareccia: «Siamo andati avanti a pane e cicoria».
Se i margheritini nostrani vorranno prestare troppo ascolto alle ragioni del moderatismo francese che ha vinto le elezioni con Sarkosy, tra breve saremo forse assordati da un nuovo slogan, meno rassicurante, non più autobiografico ma diretto agli avversari od ai più indocili fra i compagni di viaggio del nascituro Partito democratico.
Il motto che il centro del nuovo movimento potrebbe adottare, potrebbe essere ispirato ad una frase pronunciata proprio da Nicolas Sarkosy, e riportata stamani nell'editoriale di Barbara Spinelli sulla «Stampa»: «Non ho mai udito una frase assurda come il 'Conosci te stesso' di Socrate».
È una critica così sicura da non lasciar nessuno spiraglio aperto alla possibilità di discutere non di quello che sappiamo (o che presumiamo di sapere); e di quello che non sappiamo (in cui il povero Socrate riponeva il vero sapere).
È una critica che potremmo chiamare «assertiva e rancorosa», per usare le efficaci parole di Barbara Spinelli riferite a quella «battaglia di valori» che «non aspira a spiegare né a capire», a proposito del tema affrontato ieri a Roma nelle due piazze che manifestavano entrambe a favore della famiglia, ma chiedendo ognuna cose diverse.
Una piazza, con Berlusconi in testa o in coda non si sa, voleva meno diritti per tutte le singole persone che si pongano al di là delle formule canoniche del matrimonio religioso o civile.
L'altra chiedeva invece quei diritti senza danneggiare nessuno e senza abbassare il valore che ogni singolo individuo può esprimere nella propria esistenza, anche se non firma un registro ecclesiastico o di anagrafe in Municipio.
Il motto che potrebbe essere ispirato ai centristi italiani dalla destra di Sarkosy potrebbe essere questo: «Più cicuta per tutti».
Non dite che vaneggio. Ci sono tutte le premesse perché ciò avvenga. Silvio Berlusconi ha fatto un comizio.
Accusando la politica governativa di voler ridurre la Chiesa al silenzio. Come in Russia all’epoca del Baffone.
Accusando l’Unione di attaccare la Chiesa. Accusando in un certo senso i cattolici dell’Unione di una grave eresia perché ha stabilito che «non si può essere cattolici e stare a sinistra».
Ha parlato da teologo e non da politico. Aspettiamo la risposta dei teologi del consenso. Ovvero quelli ufficiali. (Lo benediranno senz’altro.)
A nome dei politici, gli ha già risposto Romano Prodi in preghiera a Stoccarda ad un raduno ecumenico: «Ho sempre pensato a un movimento politico in cui diverse radici filosofiche potessero convivere con obiettivi comuni e lavorare assieme per il futuro e non per il passato».
Appunto, le «diverse radici filosofiche». Sono quelle che non piacciono agli amici (italiani) di Sarkosy che rincareranno la dose contro Prodi, chiedendone la cacciata da palazzo Chigi.
Il vero bersaglio della Cei, ha scritto Curzio Maltese su «Il Venerdi» di «Repubblica» è proprio lui, il professore di Bologna. Il cattolicissimo Romano Prodi che a Roma un cartello indicava come «ammazzafamiglie».
Il senso dell’umorismo evidentemente non è una virtù da praticare, per cui temiamo che prenda piede da noi quello slogan «Più cicuta per tutti». Per tutti quelli che non la pensano come quelli che lo grideranno.

23/05/2017
Bullismo over 40
Un lettore mi ha chiesto di «spiegare» il bullismo. Non ho nessuna particolare preparazione per intervenire sul tema, se non l'esperienza personale maturata anche in un ambiente oggi al centro di non disinteressata attenzione, la scuola. Che nei tg si vuol far passare come un ricettacolo di malavitosi (in cattedra e sui banchi).
Quando avevo vent'anni (circa mezzo secolo fa) succedeva la stessa cosa. Un ragazzo scrisse una lettera al Corriere della Sera, alla pagina «Tempo dei giovani» per lamentare appunto la diffusione soltanto di cinismo, indifferenza, etc.
Ricordo che gli risposi per smentirlo, e che poi entrammo in cordiale corrispondenza privata. Lui mi scriveva da un carcere dell'Italia centrale.
Concordo con «Prussiano». I gesti e gli atti che lui elenca sono reati previsti dal Codice penale. E che come tali vanno trattati.
Condivido la sua ironia («In italiano si chiamano REATI, in inglese non saprei ...»).
Gli suggerisco di leggere sulla «Stampa» di oggi l'articolo di Alfio Caruso, che parte da questo assunto: «il crollo del congiuntivo nella lingua parlata» ha anticipato «il crollo delle piccole regole del nostro vivere quotidiano», per cui alla fine non c'è più distinzione fra le cose buone e quelle cattive.
Aggiunge Caruso:«Per acquisire la fluidità necessaria a onorare il congiuntivo da mattina a sera servivano la pazienza, la tenacia di schiere d’insegnanti e il rigore dei genitori. Finché la famiglia e la scuola hanno retto, finché ci sono stati padri e madri persuasi che l’insufficienza o la bocciatura del figlio non fosse addebitabile al malanimo dei professori e finché questi hanno creduto di esercitare una missione, non di svolgere un lavoro salariato, il congiuntivo è rimasto sulla breccia a ricordarci l’importanza della forma, la prevalenza del dovere sulla comodità».
In linea con la premessa di «Prussiano» e con le interessanti argomentazioni di Caruso, aggiungo che non c'è soltanto il bullismo scolastico, ma pure quello degli adulti over Un bullismo da capelli grigi, da gente che si presenta apparentemente «perbene». E che invece è molto lontana dall'immagine che essa diffonde attorno a sé.
Faccio alcuni esempi. Rigorosamente personali.
Due anni un mio sito fu chiuso dal gestore perché «qualcuno» gli fece scrivere una lettera da un legale, in cui falsamente mi si dichiarava inquisito per diffamazione in due sedi giudiziarie.
Dimostrato con atti legali che le notizie inviate al gestore erano appunto false, lo stesso gestore non ha riattivato il sito. Lo ha fatto tre mesi fa quando gli ho trasmesso foto di un giornale in cui quel «qualcuno» su nove colonne era dichiarato trasferito nelle patrie galere.
Secondo esempio. Alcune settimane fa in un blog che curo per un'istituzione pubblica locale, commento una notizia culturale in cui si dice che è stato ritrovato un antico manoscritto di cui non si avevano notizie dal 1790, etc.
Dimostro che quel manoscritto non era andato mai perduto, che se ne era parlato anche in un testo di dieci anni fa, che era registrato persino attorno alla metà dell'Ottocento in un indice tuttora esistente e consultabile su Internet.
Morale: pubblicamente sono aggredito da un funzionario del settore di cui parlo, perché avevo osato intervenire su un fatto che non è un argomento privato da amici al bar.
Infine. Qualche settimana fa ad un quotidiano locale arriva una mail segreta firmata che è pubblicata per sostenere che quanto da me scritto dieci anni fa (1997) è stato plagiato da un libro pubblicato... nel 2004. Il quotidiano rende noto soltanto lo pseudonimo del mittente, che per aver riscosso il credito della dignità della pubblicazione non dev'essere figura sconosciuta a chi ha reso nota quella mail. Spacciandola oltretutto come un libro apparso a stampa.
Ecco, questi sono atti di bullismo che conosco per esperienza personale, compiuti non da ragazzi in crisi d'identità ma da personaggi che sanno come 'lavorare' per maltrattare il prossimo, anche se poi a volte il gioco non riesce del tutto, e trovano sul loro cammino la Giustizia che li ferma almeno per un po'.
Ecco, questo bullismo da over 40 od over 50, è pericoloso quanto l'altro, ma soprattutto dimostra che la gestione delle cose pubbliche è sottoposta al vincolo mafioso dell'amicizia fra potenti. Per cui chi non partecipa al gioco (che ha pure le sue varianti da «scrivanie bollenti») è beffato e danneggiato.

23/06/2007
Riccione, spiaggia per sole donne
Beh, la storia della spiaggia riccionese per sole donne, sinceramente fa un po' ridere.
Non cancella storie antiche o moderne di seduzione, non distrugge miti o retoriche erotiche del bel tempo che fu. No, sprizza da tutti i pori (delle signore) il profumo di una graziosa operazione commerciale rivolta a preparare (come intitola oggi la Stampa) quell'«aparteheid alla romagnola» che forse un giorno non lontano ospiterà soltanto la ricca clientela araba che a Riccione fa gola da parecchio tempo.
E si sa come vanno le cose di questo mondo. La bagnante italiana traccia il solco, e poi lo difende quella medio-orientale, perché non si guarda in faccia a nessuno, soprattutto a chi portando parecchi soldi vuole un trattamento di favore, e la faccia la tiene ben velata.
Un razzismo alla rovescia dunque, che punisce gli uomini. Figuratevi se un giorno si venisse a scoprire che l'idea della spiaggia per sole donne è venuta ad un bagnino e non a sua moglie!

30/06/2007
Veltroni è già premier
Lungo messaggio alla Nazione, verrebbe da osservare per il discorso di Walter Veltroni. Ma l'ora e 40 minuti da lui impiegati rivelano il drammatico momento attraversato dal nostro Paese.
Veltroni ha parlato non da candidato ma da leader investito, da primo ministro non troppo in pectore, da uomo che sembrava uscire dal Quirinale dopo aver sciolto la riserva per l'accettazione dell'incarico.
Comunque la si pensi, non si può negare che abbia idee chiare e passo fermo.
Ha detto «Voltiamo pagina». Poi ha richiamo problemi che si sentono dibattere da 40 anni. Ne possiamo ricavare veramente la conferma che l'Italia è ad un punto morto proprio per quei politici a cui Veltroni ha dato la colpa di agire come «gruppi di potere» che cercano di attirare iscritti per «tornaconti di parte».
Mi ha convinto il punto in cui ha sostenuto che l'antipolitica non nasce dal cittadino che protesta, ma da chi soffia sul fuoco del populismo.
E di populismo e di idee vecchie ce ne sono in entrambi gli schieramenti, come Veltroni ha dimostrato in vari passaggi.
Se vincerà la corsa lui, dovrà far sì che anche nelle periferie del partito democratico i signori delle tessere e degli intrighi affaristici lascino il posto alle teste pensanti legate all'idea dell'interesse del Paese. Ci riuscirà?
Sottolineerei anche il passaggio in cui ha trattato della lotta alla precarietà per dare speranza ai giovani. Ed al Paese tutto, in fin dei conti.

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Post segnalati Blog Stampa, 2006-2010

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