il Rimino - Riministoria

Anche un libro per Sant’Andrea
Successo d’una festa
per ritrovare le origini comuni

Alla recente festa del Borgo Sant’Andrea, le manifestazioni artistiche e le occasioni gastronomiche sono state fortunatamente accompagnate da un’iniziativa libraria che salutiamo con la felicità di chi vive anche di carta, augurandole di proseguire nelle prossime edizioni come pare sia intenzione dei suoi promotori. Questi «Primi appunti» pubblicati da Luisè per conto dell’Associazione «Quei de Borg ad Sant’Andrea» tracciano un bilancio storico-geografico e lanciano un programma.

Cristina Ravara Montebelli riferisce degli scavi della scorsa estate per collocare in via Garibaldi l’arco dell’antica Porta Montanara. Elena Rodriguez tratta della chiesa dei Santi Andrea, Donato e Giustina. Simone Biondi, dello scavo archeologico nell’area dell’ex Consorzio Agrario. Ad Oreste Delucca, profondo conoscitore degli archivi riminesi, è toccato delineare un profilo del Borgo in età malatestiana, mentre Marco Sassi racconta i primi passi dell’archeologia riminese nel XVIII secolo attraverso le annotazioni del medico Giovanni Bianchi (conosciuto anche come Iano Planco).

Gli altri contributi sono di Gian Lodovico Masetti Zannini («Fatti, fatterelli e fattacci» dell’Ottocento), Ugo Ciavatti («Cinque ricordi brevi»), e di Gianfranco Fravisini che illustra la storia del luogo attraverso una serie di suggestive immagini fotografiche. Infine va detto che il libro si apre con alcune righe di Antonio Montanari a ricordo dello scomparso prof. Otello Pasolini, di cui Giovanni Tiboni rammenta nella prefazione il «prezioso contributo» offerto ai primi momenti organizzativi della gente di Sant’Andrea, a partire dal 1987.

Alle parole del libro ed alle memorie che esse richiamano anche grazie soprattutto agli scritti di Ciavatti e di Fravisini, si sovrappongo le immagini della manifestazione che ha ottenuto un successo sperato e giunto a conferma di uno sforzo organizzativo molto gravoso, che ha visto tutti impegnati per raggiungere uno scopo preciso: realizzare un’occasione d’incontro fra le persone, secondo quella dimensione d’amicizia e convivenza tranquilla che consideriamo spesso come caratteristiche definitivamente tramontate nella nostra epoca, e simbolo ideale di un tempo ormai andato.

Il successo della festa premia le intenzioni ed i progetti, fa bene sperare nel fatto che ancora siamo capaci di trovarci non soltanto per gustare un cibo o vedere una mostra, ma per godere della piccola (ma quanto rara) felicità di concorrere tutti, con un gesto, a creare un clima sereno, in cui le competizioni, le discussioni, le differenze di ogni giorno si sospendono non per il rispetto di un galateo impostoci, ma per desiderio di vedere anche sul viso degli altri quella serenità che desideriamo per noi, girando con la calma nella confusione che soltanto una festa collettiva può dare: per capire meglio, attraverso il rapporto con il nostro prossimo, anche la nostra realtà personale.

Questo era il mondo di una volta, in cui tutti ricordano solidarietà lentamente offuscate dal passare del tempo e dal diffondersi del benessere, spesso diventato purtroppo sinonimo di egoismo. Erano tempi non allegri, sotto tanti aspetti, quelli del passato. Nei quali però la speranza non cessava mai di confortare, ci dicono questi antichi personaggi che rivivono nei ricordi o ascoltiamo negli incontri nelle strade affollate, nella dolce baraonda di una festa che resta sospesa come fosse un film che, felici, vediamo proiettarsi davanti agli occhi. E se a qualcuno quegli occhi s’arrossano, vi dirà che è colpa del fuoco che cuoce la piada od un pollo arrosto. Non credetegli.


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854/24.10.2003