il Rimino - Riministoria

Il Santuario della Madonna delle Grazie
Un libro di p. G. Montorsi e di P. G. Pasini

Ai piedi del Colle del Paradiso, il santuario di Santa Maria delle Grazie domina dal Covignano la città. Il suo primo, umile nucleo risale al 1290. Cento anni dopo, nel 1394, papa Bonifacio IX approvò la fabbrica della chiesa che lungo i secoli ha subìto significativi interventi, l'ultimo dei quali può essere considerato il lavoro di restauro compiuto recentemente. Alla storia del sacro edificio ed a tutto quanto è accaduto nell'arco di tempo che ci separa dalla sua nascita, padre Giambattista Montorsi e Pier Giorgio Pasini hanno dedicato un pregevole studio, stampato dall'editore Pazzini per conto della ditta Valentini di Rimini.

Alla Madonna delle Grazie i riminesi si sono dimostrati sempre particolarmente devoti, con un sentimento che si è trasmesso di generazione in generazione. Dal Covignano lo sguardo della Vergine abbraccia la distesa della città. Proprio sotto il colle scorre, noiosa come il trapano di un dentista, l'autostrada che, giustamente, quarant'anni fa, Luigi Pasquini, inascoltato, proponeva di spostare dietro al Covignano.

Come fosse in antico l'immagine della città, lo sappiamo dalla nota formella del Tempio Malatestiano, nella quale Agostino Di Duccio ha 'ritratto' Rimini sotto il segno zodiacale del Cancro: «Lo scultore», osserva Pasini, «ha considerato il colle come una parte integrante ed un elemento caratterizzante della sua veduta. Giustamente».
Il bassorilievo è del 1454 circa, cioè trent'anni dopo che nella chiesa delle Grazie è stata collocata la nuova immagine della Madonna, dipinta da Ottaviano Nelli, e datata appunto attorno al 1425. I lavori approvati da Bonifacio IX nel 1394 furono ultimati nel 1396, mentre è di due anni posteriore il soffitto della chiesa. La quale allora aveva un'unica navata, corrispondente all'attuale destra.

La cronologia lasciata da padre Giovanardi (appassionato studioso delle carte d'archivio), è l'unica testimonianza sopravvissuta alla furia dell'ultima guerra, che distrusse i manoscritti conservati nel convento delle Grazie. Di quei testi antichi, le pagine di padre Gregorio Giovanardi sono una sintesi che rende possibile ricostruire la vicenda del santuario.

Padre Giovanardi ricorda che il primo ottobre 1430 la piccola chiesa fu consacrata dal vescovo di Rimini, l'agostiniano Girolamo Savio Leonardi, e dal suo collega del Montefeltro, Giovanni Secchiani, dei frati Minori. Una cronaca bolognese del 1580 ricorda l'evento, precisano che nel 1430 erano signori di Rimini i fratelli Galeotto Roberto, Sigismondo Pandolfo e Domenico Malatesti. (Lo erano diventati nel settembre dell'anno precedente, alla morte dello zio Carlo Malatesti: i tre erano figli naturali di Pandolfo III.)
Galeotto Roberto era un terziario francescano; fu principe mite e amante della cultura, poco adatto alle attività politiche. Dopo la sua morte (1432), la fama popolare lo beatificò, senza alcun riconoscimento ufficiale. La storia vuole che anche Roberto abbia concorso alle spese per la chiesa delle Grazie. Così come dimostra che, secondo quanto precisa Pasini, i signori di Rimini «avevano favorito e anzi fortemente voluto gli insediamenti religiosi sul colle: certo per 'spirito di devozione'; ma soprattutto, possiamo fondatamente sospettare, per impedire a rivali presenti e futuri di impadronirsi di un luogo strategicamente importante per il dominio della città. Già nel 1424, Carlo Malatesti aveva donato ai Francescani (che nel 1396 erano stati autorizzati a prender possesso della chiesa) sedici tornature».

Nel 1439 fu dipinto il Crocifisso su tavola, un tempo erroneamente attribuito alla Scuola riminese del Trecento, come osserva Pasini. Occorre saltare più di un secolo per vedere realizzato (1569) il presbiterio attuale. Negli anni immediatamente successivi i frati ricevono varie donazioni per edificare alcune cappelle, mentre la facciata attuale risale al 1580. Nel 1598 papa Clemente VIII transita dal Covignano, mentre è in viaggio per Ferrara: definisce «Paradiso terrestre» il nostro colle, dandogli un marchio di qualità tramandato felicemente ai posteri, e rimasto oggi per indicare la sua parte superiore, dove sorge Santa Maria di Scolca (attuale parrocchia di San Fortunato).

Nel ripercorrere le tappe della storia della chiesa, Pasini delinea alcuni elementi che riguardano la cultura religiosa e la spiritualità vissuta nel sacro edificio: «Si ha la sensazione che i Francescani giunti alle Grazie non apprezzassero particolarmente la troppo generica e forse troppo popolare devozione che circondava la preesistente immagine mariana e cercassero di indirizzare i fedeli verso un motivo più centrale della fede, più fondante ed essenziale. Nell'introduzione replicata di immagini del Crocifisso [...] si può individuare un tentativo di spostare l'attenzione verso la Croce e la Passione di Gesù, motivi caratteristici della spiritualità francescana».
Ma l'operazione non riuscì, prosegue Pasini, «o meglio riuscì parzialmente: la primitiva generica Madonna (il cui simulacro, tra l'altro poteva forse essere considerato rozzo o comunque arcaico) fu a poco a poco dimenticata, ma non sostituita dalla devozione per la Croce o per il Crocifisso, bensì per un'altra Madonna: quella dell'Annunciazione».

La «primitiva generica Madonna» è quella legata alla nascita dell'antica cappella del 1290, a sua volta collegata alla leggenda secondo cui nel 1286 un pastore (chiamato Rustico) formò da un tronco d'albero del Covignano un'immagine della Vergine, trasportata miracolosamente sino a Venezia dalle acque. A Venezia ancora oggi la si venera con il titolo di «Madonna di Rimini, o delle Grazie», nella chiesa di San Marziale.
L'osservazione di Pasini c'introduce al capitolo di padre Montorsi sulla «Catechesi al santuario», dove tutti i particolari artistici sono esaminati come espressioni di quelle intenzioni divulgative da «Bibbia dei poveri» che avevano un tempo le pitture le quali, quindi, oltre ad abbellire, servivano (soprattuto) per indottrinare i fedeli.

La scena dell'Annunciazione si ripete nella facciata trecentesca, nel quadro centrale di Ottaviano Nelli, negli affreschi che circondano l'arco, nel paliotto della prima cappella entrando, e nel cartiglio posto al centro del presbiterio. Al proposito, padre Montorsi osserva che il santuario potrebbe essere chiamato «dell'Incarnazione», perché l'Annunciazione ricorda appunto il mistero dell'Incarnazione: l'annuncio dato a Maria è l'annuncio di Cristo. «Non possiamo dimenticare», aggiunge padre Montorsi, che siamo in una chiesa francescana e per i francescani l'incarnazione non è solo voluta per la redenzione dell'uomo, come abitualmente si ritiene, ma soprattutto per la gloria di Dio e per il coronamento della creazione».
Gli affreschi del presbiterio illustrano la nascita di Maria, la sua presentazione al Tempio, la sua morte, assunzione al Cielo e glorificazione, e la presentazione di Gesù al Tempio. Gli affreschi accanto all'arco trionfale ricordano che Maria «è la mediatrice tra noi e Dio: a nome nostro eleva le mani a Dio [...], a nome di Dio ci accoglie maternamente sotto il suo lungo manto». Infine, gli affreschi della parete di sinistra ammoniscono a non offendere Maria, ad amarla per essere premiati, a pregarla per essere esauditi.

Tralasciamo altri particolari, per giungere alla conclusione di padre Montorsi: «Maria nella vita della Chiesa e nella nostra esperienza è quindi presente come Madre vigile ed amorosa, e con la sua assunzione e glorificazione ricorda la meta radiosa che ci attende».

Antonio Montanari

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