il Rimino - Riministoria


Una guerra così infame
LETTERA 89
marzo 2003
di Ettore Masina


I VOLTI E I NOMI. 1.

Due volti si sono riaffacciati alla memoria in questo mese di marzo, quasi scostando a fatica la soffocante cortina dei fumi neri su Baghdad, delle tempeste di sabbia nel deserto, dei pozzi in fiamme, delle bandiere senza onore che sventolano sui campi di battaglia.

Oggi, 24 marzo, ricordiamo (e siamo certamente milioni e milioni in tutto il mondo) il volto buono di monsignor Romero e il suo assassinio all'altare il giorno dopo avere chiesto ai soldati di deporre le armi; il 13 scorso abbiamo celebrato il ventesimo anniversario del martirio di Marianella Garcia Villas Mi sembrano due santi di straordinaria attualità.

Romero, ogni domenica, proclamava nella sua cattedrale, i nomi dei morti raccolti quella settimana nelle strade, nei campi, ai margini dei villaggi o delle periferie. Erano per lo più nomi sconosciuti di persone che avevano vissuto una vita umile, notissimi e cari soltanto alle madri, ai padri, alle spose e ai figli.

Nel recitare la tragica litania di quei nomi durante la messa, l'arcivescovo sembrava voler dire che essi erano scritti nelle profondità del mistero del Cristo crocifisso, nella gloria della sua resurrezione.

Molti di quei nomi glieli portava Marianella Garcia Villas. Poiché viviamo giorni di atroce dejà vu, mi permetto un'autocitazione:

«Nell'inferno degli anni '70 salvadoregni, accanto all'arcivescovo c'è Marianella Garcìa Villas. Del primo, continuiamo ogni anno a ricordare il martirio, com'è giusto e doveroso, della seconda, non si parla quasi più, probabilmente per una sorta di maschilismo inconsapevole che ci abita tutti, Chiesa compresa, teologi della liberazione compresi, movimenti popolari compresi - e compresi noi, bravi maschi solidali. (...)

Marianella, giovane dell'alta borghesia, deputata della democrazia cristiana salvadoregna, lasciato quel partito a causa di scelte politiche che a lei sembravano indegne perché tradivano i poveri, decise di dedicare tutta se stessa alla difesa dei minimi fra i suoi fratelli, fondando una eroica Commissione per i diritti umani.

Per cinque anni, dovunque, nel Salvador, si avesse notizia di un'uccisione o addirittura di un massacro, lì i componenti della Commissione -e Marianella prima fra tutti­ accorrevano, cercando di investigare sugli assassini e di identificare le vittime, perché almeno fossero consegnate al dolore dei parenti e non all'anonimia di una fossa comune.

Per farlo, bisognava innanzi tutto ricomporne i corpi: gli squadroni della morte praticavano la tortura come un'arte, le loro vittime le facevano a pezzi. Perciò Marianella doveva togliere testicoli dalle bocche in cui erano stati ficcati per soffocare un moribondo, calare palpebre su occhiaie ormai vuote, pietosamente riordinare le vesti di donne violentate e poi impalate, coprire con qualche telo schiene dalle quali erano stati strappati grandi lembi di pelle o volti sfregiati da acidi corrosivi.

Marianella non abbandonò la sua missione, neppure dopo l'assassinio di San Romero, che rendeva certa e prossima la sua stessa morte Fotografava i corpi delle vittime uno ad uno, e poi con questa terribile documentazione cercava di strappare dall'alibi dell'ignoranza il mondo cosiddetto democratico.

Viaggiò anche in Europa, venne anche in Italia e qualcuno di noi la conobbe: Giuseppe Fiori ed io la volemmo ospite di "Gulliver", la nostra trasmissione televisiva, intervistata da Raniero La Valle. "Non rimanete inerti davanti a questo orrore!" era il suo grido, o la sua implorazione che troppo spesso si spegneva nell'indifferenza - o nel senso di impotenza dietro al quale usano ripararsi tanti buoni.

Ricordo questa piccola donna che raccontava le terribili storie del suo paese, senza piangere, in uno spagnolo imparato in famosi collegi per aristocratici, un linguaggio che non poteva più fornirle le parole necessarie a descrivere sino in fondo la realtà in cui si consumava il genocidio dei poveri (...).

Romero e Marianella, questi due santi che ricompongono l'identità corporea dei poveri e ridanno loro la nobiltà dei nomi ricevuti al fonte battesimale (i nomi accarezzati dalla tenerezza delle madri, bisbigliati in notti d'amore, o scritti con l'incerta penna del campesino che cerca di riscattarsi dalla schiavitù dell'analfabetismo), questi due restauratori della dignità umana violata, mi sembrano viventi icone che noi dobbiamo contemplare con venerazione - e vorrei dire: venerazione attiva (...).

Perché (...) parlare della proclamazione dei nomi dei morti fatta da Romero e da Marianella? Perché, io credo, i tempi in cui viviamo sono tempi in cui ai poveri si negano nome e identità corporea con una ferocia che dopo la seconda guerra mondiale sembrava addolcita.

Scrivevo queste frasi tre anni fa, vedete come sono, ahimé, attuali.



I VOLTI E I NOMI. 2.

Cominciamo a scorgere i volti dei morti di questa guerra e a sapere i nomi di quelli dell'esercito imperiale.

Dei morti dell'esercito del dittatore i nomi non ci vengono dati e chissà se qualcuno mai li raccoglie, così i nomi dei bambini, delle donne e degli uomini massacrati dai bombardamenti.

I cognomi dei caduti delle truppe di Bush e di Blair li dimentichiamo subito, ricordiamo invece, per qualche tempo, i loro nomi, non perché crediamo che essi siano morti per una causa giusta (raramente una guerra fu così infame) ma perché pensiamo che gli siano stati imposti da genitori che li amavano e che non li rivedranno più.

I reporter americani hanno l'ordine di non mostrarci i volti dei loro morti e quindi li vediamo nelle foto di quando erano vivi, in cui ci sembra che tutti abbiano, in qualche modo, un 'aria di famiglia.

Aumenta la nostra detestazione per chi li ha mandati a morire per le fortune di Wall Street o della City, ma loro ci appaiono come poveri ragazzi allevati per un tragico destino.

Vediamo anche i volti dei prigionieri di guerra: e anche quelli ci fanno un'immensa pietà. I prigionieri americani, con la loro espressione di paura, ancora più ci commuovono.

Sono, a ogni evidenza, "niggers" o "poor whites", rastrellati dagli arruolatori nei sobborghi più poveri, con i cervelli risciacquati da una retorica maschilista che nei giorni della sconfitta cade loro di dosso per lasciare il posto a un angoscioso perché: «Perché mi trovo qui? E adesso che cosa mi succederà?».

Gli immensi occhi della soldatessa coulored, madre-nubile, le ginocchia tremanti del suo commilitone, ex disoccupato, nella casa distrutta in cui viene interrogato mostrano una terribile confusione: «Questo non ce l'avevano detto!».

Chi li chiamava sino all'altro giorno "i nostri ragazzi", secondo un paternalismo che ha tracce di pederastia, ha ridotto quei volti, nei telegiornali della patria lontana, a un solo fotogramma.

E ha urlato allo scandalo. E' una vergogna che gli iracheni li esibiscano. Sì, è giusto: nessun giovane dovrebbe essere esibito nel momento della sua abiezione; ed è giusto ricordare che la Convenzione di Ginevra vieta di "esporre i prigionieri di guerra alla pubblica curiosità".

Ma ecco che cinque minuti dopo quell'indignazione americana vediamo prigionieri iracheni costretti a sdraiarsi ventre a terra (a "mordere la polvere", si diceva una volta), ed altri a rimanere in ginocchio, ed altri denudati per essere certi che non nascondano armi; ed altri ancora buttati ai cigli di una pista, con le mani legate dietro la schiena, in mezzo a una tempesta di sabbia.

Ci sono volti e nomi e diritti di serie A ed altri di serie B.



I VOLTI E I NOMI. 3.

Ci sono anche persone che esistono soltanto nella realtà - come dire? - "familiare", non per i mass-media.

La televisione Aljazeera trasmette da Baghdad le immagini di bambini straziati dalle ustioni, di vecchie mutilate, di anziani dilaniati da ordigni che, a giudicare dalle fasciature, sono cluster-bombs, le bombe a frammentazione, vietate anch'esse dalle convenzioni internazionali.

Di quelle immagini, mostrate dalle televisioni di tutto il mondo, i tg americani non trasmettono che qualche frammento, almeno i tg di lingua "inglese". La televisione italiana, forse per non addolorarci troppo, ne trasmette qualche avarissimo spezzone. Volti invisibili, tragedie senza nome.

Nessuna immagine arriva da Bassora e tuttavia è certo che anche qui si consuma un massacro. Gli americani hanno tagliato acqua e luce.

Dovunque gli americani stanno bombardando le centrali elettriche. Bombardare le centrali elettriche, com'è già stato fatto nel 1991, non vuol dire soltanto cancellare le potenzialità degli ospedali ma anche il funzionamento delle centrali per il pompaggio e la potabilizzazione dell'acqua. Si calcola che già 250 mila iracheni (soprattutto bambini, naturalmente) morissero ogni anno per infezioni da acqua non potabile. Davvero uno scontro di civiltà...

La guerra costa, dice Bush, soltanto agli States 600 miliardi di lire al giorno.

I VOLTI E I NOMI. 4.

Non ci sono volti né nomi sulle bandiere della pace che sventolano sempre più numerose alle finestre e nelle piazze. Eppure sono la risposta simbolica. luminosa a chi si rende conto che le guerre, tutte le guerre sono atroce follìa, deformano il volto e il nome dell'umanità.

Queste bandiere che piacciono tanto ai bambini e al papa e che provocano attacchi di furore al presidente-marine-non-belligerante sono il preannunzio di una nuova consapevolezza, che va molto al di là delle divisioni politiche. Ma, per questo, tutti dobbiamo fare la nostra parte.

I BAMBINI ARGENTINI

Per il merendero domenicale gestito da HIJOS, l'associazione dei figli dei desaparecidos, sono arrivate altre offerte: dalla Comunità di San Francesco Saverio di Trento, dalla famiglia Rodriguez di Rimini, da Ivano e Iole Sartori di Padova. Complessivamente euro 850, che portano il totale della nostra colletta a euro 5580.

Poiché alcune amiche mi hanno domandato la mia opinione su un sito web che si dichiara "gratuitamente benefico" a favore dei bambini argentini, riporto qui di seguito quanto ho scritto il mese scorso nella mia rubrica su «Jesus»:

FAME E PUBBLICITA'

"Ogni mattina due milioni di bambini argentini si svegliano affamati".

E' una cruda notizia, ben nota, purtroppo, a chi si occupa della tragedia in cui è precipitata, a causa dei meccanismi del Libero Mercato, una delle nazioni più ricche del mondo. Tuttavia, questa volta, il dato non compare su un rapporto scientifico né sui piani di solidarietà di un organismo non governativo. Si possono fare affari sulla fame dei bambini? Ma certo, ci pensa un sito Internet creato per la bisogna. Che spiega ai possibili sponsor, pressappoco così: la pubblicità costa sempre di più e raggiunge sempre meno il consumatore, il quale comincia ormai a esserne stufo e dunque disattento. Come colpirne maggiormente l'immaginazione, spendendo di meno? La proposta è: al messaggio pubblicitario associamo lo spettacolo di una tragedia che il consumatore può mitigare semplicemente inghiottendo senza protestare un'altra dose di propaganda. Recenti studî hanno dimostrato - spiegano i pubblicitari - che i consumatori provano poi un senso di gratitudine per chi li ha aiutati a fare del bene senza muoversi dalla poltrona sulla quale navigano in Internet e senza porre mano al portafoglio; e dunque compreranno più volentieri i prodotti della ditta tale o, grazie a quel collegamento, depositeranno i loro risparmi preferibilmente nella banca XY, berranno KK, vestiranno W. Allora, ecco il congegno: tu, consumatore, fai click su una certa finestrella, noi ti propiniamo il nostro messaggio pubblicitario e poi, in cambio del tuo buon volere, elargiamo una razione di viveri a una delle mense popolari istituite per salvare i bambini dalla fame. Sarai così perverso da negare a un bambino quel click trasformato in carboidrati? Non cliccherai tutti i giorni? Non passerai parola ai tuoi parenti e amici? Non proverai amore per i prodotti di chi ti ha reso così facile la carità? Ma che razza di individuo sei?

Domanda: E se io non voglio vedere quella pubblicità, tanto più sapendo che propaganda i prodotti di grandi multinazionali che per decenni hanno saccheggiato l'Argentina, concorrendo allo sfacelo della sua economia? Risposta: Per colpa tua, a quel bambino non daremo da mangiare. Carogna!

***

Per fortuna sul fronte della povertà non si muovono soltanto i pescecani dell'affarismo. San Telmo è forse il quartiere più povero di Buenos Aires. Un'altissima percentuale degli adulti è disoccupata o campa di espedienti. Centinaia di famiglie vivono hasinadas, che vuol dire pressappoco, ammucchiate, in stabili fatiscenti: quattro, cinque, sei persone in una stanza di 4 metri per 4. Nella zona, autorità e associazioni benefiche hanno aperto alcune mense per bambini; ma la domenica le mense sono chiuse e perciò vi erano bambini che il lunedì mattina arrivavano a scuola a pancia vuota. Allora HIJOS ha aperto un merendero domenicale: latte (il latte, così necessario ai bambini, è uno degli alimenti maggiormente rincarati in Argentina), frutta, verdura o cioccolato: a seconda della provvidenza, perché nessuno aiuta HIJOS e a San Telmo non ci sono click né televisori.

Per chi non lo sapesse, HIJOS è la più singolare delle associazioni. Raduna quasi un centinaio di ex bambini che la dittatura strappò alle loro mamme appena nati e distribuì (qualche volta vendette) a coppie sterili. Molti di quei piccini finirono così fra le braccia degli stessi carnefici delle loro madri, tutte assassinate dopo il parto. Furono circa 30 mila le ragazze e i ragazzi che finirono nelle camere di tortura e poi in mare o in cimiteri clandestini; almeno cinquecento, fra loro, le gestanti senza futuro. Sembrava una tragedia definitiva.

E invece le madri delle madri (le "Abuelas ", nonne, di piazza di Maggio) sfidarono pericoli, minacce e difficoltà e andarono a cercarne le creature una ad una. Ne trovarono soltanto alcune, come s'è detto, non hanno smesso di cercare le altre.

Quelle che hanno recuperato, le hanno strappate a una falsa identità e cresciute nella verità; hanno mostrato loro le fotografie della madre e del padre, raccontato in che cosa credevano, quali canzoni gli piacevano, la loro gioia alla notizia che il loro amore sarebbe fiorito. Come e quando sono scomparsi. Perché non bisogna dimenticare. Diventati adulti, quegli hijos (figli), si sono stretti fra loro nel ricordo e nell'azione politica.

A San Telmo fanno ora, con gioia, una di quelle cose per le quali i loro genitori furono considerati "sovversivi" dai militari e degni di scomparire. Le Nonne stanno a guardarli, con orgoglio e tenerezza.

***

Sin qui il mio articolo pubblicato su "Jesus". Esso ha provocato le lettere di alcuni cari amici, alcuni dei quali dicevano sostanzialmente "Sì, però un pasto è un pasto" ed altri difendevano l'iniziativa come "progetto sociale". La mia risposta è stata la seguente:

Io non discuto sul fatto che Porloschicos sfami veramente tantissimi bambini. Il problema non è quello, è la consapevolezza che secondo me dobbiamo avere di fronte a certi fenomeni: vi sono, come certo saprete anche voi, decine di favelas a Rio de Janeiro in cui i narcotrafficanti fanno distribuzioni di cibo e mantengono scuole e ambulatori; ciononostante il narcotraffico è cosa immonda. Porloschicos NON è un programma sociale: è un programma pubblicitario, come voi stessi potete vedere, leggendo, nel sito, l'appello a nuovi sponsors; come sempre, le grandi aziende non regalano niente: infliggono razioni di pubblicità in cambio di razioni di cibo a bambini che sarebbe doveroso aiutare da parte di chi dispone di capitali semplicemente perché sono un terribile problema sociale. Non solo: i maggiori inserzionisti di Porloschicos sono imprese che hanno saccheggiato l'economia argentina, a cominciare da quella Citybank attraverso la quale i ricchi hanno mandato all'estero i propri capitali. E infine: trovo psicologicamente pericoloso, persino fascista dal punto educativo e religioso, la delega a chi garantisce "ghe pensi mi". Il richiamo lamentoso al Gigante delle merendine ("Gigante, pensaci tu!") mi richiama lontani brutti ricordi e attuali bruttissime possibilità.

Non pretendo di convincere alcuno. Ma nel fondo del mio cuore, mentre cerco di essere cristiano, tengo stretta, contro tante tentazioni del mio egoismo, la lezione del Concilio: i poveri sono sacramenti visibili del Cristo, dunque meritano un profondo rispetto. Un clic è un alibi, comodissimo. Forse è meglio, come voi sapete che io sto facendo, proporre a chi mi legge di pagare di tasca propria una solidarietà rispettosa, fraterna. Aiutando, per esempio, il "merendero" di Sant'Elmo.

*

«LETTERA» viene inviata a chiunque me ne faccia richiesta. Il mio indirizzo è: via Cinigiano 13, 00139 Roma, tel. (06) 810.22.16.

Un contributo alle spese di fotocopiatura e postali è assai gradito. I versamenti possono essere effettuati sul ccp 49249006 intestato a Luca Lo Cascio, via Leone Magno 56, 00167 Roma.

«LETTERA» può essere liberamente riprodotta in tutto o in parte. Sarò riconoscente a chi, facendolo, vorrà darmene notizia.

A tutte e tutti il mio saluto affettuoso e riconoscente

Ettore Masina

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