Riministoria© Antonio Montanari

I Lincei riminesi di Iano Planco, 1745

Cap. 15. Sulla crisi dei Lincei, 1761

 

Nei Congressi letterari (1761) Bianchi riprende il tema della crisi dei Lincei, già accennato in altre due occasioni, come abbiamo visto: nel 1751 con il "prologo Zamponi" [208], a proposito della negligenza degli Accademici che intervenivano raramente alle radunanze; e nel 1755, con la prefazione a due sue epistole mediche [209], sulle adunanze non frequenti perché molti accademici abitavano fuori Rimini. Forse a tale crisi è legata l’accettazione da parte di Planco, nel 1756, della carica di principe dell’Accademia modenese dei Medici Conghietturanti [210]. "Recherà forse meraviglia", dichiara Bianchi all’inizio dei Congressi letterari, "che dopo due anni io ora torni ad aprire i congressi letterari della nostra accademia, ma i meglio informati non si maraviglieranno punto, considerando che molti de nostri accademici sono in altri luoghi trapassati, ed alcuni anche sin morti, onde solamente qui in due i tre siamo rimasti". Ma costoro, aggiunge Bianchi, sono tutti occupati "in molti affari e di premura", per cui non possono comporre

 

dissertazioni da recitarsi qui ogni settimana, come quando eravamo molti, una volta si faceva, od in ispazi di tempo più lunghi, come dopo s’incominciò a fare, avendo osservato che sul principio tanto i nostri accademici di Rimino quanto quei di fuori componevano più facilmente loro dissertazioni da recitarsi qui, perché io aveva loro suggeriti argomenti generali per far vedere al Pubblico l’utilità della geometria, o quella della fisica, o della lingua greca, o della poesia, o della musica, o d’altra scienza, o d’altre cose d’erudizione in generale […].

 

Sottolineando il rapporto che è sempre esistito fra l’Accademia ed i propri allievi, Planco scrive [211]:

 

ho procurato che i Giovani della nostra Scuola espongano varie Tesi e che le difendano per avvezzarli ad essere atti a tratar cose particolari, quando nell’età saranno più maturi, ed alcuni in questo non piccola disposizione dimostravano animati anche dalla presenza di valorosi uditori, che loro applaudivano, ma essendo mancato anche questa, essi sembra, che si sieno, come raffreddati, onde io non so come anderemo avanti, tanto più che nella Città nostra essendo ora cresciuto il numero delle Scuole, queste vengono a distruggersi l’una coll’altra per la scarsezza degli Uditori, che ha ciascuna, né per avventura possono i Giovani ricevere que’ Lumi, che una volta da una sola copiosamente ricevevano. Ma di questo sia come si voglia, finché io avrò vita non cesserò giammai di animare la Gioventù, che mi frequenterà ai buoni studi, e quando per me si potrà, aprirò i pubblici Congressi della nostra Accademia facendo anche pubbliche le cose particolari, che in essa da me, o da altri si reciteranno.

 

La missione educativa che Bianchi ha sempre svolto e di cui andava giustamente orgoglioso, lo ha portato a pubblicare nel 1751 un elenco dei propri scolari, dove incontriamo nomi di personaggi divenuti importati a livello nazionale e locale, in ambito religioso, culturale o medico [212]. A quell’elenco, dobbiamo aggiungere un altro nome, quello già più volte ricordato di Giovanni Cristofano Amaduzzi [213], protagonista non sempre riconosciuto della scena religiosa e culturale della fine del secolo XVIII, per il suo ruolo tra i cosiddetti giansenisti italiani, e per i tre Discorsi filosofici con cui rovescia le posizioni emergenti dalle leggi accademiche planchiane, e si fa portavoce delle istanze del nuovo pensiero, incontrando pericolose opposizioni, e subendo violenti attacchi da cui lo salva il suo essere romagnolo come il pontefice di allora, il cesenate Pio VI. Fu Amaduzzi, come racconta una biografia di Planco attribuita a Battarra [214], a far ottenere al proprio maestro da un altro papa romagnolo, Clemente XIV, il raddoppio dello stipendio e la nomina a medico segreto onorario del pontefice [215]. A sua volta Bianchi, citando i favori ricevuti da Clemente XIV, inserisce anche i due incarichi attribuiti dal papa ad Amaduzzi: la cattedra di Greco alla Sapienza, e la Soprintendenza della Stamperia di Propaganda Fide [216].

Amaduzzi, per ragioni anagrafiche (è nato nel 1740) appartiene alla generazione successiva a quella degli accademici planchiani, tra cui figura lo stesso Battarra, scienziato degno di citazione, ed il cui nome serve sia per dimostrare gli effetti dell’insegnamento di Bianchi, sia per attestare il superamento dei limiti teorici e dottrinali di Lincei, così come essi appaiono dalle loro Leggi. Battarra, ad esempio, scopre che la generazione dei funghi avviene "per semenza e non spontaneamente dalla putredine" [217], applicando correttamente il metodo di indagine sperimentale nei confronti di quella Natura che, con i suoi misteri, tanto appassiona Planco.

Su come Bianchi intendesse la Natura ed il rapporto che con essa stabilisce lo scienziato, c’è una sua illuminate osservazione nel "prologo Zamponi", dove egli si chiede come facciano i vermi ad entrare nel nostro corpo: "[…] col tempo si verrà in chiaro anche di questa cosa; giacché la Natura pare che ami di far palesi a poco a poco i suoi segreti" [218]. E’ una sentenza che, con una formula di apparente perfezione, sembra sigillare tutto il discorso scientifico in una solennità che dovrebbe spingerci a considerare la Natura quale depositaria della Sapienza da essa somministrataci. L’opinione di Planco rimanda al pensiero di Epicuro, secondo cui le cose si rivelano a noi attraverso il "flusso" che esse emettono [219]; pensiero che Bianchi aveva conosciuto certamente attraverso Diogene Laerzio: "è per la penetrazione in noi di qualcosa dall’esterno che vediamo le figure delle cose e le facciamo oggetto del nostro pensiero" [220]. Quanto l’immagine offertaci da Bianchi sia distante dalle pagine che in quegli anni apparivano nell’Encyclopédie, lo dice il confronto di essa con una semplice citazione da Diderot [221]:

 

Noi disponiamo di tre mezzi principali: l’osservazione della natura, la riflessione e l’esperimento. L’osservazione raccoglie i fatti; la riflessione li combina; l’esperimento verifica il risultato di questa combinazione. Occorre che l’osservazione della natura sia assidua, che la riflessione sia profonda e che l’esperienza sia esatta. Di rado si trovano uniti questi mezzi; ed anche i geni creatori non sono comuni.

 

Non soltanto per quella condizione di contraddittorietà che sembra segnare ogni umana esperienza, ma anche per la dialettica tra gli opposti che segna inevitabilmente ogni cammino culturale, Planco da un lato rimanda ad un pensiero antico, più da erudito ‘vecchia maniera’ che da vero scienziato moderno; e dall’altro con le sue indagini si oppone a tutti i sistemi vecchi o tradizionali della Filosofia, soprattutto a quelli aristotelico-tomisti, come abbiamo visto a proposito del De monstris. In quest’ultima opera egli inoltre dimostra essere inaccettabile la visione moderna d’un Leibnitz che teorizzava l’armonia universale in nome del principio che "natura non facit saltus" [Nuovi saggi, IV, 16]. I casi che Bianchi presenta, smentiscono senza clamore, ma pericolosamente rispetto all’ortodossia cattolica, ogni presupposto metafisico di quest’armonia. E lo avvicinano al naturalismo al quale Gassendi aveva aperto una nuova strada, con la rivalutazione di Epicuro [222], proprio in contemporanea all’operato di Voltaire il quale nel 1759 in Candide, mediante la figura caricaturale di Pangloss [223], demolisce ogni concezione ottimistica.

Bianchi raggiunge lo stesso risultato, procedendo attraverso la ricerca scientifica, con un itinerario sempre oscillante tra linee divergenti, ma senza però interpretare i significati dei risultati a cui perviene sotto l’aspetto filosofico, e forse senza essere consapevole del carattere eversivo dei suoi studi. Nell’identificare la Filosofia con la Scienza, egli sfugge al dilemma metafisico che la prima comporta, mentre la seconda gli appariva slegata rispetto alla Religione né coinvolgente sul piano teologico. In questo modo, aldilà dei limiti soggettivi che sono conseguenza di quello che abbiamo definito il suo "errore epistemologico", Planco manifesta un comportamento che lo accomuna a tanti altri intellettuali del suo tempo, ben rilevabile da un passo di Eugenio Garin:

 

chiaramente si mostra come nei "moderni" fisica cartesiana e movimento epicureo-lucreziano-gassendista tendessero a concorrere a un medesimo punto, per andare ad incontrarsi con l’eredità galileiana e magari ad alimentarsi finalmente delle conclusioni della filosofia della natura di Telesio, Bruno e Campanella. Sì che il Vico riusciva ad istituire un paragone, che era un riavvicinamento, tra Renato ed Epicuro, essendo a suo parere la fisica del primo "macchinata sopra un disegno simile a quello di Epicuro" [224].

 

La passione erudita non faceva cogliere a Planco l’inconciliabilità tra i contenuti dell’opera di Lucrezio e la dottrina cristiana. Il culto della poesia, così forte in Bianchi, lo portava a tradurre anche quest’autore [225], dove però non poteva trovare né spunto né conferma ai propri studi, come dimostra proprio la questione dei mostri che nel De rerum natura è considerata quale momento iniziale della lenta formazione della specie [226]:

 

Cetera de genere hoc monstra ac portenta creabat,

nequiquam, quoniam natura absterruit actum

nec potuere cupitum ætatis tangere florem

nec reperire cibum nec iungi per Veneris res [227].

 

Queste dissonanze riflettono i segni di un cammino non soltanto personale, ma più generale della cultura settecentesca, alla cui storia appartiene pure l’avventura dei Lincei riminesi [228]. Proprio per questi motivi, essa non va ridotta ad un episodio tra lo stravagante ed il pretenzioso, essendo qualcosa di più che un fenomeno di esibizionismo culturale, come talvolta è stata considerata.

 

NOTE AL TESTO

208 Cfr. il cit. fasc. 219, FGMB, e la relativa nota nel cit. Codex, c. 16v.

209 Cfr. il cit. Codex, c. 20v.

210 Cfr. A. Turchini, Scienza e cultura a Modena: l’attività dell’Accademia dei "Conghietturanti" (1751-1764), in Accademie e culture, Aspetti storici tra Sei e Settecento, Firenze 1979, pp. 273-287. Le dissertazioni proposte da Bianchi a tale Accademia per il 1757 furono pubblicate dalle Nov., n. 7, 18 febbraio 1757, coll. 98-99, sotto la data non di Modena ma di "Rimino". Ricordiamo che il 7 settembre 1754 Bianchi era stato ascritto alla Crusca: cfr. lettera in tale data di Lami (FGLB, ad vocem). Nelle SG, ad vocem, troviamo elencate le onorificenze attribuite a Bianchi: "Famigliare del card. Cornelio Bentivoglio" (1727); accademico dei Filomati di Cesena (1731), degli Apatisti di Firenze (1742), "Fiorentino" (1745), dei Catenati di Macerata (1751), "Etrusco" di Cortona, dell’Accademia di Storia ecclesiastica di Lucca, e dei Georgofili di Firenze (1753), della Crusca (1754), del Buon Gusto di Palermo, degli Erranti di Fermo (1755), degli Agiati di Roveredo (1756); accademico dell’Accademia Botanica e di Istoria naturale di Cortona (1757), dell’Accademia di Scienze e Belle Lettere di Berlino (7 settembre 1758), dell’Accademia Fulginia di Fuligno (1759), della Repubblica Letteraria degli Umbri di Fuligno (1761), dell’Accademia Botanica di Firenze (1762), dei Fisiocratici di Siena (1763), dell’Accademia di scienze di Mantova (1765), dei Sepolti di Volterra (1766). Inoltre, nelle stesse SG, si riportano il diploma di aggregazione nel Collegio dei Filosofi e Medici in Venezia (1760) e quello di "Principe dell’Accademia dei Congetturanti di Modena" del 4 gennaio 1757, confermato nel 1765 "usque ad aras". Le Nov., n. 31, 30 luglio 1756, coll. 487-490, pubblicano una lettera di Bianchi (del 3 luglio) in occasione della sua nomina tra gli Agiati di Roveredo, in cui leggiamo che esisteva a Rimini da più di cento anni l’Accademia degli Adagiati: essa "per essere di Poesia, come tant’altre d’Italia, ora è stata come assorbita e confusa da quella degli Arcadi della Colonia Rubiconia, dedotta quì in Rimino sessant’anni sono, cioè fin da’ primi anni della fondazione dell’Arcadia di Roma, i cui Vicecustodi fin da quel tempo senza alcun interrompimento quì sono sempre durati, e durano ancora".

211 Il brano, che appartiene alle pp. 4-5 del fasc. 75, è del tutto inedito.

212 Cfr. l’elenco alla nota 77.

213 "Il Liceo privato istituito e gestito a Rimini da Giovanni Bianchi, venne frequentato anche da Giovanni Cristofano Amaduzzi. Preziosa testimonianza dell’attività didattica che vi si svolgeva, sono i sette compiti (finora inediti), assegnati da Planco e svolti da Amaduzzi, ora conservati nella Biblioteca dell’Accademia dei Filopatridi. Della loro esistenza ho dato per primo notizia nel 1992 nel volume Lumi di Romagna (nota 1, p. 102). Amaduzzi, in una pagina anch’essa inedita (Manoscritti n. 33, c. 35, [BFS]), scrive di sé: "Ha atteso per sette anni allo studio della Filosofia e Lingua Greca sotto la disciplina del Ch: Dott. Giovanni Bianchi". I compiti si riferiscono agli anni 1757-59. La frequenza del Liceo planchiano è relativa al periodo 1755-62. Nel 1762 infatti Amaduzzi, all’età di 22 anni, viene avviato a Roma dal suo maestro. Gli argomenti dei sette compiti svolti da Amaduzzi sono relativi alla Filosofia e alla Scienza, e propongono questi argomenti: l’impossibilità di difendere il sistema tolemaico; la funzione della logica artificiale come propedeutica alle altre Scienze; la forza elettrica; gli spiriti degli animali bruti; la sede nel cervello degli affetti dell’animo; i nervi dell’udito; la digestione. L’esperienza di Amaduzzi nel Liceo privato di Planco ha un suo molteplice significato. Il savignanese conosce argomenti filosofici che in seguito approfondirà e svilupperà in tre importanti Discorsi (una cui sintesi è nella mia Appendice alla ristampa anastatica de La Filosofia alleata della Religione che dei tre Discorsi è il secondo). Inoltre Amaduzzi si accosta a problemi medici ai quali non sarà mai indifferente, se raccoglierà nella propria biblioteca (ora presso i Filopatridi), molti opuscoli che ne trattano. Infine l’esperienza con Bianchi lascerà in Amaduzzi una traccia nel terzo Discorso, Dell’indole della verità e delle opinioni, dove (p. 51) l’ex allievo polemizza con l’antico maestro, quasi a volere insinuare che Planco nulla avesse compreso delle teorie di Newton. (…) In sostanza, Bianchi appariva più come un vecchio umanista che un nuovo filosofo dell’età dei Lumi. Di ciò si ha conferma se si confrontano i titoli dei compiti assegnati da Planco con gli argomenti affrontati negli stessi anni su periodici e libri scientifici. Planco appare su posizioni incerte ed arretrate. Costringere gli allievi a spiegare che il sistema tolemaico non poteva essere difeso "nulla ratione", a oltre due secoli dall’opera di Copernico, significava discutere di argomenti polverosi, mentre la Nuova Scienza percorreva le strade d’Europa. Planco sembra riproporre ai suoi allievi gli stessi argomenti da lui studiati quand’era giovane, prima a Rimini e poi a Bologna. Nella terminologia usata in quei temi liceali, ci sono talora ricordi cartesiani, come là dove si parla di "spiriti animali" (si veda al proposito il cap. XVII del Discorso sul metodo). Altri argomenti (sede degli affetti, digestione), vanno invece in direzione opposta, negando le tesi di Descartes." Cfr. il cit. articolo I compiti del giovane Amaduzzi alla scuola riminese di Iano Planco.

214 Si tratta del necrologio apparso sulle nuove Nov. di Firenze del 1776, coll. 21-27 e 37-41. Questo "compendio dei pregi d’un tanto letterato", si dice comunicato "da uno dei migliori suoi Allievi", in aggiunta alla biografia latina. Battarra stesso è definito, alla col. 37, "noto Naturalista".

215 Ibid., alla col. 25.

216 Cfr. Nov. n. 30, 27 luglio 1770, coll. 471-474, cit.

217 Per una breve biografia di Battarra, cfr. il cap. 2, Giovanni Antonio Battarra, Filosofia e funghi, in Lumi di Romagna, cit., pp. 19-26.

218 Prosegue il testo, riprendendo un concetto già espresso nella parte che in precedenza abbiamo ricordato: "né questi [segreti] mai a gente oziosa fa manifesti, ma solamente a quei che assiduamente, e da vicino la contemplano, né in vani amoretti con femminucce si perdono o al solo vile guadagno attendono (…)". Cfr. fasc. 219, FGMB.

219 Cfr. Epicuro, Opere, Milano 1993, p. 353.

220 Cfr. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Milano 1993, p. 417. Abbiamo già ricordato che nel cit. fasc. 315, FGMB, è presente una versione in latino della Vita di Epicuro di D. Laerzio.

221 Cfr. Gli Illuministi francesi, a cura di Pietro Rossi, Torino 1962, p. 196. Desidero citare da questa traduzione, per collegarmi idealmente, tramite un volume usato nei miei studi universitari, all’esperienza fondamentale avuta al Magistero di Bologna, nel Corso di Storia della Filosofia (materia in cui ho discusso la tesi di laurea), con il prof. Paolo Rossi, fresco titolare della Cattedra. Come Giovanni Bianchi ricordava i propri scolari, allo stesso modo l’antico allievo oggi vuole testimoniare riconoscenza verso un grande Maestro degli anni giovanili.

222 Cfr. C. Borgero, L’egoismo e il benessere, in Storia della Filosofia. 4. Il Settecento, cit., p. 186.

223 Pangloss sentenzia che Leibnitz non poteva "pas avoir tort" (cap. XXVIII). In un’edizione su Internet, a cura di C. Paganelli e S. Seghetti, si trova la traduzione (di ignoto) apparsa nel 1882 presso l’ed. Sonzogno, nella collana Biblioteca Universale, con un capitolo decimo ("Candido continua i suoi viaggi. Nuove avventure") che non corrisponde a quello originale di Voltaire. Merita riportarne qualche passo, dove ripetutamente torna il nome di Leibnitz: "Voi siete dunque cartesiano, dicono i viaggiatori. - Senza dubbio, risponde Candido, e, quel ch'è più, seguace di Leibnitz. - Tanto peggio per voi, soggiungono i viaggiatori; Cartesio o Leibnitz non avevano senso comune. Noi altri siamo neuttoniani, e ce ne gloriamo, e se si disputa, è solamente per affondarci ne' nostri sentimenti, e siamo tutti d'un istesso parere. Cerchiamo la verità sulle tracce di Newton, perché siamo persuasi che Newton è un grand'uomo. - Anco Cartesio, anco Leibnitz, anco Pangloss, disse Candido, son grandi uomini, che non cedono a un altro. (…) Avete voi letto le verità che il dottor Clark dà in risposta a' sogni del vostro Leibnitz?". (Samuel Clark, 1675-1729, compose il volume Sull’esistenza e sugli attributi di Dio, 1705, e fu in aspro scambio epistolare con lo stesso Leibnitz.)

224 E. Garin, Storia della filosofia italiana, II, Torino 1966, pp. 872-873.

225 Cfr. Collina, op. cit., p. 89.

226 Cfr. P. Casini, L’ordine della natura, in Storia della Filosofia. 4. Il Settecento, cit., p. 211. Scrive il cit. Mamiani, La struttura dell’universo, p. 4, che "la diffusione del poema di Lucrezio, e con esso della fisica atomistica ed epicurea, aggiunse (…) un nuovo elemento di complessità" alla ricerca scientifica "che avrebbe sempre più preso le distanze tanto dalla magia ermetica quanto dalla matematica simbolica".

227 Cfr. Libro V, vv. 845-848: "Generava ogni sorte di mostri e prodigi, / ma invano, poiché la natura ne impedì la crescita: / quei mostri non poterono raggiungere il fiore desiderato dell’età, / né trovare cibo, né congiungersi nell’atto di Venere" (cfr. trad. di L. Canali, Milano 1994, p. 487). Il tema è ripreso nella Lettera sui ciechi, 1749, da Diderot che "condivide - e soprattutto osa esporre a stampa - i rudimenti di una teoria biologica ‘trasformistica’": cfr. Casini, L’ordine della natura, cit., p. 211.

228 Dei Lincei riminesi hanno anche trattato B. Odescalchi, Memorie istorico-critiche dell’Accademia de’ Lincei e del Principe F. Cesi, Roma 1806, pp. 291-303; C. Giambelli, L’Accademia dei lincei, "Nuova Antologia", 1 marzo 1879, p. 142.

 

Ringrazio sentitamente per la preziosa collaborazione ricevuta, la dottoressa Paola Delbianco della BGR; il prof. conte Gian Ludovico Masetti Zannini; il prof. Dino Pieri, segretario della Società di Studi Romagnoli, per avermi suggerito di partecipare al Convegno sulle Accademie romagnoli, con una comunicazione da cui è nato questo scritto; lo storico dottor Enzo Pruccoli di Rimini, per il materiale fornitomi; l’Accademia dei Lincei di Roma nelle persone delle dottoresse Ada Baccari, direttore della Segreteria, e Rita Zanatta dell’Archivio; la dottoressa Maria Chiara Roncuzzi, al tempo, della Biblioteca dell’Accademia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone; il personale tutto della BGR; i servizi di Prestito Interbibliotecario della Biblioteca Gambalunghiana di Rimini, della Biblioteca Comunale di Faenza, e della Biblioteca interdipartimentale di Magistero, Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari (dott. Filippo Gurrieri).

Un ricordo particolare merita il compianto Accademico dei Lincei prof. Giancarlo Susini.

Altre notizie sulla figura di Bianchi, si possono trovare in Internet, in questo sito Riministoria, all’indirizzo: http://digilander.iol.it/monari. Mio indirizzo e-mail: [email protected].

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