Riministoria© Antonio Montanari

I Lincei riminesi di Iano Planco, 1745

Cap. 8. Le dissertazioni accademiche. III

 

Dissertazione n. 6, del 7 marzo 1749, di Giuseppe Antonio Battarra, De Lithophytorum, ac præsertim de corallorum generatione.

Dissertazione n. 7, del 21 marzo 1749, di Planco, sopra i rimedi per le coliche nefritiche [116].

Dissertazione n. 8 e dissertazione n. 9, rispettivamente dell’11 e del 25 aprile 1749, sopra la Beata Chiara da Rimini, entrambe inviate da Giuseppe Garampi dimorante dalla fine del 1746 a Roma [117]. La prima dissertazione tratta della Comunione sotto le due specie, ricevuta dalla Beata Chiara l’11aprile 1749. La seconda parla dei suoi digiuni, toccando un tema che divideva l’ambito ecclesiastico, circa il rigorismo con cui si doveva o meno affrontare la quaresima [118]. E che non risultò gradito all’uditorio "propter materiæ, et stili ariditatem", al punto che Bianchi concluse la radunanza leggendo versi di un "festivus" autore napoletano, come troviamo scritto nel Codex [c. 12r].

Dissertazione n. 10, del 15 marzo 1750, di Giovanni Paolo Giovenardi [119], De Rubicone, a proposito della "iscrizione da lui fatta per un cippo sulle sponde del fiume Uso, preteso Rubicone degli antichi e dalla quale prese le mosse una celebre controversia in cui il Bianchi ebbe parte preponderante" [120], come dimostra la dissertazione seguente.

Dissertazione n. 11, del 21 marzo 1750, di Planco, lettera ad un amico fiorentino, De Rubicone [121].

Dissertazione n. 12, del 15 luglio 1750, di Daniele Colonna, De Hydrope Ascite.

Dissertazione n. 13, del 12 marzo 1751, di Giacomo Fornari, An Philosophia et reliquæ scientiæ et artes versibus pertractari possint, sintque veri poetas qui hasce scientias versibus pertractant an puri versificatores.

Dissertazione n. 14 del 27 marzo 1751, di Giuliano Genghini, De Apollo Pythio.

Dissertazione n. 15 del 2 aprile 1751, di Planco, lettera "circa varias Inscriptiones antiquas Arimini" [122].

Dissertazione n. 16, del 30 aprile 1751, lettura dell’epistola inviata da Lodovico Coltellini sul Dittico queriniano, e di sette lettere di Roberto Malatesti (1479).

Dissertazione n. 17, del 30 aprile 1751, di Gaspare Adeodato Zamponi, De Lumbricis Corporis Humani [123], in cui si sostiene, erroneamente, che i vermi del corpo umano si riproducono per parto e non con uova [124]. Monsignor Giuseppe Pozzi in una lettera a Bianchi definisce "ciance" le osservazioni di Zamponi [125]. Nel prologo alla dissertazione e nel relativo verbale del Codex, Bianchi denuncia la negligenza degli Accademici i quali intervengono raramente alle radunanze. Nel prologo i toni sono molto forti: gli Accademici, sostiene, s’affaticano "solamente per qualche poco per un picciolo guadagno, o per rendersi abili a gli amoretti di qualche femminuccia" [126].

Dissertazione n. 18: il 7 maggio 1751, il "tiro" Giovanni Battista Brunelli parla brillantemente di un argomento di ostetricia, relativo ai parti difficili [127].

Dissertazione n. 19. Senza data [128], è la lettura di un’epistola di Leonida Malatesti del 1546.

Dissertazione n. 20, del 14 maggio 1751, di Giovanni Antonio Battarra, De origine fontium. "In fine lepide dixit se hanc Dissertationem recitasse, ne videretur negligentiæ notatus a Planco, ut suboscure notati sunt alii Academici Ariminenses, qui modo muti facti videntur", commenta Bianchi nel Codex [c. 17r].

Dissertazione n. 21, del 28 maggio 1751: Planco dà lettura dell’esame anatomico riguardante un bambino di nove anni, il contino Giambattista Pilastri di Cesena, morto "ex Apostemate in lobo destro Cerebelli" [129]. Quell’esame è pubblicato nello stesso anno nella Raccolta d’opuscoli di Calogerà a Venezia [pp. 169-200], con il titolo Storia medica d’una postema nel loro destro del cerebello, aprendo lunghe e "feroci polemiche" [130]. Un’anticipazione di questa dissertazione , è fornita da Bianchi, pochi mesi prima, in appendice alla seconda edizione del De Monstris [131].

Dissertazione n. 22, del 11 giugno 1751: Pasquale Amati "Causidicus seu Leguleius" tiene una dissertazione "de origine Litterarum", la quale "approbata non fuit a Planco restitutore, et ab omni dotto, qui huic sessione interfuit" [132]. Nella successiva riunione [18 giugno 1751], Bianchi "aliquid dixit circa deliramenta Amati in præterita sessione" [133]. Quest’annotazione, nella sua brevità, sottintende parecchie cose sull’atteggiamento di Planco come reggitore dei Lincei e come "uomo dotto".

Dissertazione n. 23. e dissertazione n. 24: il 18 giugno 1751, Bianchi tratta di un altro esame anatomico, De structura uteri in gravidis, e legge una lettera di Lodovico Coltellini sulla lingua etrusca, a cui premette una prefazione [134] "de incertitudine studiorum Linguæ Etruscæ", come leggiamo nel Codex [c. 18v.].

 

 

NOTE AL TESTO

 

116. Circa l’origine di questa dissertazione, cfr. le citt. Vicende accademiche, nota 50, p. 79.

117. Il 3 dicembre 1749 (FGLB, ad vocem), Garampi scrive a Bianchi: "Ella averà già da altri saputo la benignità che Nostra Santità hà avuta per la mia persona, cosicché in breve andare ad abitare nel Palazzo Vaticano, ove avrò il comodo eziandio della Biblioteca. Onde io sono contentissimo non solo per la speranza del lucro venturo, quanto e per l’onorificenza presente, e per la grande comodità che avrò in un Archivio e in una Biblioteca che non hanno forse pari nel mondo. Ora viene il tempo in cui potrò fare ricerche e acquisti per la storia della nostra Città, che non perdo di mira". Nella stessa missiva si accenna ad un progetto editoriale di Planco, relativo ad una storia naturale "del nostro Agro".

118. Cfr. sull’argomento il fasc. 173, FGMB. Queste due dissertazioni sono ricordate in J. Dalarun, Santa e ribelle. Vita di Chiara da Rimini, Bari 2000, dove si parla anche di Bianchi (cfr. alle pp. 4-5) con alcune inesattezze: gli si attribuisce un’anteriore Accademia degli Eutrapeli, si dice che era "soprannominato Iano Planco in dialetto romagnolo", e che "aveva anche contribuito a istituire una Accademia dei Lincei di Rimini". Delle due dissertazioni, troviamo scritto che Garampi le "legge davanti ai dotti riuniti in assemblea". Invece, come si è visto, Garampi le inviò da Roma, ed era assente in entrambi i casi.

119. Bianchi nella Lettera prima sul Rubicone, del 6 marzo 1750, parla di "tre dissertazioni" da Giovenardi "recitate nella nostra Accademia dei Lincei" per dimostrare essere il fiume Uso (o Luso come si diceva allora) "il vero Rubicone degli Antichi". Questa Lettera prima esce a stampa con la Seconda, su cui v. infra.

120. Cfr. le citt. Vicende accademiche, p. 60. In FGLB, nel fasc. Garatoni, Gianfelice, allegata alla lettera di questi a Bianchi del 17 marzo 1753, c’è una missiva dell’abate Giulio Cesare Serpieri (agente della città di Rimini a Roma), diretta allo stesso G. P. Giovenardi, in cui si parla della "risata, non solo del Giudice, ma ancora di tutti quelli che si ritrovarono presenti" alla discussione della causa intentata dai cesenati alla Comunità di Santarcangelo ed a G. P. Giovenardi: la lite, secondo lo stesso Giudice, "verteva sopra una minchioneria". Per quella lite, Serpieri agì come Procuratore di Santarcangelo. Rimini volle tenersene fuori, però avvertì l’obbligo morale di sostenere G. P. Giovenardi che aveva posto "una memoria così gloriosa per la nostra città": cfr. AP 479, Copialettere 1749-1751, ASRi. In Urbani, Raccolta…, cit., p. 765, leggiamo al proposito, su G. P. Giovenardi: "Eresse da fondamenti la nuova Chiesa parrocchiale della sua pieve, situata sulla sponda del Fiume Uso, e volendo farsi far pompa di sua erudizione, sulle sponde medesime piantò un marmoreo cippo" con la scritta "Heic Italiæ Finis Quondam Rubicon".

121. Il testo della dissertazione del 21 marzo 1750 è lo stesso della Lettera seconda ad un Amico di Firenze intorno del Rubicone, datata 20 marzo 1750 (fasc. 210, FGMB), e pubblicata prima nello stesso 1750 dalle Nov. (nn. 37, 39, 41, 43, coll. 583-590, 610-618, 641-651, 678-684), e poi, assieme alla Lettera prima, nel 1756 dagli Opuscoli Calogeriani di Venezia, tomo II, pp. 321-378. (Di questa stampa uscita negli Opuscoli, esiste un estratto, con aggiunta, alle pp. 379-383, la sentenza sulla causa rubiconiana, emessa a Roma il 4 maggio 1756, che dà torto ai Cesenati e li condanna al pagamento delle spese: cfr. la Raccolta di opuscoli sul Rubicone, collettanea curata da Z. Gambetti, SC-MS. 897-899, BGR, con materiale edito ed inedito appartenuto a Bianchi: qui è conservata, in ms. incompleto, la Lettera prima.) Nella Lettera prima del 6 marzo 1750 (cfr. Nov. 1750, nn. 20, 21, 22, coll. 311-320, 323-330, 344-349), Bianchi sostiene che la questione del Rubicone era relativa ad "un punto erudito di geografia antica", da lasciare non alle dispute legali (come avvenne) ma "piuttosto ai dotti, e alle Accademie degli eruditi". La Lettera prima tratta della falsa iscrizione cesenate sulla riva del Pisciatello. Più approfondite notizie sull’argomento, sono nella cit. comunicazione Lettori di provincia. A riassumere la questione rubiconiana, valga quest’affermazione di Antonio Bianchi: "è stato scritto da molti, ma sempre in contraddizione, per motivo di certe male intese glorie municipali, e per quel genio di dispute cavillatorie che regnava ne’ due scorsi secoli". Cfr. A. Bianchi, Storia di Rimino dalle origini al 1832, manoscritti inediti a cura di A. Montanari, Rimini 1997, p. 43: nella nota bibliografica finale di tale volume, sono elencati i testi degli autori intervenuti nella disputa, e citt. da A. Bianchi. Cfr. pure G. L. Masetti Zannini, Il mito del Rubicone. Contributo alla "fortuna" di Roma nel Settecento romagnolo, "Bollettino del Museo del Risorgimento", Bologna 1969-1971, pp. 1-51. Osserva Pruccoli, nel cit. L’Alberoni e San Marino, p. 286: "la così detta causa rubiconiana, ai nostro occhi futilissima" era per Bianchi "essenzialmente rivendicazione di antiche giurisdizioni usurpate, di prestigio civico e di tutela delle ragioni storiche di una città che l’ignavia dei suoi nobili e il dinamismo di altre comunità (nella fattispecie Cesena, da Planco cordialmente odiata) relegavano ormai quasi al livello di borgo remoto della provincia legatizia di Ravenna". Sull’intera vicenda rubiconiana, cfr. pure la cit. comunicazione Lettori di provincia, contenente documenti inediti della Municipalità di Rimini. Qui ricordiamo soltanto, che dopo la sentenza del 1756, il cesenate Padre Gianangelo Serra rilancia la questione a livello europeo, con un Avviso avanzato alli Signori Accademici delle Reali Accademie di Parigi, di Londra, di Lipsia, e di Berlino (1757), redatto in italiano e latino.

122. La lettera è stata pubblicata dalle Nov. nello stesso anno (nn. 31, 32, 33, 34, 35, 36, coll. 484-489, 503-507, 514-517, 537-541, 551-554, 567-570). Questo testo è comunemente conosciuto come "Panteo Sagro" (in quanto tratta di "un Tempio dedicato a tutte le Divinità de’ Gentili, o almeno a buona parte di esse"). Esso è anche pubblicato nel tomo X della Nuova raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Venezia 1763, pp. 365-456.

123. La dissertazione è pubblicata nel vol. XVLII della cit. Raccolta calogeriana, Venezia 1752, pp. 83-116. Di essa scrive da Roma a Bianchi monsignor Marco Antonio Laurenti (v. infra) il 13 maggio 1752: "in verità a me è moltissimo piaciuta sì per la novità, come insieme per essere chiaramente e di buon gusto scritta: goderei egualmente, se non anche più, di apprendere poscia, come parmi che prometta, il come medicare i mali, che a vermi sono riferiti, e da essi cagionati, massime a seconda delle osservazioni dello stesso sig. Zamponi".

124. Zamponi parte da un’osservazione sull’"ordine meraviglioso prescritto dalla natura al nascimento de’ vermi", e premette al suo discorso una parte storico-filosofica sulla generazione di stessi vermi nel corpo umano. Generazione che, come scrivono le Nov., n. 26, 30 giugno 1752, coll. 411-414, nel loro resoconto (opera certamente di Planco), "è stata sempre uno scoglio della Filosofia, il quale con questa osservazione non si scansa, anzi si fa più forte", perché non si sa come i vermi entrino nell’intestino. Sia l’impostazione data da Zamponi al suo intervento, indipendentemente dai risultati sbagliati a cui perviene, sia il commento delle Nov., testimoniano le cautele quasi pregiudiziali usate allora nella ricerca scientifica che, pur ricorrendo alla via sperimentale, non dimentica il principio evocato nelle leggi dei Lincei riminesi, secondo cui, prima di esporre i risultati empirici, occorreva riferire i pareri dei dottissimi filosofi e degli uomini eruditissimi.

125. Cfr. lettera del 24 maggio 1752, FGLB, ad vocem.

126. "Giacché buona parte de’ nostri Academici di Rimino sono diventati non so come Pittagorici fuori di tempo essendosi fatti mutoli la maggior parte, io v’anderò da qui innanzi graziosi uditori recitando o cose mie, o cose mandatemi di fuori d altri nostri Academici forestieri, o da altri, i quali per rendersi benemeriti della nostra Academia meritano d’essere aggregati, e riposti nel luogo di que’ nostri, che si sono fatti mutoli, e massimamente nel luogo di quelli, che non vogliono ne meno più onorare colla loro presenza le nostre sessioni forse avendole a vile, o forse, com’è più verisimile amando meglio di marcire nell’ozio, o d’affaticarsi solamente per qualche poco per un picciolo guadagno, o per rendersi abili a gli amoretti di qualche femminuccia": cfr. il cit. fasc. 219, FGMB. Nel Codex, cit., c. 16v, si sottolinea la "negligentia" degli Accademici, troppo occupati e poco presenti. C’è da chiedersi, alla luce degli sviluppi successivi delle vicende accademiche planchiane (legate alla condanna all’Indice dell’Arte comica), se questo isolamento che Bianchi denuncia, non sia stato provocato, più che da negligenza e futili motivi dei soci, dalla loro paura di esporsi in un ambiente diventato ‘pericoloso’ nei confronti del potere ecclesiastico e politico (che era alla fine tutt’uno).

127. "In dissertatione preclare se gessit adolescens": cfr. Codex, cit., c. 16v. Questa notizia del 7 maggio è inserita nel Codex dopo quella di Coltellini del 30 aprile e prima di quella di Zamponi che è sempre del 30 aprile.

128. Forse dello stesso 7 maggio 1751. L’incertezza della datazione deriva dal sistema usato da Planco, del quale s’è detto nella nota precedente.

129. Cfr. i fascc. 203, 204, 206, FGMB. Sul significato di questa dissertazione, diremo infra.

130. Cfr. De Carolis, Il medico al lavoro, cit., pp. 67-71. Di queste polemiche, si parla in Nov., n. 25, 20 giugno 1755, coll. 390-395 e n. 37, 12 settembre 1755, coll. 580-581.

131. Cfr. supra la nota in cui si riporta la citazione dalle Nov., n. 12, 20 marzo 1750, coll. 179-183.

132. Cfr. nel Codex, cit., c. 18r.

133. Ibid., c. 18v.

134. Cfr. il fasc. 216, FGMB.

 

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