il Rimino n. 65. Marzo 2001
I giovani di Terenzi e la satira di Luttazzi
Archivio 2015

Giovani, la miopia degli adulti
Recuperare le "radici"

di Piergiorgio Terenzi (*)
Fiumi di parole sono stati versati e tuttora si versano sul pianeta giovani. Tutte parole assennate ed anche con bravi e solidi fondamenti. Parole specialistiche di psicologi, sociologi, sacerdoti ed educatori compresi.
L'ampiezza, se da un lato arricchisce e permette la focalizzazione delle varie facce del diamante, alla fine rischia di scoraggiare anche il più dotato di metodo, pazienza e buona volontà. Come uscire dalla strettoia nella quale, senza colpa, siamo?
Unica pista, almeno ipoteticamente parlando, è quella del recupero serio delle "radici". A questo, pur in poche righe, vorrei mirare.
Sempre di più succedono fatti che sconcertano. Episodi che hanno come protagonisti dei giovani che, con apparente illogicità, sconvolgono, anzi negano schemi di valori o di comportamento cosiddetto "civili".
Il punto interrogativo che ne nasce, è anche stizzoso, quasi risentito. E' premessa logica e psicologica di una risposta non solo violenta, ma persino dittatoriale.
"Oggi hanno i soldi… e noi non li avevamo! Hanno tempo per divertirsi… e noi solo in certi periodi dell'anno. Vanno quasi tutti a scuola… e noi a lavorare duro! Cosa cavolo vogliono di più dalla vita? Il vero male è che 'hanno troppo'! Andava meglio quando andava peggio!". Potremmo continuare.
Tali giudizi hanno una logica ed una loro credibilità. Sono fondati. A mio parere, il difetto più grande che presentano è quello di essere "miopi"! Vedono bene e chiaro da vicino, ma non riescono a cogliere con lucidità "il contesto".
Contesto non colto perché di questo essi stessi sono prigionieri. Lo considerano dogmaticamente "normale".
Il vero punto critico da esaminate meglio è proprio il normale.
Normale non tanto in se stesso, ma "perché pacificamente e tacitamente accettato". Potremmo definirlo il "dogma" inamovibile della nostra cultura. Dogmi identici a destra come a sinistra. Cambia solo l'indicazione dell'idolo davanti al quale prostrarsi.
Però, alla fine del nostro discorso, potremo ripetere con sicurezza: "L'uno o l'altro per me pari sono".
La radice di tutto, in termini psicoanalitici, si chiama "sindrome da onnipotenza". In termini mitici si chiamava più semplicemente "pietra filosofale". E' la ricerca spasmodica della "chiave" in grado di aprire "tutte le porte".
Per possedere, o meglio per conquistare questa chiave (messianismo) occorre essere disposti ad uccidere anche la propria madre (vedi ultimo episodio).
Come si chiamano tali chiavi magiche? "Mercato", "Collettivismo", "Scienza e tecnica", "Medicina", … a voi il compito di completare.
Spesso l'irrazionalità oggettiva dei loro comportamenti è dura denuncia della follia storica, oltre che teorica, delle mete e dei valori che ci muovono non solo in chiave personale, ma anche politico-sociale.
Bisogna riconoscere che per "curare" i giovani, dobbiamo fare una seria autoanalisi ed una severa terapia di noi "più adulti".
Facile rendersi conto che l'analisi e la terapia proposte non sono di "nostro pieno gradimento". Alla fine, però è così.
[28.02.2001]
(*) Fondatore e primo direttore del settimanale riminese "Il Ponte".

Questo articolo è stato pubblicato da "Il Corriere di Romagna" del primo marzo, ricordando che è stato scritto per "il Rimino". Ed è citato integralmente nella rubrica di G. Riotta, Stampa on line, del 2 marzo. In una lettera apparsa sullo stesso "Corriere di Romagna" del 3 marzo, il dottor Antonio Bondì ha scritto: "Grazie a Don Piergiorgio Terenzi, parroco di Montefiore Conca, per la sua lettera apparsa sul Corriere di Rimini di oggi".


PERICOLOSE MODIFICHE ALLA LEGGE SULLA STAMPA
La proposta di legge Anedda (7292/2000), apparentemente dedicata al reato di diffamazione a mezzo stampa, contiene alcuni pericolosi emendamenti che potrebbero modificare la legge sulla stampa (47/1948) in senso fortemente repressivo, estendendo il reato di stampa clandestina a qualsiasi "periodico, anche se diffuso a mezzo di trasmissioni informatiche o telematiche, senza che sia stata eseguita la registrazione".
Per maggiori informazioni: http://www.peacelink.it/censura
Fonte: ShinyStat / Shiny Corporation S.r.l [email protected]
"Rimini, non sei l'ombelico del mondo"
Sotto questo titolo appare nel "Ponte" del 4 marzo, e nell'edizione on line, un bell'articolo di Giorgio Tonelli, Caporedattore del TG3 dell'Emilia Romagna, nonché fratello di don Giovanni Tonelli, direttore dello stesso " Ponte ".
Su questo giornale, nel numero precedente era apparso un articolo critico verso la Rai regionale, accusata di ignorare Rimini e la Romagna ("La televisione e la radio pubblica 'schiacciate' sulla vita bolognese", sintetizzava il sottotitolo.)
Ecco che cosa scrive Giorgio Tonelli:
"Rimini, vista da Bologna, è una giovane città di provincia, dal gran dinamismo, ma politicamente poco più che nana. Una città che non sembra avere una cultura politica che vada oltre il proprio orticello. Del resto, le menti migliori della città si dedicano ad altro. Col risultato, per esempio, che negli ultimi dieci anni Rimini non ha espresso un solo assessore regionale. La vicina Ravenna, solo per fare un esempio, ne conta ben tre (oltre ad Errani, Pasi al Turismo e Tampieri all'Agricoltura).
"L'espressione morettiana (da Nanni Moretti) "continuiamo a farci del male" ben si adatta a Rimini se guardiamo anche alle recenti cronache di palazzo Garampi, ad di là delle appartenenze. Modesto consiglio dunque: allo spesso inutile bla bla riminese proviamo tutti a seguire con maggiore attenzione ciò che si muove nelle altre città della Regione.
"Scopriremo che nella sanità Modena sta superando il pur celebrato polo ospedaliero bolognese che - per qualità della vita e benessere - Bologna ha sostituito Parma, che le principali province della Regione hanno raggiunto la piena occupazione, che crescono le aziende della Regione quotate in Borsa. E si potrebbe continuare. E Rimini? Distrugge ciò che crea - come ricordava anche Sergio Zavoli in una intervista al "Ponte", ammira il proprio ombelico, non crea alleanze (è città troppo orgogliosa), ogni anno tira il dado sperando che la stagione vada bene. E soprattutto non ama le proprie creature. Un esempio? La nuova Fiera dal parto interminabile. Sono apparentemente uscito dal seminato solo per dire che ogni città ha ben diritto di rivendicare più spazio nella comunicazione. E tuttavia lo spazio è proporzionale a ciò che si ha da dire in termini di innovazione, di esclusività, d'importanza che una scelta assume per la gente.
"La comunicazione è un fattore competitivo purché si abbiano chiari gli strumenti e gli obiettivi. Purtroppo la richiesta di maggiore visibilità può servire - lo riscontro quotidianamente - anche a nascondere una sostanziale mancanza di idee. Poi ci si stupisce quando si verificano scollamenti fra il Paese istituzionale e quello reale. La città di Rimini si apra maggiormente al confronto e al dialogo con Bologna, con Roma, con Bruxelles. Si candidi per qualche importante ruolo (penso a Parma e alla sua richiesta di sede per l'Authority Alimentare). La Rai ci sarà, pronta a raccontare, sorreggere, sostenere Rimini non per una richiesta campanilistica ma per un ruolo più consono alla sua importanza ed alla sua storia."
Come diagnosi non è male: si può dare torto ad un giornalista così esperto come Giorgio Tonelli, quando sottolinea i vizietti del provincialismo riminese?
Caro Giorgio, tu conosci la stima e l'affetto che mi lega a te. Con tutta sincerità debbo confessarti che ti meriti un bel "dieci" come voto per questo tuo compitino. Ma come negare che il 'tuo' telegiornale privilegia l'Emilia e trascura la Romagna?
Non lo dico con lo spirito di quelli del "Mar", da cui sono lontano mille miglia, per una complessità di motivi che non sto qui a spiegare (dico solo che il sen. Lorenzo Cappelli che da politico del "Mar" lancia tuoni e fulmini, alla fine come presidente dei Filopatridi di Savignano, affida la cura degli Statuti di quel Comune ad uno studioso di Modena: in Romagna, tra i mille suoi amici ed adepti, non ne ha trovato nessuno. Siamo ridotti molto male se è cosi).
Tutto è Bologna e contorni, non solo in Rai, come dimostrano purtroppo anche altre emittenti: una tivù 'diversa' ha trasmesso un notiziario dell'Ente Regione (pagato cioè dai contribuenti) sulla stampa scritta, parlata ed 'immaginata' in Emilia Romagna. Di cose romagnole neppure l'ombra.
A proposito di Rimini, caro Giorgio, vorrei aggiungerti una perla: in un tg locale (VGA) ho sentito il presidente della Fondazione Carim, Luciano Chicchi, dire, a proposito dei restauri al Tempio e al Castello di Sigismondo: "Dopo che abbiamo riconsacrato il Tempio…". "Abbiamo": c'erano lui ed il Vescovo a celebrare? Chicchi è forse Cardinale, od almeno si ritiene tale in pectore, se ha pronunciato quella frase…
Comunque, buon lavoro a tutti, Cardinali e Sagrestani.
P. S. Sabato 3 marzo una trasmissione pomeridiana della Rai con il buon Osvaldo Bevilacqua da Forlì e Cesena, ha presentato una carta della regione con due sole province romagnole: Forlì e Ravenna. Rimini, chi era costei?
[A. M.]
Sigismondo ed i Malatesti
Da Il Nuovo, Sabato, 24 Febbraio 2001.
Lo splendore dei Malatesti a Rimini
In mostra dal 3 marzo una delle Signorie che hanno fatto la storia del nostro paese, con cimeli e opere esposte al Tempio malatestiano restaurato per l'occasione.
RIMINI - Il potere, il fasto e lo splendore di una delle Signorie che hanno avuto influenza nel nostro Paese. I Malatesti stanno per arrivare a Rimini, dove saranno in mostra dal 3 marzo al 15 giugno. I restauri del Tempio malatestiano e di Castel Sismondo, faranno da sfondo alla manifestazione che racconterà cio' che la potente Signoria significò per l'arte, la scienza, la tecnologia, l'architettura nei territori dominati. Sarà anche l'occasione per riaprire il dibattito sulla
vicenda storica di un dominio durato tre secoli, esteso, nell'età di Sigismondo Pandolfo Malatesti, su vasti territori della Romagna e delle Marche settentrionali.
La mostra sarà allestita a Castel Sismondo, che proprio in questa occasione aprirà, per la prima volta, i battenti al pubblico. Il recupero di Castel Sismondo si è affiancato a quello di un altro straordinario monumento simbolo della dinastia, il Tempio malatestiano.
L'esposizione, curata da Andrea Emiliani e Antonio Paolucci, si offre come una compiuta illustrazione della vicenda quattrocentesca di Rimini, allora capitale dello stato malatestiano. Armature, cimieri, barde da cavallo, armi da difesa e da torneo, gli impressionanti strumenti di assedio ricostruiti secondo i progetti dell'epoca, illustrano il potere militare e la vocazione belligerante della dinastia. Accanto al potere militare i ''moderni'' modelli di macchine ed argani, illustrati dagli antichi manoscritti e dai disegni originali, resti- tuiscono l'aspetto scientifico e tecnico della cultura fiorita all'ombra della signoria malatestiana.
Ma la sezione certamente piu' affascinante della mostra è quella che rievoca la vita e gli svaghi di corte, degni di una signoria ''illuminata'': suppellettili, arredi, maioliche provenienti dal Victoria and Albert Museum di Londra, accostati alle suggestive effici su monete e medaglie dei membri della dinastia eseguite da Pisanello e Matteo de' Pasti, contribuiscono ad illustrare lo stato dell'arte nel Quattrocento in terra romagnola e marchigiana.
DOCUMENTI/Corriere della Sera, 25 agosto 2000
Il bacio di Paolo e Francesca ispirato da un libro galeotto
di RAFFAELE LA CAPRIA

Quando ho scelto di raccontare per il Corriere la storia di Paolo e Francesca ero convinto che in qualche biblioteca avrei trovato qualche vecchia cronaca, o una novella, un documento sulla vicenda, e poi ne avrei scritto con parole e sentimenti miei la mia versione. Ma ahimè, quando ho chiesto informazioni al mio amico Vittorio Sermonti, che di Dante è uno studioso, tutto mi aspettavo tranne che lui mi dicesse che su Paolo e Francesca non esiste proprio niente. Esiste solo la memoria del fatto di sangue e il racconto che ne fa Dante.
E allora? A "lavorare di fantasia" si cava poco, perché la fantasia di Dante è talmente grande che lascia poco spazio alla fantasia altrui. Potrei provare a raccontare la storia come una favola, mi son detto, una di quella favole come La bella e la bestia che ci hanno affascinato da bambini e che anche oggi leggiamo con diletto. Dopotutto la storia di Paolo e Francesca ha molti elementi della favola: la fanciulla che aspetta lo sposo a lei destinato dalla famiglia, lo scambio di persona quando lo sposo le appare nelle vesti del bellissimo Paolo, l'amore a prima vista, la brutale verità (perché il vero sposo era un altro, il fratello di Paolo, Gianciotto Malatesta, lo sciancato) la delusione spaventosa di Francesca, i successivi incontri con Paolo dopo il matrimonio, il bacio, la vendetta, e la morte degli amanti trafitti dalla spada del marito tradito. Una favola crudele, ma non tutte le favole sono a lieto fine,e questa è una di quelle. Però si possono oggi raccontare ancora delle favole?
È un'impresa ardua, anche se qualche volta è riuscita: a Saint Exupery, per esempio, con il suo Il piccolo principe. E se cominciassi a raccontare questa storia prendendo le cose alla larga? Prendendo lo spunto dal fatto che tutto accade, tra Paolo e Francesca, perché c'è di mezzo un libro "galeotto", un libro che fa da mezzano? Mentre i due leggono questo libro (che racconta la storia dell'amore di Lancillotto per la bella Ginevra, moglie di Re Artù) capita che la stessa situazione amorosa si ripeta con loro, e Paolo bacia "tutto tremante" la bocca di Francesca. Com'è sensuale, pronunciata da Francesca la parola "bocca", anche se quel "tutto tremante" ci riporta all'adolescenza, o meglio, all'estrema giovinezza dei due amanti. Perché, non dimentichiamolo, Francesca avrà avuto più o meno 15 anni, immagino, e Paolo poco più, e ricordando questo, tanto più orribile appare il matrimonio combinato per procura dalla famiglia di Francesca, di una ragazza con un uomo che lei non aveva mai visto, e che se avesse visto avrebbe rifiutato con tutte le sue forze.
Ma così si usava a quei tempi. Dante mette nel girone degli assassini Gianciotto Malatesta ("Caina attende chi a vita ci spense"), ma non chiama in causa i membri delle due famiglie, i Da Polenta e i Malatesta, che combinarono con l'inganno il matrimonio. Quelli in quale girone andrebbero messi? Ma torno ai due che leggono il libro "galeotto" e agli effetti non proprio benefici di quella lettura, viste le conseguenze. Be', questo coi libri capita spesso, e in letteratura ci sono esempi notevoli del cattivo influsso di certe letture sugli animi troppo sensibili o non preparati a resistere alle suggestioni esercitate dai libri sulla fantasia. Don Chisciotte, per esempio, per aver letto troppi libri di cavalleria finì pazzo, anche se era un pazzo del tutto speciale, che dice a Sancio: "Se un cavaliere errante diventa pazzo per qualche motivo, grazie tante! Il bello sta a impazzire senza motivo...".
Comunque la nipote di Don Chisciotte e un prevosto suo parente fecero un bel falò dei libri della sua libreria che consideravano nocivi, e altri buttarono giù dalla finestra nel cortile. Vale la pena di leggere quelle pagine dove viene messa in atto una selezione molto rigorosa, e alcuni libri che lo meritano (pochi) vengono salvati, gli altri finiscono come ho detto. Una simile selezione e conseguente soluzione sarebbe utile ancora oggi che troppi libri inutili vengono immessi sul mercato. Madame Bovary, neppure lei, ebbe coi libri un buon rapporto, visto che le accesero la fantasia, e con le loro storie aggravarono il suo bovarismo e la resero infelice. Il fatto è che, come dice Ceronetti, i libri ci fanno sognare e "se non immette nel sogno la letteratura è morta".
Ma ci sono sogni pericolosi, sogni sbagliati, come quelli di Madame Bovary: "Non erano che amori, amanti, dame perseguitate che svenivano in qualche padiglione solitario, postiglioni uccisi a ogni muta, cavalli scoppiati a ogni pagina, foreste oscure, agitazioni di cuore, giuramamenti, singhiozzi, lacrime e baci, barchette al chiaro di luna, usignuoli nei boschetti, signori coraggiosi come leoni, dolci come agnelli, virtuosi come non se n'è mai visti, sempre ben messi e pronti a piangere come fontane...
Più tardi, con Walter Scott, s'infervorò di cose storiche, sognò forzieri, corpi di guardia e menestrelli. Avrebbe voluto vivere in qualche vecchio maniero, come quelle castellane dai lunghi corsetti che, sotto un'ogiva trilobata, passavano le giornate, con il gomito sulla pietra del davanzale e il mento nella mano, a veder venire dalla campagna un cavaliere dalla piuma bianca galoppante su un cavallo nero". Dopotutto non si riesce a dar torto alla suocera della Bovary che corre alla biblioteca di Rouen e interrompe l'abbonamento fatto a suo tempo dalla nuora. Per Flaubert i cattivi effetti della lettura non si fermano al bovarismo.
Il signor Bouvard e il signor Pécuchet sono lettori accaniti, e più si illudono di arricchire il loro sapere più diventano preda di quei terribili luoghi comuni che Flaubert sapeva scovare così bene.
Qui finisce la mia digressione sui possibili effetti nocivi della lettura e riprende, con altri pretesti, la storia di Paolo e Francesca che, come si vede, non so raccontare se non tergiversando. Ci si provò D'Annunzio a raccontarla come un drammone elisabettiano fosco e sanguigno, ma a me la sua Francesca da Rimini quando ho incominciato a leggerla è parsa, per la sua ambientazione, costumi, e tutta la paccottiglia dugentesca, un'anticipazione del Sem Benelli, quello della Cena delle Beffe , che tutti ricordano nella versione cinematografica, con Amedeo Nazzari e il seno scoperto di Clara Calamai. Certi dialoghi del primo atto, tra giullari e donzelle, sono davvero spassosi tanto sono inattendibili. Se si pensa al lettore di D'Annunzio, al tipico borghese italiano, che si beava di quell'improbabile cicaleccio medievalesco e di quella poetica lingua esaltata, ci si domanda perché non è stata scritta mai una storia sociologica delle infatuazioni letterarie. Io credo che ci rivelerebbe sulla società italiana e la sua mitomania delle cose molto interessanti.
Con questo non voglio dire che D'Annunzio non sia stato un grande poeta "prefascista" e decadente, anzi penso che nell'uso della lingua, della sua plasticità, sia un maestro, e che l' Alcione , per esempio, è un libro di alta poesia. Ma la Francesca da Rimini , che lui scrisse per la Duse, non ha molti momenti in cui si sente la grandezza. È bella la figura di Francesca, un po' più sbiadita quella di Paolo, quella di Gianciotto ricorda vagamente l' Otello shakespeariano, forse perché accanto a lui c'è il crudele Malatestino a istigarlo con la perfidia di Jago. In definitiva è l'effetto in me prodotto dalla lettura di questo "capolavoro" che mi ha dissuaso dall'idea di "sceneggiare", ri-raccontandola per il Corriere , la storia dei due giovani amanti. E così preferisco ancora divagare...
Appena ho detto queste cose della Francesca da Rimini ho litigato con mia moglie Ilaria, che invece difende quel testo, forse perché fu da lei interpretato nella parte di Francesca quando era ancora una giovane allieva dell'Accademia d'Arte Drammatica, con la regia del bravo Orazio Costa. Lei dice che "teatralmente" il testo non solo regge bene, ma non c'entra niente con Benelli, e il paragone denota soltanto la mia cattiva disposizione. Dice che la figura di Francesca è poetica e drammatica, e insomma leggere un testo teatrale come ho fatto io non vuol dire niente e non serve a niente, perché un testo teatrale si capisce soltanto quando è rappresentato, e durante tutto il lavoro che si fa per rappresentarlo. Per dimostrarmi quanto ero stato superficiale nel mio giudizio mi ha letto alcuni versi, con la giusta intonazione, non declamata cioè, e la sua bella voce mi ha conquistato:
"Come l'acqua corrente
che va che va, e l'occhio non s'avvede,
così l'anima mia..."
Dice Francesca. E ancora, rivolta a Paolo:
"... e tu sei mio
et io son tua,
e la gioia perfetta
è nell'ardore della nostra vita".
Questo lo dice con il presentimento della morte nel cuore, della morte imminente, in agguato là, dietro la porta della sua stanza.
E così, dopo questa dimostrazione, anche in me ambiguamente ha operato la magia dannunziana. Dopotutto sono italiano e non posso eliminare del tutto dal mio essere profondo le ataviche inclinazioni della mia stirpe, come pretendeva il mio senso critico. Così se prima ho proposto, a proposito di D'Annunzio, una storia sociologica delle infatuazioni letterarie, nel mio caso dovrei proporre uno psicanalista junghiano.
A questo punto credo che la cosa migliore da fare sia per me di tornare a Dante, anche perché ho avuto la ventura di leggere a Palermo al Teatro Biondo, davanti a un eletto pubblico, il V Canto dell'Inferno.
Apro la Divina Commedia e rileggo i versi dedicati a Paolo e Francesca. Ma mentre leggo mi domando: chissà perché Dante li ha messi all'Inferno se poi ce li presenta come due innamorati romantici travolti, loro malgrado, dalla passione, e che per la giovane età destano solo la nostra pietà. Certo Francesca commette adulterio, ma quel matrimonio combinato con un inganno così atroce non è un'attenuante? E quando Dante vede quei due ragazzi così delicati e quasi inconsapevoli del peccato commesso, non riconosce che lì c'è lo zampino di quell' "Amor ch'a nullo amato amar perdona", e che, cioè, la felicità dell'amore appagato si paga sempre? Ma perché, se le cose stanno così, quella felicità si paga nientedimeno che con l'Inferno? Non avrebbe potuto Dante mettere Paolo e Francesca in Purgatorio?
E poi perché Francesca, una ragazzina che s'immagina con uno sguardo sognante come quello della Venere di Botticelli, Dante la mette nello stesso girone accanto a Cleopatràs lussuriosa, e accanto a Semiramide?
Come si fa ad accomunare due esperte peccatrici a due giovinetti che si baciano con tanto tremante trasporto? "La bocca mi baciò tutto tremante": amore adulterino, sì, ma anche inesperienza, avventatezza, innocenza. Insomma nonostante tutto, nonostante la trasgressione a uno dei dieci Comandamenti, Dante qui mi appare un po' troppo severo. E forse se ne rende conto lui stesso, perché lui mette Paolo e Francesca all'Inferno, ma li fa stare insieme. "Quei due che insieme vanno"... "questi che mai da me non fia diviso"... La vera pena sarebbe stata di metterli separati , uno in un girone e una in un altro.
Invece no, stanno insieme , abbracciati sembra, e dunque qui c'è un'attenuazione della pena da parte di Dante. E infine, quando mai, nonostante tutto quello che ha visto nell'Inferno, a Dante è capitato di svenire? Ma qui, davanti a questi due ragazzi e all'enormità della pena che ha dovuto loro infliggere (sembra quasi suo malgrado), Dante sviene. "E caddi come corpo morto cade". È un'emozione troppo forte la sua, un turbamento insostenibile. Come se si fossero sovvertite le leggi che ordinavano non tanto il suo universo morale ma quello poetico. E il "dolce stil novo", che fu suo, ora bruciasse tra le fiamme eterne, travolto dalla "bufera infernal che mai non resta".
Venerdì 25 Agosto 2000
© RCS Corriere della Sera
Diamo a Daniele Luttazzi il merito di aprire la serie degli speciali de "il Rimino".
Pubblichiamo due interventi di segno opposto (Massimo Gramellini e Giampaolo Pansa), ed altrettanti brevi commenti di Pierluigi Battista ed Oreste del Buono. Ed il terzo testo: Daniele Luttazzi, "filosofo popolare" di Piergiorgio Terenzi.

Luttazza continua
di Massimo Gramellini
(La Stampa,16 marzo 2001)
In questo Paese di emme, come lo ha chiamato per esteso l'esperto del ramo Daniele Luttazzi, succede anche questo. Che i giornalisti facciano spettacolo, i politici pena e i comici rubino il mestiere agli uni e agli altri, ma con un'aggiunta di fanatismo moralista che mette i brividi. Il Luttazzi che insinua la mafiosità di Berlusconi e si stende a stuoino davanti a quelli della propria parte politica incarna il modello dell'intellettualino ulivista che crede di essere in missione per conto di Dio.
Per costoro non c'è appello alla moderazione che tenga: sono convinti che mezza Italia sia abitata da barbari rincoglioniti dalla tv e l'altra mezza, quella di sinistra, infestata da collaborazionisti alla D'Alema che vogliono venire a patti coi trogloditi anziché metterli in cella di rieducazione a studiare l'opera omnia di Nanni Moretti.
I Luttazzi Continui pensano che Berlusconi non sia un avversario e neppure un nemico, ma un gangster. E con un gangster non si discute, si chiama la polizia. Prima che arrivino i suoi sicari, ovvio. L'unica cosa che faceva ridere, nel Satyricon dell'altra sera, era la libidine da martirio che il conduttore cercava di infliggere anche al pubblico, come quei bambini che ficcano il dito nella marmellata mormorando: adesso mi beccano... Nessun pericolo: i Luttazzi si adattano alle marmellate di tutti i regimi.
Copyright ©2001 La Stampa, Torino

ADESSO MI ARRABBIO (L'Espresso)
Sulla verginità della Madonna di Arcore
Per il libro di Travaglio e di Veltri, presentato alla trasmissione di Luttazzi, tutto il mondo berlusconiano scatena la terza guerra civile. Se oggi non si possono fare domande, domani si potranno tentare delle risposte? Riflessioni su come intende la libertà il presunto vincitore del 13 di maggio
di Giampaolo Pansa
Forse non ce ne siamo accorti, perché eravamo distratti dalle polemiche interne all'Ulivo. Ma Silvio Berlusconi, in questi giorni è diventato come la Madonna. Anche la sua verginità si è fatta indiscutibile. Non può essere messa in dubbio. E' un dogma e basta, non dite una parola di più.
Parlo della verginità finanziaria di Berlusconi. E di quella delle sue origini. Come ha cominciato la carriera di costruttore d'imperi? Anche lui, Silvio nostro che sta nei cieli, ha iniziato da una capanna, con il bue e l'asinello? E chi saranno stati i Re Magi che gli hanno portato subito, a pochi giorni dalla nascita, l'incenso, la mirra e, soprattutto, l'oro?
Guai a proporsi dei quesiti tanto blasfemi. Ci hanno tentato di recente un giornalista di "Repubblica", Marco Travaglio, e un deputato dell'Ulivo, Elio Veltri, che oggi sta nella pattuglia di Antonio Di Pietro. Hanno scritto un libro, "L'odore dei soldi" e l'hanno dato da stampare agli Editori Riuniti.
Né Travaglio né Veltri sono dei novellini. Il primo pratica il giornalismo d'inchiesta, mestiere sempre più raro. E' anche un giornalista giovane e coraggioso, dunque ancora più da rispettare, perché è più facile avere coraggio quando si hanno i capelli bianchi e niente da perdere. Il secondo è un deputato onesto e combattivo e ha già scritto libri sulla corruzione italiana, prima e dopo Tangentopoli.
Dunque, il loro libro comincia la sua corsa, qualche giorno fa. A parlarne sono ben pochi giornali, poiché Berlusconi e i suoi affari sono un tema rognoso. Che in questa vigilia di presunta vittoria della Caserma delle libertà è bene ignorare. Il saggio è zeppo di fatti e di documenti. Che insieme costruiscono una vicenda. La costruzione è quella giusta? Tutto è opinabile a questo mondo. Più che mai un libro d'indagine. Ma il mercato è fatto per valutare e giudicare: i lettori leggono, poi sentenziano. Così avviene in tutte le democrazie del pianeta.
A questo punto che cosa succede? Che una trasmissione tivù della Rai, "Satyricon" di Daniele Luttazzi, invita Travaglio a presentare il libro, ossia ad illustrarne i contenuti. Non succede quasi mai in Rai. La Rai è bigotta e procede con i piedi di piombo. I libri scomodi li ignora sempre. Preferisce suonare la grancassa per i libri degli amici degli amici.
In questo, fa davvero schifo la Rai. E soltanto per questo il pomposo Zaccaria dovrebbe dimettersi da presidente. Ma stavolta, grazie a Luttazzi, il libro di Travaglio e di Veltri passa la cortina di gomma. E fa boom!
Perché fa boom? Per la semplice ragione che, una volta su mille, da uno schermo televisivo si dicono su Berlusconi le cose che si sono sempre dette, sui (pochi) giornali che hanno voluto applicarsi al tema. Si fanno le domande che molti italiani si pongono. Persino quella, blasfema al massimo, che lo stesso Umberto Bossi fino a qualche mese fa si poneva nei suoi comizi e nei manifesti della Lega: il Berlusca non sarà amico dei mafiosi, per caso? O mafioso lui stesso?
Sarebbe una serata normale, quella di "Satyricon" di mercoledì 14 marzo. Magari seguita, nel mercoledì 21 marzo, da una seconda intervista a un saggista-inchiestista berlusconiano, in grado di replicare, e magari di smontare, le tesi di Travaglio e di Veltri.
Invece no. Scoppia la seconda o la terza guerra civile. Ma a senso unico. Perché tutto il mondo, tutti i media, tutti i giornali, tutti i sodali, tutti gli aspiranti sodali che girano attorno a Berlusconi aprono il fuoco contro la Rai, contro Luttazzi, contro Travaglio, un po' meno contro Veltri in quanto membro del palazzo politico.
Non sto a compilare un'antologia che sarebbe troppo stomachevole. Dirò che m'è rimasto nella mente soprattutto Emilio Fede: un intero tg dedicato a piangere sulla sorte della sua Madonna di Arcore e a scatarrare su chi l'ha offesa, mettendone in dubbio la verginità.
Mi rendo conto di stare scivolando verso lo sfottò. E non voglio farlo, perché dentro di me sento una punta di allarme che mi dà un po' di stringistomaco. E mi domando: è questa la caratura democratica della Caserma delle libertà? Che cosa ci annuncia questo strepito orrendo di maledizioni che da tutti i confini dell'impero berlusconiano si leva per un libro che brucia, presentato in tivù?
E mi chiedo ancora: se già oggi viene considerato un reato fare delle domande sul conto di un potente, che cosa succederà, domani, quando si tenteranno di dare delle risposte? E parlo di un domani che potrebbe vedere la Madonna di Arcore sull'altare di palazzo Chigi, circondata e protetta dalle legioni dei conquistatori...
Il vero conflitto d'interessi sta nell'idea di libertà che oppone Berlusconi a una gran parte degli italiani. Lui la libertà la vuole soltanto per sé e per i suoi. E che gli avversari, anzi i nemici a soldo dei comunisti, crepino pure con il sasso in bocca.
16.03.2001, L'Espresso

SATIRA / 1.
di Piergluigi Battista (La Stampa, 19 marzo 2001)
Non si sa chi gliel'ha detto, non si sa su quale libro l'ha letto (sempre che ne abbia letto uno), non si sa in quale atmosfera abbia respirato, non si sa chi siano i suoi cattivi maestri, non si sa chi abbia frequentato e chi frequenti, non si sa se sa quello che dice e se pensa quando scrive, fatto sta che per il comico (?) Daniele Luttazzi la parola "sionista" qualcosa di ripugnante. Rispondendo a Fabrizio Rondolino, in una lettera al Foglio il comico (?) scrive: "sono contento che Rondolino sia sionista: disprezzarlo per il Grande Fratello era troppo poco". Addirittura troppo poco. Per il comico (?) di cui sopra "sionista" è un insulto, una schifezza. Chi ha imbottito la testa dello sventurato con questo schifo?
SATIRA / 2.
di Oreste del Buono (La Stampa, 19 marzo 2001)
La satira è stata il mio lavoro per oltre trent'anni (…). Naturalmente bisogna intendersi su cosa voglia dire satira. Non sono satira una barzelletta né una bastonata. Non è satira impadronirsi d'una conversazione privata e farne uso pubblico, non è satira la presentazione di un libro inchiesta. La satira è un'arte complessa, elaborata e difficile.
SATIRA / 3.
di Marco Forcellini (Esclusiva per il Rimino)
"Se questa è satira, allora noi facciamo crepar dal ridere tutti i giorni!". Fra i giornalisti ricorre spesso questa battuta, quando si allude al programma di Daniele Luttazzi.
In effetti, Satyricon propone soprattutto interviste, come quella - ormai celeberrima - a Marco Travaglio sulle fortune di Silvio Berlusconi.
Ma è satira sparare a zero sui politici o i colossi dell'imprenditoria, ben poco dotati di humor? Seguendo l'insegnamento del mio professore di italiano alle superiori, persona colta e dotata di fine sarcasmo che, nei momenti di difficoltà, mi suggeriva sempre di consultare il vocabolario, apro lo Zingarelli: "Satira - Discorso, scritto, atteggiamento e sim. che ha più o meno esplicitamente lo scopo di mettere in ridicolo ambienti, concezioni, modi di vivere". Perfetto.
Sull'esplicitamente, poi, non ci sono dubbi: è il ritratto dello stile Luttazzi. Ha sicuramente sbagliato tempi e modi (in Italia, Patria del faceto, nulla è più serio della politica sotto elezioni), ma il comico santarcangiolese di satira ne ha fatta. Eccome.
Riassumendo: satira è raccontare le disgrazie facendo ridere. Aiuto, allora anche noi giornalisti facciamo satira… e involontaria. Altro che battute!
Corrierone gaffeur
Piccola, ma innocente, gaffe del Currierun de Milan, 16 marzo, pagina due: dove, a proposito di Daniele Luttazzi, si legge che egli ha iniziato la sua carriera giornalistica collaborando "al settimanale satirico della curia di Rimini". Come risulta a noi locali, collaboratori dello stesso giornale, Il Ponte non è un foglio della curia come solitamente si dice ma diocesano, e tanto meno è satirico, avendo una buona fama a livello nazionale. Ovvero la Grande Informazione.
SATIRA / 4.
di Rosita Copioli (Esclusiva per il Rimino)
"Che dire di Luttazzi? A me piace molto, probabilmente è il più schizofrenicamente o romagnolamente (gli irlandesi usano un termine: "ackward") intelligente, ma non ho visto la serata incriminata.
In ogni caso la satira non deve avere troppi peli delicati."
SATIRA / 5.
di Giuliano Ferrara (Corriere della Sera)
Giuliano Ferrara, intervistato dal "Corriere della Sera" di sabato 24 marzo, ha detto:
"Anche Luttazzi lavorava a Mediaset. Sono stato anch'io suo ospite: mi ricordo che parlammo a lungo di cacca. Mi chiese come me la cavo quando mi siedo sulla tazza.
Dev'essere proprio fissato, magari è il suo elemento.
Ma lo capisco, perché da che mondo è mondo, la cacca è elemento di satira. Ma non ricordo che Luttazzi organizzasse provocazioni sulla mafiosità di Berlusconi a Mediaset."
A proposito di cacca, mi permetto una citazione personale (non come colitico).
SATIRA / 6.
Luttazzi e Colombina (di Antonio Montanari)
Nel teatrino dei burattini, Colombina appariva in scena recando un pollo di cartapesta. Nell'odierna tivù, all'amico Luttazzi si presenta una più appariscente servetta con uno stronzo di cioccolata. Eh no, se la tivù dev'essere verità, occorre superare lo scoglio della finzione, ed accettare l'obbobrio della cosa reale.
Luttazzi ha cercato di rispondere alla sfida di un onorevole che si lamentava contro la sua trasmissione osservando: "Qui ci manca solo la coprofagia". Ma se il comico non vuole fermarsi alla comoda simbologia, e desidera vincere la sfida del suo oppositore, deve andare al di là del fatto allegorico (lo stronzo di cioccolata), e (sudando magari lagrime e sangue) affrontarne uno vero, con tanto di certificazione delle autorità sanitarie.
Troppo comodo offendere il prossimo, anche qualche defunto, lanciare il sasso e ritirare la manina. Se spettacolo dev'essere, sia totale. Non questa commediola d'avanspettacolo con un Freccero che, da Santoro, parodiava Giovanna D'Arco portata al rogo, prima di risorgere decretando: è stata tutta una finta, Luttazzi mercoledì apparirà, la sospensione del suo spettacolo è durata poche ore per ricevere gli applausi, perché nei corridoi Rai ci sono troppi veleni.
La trasmissione di Santoro del 9 febbraio ha proposto questa solenne divisione dell'Italia fra una sinistra che, compatta, deve credere negli stronzi, ed una destra che li rifiuta.
Posso sperare che auspicare una maggiore giustizia sociale non sia finire in quell'oggetto oscuro di desiderio, esibito da Luttazzi fra il tripudio degli intellettuali di complemento che, da Santoro, hanno finalmente scoperto la verità, secondo cui tutto il male della tivù deriva, oggi, dal fatto che (sia alla Rai sia a Mediaset) i programmi di maggior successo li procura un signore che, come colpa originale e marchio d'infamia indelebile, ha quelli di essere il marito di tale Craxi Stefania del fu Bettino.
Per par condicio, perché i nostri comici non ricordano anche il caso Montesi (accennato di recente, con coraggio, da Pippo Baudo), od il caso Mattei, ritornato d'attualità, grazie alla "Stampa"? Emergerebbero le responsabilità di certi balenotteri (nel senso di cavalli di razza della Grande Balena Dc). Oppure perché non ricordare, sempre in chiave satirica, le responsabilità del Migliore, il Palmiro, nella Russia sovietica, dove gli emigrati comunisti finivano al macello perché ritenuti ingiustamente spie fasciste?
Suvvia, occorre un poco di fantasia.
Daniele è un timido, e come tale può avere reazioni eccessive ed incontrollate. La sua scelta però di limitarsi al cioccolato, di fronte all'istigazione-invito alla coprofagia, dimostra che sa trattenersi. Ma trattenersi è di destra o di sinistra? Santoro non lo ha spiegato.
(Questa mia lettera è apparsa sulla "Stampa on line", nella rubrica "Pensieri & Parola" di Gianni Riotta, il 15 febbraio 2001. Non è invece stata pubblicata dal "Corriere di Romagna" al quale l'avevo inviata in pari data.)
SATIRA / 7.
di Vincino ("Porta a Porta")
Vincino, fondatore del "Male" e di "Boxer" ha detto in "Porta a Porta" della Rai (22 marzo):
"Non vedo satira in giro in questo momento. Ho visto un vecchio libro, con notizie vecchie, e mezz'ora d'intervista quasi strisciata a terra. E nessuna domanda se non affermazioni da vecchio reazionario, del tipo 'L'Italia è un paese di merda'".
SATIRA / 8.
di Massimo d'Alema
"Che Luttazzi vada difeso quando la destra tenta di cacciarlo dalla Rai, è chiaro. Vorrei solo che fosse altrettanto chiaro che non è non Luttazzi né con Travaglio che vinceremo le elezioni."
SATIRA / 8 bis.
di Vauro
"Allora d'Alema ritiri la querela a Forattini..." (Raggio verde, 23 marzo)
SATIRA / 9.
di Dario Fo, Nobel per la Letteratura
"Dietro la satira c'è sempre una storia che gli storici si rifiutano di raccontare." (Linea Verde, 23 marzo)

SATIRA / 10. Luttazzi, "filosofo popolare"
di Piergiorgio Terenzi (in esclusiva per il Rimino)

Daniele Luttazzi ha incominciato a passeggiare in pubblico (meglio sarebbe dire "pazzeggiare") sul settimanale riminese "Il Ponte", che allora avevo l'onere, oltre che naturalmente l'onore, di dirigere.
Di questo, se proprio vogliamo essere sinceri, ora provo un certo orgoglio. So bene che "è peccato", ma sarebbe "un vero peccato" se non lo provassi. Siamo umani!
Il rapporto fra un direttore ed un collaboratore comico-satirico (nel caso specifico, appunto, Daniele) si distanzia non poco dagli altri ordinari collaboratori nel settore più specificamente giornalistico. "In che senso? Perché tale fenomeno?", potrete chiedere giustamente.
Se il comico non è solo un abile imitatore (diciamo un po' copione) degli spunti suggeriti da altri, necessariamente possiede una verve, una personalità artistico-culturale di fronte alla quale, volere o no, sei costretto a "prendere o lasciare"... più o meno in blocco.
Diciamo che si stabilisce, magari segretamente, una specie di matrimonio. Nel matrimonio i due partner sono certamente uniti, ma se correttamente manca la dominanza dell'uno sull'altro, restano spazi di libertà e di espressione che vanno necessariamente e correttamente salvati. Così, so di esagerare un po', ma non troppo, le strip di Daniele Luttazzi sul "Ponte" erano una specie di giornale nel giornale... con una loro logica, una loro filosofia ed una loro visione dell'uomo e degli avvenimenti sociali.
Tale prevedibile e previsto sviluppo c'è stato ed ha portato giustamente Daniele non solo ad esprimersi su altri canali, ma anche con modalità diverse da quelle del segno grafico delle vignette.
Posso dire (per alcuni merito, per molti altri demerito), di aver tenuto a battesimo e di aver favorito, oltre che ben ascoltato i primi vagiti di Daniele. L'ho fatto non solo per necessità (cioè per mandare avanti la bottega).
Ho impiegato o investito anche un po' di fede "sofferta". Sofferta nel senso che, come naturale, non tutti potevano essere d'accordo, data la qualifica ufficiale di "Settimanale cattolico".
Il comico-satirico, infatti, come ho già detto, non è solo uno che si assume il compito di "far ridere" il lettore. E' in grado di farti ridere solo se ti aiuta a leggere e ad interpretare i fatti a partire dal "suo" punto di vista... rifilandoti magari, al momento giusto, un bel ceffone che ti sveglia dai tuoi sogni più o meno beati, meglio "buonisti". Così, proprio come novello Fantozzi, tu sei costretto a rispondere: "Ma come è umano, lei!". E' il doveroso gesto di riconoscenza a chi, magari, ti picchia a sangue e ti fa pure apparire cretino anzichenò.
Diciamo così, concludendo, che il comico "stile Luttazzi" è un "filosofo popolare", ha dignità non solo culturale, ma pure pedagogica.
Sono pazzo se mi viene spontaneamente da dire che, in questa società, possiamo augurarci di cuore "dieci, cento, mille Daniele Luttazzi"?
Al lettore, il compito di rispondere ‘seriamente', non istintivamente alla domandina.
Piergiorgio Terenzi
fondatore e primo direttore del settimanale "Il Ponte"
© il Rimino. Riproduzione consentita solo se accompagnata dalla citazione:
"il Rimino, a cura di Antonio Montanari", http://digilander.iol.it/monari
Questo articolo di P. Terenzi è stato pubblicato il 28 marzo 2001 dal "Corriere di Romagna" con questa titolazione: "Intervento. Piergiorgio Terenzi racconta il comico che collaborava per il Ponte. Quando Luttazzi faceva il vignettista. Sul settimanale cattolico i primi lavori di un 'filosofo popolare'".

SATIRA / 11. Luttazzi, la sinistra e il mondo capovolto
di Dario Fo e Franca Rame
(in esclusiva per Buongiorno.it)
Un bel mondo a rovescio questo, dove la sinistra si rifiuta di fare campagna elettorale e tocca ai comici di sostituirla. E non solo in politica, anche nelle battaglie sociali. Chi è il primo fornitore italiano di elettricità ecologica all'Enel? I verdi? No, Beppe Grillo. Chi ha scatenato il casino sull'uranio radioattivo? I Ds? No. Striscia la Notizia.
Chi ha fatto la campagna per l'olio di colza? L'Asinello? Noi due guitti. E chi ha avuto il coraggio di fare informazione vera in tv, portando gli atti dei processi contro Berlusconi? Daniele Luttazzi.
E' fantastico, gli attori stanno prendendo il potere! In fondo non c'è poi tanto da meravigliarsi: abbiamo un Papa ex attore e un presidente della Repubblica Ceca Havel famoso autore di tragedie e anche di satire. Clinton non c'entra. Lui era sassofonista, a causa di un dissesto maniaco-orale. Ma parliamo di Luttazzi, che forse a quest'ora è ancora vivo. Duole dirlo, ma ha più palle lui di 400 giornalisti di sinistra medi e mediomassimi! Per spiegarci meglio, avete visto come intervistavano Berlusconi a Porta a porta? Mancava poco che il Vespa gli facesse vento e strisciasse ai suoi piedi per leccarglieli un po'. In effetti a leggere i giornali mica si capisce bene cosa ha detto il Luttazzi. Allora a beneficio degli assenti riassumiamo. Egli ha invitato alla sua trasmissione, che va in onda in seconda serata sulla seconda rete, tale Marco Travaglio, giornalista di Repubblica, conosciuto nel giro come la "Tigre di Mompracem", il quale, unitamente a talaltro Elio Veltri, in arte "Kamikaze della banda di Di Pietro", ha avuto il fegato, tipicamente italico, di scrivere un libro intitolato L'odore dei soldi. Sottotitolo: Origini e misteri delle fortune di Silvio Berlusconi. In questo libro si raccolgono atti giudiziari contro il leader di Forza Italia e soci e l'intervista al giudice Paolo Borsellino, persona stimatissima e onesta che tra l'altro simpatizzava per la destra, il quale, poco prima di essere ammazzato, racconta che sta indagando su rapporti poco chiari tra l'entourage di Berlusconi e la mafia. Nel libro notansi anche che presso il Berlusconi lavorava un noto boss mafioso nella umile veste di stalliere della villa di Arcore. Nel libro parlansi anche di molti miliardi arrivati alla Fininvest, molte società create in Italia e all'estero, e persino esilaranti interrogatori del Berlusconi nei quali lui si difende in maniera alquanto singolare dall'accusa di irregolarità in atti fiscali. Tutta roba, precisa l'autore, agli atti dei processi. Roba insomma che basta richiederla per poterla leggere. Possibile che nessun altro oltre Luttazzi e gli autori del libro se ne sia accorto?
Ora, vorremmo dire che se negli Usa, che non sono proprio la patria del comunismo, venisse a galla del materiale, della documentazione a dir poco esplosiva su un candidato, di qualunque partito esso sia, voi la trovereste pubblicata in prima pagina su tutti i giornali e telegiornali, a prescindere dal loro colore politico. Si chiama dovere d'informazione. E a volte se ne trova. Tutte queste notizie in Italia invece sono riuscite a passare praticamente inosservate. Non era meglio scriverci queste sui manifesti, invece di riempirli col faccione di Rutelli? Si ha come la sensazione che Berlusconi tenga tutti per i coglioni. E viene da chiedersi come mai si siano chiuse le camere senza che venisse ratificato il trattato con la Svizzera sulle rogatorie delle documentazioni bancarie. Sarebbe stato fondamentale per la conclusione delle inchieste di Mani Pulite. Borelli ha chiesto al Parlamento di approvare la legge in extremis, ma non è stato ascoltato. E così un altro modo per fare chiarezza è stato vanificato da una coalizione di Governo di centrosinistra che ha la maggioranza e che si avvia sorridendo ad una quanto mai probabile sconfitta elettorale.
Vogliono fare la campagna elettorale su un piede solo, con le mani legate e un limone in bocca. E poi dicono che la Mucca è Pazza. Chi più ne ha, più ne metta. Qualche sera fa a Tele Lombardia sul tema "Mafia, Dell'Utri e Berlusconi" si scontravano rappresentanti di tutti o quasi i partiti. Con un collegamento in differita, interveniva a tratti anche Marco Travaglio. L'autore del libro scandalo ricordava come nella sua inchiesta fosse emerso che il Cavaliere - o come lo chiama Indro Montanelli il "Piazzista di Arcore" - ha intestato le proprie società a tutti i parenti, a cominciare dal fratello, dalla moglie e i figli nonché a conoscenti più o meno stretti fino ad un vecchietto, poverino, infermo costretto a recarsi in sedia a rotelle presso gli uffici appositi per apporre la propria firma di amministratore sui bilanci di una delle suddette società. Al che, un rappresentante della Casa delle Libertà è intervenuto commosso e ha esclamato: "Ecco, questa è la prova della magnanimità del Cavaliere. Lui, i suoi collaboratori non li licenzia, ma li fa sentir vivi fino all'ultimo respiro!". Ad un certo punto il giornalista di Repubblica ricordava ad un rappresentante della Lega che qualche anno fa, quando ancora Bossi si trovava in rotta con Berlusconi, era stato pubblicato un libro dal titolo Soldi sporchi al Nord per una casa editrice, l'Editoriale Nord, notoriamente legata al Carroccio. Pare che nel testo si accusasse il Leader di Forza Italia non solo di essere quasi un mafioso, ma di aver riciclato denaro sporco e trafficato illegalmente muovendo capitali su piazze esotiche riuscendo così a gabbare il fisco per miliardi. Il responsabile leghista ascoltava terreo, senza riuscire a balbettare parola, quindi il Travaglio incalzava: "Insomma, ieri Berlusconi era un mafioso e oggi?". Sì, allora lo era. Adesso non lo è più. E morta lì.
Oggi siamo in un clima di bagarre: Forza Italia, Alleanza Nazionale e perfino Bossi chiedono a tamburo battente le dimissioni della direzione Rai al completo, minacciando addirittura di non intervenire più ai programmi della Televisione di Stato. Pensa tu che pacchia! E voi credete ad un gesto tanto eroico? "Ma mi facci il piacere!" avrebbe detto Totò. Figurati se quelli rifiutano lo straordinario privilegio di poter mostrare ogni giorno a tormentone le proprie facce costringendoci ad ascoltare pletore ed insulti non solo agli avversari politici, ma soprattutto alla nostra intelligenza!
(Questo articolo è tratto da Il cacao della domenica, la newsletter settimanale di Dario Fo e Franca Rame edita da Buongiorno.it)


Antonio Montanari
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