il Rimino n. 12. 14 febbraio 2000
Coriano, un libro sul dialetto.
Il 'ponticello' delle Celle.

Archivio 2013

Coriano, un libro sul dialetto
Il dialetto dev'essere un tema che interessa tanto, se escono in continuazione libri sull'argomento, magari con la precisa volontà di documentare, oltre all'argomento principale, anche altri aspetti della vita, soprattutto se di carattere locale.
In tal senso ben vengano le pubblicazioni come questo "Nóu a scurém isé", che reca quale sottotitolo "Detti e proverbi in gergo corianese" (Pietroneno Capitani editore, Rimini).
Da borgo a borgo possono cambiare un poco gli accenti ed i contorcimenti di consonanti e vocali, ma resta il sugo fondamentale di una parlata comune che riassume appunto nei detti e nei proverbi il senso dell'esperienza umana collettiva.
Il volume, curato da Vincenzo Santolini e Franco Bucci, con illustrazioni di Luciano Monti, ed un "saluto beneaugurante", in apertura di pagine, del sindaco di Coriano Ivonne Crescentini, mescola il documento linguistico a quello storico, facendo ricorso, per quest'ultimo, ad una bella serie di fotografie che si possono dividere in tre categorie.
Ci sono quelle degli anziani che nel loro volto di oggi rimandano a tante storie passate, al pari di quelle dei defunti inserite per ultime. Infine ci sono le immagini ambientali, d'epoca, sotto la rubrica di "gruppi di corianesi". Guardatevi ad esempio quell'interno della "Sartoria Bucci, 1960", dove ogni particolare racconta meglio di un saggio come si viveva, come si era, e come si vestiva, verrebbe da dire un secolo fa.
Ma per quelli che allora non c'erano (ammesso che leggano queste righe vagabonde), od anche per quelli che non ricordano bene, aggiungeremmo alla didascalia soltanto una piccola frase: mancavano cinque anni all'invenzione della minigonna, alla rivoluzione del mondo che cambiò anche le usanze dei piccoli borghi, dove magari si continuò a pensare in dialetto ma si cominciò a vivere in modo diverso.

Il 'ponticello' delle Celle [Tama 748. "Favole"]
Ci sono le leggende metropolitane che non corrispondono a verità. Ci sono poi le favole cittadine che nascono da fatti realmente accaduti ma finiti nel dimenticatoio, e che permettono di ricostruite storie importanti che non dovrebbero perdersi con il passare del tempo, talmente sono istruttive. Fra le favole cittadine, noi iscriviamo d’autorità il nuovo ponte pedonale sul fiume Marecchia, appena collocato (ma da terminare), per i motivi seguenti.
Trent'anni fa il piano regolatore aveva previsto la costruzione di un ponte 'normale' che collegasse la nuova sottocirconvallazione (via Caduti di Marzabotto) con la zona Nord di Rimini, posta al di qua dello stesso Marecchia.
Come tutti sanno, il ponte 'normale' non poté essere costruito, per cui non si riuscì ad alleggerire la vecchia e la nuova circonvallazione, e Rimini rimase con l'eterno problema del traffico, anche perché non si è ancora giunti a risolvere quella che in anni lontani si definì la questione dell'allargamento dell'autostrada o del suo spostamento.
In sostituzione del ponte 'normale', noi cittadini ne abbiamo ricevuto in dono uno più piccolo (ma non per questo non costoso: un miliardo e 360 milioni), a conferma che a Rimini piace, per via del suo stesso nome, il "mini", all'insegna del motto economico preferito nella nostra zona da mezzo secolo: "piccolo è bello" (la pensioncina, la piadina, il vicolino, ecc.). In effetti, il ponte pedonale sul Marecchia è sì bello ma non piccolo, per cui domina maestoso il panorama fluviale.
Chi se lo immagina affollato di pescatori affacciati al suo impalcato, o di visitatori che su di esso sostino ad ammirare lo scorrere delle acque, deve aggiungere alla favoletta una piccola appendice: ci è stato detto che il sottostante cavo dell'Enel da 132 mila volt emanerà un campo magnetico tale per cui, sul ponte, non ci si potrà fermare ma si dovrà transitare in fretta, soprattutto per i portatori di pace-maker. Noi vorremmo dagli esperti conferma o smentita a queste voci, per rassicurare "la cittadinanza" ed evitare eventuali guai ai soggetti a rischio.
Intanto, visto che, sebbene con trent'anni di ritardo, e con le differenze di cui s'è detto, un ponte alle Celle si è fatto, perché non prendere esempio da questa favola anche per il teatro Galli, e cominciare a progettare qualcosa di più "piccolo" (e bello), per avere almeno fra trent'anni un teatro dei burattini? [748]
Antonio Montanari

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