il Rimino n. 7. 22 Dicembre 1999
SPECIALE Rimini nascosta.
Sei volumi del "Portico del Vasaio"

Archivio 2013

Parliamo in questa pagina di un'iniziativa culturale promossa dal "Portico del Vasaio" e dall'editore Raffaelli: sono sei piccoli libri dedicati ad altrettanti aspetti della storia della città di Rimini, apparsi tra l'anno scorso e quest'anno. Essi raccolgono testi di conferenze partite nel 1999 con un titolo provocatorio, "La città nascosta". Il primo appuntamento è stato dedicato alla Biblioteca Gambalunghiana, di cui molti ignorano non soltanto le origini ma anche la sezione antica delle sale (non ancora aperte al pubblico).
Gli altri cinque titoli successivi di questi "Quaderni del Portico" affiancano una rivisitazione storica della nostra città, da parte di specialisti e studiosi di chiara fama, ad informazioni che collegano i lavori di restauro, le riscoperte alle vicende originarie su questi temi: il Lapidario (al Museo), la chiesa di san Giuliano, quella di sant'Agostino, l'arco di Augusto e la Madonna delle Grazie. Per tutta la serie dei sei volumetti, il coordinamento è stato di Giovanna Lelli e l'impaginazione di Walter Raffaelli editore.

Sant'Agostino
Fu nel 1916 che, in seguito ad un violento terremoto, nella zona absidale della chiesa di sant'Agostino (l'edificio gotico più importante di Rimini), emersero i grandi affreschi "che si rivelarono fondamentali per la comprensione della pittura riminese del Trecento". Elisa Tosi Brandi racconta come "questo grande ciclo pittorico" sia stato realizzato da "una famiglia di pittori a cui si deve la nascita e lo sviluppo della Scuola riminese" del XIV secolo.
Per circostanze misteriose questa Scuola, "così come repentinamente nacque e maturò, altrettanto improvvisamente perse l'originalità e la poesia che avevano reso celebri i suoi artefici per un cinquantennio". Riproduciamo un particolare della "Madonna in Maestà": la Vergine, scrive Elisa Tosi Brandi, "ha un carattere monumentale e nello stesso tempo terreno".
I suoi occhi hanno un "dolce sguardo distratto e sognante", mentre il Bambino "in piedi sulle sue ginocchia pare quasi strattonare la sua veste nel tentativo di attirare l'attenzione su di sé". Nella cappella del campanile si trova il ciclo più antico di affreschi (attorno al 1303). Quelli dell'abside sono di poco posteriori (forse tra 1308 e 1318).
Nel 1311 Malatesta da Verucchio (1212-1312) disponeva nel testamento che i suoi eredi provvedessero alle spese di tutti i capitoli generali degli Ordini mendicanti che si sarebbero tenuti a Rimini. Quello degli Agostiniani si svolge nel 1318 all'interno di questa chiesa, per la seconda volta, dopo quello del 1278.

Alle Grazie
La storia dell'antico santuario della Madonna delle Grazie è affrontata da Pier Giorgio Pasini con la consueta intelligenza e capacità stilistica, come ben dimostra l'incipit tutto letterario, derivato da una citazione di Antonio Baldini, secondo cui "ogni città che si rispetti ha nei pressi un'altura dall'alto della quale farsi abbracciare con un'occhiata". Il Colle di Covignano ospita quel santuario dovuto ai Signori delle Caminate.
Il dipinto dell'Annunciazione, un tempo attribuito a Giotto, è di Ottaviano Nelli: "Sembra interessante e giusta l'ipotesi che si trattasse di uno stendardo processionale, di cui nell'ambito del convento esiste infatti anche l'altra faccia, cioè una tela di quasi uguali misure e dipinta dallo stesso pittore, con una raffigurazione molto interessante perché frutto della contaminazione fra la scena della ‘Crocifissione' e quella del ‘conferimento delle stimmate a san Francesco'".
Consacrata nel 1430, la chiesa fu prolungata nel 1569, con modifiche alla parte vecchia. Altri lavori (al presbiterio) sono del 1669. L'assetto definitivo risale al 1863. Come si presenta oggi la chiesa? Un portalino gotico, scrive Pasini, introduce ad un edificio ‘moderno' che "comunica con una navata cinquecentesca coperta da un soffitto gotico e ornata di affreschi seicenteschi, aperta su cappelle con ancone barocche" e l'Annunciazione del '400.

San Giuliano
Orietta Piolanti firma "Gli scavi archeologici del complesso monastico di san Giuliano", avvenuti nel 1993. Grazie ad essi "si è potuto appurare che l'antica strada che si innestava al ponte di Tiberio, non passava sotto la chiesa, come aveva indicato il Clementini" (XVII sec.), "ma proseguiva con andamento perfettamente rettilineo al ponte stesso".
Era la via Emilia che oggi nasce soltanto al bivio del cimitero, alle Celle.
Il primo tracciato della strada sembra risalire al 187 a.C.: "Il fatto che la strada nel borgo san Giuliano fosse lastricata, ci dice che il quartiere era considerato come un prolungamento della città stessa". Nella zona è stata ritrovata nel 1993 anche un'abitazione con un pavimento annerito dalle fiamme e numerosi materiali su di esso: "Abbiamo trovato anche una pedina da gioco, degli spilloni con cui fermare i capelli: era senz'altro una casa abitata", ma forse una specie di motel lungo la strada per far rifocillare i viaggiatori, far ferrare i cavalli e lasciarli in custodia. Successivamente, sopra la casa, sono state poste delle sepolture (dal III al VII sec.): sono tombe che contengono soltanto resti ossei "senza corredo secondo l'usanza dell'epoca". Questa necropoli viene utilizzata anche in epoca alto medievale, quando le tombe sono tutte poste vicino ad un muro che probabilmente apparteneva ad un edificio religioso: "potremmo trovarci di fronte alla prima testimonianza del luogo sacro dove sorgeranno" una chiesa ed un monastero benedettino.

Gambalunga
Alessandro Gambalunga donò nel 1617 alla città la propria biblioteca ed il palazzo edificato tra 1610 e '14: ora vi si trova la Biblioteca civica che da lui prende nome. Alla Gambalunghiana ed al suo fondatore, Piero Meldini dedica l'attenzione da studioso che ne fu anche direttore. Di origini modeste, la famiglia Gambalunga fece fortuna nel commercio del ferro: Alessandro, in aggiunta, incamerò le doti di tre mogli.
La costruzione del palazzo costò 70 mila scudi. Qui egli tenne accademia, circondandosi di letterati ed eruditi. Nel 1583 si era laureato in "entrambe le leggi" (diritto canonico e civile), "non per esercitare, ma per fregiarsi di un regolare ‘cursus studiorum', preoccupazione del tutto estranea all'ambiente aristocratico". La sua biblioteca contava 2.000 volumi, che ne facevano allora un esempio imponente. I suoi libri erano stati "acquistati per lo più a Venezia, dove affluivano anche libri dalla Francia, dalle Fiandre e dalla Germania. Venezia era allora il maggior centro di vendita libraria d'Italia". Gambalunga morì nel 1619 e fu sepolto nella chiesa del Paradiso che sorgeva a fianco del Duomo, distrutta dalle bombe nel 1944.
"Tre giorni prima di morire Gambalunga aveva voluto fare un codicillo al testamento in cui nominava personalmente quale primo direttore della biblioteca Michele Moretti, suo esecutore testamentario, dottore in legge, suo amico e protetto. L'ultimo pensiero di quest'uomo […] era stato così rivolto alla sua amata biblioteca".

Lapidario
Valeria Cicala, trattando del "Lapidario romano", illustra anche le origini di una città di frontiera "fra culti, commerci e vita quotidiana". Fondata nel 268 a.C. come colonia di diritto latino, Ariminum sorge su di un precedente nucleo abitativo: "Qui giunge un forte contingente di persone provenienti dall'Italia centrale, in particolare dall'odierno Lazio; alcuni erano ‘cives romani', godevano cioè della cittadinanza ‘optimo jure', e vi rinunciano venendo a far parte di una colonia latina a cui sono riconosciuti lo ‘jus commercii, connubii' e ‘civitatis mutandis'". Rimini fu un punto di arrivo ed un elemento di difesa come base militare e sede di legione. Le testimonianze del Lapidario cominciano dalla fine del II sec. a.C.: ai primi decenni del I sec. a.C appartengono i monumenti funerari a "dado" che denotano notevoli risorse dei proprietari, Quintus Ovius Fregellanus e Caius Maecius.
Chi non poteva permettersi questi monumenti, scrive Cicala, "si accontentava della piccola tabella", con un nome, un aggettivo ed "una breve dedica che definisce le affettività o i legami di parentela".
Dalle lapidi possiamo ricavare diverse notizie, ad esempio che "anche allora, su queste rive dell'Adriatico, era possibile incontrare gente di provenienza diversa". Bisogna ricordare pure che a Ravenna era stanziata una delle due flotte imperiali.

L'arco d'Augusto
Giancarlo Susini, dell'Università di Bologna, uno dei più noti studiosi del mondo antico, illustra l'arco d'Augusto "tra storia antica e nuove scoperte", con quella felicità di stile e profondità di pensiero che lo contraddistinguono, e che lo portano ad inquadrare il monumento nelle più ampie vicende della romanità.
"Dalla porta ubicata dove oggi è l'arco, cioè dall'arco, partiva una via monumentale che fu compiuta definitivamente nell'anno 220 a.C.; due anni e mezzo prima che tutta la nostra regione fosse sconvolta dall'invasione annibalica, con truppe e mercenari di varia provenienza, africana, iberica, balearica, celtica, ecc. ecc.": proprio grazie a questa via che la collegava a Roma, la via Flaminia, "Rimini fu forse l'unica roccaforte che si salvò dalla bufera". La strada prende il nome da un personaggio, Gaio Flaminio, che Susini chiama "esponente del centro-sinistra", cioè del ceto imprenditoriale, al quale si contrapponeva quello dell'aristocrazia fondiaria che dominava il Senato romano. L'arco inoltre distingue (sulla linea del ‘pomerio') il territorio della città da quello dei campi: dentro la città ci sono templi ed uffici, fuori i cimiteri. Per gli antichi, il ‘pomerio' segnava anche un confine religioso: e chi passava sotto l'arco compiva un atto di devozione "che subordina, necessariamente e senza remissione, l'uomo alla divinità". La porta di Rimini, infine, trasformata in arco acquista "una funzione squisitamente commemorativa, specificamente politica".
Antonio Montanari

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1912, 01.10.2013.
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