Diario italiano
Il Rimino 172, anno XII
Aprile 2010

24.04.2010
Servire il popolo
Il motto fu inventato da Giovanni Giolitti nel 1919

"Siamo al servizio del popolo", ha dichiarato la direzione del Pdl. Ci si è chiesti: c'è un richiamo maoista in queste parole?
Il primo politico a parlare in Italia di "servire il popolo", è stato Giovanni Giolitti il 12 ottobre 1919 in un comizio a Dronero: "I governi sono fatti per servire i popoli, non per dominarli". Ed infatti nel 1922 nacque il fascismo.
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24.04.2010
25 aprile
Ricordo di quei giorni attraverso un libro sugli ebrei internati in Valmarecchia

Pennabili 1943. Virgina Longhi si fidanza con un ebreo internato, Enzo Plazotta. Lui nel febbraio 1944 fugge dal campo per unirsi ai partigiani. Lei nell'agosto successivo per quella relazione sentimentale è fucilata da un plotone di camicie nere. I primi internati ebrei arrivano a Pennabili, San Leo e Santagata Feltria nel luglio 1940. Dal 10 giugno l'Italia è entrata in guerra. Il 1° giugno una circolare degli Interni ha spiegato che gli ebrei (al pari di squilibrati mentali e pregiudicati) debbono essere considerati pericolosi in vista del conflitto. Scoppiato il quale, essi vanno rinchiusi nei circa 400 luoghi selezionati. Questo è il tema di “Con foglio di via, Storie di internamento in Alta Valmarecchia 1940-1944” scritto da Lidia Maggioli ed Antonio Mazzoni (Il Ponte Vecchio, Cesena).
La prima anagrafe delle persone politicamente sospette, è istituita nel 1926. Nel 1935 si predispongono gli internamenti. Dal 1938 si stabilisce che può esserne colpito chi svolge attività antitaliana. Agli ebrei è diretto il 15 luglio 1938 il Manifesto della razza, tradottosi nelle infami leggi razziali sottoscritte dal re il 12 settembre. Le schedature del regno sono largamente utilizzate dalla repubblica di Salò e dai nazisti dopo l'8 settembre 1943 per le deportazioni verso i campi di sterminio. Nelle leggi razziali si stabilisce che gli ebrei stranieri, tra cui quelli che hanno lasciato Austria e Germania, debbono essere allontanati immediatamente dal nostro suolo.
Il 6 giugno 1940 le questure sono sollecitate a vigilare sugli ebrei capaci di propaganda disfattista e di attività spionistica. Dopo il 10 giugno comincia il rastrellamento indiscriminato degli ebrei, che sono rinchiusi in carcere per essere avviati ai campi d'internamento. dove li attende una segregazione dal mondo. Li liberano soltanto dopo il 10 settembre 1943 grazie ad una clausola dell'armistizio annunciato l'8 settembre.
Dalla ricostruzione accurata fatta da Maggioli e Mazzoni con un prezioso lavoro di ricerca, apprendiamo: gli ebrei internati in Italia sono 2.412 nell'estate del 1940, e 5.636 alla fine del 1942; alla conclusione del conflitto, si contano 2.444 deportati con 1.954 vittime e 490 sopravvissuti ai lager; gli ebrei italiani deportati (1940-43) sono 4.148, nei lager ne sono uccisi 3.836 (più 179 ignoti) e soltanto 312 (più 35 ignoti) tornano a casa.
Nella carta di Verona della repubblica di Salò (14.11.1943), gli ebrei sono definiti stranieri. Il 30 novembre si ordina il loro internamento nei campi di concentramento. I nazisti si congratulano con le camicie nere. Poi si dà la caccia agli ebrei misti, ovvero coniugati con ariani. Alla fine della guerra, i deportati ebrei per opera dei fascisti sono 6.806. Si salvano soltanto in 837.
Nel volume c’è una serie di testimonianze che illustrano il dramma vissuto da intere famiglie perseguitate soltanto per motivi razziali, ma aiutate da ariani. A Pugliano i rifugiati ebrei giunti nel luglio 1944 sono salvati dall'ospitalità dei cittadini che li adottano e nascondono sino all'arrivo degli alleati.
A Pennabili, San Leo e Sant'Agata per tutti i residenti le condizioni di vita sono modeste ai limiti della sopravvivenza con un'economia povera. I comuni già negli anni Trenta passano a nuclei di quattro o cinque persone soltanto una sola razione settimanale di sussistenza. La situazione peggiora con la guerra. In questo quadro agli internati si concede di lavorare per rimediare il cibo. Però agli ebrei sono riservate precise limitazioni.
Gli autori premettono un'utile precisazione. L'immagine che degli ebrei emerge dagli atti ufficiali, è quella manipolata per lo più da segnalazione basate su spiate malevole costruite sui si dice. Circa il tema, ricordiamo un interessante studio relativo all'intero Ventennio, "Delatori. Spie e confidenti anonimi: l'arma segreta del regime fascista", di Mimmo Franzinelli (2001), dove si parla pure di Rimini.
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23.04.2010
Litigio in monopolio
Le immagini alle tv da quella del partito, dice la ministra Carfagna

La ministra Carfagna ha spiegato in Rai che tutte le immagini del litigio tra Berlusconi e Fini di ieri, sono state fornite dalla tv di partito. Così crediamo di aver compreso, con meraviglia perché ritenevamo che fossero considerate tv di partito le tre personali del premier più il tg1 di Minzolini. E che quindi non fosse necessaria un'altra struttura che gentilmente fornisse la cronaca dell'evento alle singole reti, pubbliche o private.
La signora Carfagna ha citato il particolare con lo scopo di dimostrare che nel partito nessuno si vergogna di quello che è successo, in base al fatto che tutto quanto è avvenuto ieri è stato trasmesso urbi et orbi.
Per la verità pare che non tutte le reti televisive personali del premier abbiano garantito un'informazione adeguata all'evento. Né potevamo attenderci che Emilio Fede rimanesse freddo e neutrale, altrimenti non saremmo più in Italia.
Dato che ogni pensiero ha un suo retrogusto, così come ogni nascita ha il suo concepimento, è proprio il concepimento del pensiero della ministra Carfagna che impressiona. Perché esso, rappresentando la telecronaca del litigio fra premier e presidente della Camera come graziosa concessione da parte del partito, fa immaginare anche l'ipotesi contraria: di un fatto pubblico come una discussione politica all'interno di un partito (nessuno può pensare che sia un incontro privato...), potevamo anche far finta di nulla e tenere tutto nascosto.
La signora Carfagna voleva apparire magnanima, ma ha soltanto suggerito la conferma della linea politica del suo partito: quello che succede, è tutto grasso che cola, perché il potere è nostro e ce lo gestiamo noi come vogliamo. E' stata proprio la constatazione di questo atteggiamento (la concezione padronale della politica che nutre ed illude Berlusconi) che ha inquietato il presidente della Camera fino a farlo esplodere davanti a tutti contro il cavaliere. Checché se ne possa pensare, ci sarà qualcuno che potrà dire che siamo addirittura entrati nella quarta repubblica. Più che innestare la quarta, hanno avviato l'Italia in una pericolosa retromarcia.
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18.04.2010
Morti di mafia senza pensarci
Anteprima. TamTama 25 aprile 2010

Cari Morti di mafia. Se aveste fatto finta (niente in politica è meglio del far finta) di essere deceduti per altra causa, l'Italia oggi sarebbe un Paese più felice. Anche se meno civile. Ma in fin dei conti al popolo non interessa di essere civile, quanto di essere felice. Per questo motivo il popolo preferisce le parole d'ordine, i rituali di massa, le oceaniche adunate. Basta che abbia un'insegna sotto cui intrupparsi. Gli è sufficiente mettersi in piedi ad ascoltare la domanda fatale. A chi la vittoria? A noi! Succede oggi. Chiedono al popolo se vuol farsi mettere le mani in tasca per pagare più tasse. Succedeva l'altro ieri. Quando l'ora della Storia batteva sull'orologio dell'Italia. E tutti a dire: vincere, vinceremo. Poi sappiamo com'è andata a finire. Ma ci aveva già avvertiti Ettore Petrolini con la caricatura di Nerone. Non faceva in tempo ad aprire bocca, che riceveva l'applauso preventivo.
Adesso voi Morti di mafia non state sulla coscienza di politici passati o presenti. Ce ne è uno, tra loro, di venerata memoria benché sia vivo, che ha sulla fedina penale una prescrizione (2003) per reati mafiosi. No, voi Morti di mafia, recate danno all'immagine dell'Italia. Non lo dice nessuno, ma lo lascia intendere qualcuno. Se il Bel Paese ha una mafia che è soltanto sesta nel mondo, allora (pensa e dice questo qualcuno) perché tanto impegno nel darle un supporto promozionale.
Se capitasse un marziano tra noi, non capirebbe, e non per colpa nostra o sua. Bisognerebbe dirgli che un presidente del Consiglio (e non di una qualsiasi bocciofila che tuttavia permette di fare belle carriere urbane), ha detto queste cose (certamente con animo ben disposto e senza spirito amaro) contro uno scrittore che denuncia i mali prodotti dalla mafia, accusandolo di fare cattiva propaganda all'Italia.
Insomma, è l'eterna, vecchia lezione che i panni sporchi si lavano in famiglia, così come invece i soldi si riciclano all'estero protetti dagli scudi fiscali, per farli ritornare immacolati nei forzieri nazionali ad onore e gloria dell'italica stirpe. Alla quale recano danno soltanto questi eroi, questi Morti di mafia più ingombranti delle macerie di un terremoto o dei rifiuti depositati in discariche abusive del Sud ma provenienti di nascosto dal virtuoso Nord. Un giudice ha scritto un libro sul perché l'Italia ha sconfitto il terrorismo ma non la mafia. Non dimenticatelo, Gian Carlo Caselli: è costretto a vivere protetto. [991]
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17.04.2010
Un cretino sognava
Prima di parlare, documentarsi, altrimenti appunto si fa la figura dei cretini

Ricordo una prima pagina del "Giorno" di Italo Pietra. C'era una lettera che grondava razzismo, intitolata: "Un cretino ci scrive".
Dovrei intitolare questo post "Un cretino mi descrive". Ricevo il ritaglio-video di un post in cui si dice che io da giovane conservavo la foto del Che sul muro della mia cameretta...
Il poveretto non ha mai letto questo testo (apparso il 26 agosto dello scorso anno), dedicato ai Kennedy, dove scrivevo: "Nella mia scrivania fa avevo sottovetro una foto gigantesca della bella famiglia di JFK, ritagliata dall'«Espresso» di Arrigo Benedetti, quello formato lenzuolo".
Nessuno è obbligato ad essere informato di tutto su tutti, ma se poi mi prende di mira, sarebbe pregato di informarsi di quanto io penso e scrivo. Altrimenti, se mi attribuisce certe posizioni politiche, ho tutto il diritto di definirlo un cretino. A prova di giudice.

Archivio cretini: 5.7.2009, Tal Grisostomo
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16.04.2010
Meno 15 (mila voti)
La crisi del Pd a Rimini denunciata dall'eretico Fabio Pazzaglia. Lo cacceranno dal partito?

In due anni il Pd a Rimini ha perso 15 mila voti, passando da 36.017 (2008) a 20.804 suffragi (2010). La denuncia viene da un consigliere comunale del Pd, Fabio Pazzaglia, in odore di eresia, perché dissente dalla linee ufficiali del partito, rischiando l'espulsione. In Consiglio comunale infatti Pazzaglia non ha votato il bilancio, poi ha chiesto la modifica dello Statuto del Pd per la questione del dissenso e della conseguente espulsione.
Non basta, Pazzaglia accusa i dirigenti di prepotenza ed inadeguatezza. Appunto per quei 15 mila voti perduti. E, ciliegina sulla torta, dichiara di volersi candidare sindaco alle primarie.
Ovviamente non lo staranno a sentire, e anche a Rimini vincerà la Lega.
Andiamo in archivio. Il 6 aprile 2008 a Rimini si è tenuta l'unica manifestazione pubblica del Pd sulle "parole da salvare" dal nostro dialetto, per tramandarle dai nonni ai nipoti.
Il motto veltroniano-omabiano del "si può fare" è stato appunto tradotto in dialetto. Un favore al "localismo" leghista. I risultati del 2010 lo confermano. Poi per le prossime comunali, signori del Pd, non prendetevela con Pazzaglia, vi aveva avvisato.
Archivio, 26 maggio 2008
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15.04.2010
Urlatori di oggi
Ricordo di Carlo Alberto Rossi. Un riminese mai sopra le righe

Famoso, geniale, elegante fu il suo personaggio. Niente di costruito, nessuna posa, un artista sincero. Non andò mai sopra le righe, nella vita. Lo ricordiamo così Carlo Alberto Rossi, un riminese vincente nel mondo, senza quei tratti che rendono antipatica la descrizione della "riminesità". E che trasformano la caricatura felliniana (amara e persino perfida nelle sue pennellate che vanno dall'etica quotidiana alla politica) in una specie di ridicola etichetta.
Viene in mente per analogia un altro musicista riminese, quell'Alberto Semprini (1908-1990) che però aveva avuto la fortuna di nascere a Londra per scelta del padre che inseguiva l'amore inglese. E lo stile d'Oltremanica, Semprini lo esibì sempre con una naturalezza d'altri tempi su ogni palcoscenico.
La stessa naturalezza che caratterizzò Carlo Alberto Rossi, uno che ha fatto cantare l'Italia, quell'Italia "allegra" prima del '68, per rubare il sottotitolo ad un libro ("Adulti con riserva") che Edmondo Berselli licenziò alle stampe nell'ottobre 2007. Anche Berselli ci ha lasciato in questi giorni. C'è una canzone di C. A. Rossi che ha come titolo "E se domani". Fu una canzone simbolo di Mina, l'artista che "per le note tirate a piena gola piaceva moltissimo ai commendatori e ai rappresentanti di commercio", scrisse Berselli.
Anche Berselli è stato un maestro della misura, del non andare mai sopra le righe (nella vita e nella scrittura), in quest'Italia molto provinciale più oggi che un tempo. Dove chi urla non è un urlatore come i cantanti d'una volta, ma un prepotente che pretende di aver ragione soltanto perché dà sulla voce ai suoi interlocutori. Le "Mille bolle blu" di C. A. Rossi sono state soppiantate dai palloni gonfiati. Di tutti i colori. C'è poco da stare allegri. Per questo rimpiangiamo la musica di C. A. Rossi, e non soltanto perché era un riminese discreto.
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11.04.2010
Con vane ciance si perde tempo
Governo senza potere? Berlusconi sogna di essere un nuovo De Gaulle

Occhei, diciamo imitando gli americani. Ma il gesto dell'ok è made in Italy, come nel dipinto di Paolo di Visso (XV sec.) che ritrae san Bernardino da Siena. Con la mano sinistra mostra un libro aperto, nella destra unisce a cerchio pollice ed indice secondo il modo usato dagli insegnanti di retorica per precisare: i discorsi sono giusti. Lo spiega Chiara Frugoni nello studio dedicato alla "Voce delle immagini". Insomma, niente è nuovo sotto il sole. Tutto ha una storia.
Il discorso vale anche per la politica italiana. Si prospettano riforme. La più complessa ed oscura è quella costituzionale. Si vuole introdurre un quasi sistema francese. Dico quasi perché i nostri cugini d'Oltralpe eleggono il presidente della Repubblica con il doppio turno. Noi invece vogliamo risparmiare e ci accontenteremmo del turno unico. Sabato 10 aprile il capo del governo si è dichiarato impotente: "L'esecutivo non ha alcun potere": deve sottostare alle Camere. Dove peraltro la sua maggioranza è forte. Il rimedio è appunto modificare la Costituzione.
Molti suoi colleghi di partito non sono convinti. Italo Bocchino è stato l'unico politico di destra (crediamo) a ricordarci che il presidente francese nomina il presidente del Consiglio. In Francia non tutto è sempre andato liscio, perché si sono avuti lunghi periodi di contrasto fra capo del governo e capo dello Stato. Berlusconi pensa di eliminare queste eventualità con il turno unico, forse con il principio che chi prende più voti (anche un 20%) merita il 51? Bocchino teme il turno unico, come Fini: avremmo un presidente della Repubblica che nomina il primo ministro e controlla di fatto la maggioranza.
Il sistema francese fu cucito addosso a Charles De Gaulle nel 1962, dopo la nascita della Quinta Repubblica (1958) conseguente alla questione d'Algeria. Sergio Romano in un libro di Storia lo definisce una "monarchia repubblicana". È questo che vogliamo anche per l'Italia? Noi soltanto a parole siamo alla Terza Repubblica. Per cambiare il numero si deve cambiare Costituzione. Siamo ancora alla Prima, e basta, nonostante le chiacchiere. Di cui si lamenta Bocchino difendendo Fini, e definendo Bossi traditore perché nel 2001 chiamò Berlusconi mafioso.
Dunque, nel governo si litiga mentre le urgenze del Paese reale sono lasciate in ombra. Berlusconi cerca applausi parlando di oppressione fiscale. Come la destra reazionaria francese. Con vane ciance si perde tempo, non si dà da mangiare. [990]
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I post precedenti.
Diario italiano, indice.


Anno XII, n. 172, Aprile 2010
Date created: 03.04.2010 - Last Update: 24.04.2010, 17:25/
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