Diario italiano
Il Rimino 171, anno XII
Marzo 2010

15.03.2010
Lieto fine cercasi
Dove sono i mostri?

Nei libri per bambini non ci sono più i mostri. C'è di peggio. "Un'onda di incubi che cresce, monta, s'increspa, e mai s'acquieta". Sono volumi senza luce o speranza. Non c'è più il lieto fine, ma "neppure una fine, un epilogo risolutore che perimetri il malessere e lo esaurisca". Lo scrive Simonetta Fiori sotto il titolo "Ma sono libri per bambini?" in un pezzo di "Repubblica", sabato 13 marzo.
I mostri inventati dei libri per bambini, sono spesso accanto a noi per strada. La cronaca nera racconta il mondo meglio di tanti trattati. C'è di peggio. Oltre ai mostri veri, ci sono quelli partoriti dalla fantasia popolare attorno a chi ha veramente bisogno di aiuto. Stesso giorno, stesso quotidiano. Jenner Meletti, un bravo cronista che conosce bene le nostre terre, racconta l'esperimento segreto avvenuto per due anni a Sadurano di Castrocaro. Il manicomio criminale, poi ospedale psichiatrico giudiziario, è stato trasformato in una comunità aperta. Si chiama Casa Zacchera. Sta vicino ad una comunità retta da un sacerdote, don Dario Ciani. Aiutato da persone brave e capaci, don Ciani ha sempre raccolto deboli e disperati, scrive Meletti: tossici, alcolisti, ex ospiti di manicomi.
A Sadurano gli ospiti della comunità, che gestiscono pure un ristorante biologico, in due anni sono stati 27. Undici non ce l'hanno fatta a cambiare regime. I sedici rimasti non hanno creato problemi, nessuno ha tentato la fuga. Ecco un lieto fine provvisorio, come è tutto in questa vita, ma certamente nuovo rispetto al passato. Viene in mente il successo di pubblico per lo sceneggiato televisivo su Basaglia. Il Paese reale non è così rimbambito come si cerca di accreditarlo, vietandogli di discutere di politica, o cercando la salvezza nella litigiosità giudiziaria.
Non soltanto i bambini hanno diritto al lieto fine nelle favole o nei libri. Anzitutto ne hanno diritto nella vita. Quel bambino immigrato che sarà separato dai genitori clandestini, grazie ad una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, si vede negato in nome della Giustizia un diritto elementare che viene prima dell'amministrazione della stessa Giustizia. Quello di poter essere assistito da madre e padre, alla ricerca di un destino migliore. Non soltanto i bambini hanno diritto al lieto fine nella vita. Anche gli adulti con cui essi vivono. Altrimenti al di sopra di qualsiasi Corte c'è il principio morale latino: massimo rispetto della legge, massima offesa. [Tam Tama 987]

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14.03.2010
Scalfari rivela
Due scontri di Ciampi con Berlusconi

Senza alcuno strillo in prima pagina, "Repubblica" racconta oggi nell'editoriale di Eugenio Scalfari la fissazione berlusconiana di comandare in Italia "al di sopra" della Costituzione vigente.

Sono particolari inediti di due scontri avvenuti tra l'attuale capo del governo ed il precedente capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi.
Le occasioni. Prima, la nomina dei tre giudici della Corte Costituzionale di competenza dello stesso presidente della Repubblica. Berlusconi non vuole quelle persone, rifiuta la controfirma che è un atto dovuto in forma notarile, come gli spiega Ciampi.
Berlusconi si alza e rifiuta "con tono infuriato". Ciampi gli spiega: se non firmerà, dovrà sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale.
Berlusconi se ne va. In serata i tre atti di nomina recapitati a Palazzo Chigi, tornano controfirmati al Quirinale.

Seconda occasione. Legge Gasparri sulla tv. Questa volta è Ciampi che non firma. E spiega che rinvierà quel testo alle Camere con un messaggio. Berlusconi reagisce strepitando: così danneggi Mediaset, ovvero una cosa mia. Il resto leggetevelo nelle parole di Scalfari, essendo vietata la riproduzione di lunghi brani dei testi apparsi a stampa.
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14.03.2010
Roma
L'ombra di Pertini fa paura a sinistra?

La preoccupazione maggiore della sinistra tra ieri (in piazza a Roma) ed oggi (sui giornali), è stata quella di non attaccare Napolitano. Benissimo. Ma perché?

Ieri a Roma si sono visti cartelli che evocavano il fantasma di Sandro Pertini (con una sua frase: "La politica va fatta con le mani pulite"). Ottimo rimando storico.

Ma al Pd fa più paura la critica a Napolitano, o il richiamo della memoria di Pertini (vecchio socialista)?
Ieri su "l'Unità" Andrea Camilleri ha invocato un "pax napolitana", con argomenti purtroppo infelici: il presidente è il garante della Costituzione e tirargli la manica da destra o da sinistra, ottiene un solo risultato, quello di sdrucirgli la giacca.

Certi strattoni possono anche essere frutto di autolesionismo, purtroppo. Come nel momento di indossare la giacca, e di impugnare la penna per firmare il lodo Alfano, ad esempio. La colpa non è di chi segnala quella firma come inopportuna, esimio maestro Camilleri, che amiamo e rispettiamo.
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12.03.2010
Bolgia, basta la parola
E' quella usata da Napolitano ieri per indicare il quadro politico italiano

Oggi ci sono fatti nuovi, sotto il profilo della cronaca: Berlusconi sarebbe indagato per questioni legate all'informazione televisiva. Lo rivela "Il Fatto".

Ieri momento più significativo, sotto il profilo politico e giornalistico, è stato un evento pubblico: nel corso del quale il presidente della Repubblica ha definito "bolgia" il quadro italiano (testualmente: "Fuori è una bolgia").

Ogni parola per quanto semplice, contiene richiami complessi. Mi torna in mente un celebre volume, uscito prima come tesi di laurea (1964) e poi come Oscar Mondadori (1969), "La semantica dell'eufemismo" di Norma Galli de' Paratesi.
L'edizione mondadoriana aveva un sottotitolo "Le brutte parole".

Bolgia non è una brutta parola, è un termine dotto che riassume una brutta situazione. Tutto qui. E' un onesto eufemismo, oltre il quale non poteva andare il capo dello Stato. Ha detto anche troppo con "niente". Qui sta la novità.

Quel "bolgia" di Napolitano ha echi profondi. Ieri Berlusconi ha detto che l'economia italiana è in ripresa. Pensiamo ai tredici imprenditori veneti suicidi negli ultimi tre mesi. E pensiamo seriamente, non alle barzellette del capo del governo, ma al quadro nazionale. Ricordando un passo dell'editoriale odierno di Concita De Gregorio, su "l'Unità": "Era tutto scritto nel programma della loggia massonica P2 della quale Berlusconi era tesserato e che tanti vantaggi gli ha garantito".
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12.03.2010
Cosa bolle in pentola
Tama 986, 14.03.2010

Un meccanico milanese di 18 anni nel 1738 gira nelle campagne reggiane. Sviene per la fame. Lo curano con salassi e lavativi. Aumenta la febbre. Ed amen. Ucciso dal cibo che aveva racimolato nei campi. Quelle erbe lo hanno fatto scoppiare, accerta l'autopsia. Ce lo raccontava Piero Camporesi (1985).

Dimmi cosa mangi, verrebbe da aggiungere, e ti dirò chi sei. Una vecchia offesa suonava: "Morto di fame". Ma non di solo cibo vive l'uomo. Le madri una volta elogiavano la bellezza del figlio soffiandogli sul volto: "At magnaria, ti mangerei". Oggi rischierebbero l'arresto.

Non mangiamo soltanto il cibo che sta nel piatto, ma ci nutriamo pure di quanto esso racconta. Massimo Montanari, storico ed esperto del settore, in un volume ha citato un proverbio catalano: "Mio signore, mangiate voi le pere, perché noi le diamo ai maiali". Il pranzo con cui termina "Amarcord" per le nozze di Gradisca, riassume l'Italia del Ventennio.

Un altro regista, Gianni Amelio (in un suo libro recente, "Un film che si chiama desiderio") fa l'elogio di "Amarcord": Federico Fellini ha "l'aria di chi sta solo raccontando qualche fatterello personale", invece "coglie un'epoca e la giudica senza paraocchi". Lo zio Pataca tradisce il cognato, a cui tocca un'abbondante lezione a base di olio di ricino. La scena torna in mente a proposito di una cena di "Casa Artusi" a Frampul, con "ospite" Benito Mussolini.

Artusi partì da Forlimpopoli per Firenze dopo la notte del Passatore, quando sua sorella impazzì per lo spavento. Zvanì chiama "cortese" il Passatore. Più che un abbaglio storico, è un'imperdonabile licenza poetica. A "Casa Artusi" hanno preso una licenza gastronomica. Il duce, ce lo ha ricordato Vittorio Emiliani, soffrì prima di gastrite e poi di ulcera, per cui doveva andare in bianco almeno a tavola. Non digeriva il rosso del sangiovese. Da sempre. Un goccio per festeggiare il diploma magistrale lo stese a terra.

Per Maurizio Viroli, conterraneo e storico con cattedra a Princeton, è una cena della vergogna: fa diffondere la banalità del male che non distingue fra il giusto e l'ingiusto. Il problema è sempre quello, non della gastronomia ma della Storia. Non riguarda che cosa è servito in tavola, ma quanto bolle in pentola. Le sofisticazioni alimentari sono minori di quelle della politica. Un antico romagnolo burlone avrebbe servito a quella cena sul duce una ciambella all'olio di ricino. Per liberare i commensali da ogni dubbio. [986]
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11.03.2010
Fatta la legge
Trovato l'inganno, ma buono: il web si vendica della tv con Mentana

Il discorso è semplice. Non si può parlare di politica in tivù? Facciamolo in tv. Parola di Enrico Mentana, che è partito oggi pomeriggio sul sito del "CorSera" con dibattiti tranquillamente infuocati.

E' la "occasione da non perdere per chi ama l'informazione" come si legge nella proposta dello stesso Mentana al direttore del "Corrierone".
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11.03.2010
Come non passa il tempo
La cronaca accusa. La Giustizia arriva tardi

Pieni sono i giornali odierni di storie antiche di cronaca nera. Nessuna meraviglia, soltanto il dubbio che il tempo sia passato invano. Con la madre di Emanuela Orlandi, ci chiediamo: "Perché il nuovo indagato solo dopo 27 anni?".

Domanda senza risposta, ma non inutile. Potrebbe accadere a qualsiasi cittadino. Uno Stato democratico è quello in cui tutti si sentono garantiti, compresi i parenti delle vittime. Non soltanto i potenti.

Ai parenti delle vittime spetta il rispetto che si deve non soltanto al loro dolore, ma alla ricerca della verità nell'opera della Giustizia. Non è retorica, è un principio basilare, in cui ci dovremmo riconoscere tutti.
Purtroppo le vicende politiche degli anni recenti smentiscono questo principio.
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09.03.2010
Male oscuro
Nasce dal "male minore". Ne parla oggi Giannini su "Repubblica" in una drammatica intervista a Ciampi

Ieri sera intitolavo "Mali minori" il post che cominciava così: "A forza di accettare i mali minori, abbiamo squagliato lo Stato".
Oggi con sorpresa leggo che Massimo Giannini inizia l'intervista su "Repubblica" a Carlo Azeglio Ciampi con queste parole: "Benvenuti nell'Italia del Male Minore".

E' un'intervista drammatica, ben riassunta dal titolo: "Massacro delle istituzioni".
Non giudica Napolitano. E lo spiega citando il terzo tipo del periodo ipotetico, quello dell'irrealtà. Frase che forse dovranno spiegare a molti politici altolocati, che ritengono tutto reale e tutto possibile.

Testuale: "Assistiamo sgomenti al graduale svuotamento delle istituzioni, all'integrale oblio dei valori, al totale svilimento delle regole: questo è il male oscuro e profondo che sta corrodendo l'Italia".

Il mio pessimismo è confortato da così alta autorità politica e morale. Ciampi parla di "altro passo indietro". Ma invita a "non smettere di lottare". E' lo stesso tema che affronta in un'altra intervista odierna, a Marzio Breda del "CorSera", intitolata "Mai mollare. Penso ai fratelli Rosselli".

Da 15 anni (conclude) siamo entrati in un tunnel, da cui "purtroppo" non siamo ancora usciti. La colpa è di chi è guidato dall'interesse personale e non ha principi etici a cui ispirarsi.
Tutto tra virgolette, pensiero di un galantuomo che ripropone le idee di Giustizia e Libertà, ricordandoci l'uccisione di Nello e Carlo Rosselli per mano di "una banda di francesi prezzolati da Mussolini".

Oggi sul "Corriere" Ciampi è ritornato al tema del "Non mollare" di cui aveva parlato il 23 novembre 2009 con "Repubblica, come riferimmo nel post sottotitolato: "Democrazia in pericolo, tempo triste, imbarbarimento della politica."
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08.03.2010
Mali minori
Dal 2008 si parla di "mali minori", per non spaventare l'opinione pubblica. Intanto si squaglia lo Stato

A forza di accettare i mali minori, abbiamo squagliato lo Stato. In questi giorni assistiamo a stupende arrampicate sugli specchi per dire che quel decreto "elettorale" non poteva non essere firmato dal Capo dello Stato. Anche se il decreto stesso non va bene per nulla.

In altri tempi, in molti avrebbero detto che c'è contraddizione irreparabile tra le due affermazioni. Oggi no. Perché un discorso politicamente corretto deve salvare dalle critiche il capo dello Stato: capo dello Stato inteso come istituzione, non come singola figura: nello specifico, Giorgio Napolitano.

Lo ha fatto con eleganza di dottrina anche Gustavo Zagrebelsky, il costituzionalista intervistato ieri da "Repubblica": ha usato toni molto duri contro il decreto, per quattro motivi. Ne citiamo uno soltanto, "si finge che sia un'interpretazione, laddove è evidente l'innovazione". Poi sul Capo dello Stato, Zagrebelsky registra soltanto che ha usato "l'etica della responsabilità". Ovvero, non c'era altra strada per non peggiorare le cose, se abbiamo compreso il suo pensiero.

Giusto. Però c'era già stato il precedente del "lodo Alfano", a proposito del quale parlammo di "Nebbia sul Colle". E citammo un fondo della "Stampa" del prof. Carlo Federico Grosso, in cui si spiegava perché Napolitano aveva scelto la strada del "male minore".
L'articolo di Grosso era intitolato "Di male minore in male minore", per avvertirci che così facendo si è intrapresa una strada pericolosa: "Di mediazione in mediazione, il quadro delle riforme compiute o in gestazione (...) è comunque desolante. Si è trasformato il presidente del Consiglio in una sorta di Principe liberato, sia pure a termine, dalle normali, doverose, responsabilità giudiziarie...".

Era il luglio 2008. A marzo 2010, ci stiamo ancora allenando a mettere a fuoco il male minore o cerchiamo di comprendere come è fatto il cammino su quella "strada pericolosa" su cui ci siamo (siamo stati) avviati?
Dal luglio 2008http://antoniomontanarinozzoli.blog.lastampa.it/antoniomontanari/2010/03/mali-minori.html parliamo di mali minori, per non spaventare l'opinione pubblica. Ma tutto ciò dove ci sta portando?

Aldo Schiavone osserva oggi su "Repubblica": "La crisi del berlusconismo [...] sta entrando in una fase nuova e imprevedibile, in cui ogni cosa è possibile".
Ieri sul "Corrierone" Ernesto Galli della Loggia ha parlato di una crisi politica del partito e quindi del governo (possiamo immaginare) di Berlusconi. Dovuta al suo senso di onnipotenza, alla sua arroganza, alla sua altezzosa insofferenza alle critiche.

Non serve nulla a gridare allo stato di accusa come fa Di Pietro, per Napolitano. Ma serve ancor meno fingere che i problemi non esistono. Più che fare la Storia, ci lasciamo trascinare da essa. Ed essa, da vecchia bagascia come la definiva Gianni Brera, dà ragione a chi vince, e non fa vincere chi ha ragione. Vecchia lezione su cui nessun sembra intenzionato a meditare.
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I post precedenti.
Diario italiano, indice.


Anno XII, n. 171, Marzo 2010
Date created: 08.03.2010 - Last Update: 15.03.2010, 17:56/
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