Diario italiano
Il Rimino 165, anno XI
Settembre 2009

09.09.2009
L'urna dei forti


Secondo Ernesto Galli Della Loggia, il cavalier Berlusconi nessuno lo può giudicare perché ha vinto le elezioni. Ma che idea di democrazia ha in testa?

Premessa noiosa. Di ogni parola possono darsi (come minimo) due interpretazioni. Una forte ed una debole. Le parole, si sa, sono pietre. E talora pure peggio. Vanno maneggiate con cura.
L'indimenticabile Leo Pestelli scriveva che tra "fare l'amore" e "fare all'amore" c'era una differenza. Che nel primo caso avrebbe potuto portare un figlio.
Quel "fare all'amore", direbbe il senso comune, è più "platonico". Ma il senso comune non ricorda che "amor platonico" non è quello delle sole idee (ovvero delle menti), ma bensì quello completo, fisico nel senso più totale.
Avrebbe poi predicato il Cristianesimo: sarete due corpi ed un'anima sola. Ecco quell'anima sola è veramente platonica. Un'anima sola non è mai persa se sta in così buona compagnia.

Fine della premessa. Per arrivare alla parola che ci siamo prefissati di esaminare, sulla scia di un fondo del "CorSera" di lunedì scorso 7 settembre composto da Ernesto Galli Della Loggia (EGDL). Ovvero la parola "urna".
Che non è quella dei forti a cui accennava Ugo Foscolo come fonte di stimoli per accendere i forti animi. Ma più prosaicamente il contenitore delle schede elettorali. Il quale va maneggiato con cura affinché non si trasformi nella tomba della democrazia.

EGDL dà un'interpretazione forte dell'urna elettorale. Chi vince può fare tutto. Lo sostiene in questi termini: Berlusconi è "l'uomo della politica democratica ridotta al suo dato più elementare, quello del risultato delle urne". Ovvero chi vince ai seggi, non deve incontrare ostacoli.

Eh, no, esimio prof. EGDL. L'urna, nel caso e nella spiegazione del suo testo, diventa l'alibi per giustificare ogni atto politico dell'esecutivo, soltanto in virtù del fatto che, vinte le elezioni, il premier fa tranquillamente i comodi suoi. Per parlar pulito.

No. La Costituzione italiana non sta in questi termini. I famosi pesi e contrappesi, che i politologi citano elegantemente nella lingua inglese perché fa più fino, sono i correttivi che mirano ad impedire uno strapotere personale.

Un grave vulnus è già stato inferto alla Costituzione con il "lodo Alfano" contenente un articolo del "lodo Schifani" già dichiarato incostituzionale dalla apposita Corte (articolo 1, comma 2, legge 140/03).
Adesso vuole sostenere EGDL che ogni atto governativo non debba passare al vaglio degli altri organi costituzionali soltanto perché il gabinetto è uscito vincente dalle urne?

EGDL dimentica tutta la storia che ha portato alla nascita della democrazia moderna dal vituperato Settecento dei "biechi illuministi".
E finge di ignorare che nella demcrazia moderna la libera stampa rappresenta il "tribunale della pubblica opinione". Perché mai?

EGDL conclude infatti il suo lungo "fondo" sostenendo che non tocca ai giornali stabilire "se qualunque persona è adatta o inadatta a guidare il governo".

Allora, con un capo di governo che riesce a controllare direttamente od indirettamente i tre quarti (o forse più) di tutto il sistema di comunicazione delle informazioni ai cittadini, è proibito alla quota restante e minoritaria rivelare quelle notizie che possono arrecare discredito al premier sino a fargli "perdere la faccia"?

L'ottimo EGDL dovrebbe sapere che, nel caso specifico a cui si fa sempre riferimento per certe vicende, a denunciare la "malattia" del soggetto e la frequentazione di minorenni, è stata quella signora che al momento del suo pronunciamento pubblico era ancora la consorte del premier stesso.


Orbene, come possono gli elettori sapere se quella persona è "adatta o inadatta a guidare il governo", quando nessuno gli svela (o può svelargli) gli "arcana imperii" che EGDL vorrebbe vedere rinchiusi in una specie di fortezza inaccessibile ed inviolabile in cui tutelare il potere uscito dall'urna?

Il prof. EGDL merita tutto il rispetto dovuto a chi compone fondi per il "Corrierone", ha lunga carriera professionale e fama di osservatore attento alle cose di questo mondo.
Perché se fosse uno studentello a qualche esame universitario meriterebbe un giusto e sano rimbrotto, per non parlare di bocciatura (che la signora Gelmini definirebbe sacrosanta).
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08.09.2009
Mike, 8 settembre


Mike Bongiorno, ricordiamolo anche cosi'

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L'immagine riproduce un brano del volume di Dario Venegoni (2005) sul lager di Bolzano.

Dal ''Dizionario della Resistenza italiana'' di Massimo Rendina: Bongiorno, ''sfollato l'8 settembre sulle Alpi piemontesi, attraversava nei mesi invernali i valichi alpini innevati, recando messaggi in Svizzera per conto della Resistenza''.

"Tu devi unirti al nostro gruppo, mi dissero, ed io accettai portando messaggi a Torino e Milano'', ha scritto Bongiorno: ''Avevamo previsto un'ultima missione ma qualcuno tradì cosiì - ero a Crodo sopra Domodossola ed avrei dovuto attraversare a distanza di poche ore il confine - venimmo catturati dalla Gestapo''. (Fonte, Asca)

Citiamo ancora dall' agenzia Asca. Dopo il carcere a Milano, Bongiorno venne destinato all'internamento in Germania a Spithal (ma prima passo' anche in altri campi di concentramento come Bolzano e Mauthausen) e nel 1945 venne scambiato tramite la Croce Rossa con prigionieri tedeschi detenuti dagli americani, grazie ad un accordo che riguardava persone gravemente ammalate o casi speciali. Tornato a New York lavoro' per la stazione radiofonica del quotidiano ''Il progresso italo-americano''.



Oggi 8 settembre, anniversario di una data tragica nella storia d'Italia, pubblico una testimonianza apparsa sul periodico riminese "Chiamami città", di Ariodante Schiavoncini:

«Noi soldati d’Italia abbandonati a noi stessi
Gli ufficiali ci dissero di andare a casa e poi scomparvero


Mi trovavo a Cancello ed Arnone di Caserta, a svolgere il servizio militare quando, verso sera il Capitano, comunicava ai soldati in adunata, che l’Italia e il comando militare Angloamericano avevano firmato la pace. Di conseguenza, il mattino dopo, dovevamo essere pronti per rientrare al comando di Mantova per essere congedati. Eravamo tutti talmente felici ed euforici che la notte nessuno ha dormito. La notizia che si tornava a casa per sempre, sembrava irreale.

Il mattino dopo, eravamo con gli zaini affardellati, nel piccolo spazio davanti alla tenda comando, pronti per partire. La tenda era vuota e nessuno degli ufficiali era nei dintorni. Il vecchio sergente comunicava sconsolato che gli ufficiali ci avevano abbandonati.

Con fare paterno ha consigliato tornare alle nostre case, poi presentarci ai nostri distretti per regolarizzare la posizione militare. Una raccomandazione sussurrata con voce quasi tremante, come se presagisse la tragedia imminente: “Ho ascoltato il proclama del Maresciallo Badoglio, finché le cose, non saranno chiarite, evitate incontri con i soldati Tedeschi”.

Mesi dopo, leggendo il testo del proclama, che qui sotto riporto, ho capito la ragione della raccomandazione.

“Il Governo Italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al Generale Eisenhower, comandante in capo delle forze anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze Italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza.”

Il giorno dopo il Re, la corte e diversi Generali, eroicamente, fuggivano nelle zone controllate dagli anglo-americani abbandonando al loro cupo destino i soldati Italiani in Patria, e all’estero».
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05.09.2009
Mistero Boffo


Il segreto del caso Boffo? Sta nelle stanze ecclesiastiche non soltanto di Roma ma pure di Milano, come rivela il "Corriere della Sera" di oggi

Non ci vorrebbe Dario Fo, quello del "Mistero buffo", ma il giallista Carlo Lucarelli, quello del poliziotto Coliandro "politicamente scorretto" (sua definizione).
Il caso di Dino Boffo è complesso. Ci sono dietro intrighi inimmaginabili. Come quelli rivelati oggi dal "Corriere della Sera". Dove Paolo Foschini scrive: "la pistola che alla fine ha fatto fuori" il direttore di "Avvenire" ha cominciato a circolare tempo fa nell'Istituto Toniolo di Studi Superiori, ente fondatore e garante dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Non ci meravigliamo di nulla. Abbiamo da Foschini un'altra conferma che il fuoco che ha colpito Boffo è stato "amico", utilizzando un cannone (altro che pistola!) pronto a sparare con altri scopi, ovvero il direttore de "il Giornale" di Paolo Berlusconi.

Non ci meravigliamo perché da molto tempo sosteniamo modestamente la proposta di una nuova festa liturgica dedicata a "Santa Ipocrisia". Ne abbiamo riparlato pure di recente (lo scorso 14 marzo), citando qualcosa di molto più grave della "pistola" puntata contro Boffo. Era il caso di Emanuela Orlandi su cui ha scritto un libro Pino Nicotri. Del quale riportavamo l'accusa al "conformismo servile dei mass media italiani".

Lo stesso "CorSera" odierno offre la lettera di Francesco Cossiga all'emintentissimo Bagnasco. In cui ci sono due passi capitali.
Il primo quando sostiene che Boffo si è comportato con "colpevole imprudenza" coprendo il colpevole delle molestie telefoniche di cui era stato accusato lo stesso Boffo. (E questa copertura non può rassomigliare ad una violazione della legge? Lo chiediamo a chi sa di Diritto.)
Il secondo è nella conclusione francamente scandalosa, soprattutto se pronunciata da un ex capo dello Stato: Boffo, "impancandosi di fatto a nome della Chiesa a giudice pubblico dei comportamenti, certo eticamente non commendevoli, di Silvio Berlusconi, non dico che «se la sia meritata», ma «cercata» sicuramente sì!".
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04.09.2009
Toghe a luci rosse


Casto ma potente, il cavaliere andrà in tribunale pronto a chiarire tutto? Ghedini promette udienze a porte chiuse. Sembra di leggere una pagina di Casanova...

Maurizio Gasparri lo sfotte, parlando di "un Ghedini o un Ghedone" che cava sempre le castagne dal fuoco al governo. Il cavaliere invece ne ha stima: questo Ghedini lo manda avanti, forse perché a lui vien da ridere, a dire tutto quanto deve fare giustizia in Italia attorno alla sua augusta persona.

Le giornaliste dell'Unità lo accusano di impotenza, ispirandosi ad una dichiarazione di Vittorio Feltri non censurata

Allora, dichiara Ghedini al "CorSera" di oggi: "... perché mai Berlusconi non dovrebbe poter spiegare a venti milioni di italiani, suoi affezionati elettori, che è perfettamente funzionante?"

La spiegazione, ma come? Avremo udienze a porte chiuse con toghe a luci rosse? Non sappiamo immaginare nulla. Ricordiamo soltanto una pagina di Giacomo Casanova.

E' il racconto di una madre che soggiorna ad Ancona, nel febbraio 1744, accompagnando quattro giovanissimi figli artisti, due femmine, un maschio ed «il preteso Bellino», cioè un finto castrato la cui storia emerge lentamente nelle pagine che descrivono il viaggio di Casanova in sua compagnia verso Rimini.

Teresa, dodici anni, è figlia di un «povero impiegato all’Istituto delle Scienze di Bologna» che teneva a pigione il celebre castrato Salimberi. Costui «manteneva a Rimini, presso un maestro di musica» un coetaneo di Teresa di nome Bellino che il padre aveva fatto evirare sacrificando all’altare della propria miseria la sua virilità, «in modo che con la voce potesse mantenere i fratelli».

Teresa, rimasta orfana del padre, è accompagnata da Salimberi a Rimini nella stessa pensione in cui egli «faceva educare» Bellino. Al loro arrivo in città, essi apprendono però che «Bellino era morto il giorno prima». Salimberi decide così di condurre Teresa a Bologna sotto il nome di Bellino, e di sostenerla economicamente «a pensione presso la madre del defunto la quale, essendo povera, avrebbe avuto interesse a mantenere il segreto».

Il patto segreto di Salimberi con Teresa era che, dopo quattro anni di studi, lei sarebbe stata chiamata a Dresda («Salimberi era al servizio dell’elettore di Sassonia e re di Polonia»), «non come una fanciulla, ma come un castrato»: «L’unica tua cura», le impone Salimberi, «dovrà essere quella di fare in modo che nessuno si accorga che sei donna [...], prima di lasciarti, ti darò un piccolo arnese 55 e t’insegnerò ad applicartelo in maniera che, se mai dovessi sottoporti a una visita, ti si possa facilmente scambiare per un uomo».

Teresa racconta a Casanova anche il seguito della sua avventura artistica e del suo dramma umano: «Ho fatto solo due teatri, e ogni volta mi sono dovuta sottomettere a esami vergognosi e umilianti; infatti, tutti dicono che ho un aspetto troppo femminile, e sono disposti a scritturarmi solo dopo aver avuto la prova infamante. Finora per fortuna, ho avuto a che fare solo con vecchi preti, che in buona fede si sono contentati di un esame superficiale in base al quale hanno fatto il loro rapporto al vescovo; ma potrebbe capitarmi di essere visitata da dei giovani, e allora l’esame sarebbe molto più approfondito. Inoltre sono continuamente esposta alle persecuzioni di due specie di invidiosi», quelli che non la credono un maschio, «e quelli che, per soddisfare dei gusti abominevoli, si rallegrano che lo sia o trovano il loro tornaconto nel credermi tale». Questi ultimi sono la sua ossessione: «Le loro passioni sono tanto ignobili, i loro vizi così turpi, che a volte temo di pugnalarne qualcuno nell’impeto incontenibile provocato dalle loro infami proposte».

Chi farà l'esame del cavaliere? Qualche vecchio cardinale che dovrà riferire al papa? O qualche giovane monsignore in un modo molto più approfondito, come raccontava la povera fanciulla spacciata per castrato?
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03.09.2009
Boffo si dimette. Feltri ammette


Boffo si dimette. Feltri ammette (copiando) che ci sono di mezzo "cassetti curiali". La guerra in casa Berlusconi contro "Repubblica", dai dossier di cui racconta Luca Telese alla denuncia (estesa anche all'Unita')

Alla radio, ieri, Vittorio Feltri ha rivendicato tutta l'operazione architettata contro il direttore di "Avvenire" (dimessosi oggi): "Noi non abbiamo pubblicato alcuna velina, ma un documento di condanna. Se c'è una velina è stata diffusa dal Vaticano".

Poi ha precisato che l'idea non è sua, ma di Stefano Cappellini il quale, su "il Riformista", ha scritto, sempre ieri 2 settembre: "E che la velina provenga da un cassetto curiale è ormai qualcosa più di una ipotesi".
La definizione di "cassetto curiale" è perfetta. (Il titolo del pezzo di Cappellini è "Il Papa e il Papi". Abbiamo scritto il 16 agosto un post, "Da papi a papa".)

Sin dall'inizio della vicenda di Dino Boffo, abbiamo sostenuto che soltanto da Oltretevere potevano giungere certi  input per attacchi contro chi (come lui) si era permesso di criticare il cavaliere.


Feltri (anzi Cappellini) conferma ciò che l'evidenza dei fatti e la logica deduzione che ne derivava, facevano intravedere chiaramente: ovvero l'esistenza di uno zampino "diabolico" che aveva mosso certi monsignorini ad architettare il piano messo poi in atto da Feltri.

Feltri era stato appena richiamato a "il Giornale" non per scrivere di letteratura o di sport, ma soltanto per distruggere gli avversari di Berlusconi. Il quale, su altri versanti, ha scelto la via giudiziaria (con le richieste di danni a "Repubblica" e "Unità").

L'analisi dei rapporti fra Stato e Chiesa, in riferimento alla vicenda di Boffo, è stata ieri compiuta in maniera esemplare da due illustri firme del "CorSera", Vittorio Messori ed Alberto Melloni.

Il tradizionalista Messori scrive apertamente che la Chiesa di Roma ha dimenticato la virtù della prudenza. A Boffo, dopo la sentenza del 2004, doveva essere chiesto "di defilarsi, assumendo altre cariche, meno esposte a ricatti e a scandali".

Messori è un perfetto conoscitore della macchina vaticana. Dire questo non significa condividerne le posizioni teologiche, sulle quali invece divergiamo totalmente. Ma significa qualcosa che l'ultra-conservatore Messori addirittura citi Plutarco per ricordare ai suoi "monsignorini" che sulla moglie di Cesare non possono esistere "ombre, pur se inventate".

Melloni, storico della Chiesa con tanto di cattedra universitaria, usa il termine "imboscata alla Chiesa" a proposito di Feltri, introducendo una lunga ed accurata disamina dei rapporti fra classe politica odierna ed il Vaticano di Ratzinger (e Bertone).

Interessante è la ricostruzione dei rapporti fra religione romana e Lega lombarda, passata dal dio Po che "faceva ridere" alla "ambizione di Bossi di presentarsi in Vaticano come padrone del Lombardo-Veneto".

Melloni ha due osservazioni che meritano di essere sottolineate, per non chiudere sin da ora il discorso sulla "oscura vicenda" di Boffo, e per non ridurla al solo protagonista evidente, Berlusconi.

C'è "un allarme di cui non si riesce a giudicare la portata", ci sono "episodi che si possono sdrammatizzare solo con una lucidità che manca a tutti".

Aiuta a comprendere il senso di queste parole l'editoriale apparso su "Repubblica" il primo settembre, a firma di un altro storico, Adriano Prosperi. Che cita un recente volume di Roberto Pertici sui rapporti fra Chiesa e Stato dal 1914 al 1984.

Anche Prosperi parla della Lega: "Oggi un partito che ieri vantava il suo paganesimo e adorava le acque del Po si offre come il vero partito cattolico...". E qui ricorda l'illustre precedente del Mussolini ateo "che sfidava la folgore di Dio dal pulpito".

Tutto ciò dimostra che la situazione grave in cui il nostro Paese è precipitato per colpa di Berlusconi, ha non felici prospettive anche per la lotta di Bossi per prendere il posto del cavaliere. I discorsi di Fini, come quello drammatico di ieri incentrato sull'evidenza del "killeraggio contro le persone", servono a ben poco. Il suo potere contrattuale sul piano elettorale è quasi nullo. Può ricevere applausi o battute ironiche come quella di chi lo definisce il futuro segretario del Pd. Ma la sostanza dell'involuzione politica italiana non può essere fermata da quelle buone intenzioni di cui una volta si diceva che erano lastricate le strade dell'inferno.

Tre considerazioni finali.

Nel ricordato nostro post "Da papi a papa", avevamo scritto il 16 agosto: "Il papi napoletano, considerandosi molto vicino al papa, disprezza la periferia dei parroci dissidenti. E definisce, teologicamente, una bugia ogni pensiero discordante dal suo, che è Assoluta Verità come quella pronunciata ex cathedra dal pontefice romano".

Sul "CorSera" di oggi G. A. Stella smentisce il titolo attribuito da Berlusconi allo stesso giornale del 2 settembre 1939, "Fantastica operazione umanitaria".

Su "Repubblica" di oggi, G. D'Avanzo ci ricorda che Luca Telese, da poco uscito da "il Giornale" di Paolo Berlusconi, ha pubblicamente raccontato di dossier e schifezze già pronte in quel quotidiano contro giornalisti di "Repubblica" e loro parenti.
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01.09.2009
Cossiga, puntuale
Puntuale come quei purganti che garantiscono l'effetto dopo una certa ora dall'assunzione, giunge Cossiga. Lo avevamo facilmente previsto ieri: "e prima poi arriva un Cossiga ridens a smentire tutto".

Infatti, eccola la smentita di Cossiga, con un'intervista in pompa magna ad Aldo Cazzullo sul "Corrierone" di stamani.
I servizi segreti c'entrano nella faccenda Feltri-Boffo? Manco per sogno: "In Italia, da Rutelli in giù, si imputano ai servizi segreti pure i 34 alpinisti morti quest'estate in montagna".

Il Cossiga ridens non parla mai a vanvera. Ma qui rasenta l'ovvietà gratuita e inconsistente. Se sono segreti, certi "servizi", mica possiamo leggerne le avventure sulla "Gazzetta ufficiale".
La smentita appartiene alla scuola di pensiero cossighiano che è una specie di creatura molto simile a quelle mitologiche. Una bella testa da uomo ed un corpo che termina in una aggressiva coda da dinosauro.

"In cauda venenum, et in capite rostrum" potrebbe essere l'insegna araldica per questo discendente di pastori imparentato però con dei nobili a cui appartiene invece sua nipote Bianca Berlinguer.

Il rostro usato negli attacchi navali dei combattimenti (ma è anche il nome della tribuna degli oratori), è lo strumento usato da Cossiga proprio per la Bianca nipote. La vuole direttrice del Tg3 e la raccomanda ai piani buoni della Rai anche se lei lo ha "rinnegato".

Insomma, di testa o di coda, Cossiga si diverte a colpire duro, dicendo verità nascoste in ipotesi balzane, o svelando come inediti argomenti che sono un po' il segreto di Pulcinella.

Il Vaticano non vuole strappi con il governo, è la Cei che è divisa, dichiara a Cazzullo.
Ma questo di Cossiga, è lo stesso argomento che poi si ritrova sempre sul "Corrierone" nella bella nota di Massimo Franco, posta nella pagina a fianco rispetto alla sua intervista.

La Segreteria di Stato teme che da tutto tragga vantaggio la sinistra. Per cui occorre non rompere con Berlusconi. La Cei sarebbe percorsa da spinte centrifughe. Con la minaccia di forti tensioni interne. Insomma, come dice il titolo di Franco, "Allo scontro con il premier si sommano le tensioni nella Chiesa cattolica".

Nella quale, come sosteniamo da tempo, si guarderebbe a Casini, stando ad Ilvio Diamanti di ieri che aggiunge una lunga lista di "amici" (Tabacci, Rutelli, Pezzotta, Montezemolo e magari Gianni Letta "gentiluomo di Sua Santità" dal 29 giugno...).

Ma a Casini guarda anche il cavaliere, secondo quanto ha scritto il 29 agosto "Repubblica", circa la strategia di Arcore: «Casini non vuole sentire parlare di un'intesa nazionale con il Pdl. "Vuol dire che parlerò con Caltagirone", ha scrollato le spalle Berlusconi».

Su Casini scommette pure Cossiga, "l'unico che può trarre profitto dalla situazione"... ma soltanto "fino a quando Avvenire non ricorderà ai suoi lettori che pure lui è divorziato e risposato".

Cossiga dice che "Ratzinger sa a malapena chi sia Berlusconi". Sembra un paradosso, forse è la verità. Non conosceva, il papa, situazioni peggiori. Come quella di Wielgus e del vescovo lefebvriano Richard Williamson...
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Anno XI, n. 165, Settembre 2009
Date created: 01.09.2009 - Last Update: 09.09.2009, 10:48/
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