il Rimino 2009


Il Rimino 159, anno XI
Marzo 2009
Diario italiano

31.03.2009
Cardinal Silvio

Berlusconi è costretto ad ammettere che una crisi economica c'è, e che quindi non si tratta di una malvagia invenzione dei giornalisti. Rassicura che nessuno "sarà lasciato indietro". Lo aveva già detto il suo ministro abate Tremonti, ripetendo un concetto caro al capitalismo compassionevole. Ma il cavaliere di suo ci aggiunge che nel fare ciò tradurrà "nell'economia la dottrina della Chiesa cattolica".
Inevitabili queste parole dopo l'incenso ricevuto dall'«Osservatore Romano» con l'elogio del Pdl quale maggior movimento politico italiano "in grado di esprimere i valori comuni della popolazione italiana, tra i quali quelli cattolici costituiscono una parte non secondaria".
Insomma con l'«Osservatore Romano» se non siamo all'Uomo della Provvidenza poco ci manca.
L'Osservatore Padano, quel comunistaccio di Dario Franceschini, ha invece infierito su re Silvio, definendolo "vecchio dentro". Si sente la suggestione della miss Chiabotto che reclamizza l'acqua che fa belli fuori e puliti dentro.
Le promesse odierne di Berlusconi sul tema della crisi sono forti: "Uno stato moderno non può disinteressarsi dei lavoratori. [...] Terremo i contatti tra imprese e lavoratori, cosicchè alla fine della crisi potranno tornare. Poi interverremo con la cassa integrazione all'80% dello stipendio e con interventi che possono arrivare anche al 100%".
Sono promesse a cui il premier è stato costretto non tanto dall'accorgersi che era rimasto l'unico a parlare senza avere i piedi per terra ("Lavorate di più"... aveva suggerito anche a chi resta senza occupazione), quanto dalla sfida di ieri fattagli da Franceschini, tre dibattiti con gente vera: disoccupati, studenti ed insegnanti, imprenditori.
"Ci troveremo davanti due anni di difficoltà in cui dovremo rinunciare ad alcuni interventi", ha detto oggi. Domani non è un altro giorno. Domani è un altro problema. La crisi piegherà l'arroganza del cavaliere? O distruggerà soltanto quelli che lui considera i suoi "sudditi", cioè la stragrande maggioranza della popolazione?

30.03.2009
Parrucchini e parrucconi

Barack Obama ha dichiarato: "... se non avessimo assistito a qualche salutare scoppio di rabbia, non avremo avuto indietro quei 50 milioni di dollari in bonus".
Una rabbia "giustificata" ha detto anche il presidente degli Usa, promettendo interventi verso le famiglie medie americane "che hanno visto i propri redditi rimanere immutati perfino durante il periodo di boom dell'ultimo decennio, mentre ai livelli più alti si è registrato un ingente aumento delle entrate".
Da noi la preoccupazione principale del capo dell'esecutivo è quella di avere più poteri. Lo ha fatto anche ieri con gli uomini del suo partito, scomodando addirittura Erasmo da Rotterdam ed il suo "Elogio della follia".
Il cavaliere ha orecchiato questo titolo ma ignora che la follia di cui parla Erasmo non è quella dei poveri matti o degli ardimentosi (come Berlusconi stesso si ritiene, giustificando il dotto richiamo). La follia di Erasmo, è "amore della vita nella sua semplicità, contrapposta alla saggezza artificiosa ed arcigna ed alla scienza di chi sa tutto tranne che vivere ed amare" (dal "Dizionario di Filosofia" di N. Abbagnano).
Non può dirsi amante della vita semplice chi gira con una specie di parrucchino che deve nascondere gli effetti dell'età che avanza. E che si circonda di quei parrucconi ai quali due anni fa circa dichiarò guerra considerandoli nemici acerrimi. Non accorgendosi di esserne attorniato. E di essere lui stesso un esemplare ben collaudato di parruccone e codino, dal momento che definisce coglioni quanto non lo votano, e che considera comunisti quanti non seguono il suo verbo.
Tanto parruccone e codino è Berlusconi, da non aver risposto a Fini sulla questione della laicità dello Stato circa il testamento biologico. E da far apparire lo stesso Fini come un esponente degno di schierarsi con l'opposizione.
Mentre in Italia siamo costretti dal destino cinico e baro a fare i conti con questi soggetti, negli Usa il presidente Obama non chiama comunisti o rivoluzionari quanti hanno protestato per la crisi, ma definisce "giustificata" la loro rabbia.

30.03.2009
Ritorna vincitor

Ferruccio De Bortoli ritorna da vincitore a guidare quel "Corrierone" da cui si era dimesso nel maggio di sei anni fa, per colpa di Berlusconi. Michele Diodati, sul giornale inglese "The Indipendent", aveva scritto che due avvocati del capo del governo avevano "citato in giudizio De Bortoli per uno dei suoi editoriali, accusandolo di diffamazione".
A far traboccare il vaso governativo, secondo Diodati, era stato l'editoriale di Giovanni Sartori dl 15 maggio 2003 ("Un premier i suoi fantasmi") scritto a commento di una frase del cavaliere ("Non sarà permesso a nessuno che è stato un comunista di andare al potere"). Sartori aveva osservato: "Queste cose le diceva Mussolini. Lei non ha nessun motivo di aver paura. Io sì".
Aveva ironizzato poche righe prima: "...se Berlusconi può dormire placidamente tra quattro guanciali, chi non riesce più a dormire tranquillo sono io. Di notte oramai giro armato temendo di imbattermi in qualche comunista che mi mangia scambiandomi per un bambino"
Sartori commentò così il cambio della guardia: "Anche se l'assedio del potere diventava sempre più pressante, con me Ferruccio de Bortoli non si è mai lamentato. Le lamentele su di me se le prendeva lui. Io più o meno le sapevo; ma de Bortoli non me le ha mai passate. Tengo molto a dargli atto della sua eleganza e fermezza nel proteggermi".
Il ritorno di De Bortoli in via Solferino, forse significa qualcosa nel contesto politico di questi giorni.
Ecco integralmente l'articolo di Giovanni Sartori del 15 maggio 2003, dal "Corriere della Sera".
UN PREMIER I SUOI FANTASMI
Fassino sostiene che Berlusconi si sta comportando da disperato. Disperato di che? Disperato perché? Forse intende dire che è afflitto da un complesso di persecuzione, da una paranoia alla Nixon (ai tempi del Watergate). Se così fosse ci sarebbe poco da fare. I complessi di persecuzione non si curano, purtroppo, con i fervorini, con la moral suasion, con gli inviti alla calma. Preferisco sperare, allora, che Berlusconi sia «razionale» nelle sue paure, e quindi che se ne possa ragionare. Il Cavaliere si ritiene minacciato. Da chi? In verità il solo che lo minaccia apertamente ogni settimana è Bossi. Ma Berlusconi le somme le sa fare; e quindi sa benissimo che Bossi non ha i numeri per farlo cadere. La pistola leghista è una pistola scarica. L'altro giorno Berlusconi ha raccontato che il suo primo governo è caduto per colpa dell'avviso di garanzia che gli venne malvagiamente recapitato a Napoli. Non è così. Ma il suo ricordare male rivela che il Cavaliere ha «rimosso» il fattore Bossi dalle sue paure. Lo sgambetto del Senatur e la sua versione del fattaccio (che Berlusconi gli stava comprando i parlamentari) sono cose dimenticate. La paura che fa inferocire Berlusconi è invece quella della magistratura. Qui il Cavaliere vede rosso e vede ovunque toghe rosse. Secondo lui la magistratura (descritta come una «criminalità giudiziaria») medita di rovesciarlo, è una magistratura «golpista». Sarà. Io non dispongo di servizi segreti. Ma il segreto da spiegare è come la magistratura possa far cadere il Cavaliere dal suo cavallo. Berlusconi è un pluri-indiziato da quasi un decennio. E da quasi un decennio la sua carriera politica sopravvive benissimo ai processi che la dovrebbero danneggiare. Fa la vittima, si dichiara perseguitato, e gli italiani sono di buon cuore. Uno su due simpatizza con lui. Anche perché gli italiani non si sentono ben serviti dalla loro giustizia, che è lentissima, troppo arzigogolosa, troppo «casta» e anche, purtroppo, troppo politicizzata. Così a molti italiani non dispiace che venga trattata a pesci in faccia. Voltaire scriveva che se Dio non esistesse andrebbe inventato. Berlusconi lo potrebbe parafrasare. La persecuzione giudiziaria è una invenzione che gli fa comodo. Comunque sia, negli ultimi due anni il Cavaliere si è ulteriormente protetto con una serie di leggine che esibiscono tutte quante o la fotografia sua o quella di Previti. Dal processo nel quale Previti è stato condannato (in primo grado, con altri due gradi di salvaguardia) Berlusconi si è già salvato con la prescrizione. Ed ha già trovato il modo di rinviare sine die, o fino a un'altra prescrizione, il processo nel quale è ancora coinvolto, il processo Sme. Presentandosi spontaneamente a Milano il Cavaliere ha innescato il meccanismo dei legittimi impedimenti a catena. Così salteranno udienze su udienze fino all'inizio del 2004, quando dovrà essere formato un nuovo collegio giudicante e tutto il processo dovrà ricominciare da zero. Il verdetto definitivo del processo Sme non ci sarà mai. Dunque niente paura, Cavaliere. La magistratura non ha modo di «golpizzarla». Però se Berlusconi può dormire placidamente tra quattro guanciali, chi non riesce più a dormire tranquillo sono io. Di notte oramai giro armato temendo di imbattermi in qualche comunista che mi mangia scambiandomi per un bambino. E poi Lei ha dichiarato, signor Presidente del Consiglio, che «non sarà consentito a chi è stato comunista di andare al potere». Queste cose le diceva Mussolini. Lei non ha nessun motivo di aver paura. Io sì.

29.03.2009
L'abate Tremonti

Non un comizio, ma una terribile noiosa lezione ha impartito Giulio Tremonti lasciando indifferenti gli uditori del PdL, mentre il suo collega Brunetta piangendo sul palco degli oratori ha provocato una facile standing ovation per aver parlato male della "burocrazia parassita". L'aggettivo per la verità è vagamente stalinista, e si pone onestamente sul solco del leader Silvio Berlusconi, immagine speculare del "Migliore" d'antan, quel Palmiro Togliatti che il cavaliere venera senza saperlo. Anzi disprezzandolo per un complesso freudiano.
Tremonti ha ripetuto una frase non sua ma di Domenico Siniscalco, questa crisi è "la fine non del mondo ma di un mondo". Ha ripreso dal conservatori americani sconfitti da Obama la teoria del capitalismo compassionevole. Ha spiegato che la parte più avveduta del centrodestra ha visto la crisi prima del centrosinistra. Con ciò escludendo Berlusconi dalla parte più avveduta perché il premier a lungo ha negato la recessione.
Ciononostante, all'arrivo sul palco, il ministro ha potuto essere solleticato da un cortese elogio della speaker che lo ha modestamente presentato come "l'uomo la cui genialità l'Europa ci invidia".
La ciliegina sulla torta del prof. Tremonti è stata la citazione di sant'Agostino, come se lui fosse stato un abate chiamato a predicare dal pulpito di una chiesa medievale: "Nella necessità l'unità, nel dubbio la libertà, e verso tutti la carità".
Ciò che fa sentire la lontananza dell'ultima parte della citazione dal tempo presente, è che quella parola "carità" urta contro la parola "giustizia". Forse ritenuta troppo azzardata da parte di Tremonti.
Ma proprio per questo, nessuno lo autorizza a credere di essere "dal lato giusto della Storia". Quest'ultimo pensiero, dovrebbe sapere il prof. Tremonti, non ha mai portato bene a chi lo ha preso come modello di comportamento politico.
Ed all'abate Tremonti ci permettiamo di suggerire come la libertà sia garantita dalla presenza del dubbio. I dogmatismi tipo credersi "dal lato giusto della Storia" non favoriscono né il dubbio né la libertà.
Per credersi "dal lato giusto della Storia", almeno la Storia bisogna conoscerla. Non basta fare come ha fatto il ministro, dire che non si va incontro alla "mezzanotte della Storia", ma ad una svolta "che batte la sua ora nelle nostre vite".
Che brutto ricordo evoca quella frase: "Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria". Era il 10 giugno 1940. Per evitare queste fastidiose "assonanze", la Storia bisogna conoscerla. Non basta predicare una massima di sant'Agostino.

29.03.2009
Silvio come Palmiro

Un pensiero di Indro Montanelli del 1972: il clero italiano "concepisce il fedele come un minorato da difendere contro il peccato e la tentazione con metodi paternalistici e autoritari".
Un testo di stamani. Nell'editoriale di Adriano Prosperi su "Repubblica" leggiamo a proposito della questione del testamento biologico: "Abbiamo visto all'opera un'alleanza tra l'integralismo di una chiesa che irrompe senza mediazioni sulla scena del potere e l'opportunismo politico".
Dal 1972 al 2009 le cose sono dunque peggiorante, circa la questione della laicità dello Stato. Oggi c'è quella che Prosperi chiama "una nuova Controriforma". C'è un regime clerico-totalitario.
Sulla "Stampa" di ieri una nota di Filippo Di Giacomo, defilata (è apparsa a pagina 32, però meritava la prima) ma fondamentale, ha dimostrato che "Quella legge non è cattolica", come dice il titolo.
Carte alla mano, Di Giacomo spiega che "il Magistero insegna ai fedeli che è lecito" interrompere "terapie rischiose e dolorose". Che la Chiesa insegna: "è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita".
"Avvenire" ha ringraziato il governo con un titolo strano, quasi irrispettoso verso i drammi legati al testamento biologico, "Troppa grazia".
L'on. Fini, presidente della Camera, ha difeso in proposito i diritti dello Stato laico di dettare le proprie norme senza dover sottostare ai diktat ecclesiastici. D'accordo con lui ("anche sul testamento biologico"), si è detto il capo del governo. Ribadendo di essere da sempre un sostenitore della libertà di coscienza (!).
Stefano Folli nell'editoriale del "Sole-24 Ore" ci spiega che non c'è nessun dualismo tra Fini e Berlusconi. Ha ragione. Il dualismo, lo sdoppiamento è nello stesso cavaliere, che dà ragione a Fini e dà ragione anche alla Chiesa.
Folli constata giustamente che "la visione laica" di Fini "contraddice tutto quanto è stato fatto in Parlamento (o meglio, a Palazzo Madama) con il pieno avallo del presidente del Consiglio e degli organi di maggioranza".
Folli è costretto ad ammettere che "qui la polemica affiora ed è aspra", perché "si vuole una maggiore autonomia della politica dalla Chiesa e dalla morale politica". L'esercizio di alta acrobazia retorica dell'illustre commentatore chiude il circolo contraddicendosi, perché la conclusione sulla polemica aspra sta all'opposto della premessa che nega ogni dualismo tra Fini e Berlusconi.
Folli deve pure ammettere in un altro passaggio che i due offrono visioni del Paese e delle istituzioni molto diverse fra loro. Dunque? Sono agli antipodi, ma non c'è dualismo?
Ernesto Galli Della Loggia ha oggi perso un po' le staffe parlando di Berlusconi, nell'editoriale del "Corrierone". Lo ha definito "tutto immerso, biograficamente e culturalmente, nella prima Repubblica", per aver impostato la linea del nuovo partito nella lotta alla sinistra identificata con il comunismo.
Non gli dà apertamente dell'ignorante in materia storica, scrive con elegante fermezza che il cavaliere ignora tutte le variabili della sinistra, la tradizione socialista-riformista e quella laico-democratica. Tutto ciò per il cavaliere è uno scoglio contro cui rischia di naufragare, conclude il commentatore.
La morale della favola ci aiuta a tirarla fuori Marcello Veneziani che alla "Stampa" ha confidato una terribile battuta: PdL non significa altro che partito del leader.
Un leader che ripete da sempre le stesse cose plagiando giovani coscienze come quella dell'on. ministro Maria Rosaria Carfagna. La quale attribuisce inutilmente al premier "il grande merito di aver sconfitto la cultura cattocominista e gramsciana".
Silvio è così ripetitivo e dogmatico nelle sue affermazioni da apparire come l'immagine speculare e sbiadita del vecchio Palmiro. Ci spiace per la signorina Carfagna: crescendo, se ne accorgerà.
Come si è accorto di non essere finito in una buona compagnia Giorgio La Malfa che alla "Stampa" di stamani ha confessato di essere in attesa "che si possa riportare il partito repubblicano in un alveo di sinistra".
Deve avergli tirato le orecchie in sogno suo padre Ugo, suggerendogli pure la constatazione che il federalismo o creerà nuove ingiustizie o farà aumentare le tasse.
Non sappiamo a chi rivolgerci affinché appaia in sogno anche alla ministra Carfagna per spiegare che il suo Silvio è una copia conforme proprio dell'antico segretario del Pci, che ripeteva sempre le stesse cose, con la medesima arroganza e visione dogmatica della Storia.

27.03.2009
Sacre minacce

Eminenza Bagnasco. Tra i Suoi fans ci sono persone che non ammettono discussioni. Tale "Rocco" ha commentato un mio post a Lei dedicato con queste parole: "Fortunatamente noi abbiamo l'obbligo di esercitare la virtù della pazienza".
Gli ho risposto amichevolmente in privato, chiedendogli. "Se non foste pazienti che cosa fareste?"
Replica del "Rocco" furente: "Cosa faremmo? Tutto a suo tempo...".
Curiosità. Su Internet trovo un altro commento da mail intestata a "[email protected]": "ANDATE A CAGARE".
Eminenza Bagnasco, accetti il modesto invito a preoccuparsi di tali difensori d'ufficio.
Post scriptum.
Riproduco dall'Ansa di oggi 27 marzo, questo lancio delle ore 11:39:
Aids: Lancet, Papa distorce scienza
Con possibili conseguenze devastanti per milioni di persone
ROMA, 27 MAR - Una delle piu' prestigiose riviste scientifiche del mondo, l'inglese The Lancet, critica duramente le affermazioni di Papa Benedetto XVI.Il riferimento e' alle affermazioni del pontefice sull'uso del preservativo per prevenire l'Aids. ''Ha pubblicamente distorto - scrive Lancet- le prove scientifiche. Quando qualsiasi personaggio influente fa una falsa affermazione scientifica, con possibili conseguenze devastanti per milioni di persone, dovrebbe ritrattare''.

26.03.2009
Cicchitto lo sbettinato

Rassicuro chi, commentando in un altro blog il mio post "Bagnasco furente", mi ha definito "radical-chic". Non sono mai stato né radical né radicale, né tanto meno "chic". Basta frequentarmi per pochi minuti per accorgersi che sono a sufficienza ruvido nei modi e nei pensieri per non meritare tale gratuita etichetta.
Non mi appartiene l'eleganza dei politici o la dialettica dei venditori televisivi di tappeti. Apprezzo le idee semplici non soltanto per deficienza personale nel raggiungere alti traguardi, ma soprattutto perché cerco di fare mia, nella pratica quotidiana, l'aurea massima di Cartesio: "le cose che noi concepiamo in modo chiarissimo e distintissimo sono tutte vere".
Idee "tutte vere" ha creduto di esporre ieri in una lunga intervista al "Corrierone" Fabrizio Cicchitto raccontando ad Aldo Cazzullo non soltanto la nascita del partito personale del cavaliere, ma ben 40 anni di storia patria.
C'è del genio nelle "verità" di Cicchitto, come in tutte le storie costruite "ad usum delphini". Non ho motivo per contestargli alcunché di quello che sostiene circa Berlusconi, né sull'antico rapporto con i ciellini, né sulla visione "laica" (le virgolette sono di Cicchitto) del fascismo che ebbero pure "De Felice e in fondo" la stessa borghesia italiana.
Si potrebbe obiettare soltanto che i matrimoni d'interesse sono sempre esistiti, ma di solito sono etichettati in maniera diversa da quelli d'amore. Niente impedisce all'interesse di trasformarsi in passione, ma niente garantisce che l'augusto ed anziano marito non sia beatamente cornificato dalla fanciulla in fiore portata al suo talamo con ricca dote e pure solerte ricerca del piacere al di fuori del noioso ed insipido talamo coniugale.
Berlusconi, sull'onda di tangentopoli, eroicamente cavalcata dal suo re di cuori dell'informazione televisiva, Emilio Fede (di nome e di fatto), ideava nel settembre 1993 un partito "senza nome". Lo racconta oggi sullo stesso "Corrierone" Marcello Dell'Utri in un'altra istruttiva intervista, a Paola Di Caro. Una specie di amarcord con perle come il giudizio su un ex presidente del Senato, Carlo Scognamiglio, che Dell'Utri definisce "il nulla assoluto". La piazza non passava di meglio, oppure fu una questione di fiuto non allenato in chi lo destinò all'alta funzione?
A quel partito (creato da un imprenditore che Bettino Craxi aveva favorito con il decreto sulle televisioni, 20 ottobre 1984), approda pure Cicchitto. Che ora rilegge tutta la storia sua, dell'Italia e del mondo come se veramente nessuno dall'esterno avesse aiutato la sinistra italiana in quella che lui stesso oggi chiama "l'egemonia culturale". Tramontata grazie a Berlusconi.
E che forse sarebbe più corretto definire egemonia economica sotto la specie della sinistra di tanti personaggi che miravano soltanto a fare i soldi, come in quella scenetta da avanspetaccolo, "Vai avanti tu, perché a me vien da ridere".
Molti a sinistra hanno onestamente lavorato credendo che il mondo potesse essere migliorato mettendo in pratica massime assolute come l'uguaglianza fra tutti gli uomini. Moltissimi a sinistra hanno badato solamente a fare affari.
Nella mia città fra fondi governativi (650 milioni di lire alla fine degli anni 50 ad una grossa industria ora in grave crisi dopo tante, recenti celebrazioni ufficiali dei suoi meriti gestionali), fra evasione fiscale e lavoro nero, molta gente di sinistra conservava a sinistra soltanto il portafoglio.
Una città abituata a "compromettersi" nascondendo le varianti edilizie sotto le più eleganti formule. Una città in cui soltanto grazie ai voti del centro-destra cattolico è stata eletta l'attuale giunta comunale di centro-sinistra.
Di queste realtà simili a Rimini, quante ce ne sono in Italia? Lo chiedo a Cicchitto che taglia con l'accetta ciò che invece il bisturi chirurgico fatica ad eseguire. Perché questa è la politica. Un voto oggi a me, una assunzione domani a te. Fatti che non possono essere negati, sono sotto gli occhi di tutti. Di tutti quelli che vogliono vedere.
On. Cicchitto s'informi su come nella periferia dell'impero vanno le cose all'insegna dei più plateali e clamorosi favori tra le forze che a Roma sono in opposizione, ma che localmente si danno una mano. Nulla di male, basta saperlo e dirlo. Non cercare di mettere a tacere chi lo scrive.
Cicchitto chiude l'intervista facendo un bilancio in parallelo fra Berlusconi e Craxi. Il primo cerca il consenso, il secondo mirava allo scontro. Il cavaliere non maltratta amici o collaboratori. Bettino invece "aveva un carattere insieme forte e aggressivo".
Cicchitto non aggiunge altro. Una modesta pratica di mondo ci permette di azzardare una postilla alle sue riflessioni da politico "sbettinato". Chi ha molti soldi facilmente ha successo. Chi ha cattivo carattere spesso è fregato dagli altri con la scusa del cattivo carattere medesimo. Per Craxi è andata così. Esule o latitante che sia considerato, fu il primo a fare severamente i conti non con l'egemonia di una fantomatica sinistra (come quella di cui parla Cicchitto), ma con la reale, granitica egemonia comunista. Che risultava tanto utile anche ai democristiani. Per cui alla fin fine Craxi fu vittima sacrificale, mediante fuoco amico, tradimenti fraterni e strategie avversarie.
Ridurre la storia a questioni di carattere, ridimensiona non la persona di cui si parla, ma chi ne tratta in tal modo.
A Cicchitto dobbiamo una rivelazione fornitaci dal "Corrierone". Berlusconi non ha vinto con le televisioni, ma "anzitutto con i libri". Chiediamo scusa, non ce ne eravamo accorti. Leggiamo troppo i libri e guardiamo poco la televisione. Colpa nostra.
L'atteggiamento di Cicchitto non è frutto di una mentalità da "compagnuccio della parrocchietta" alla Alberto Sordi in quel film memorabile che dispiacque tanto ai dc. E' l'effetto perverso di un'educazione moralistica imposta dal cavaliere ai suoi seguaci, come se fosse il guru di una setta religiosa.
Non se ne dovrebbe invece trovare traccia in spiriti laici come quello di Cicchitto. Perché egli tale si dichiara con Cazzullo, aggiungendo di essere vicino ad Obama per le staminali e di essere lontano dal papa per il preservativo 'africano'. (Che non funzionerebbe, ha spiegato in tivù Lucetta Scaraffia, storica, a causa del caldo che fa laggiù...)
Cicchitto stava con le ragioni di Welby... Ed allora, ci scusi che ci fa in casa del cavaliere? Quella casa in cui, come scrive oggi Mario Pirani su "Repubblica", si è pensato di trasformare, per il nostro Paese, in atto meritorio ciò che sino ad ieri era reato.
Dalla parte di Pirani sembra posizionarsi lo stesso presidente della Camera Gianfranco Fini, quando oggi dichiara: "Il premier non può irridere le regole". Berlusconi aveva detto: "Ci sono troppe procedure, bisogna ammodernare lo Stato, per questo siamo indietro su tutto, anche in Parlamento. Adesso sei lì con due dita ad approvare tutto il giorno emendamenti di cui non si conosce nulla. Quando ho fatto il paradosso del capogruppo che vota per tutti era per dire che gli altri sono veramente lì non per partecipare ma per fare numero".
Replica di Fini: "La democrazia parlamentare ha procedure e regole precise che devono essere rispettate da tutti, in primis dal capo del governo. Si possono certo cambiare ma non irridere". Che ne pensa Cicchitto, tessera P2 numero 2232?
La tessera P2 numero 625, dottor Silvio Berlusconi, rispose a Craxi nel 1984, dopo il decreto sopra citato: "Caro Bettino grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho creduto giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli-tv prima della ripresa per non esporti oltre misura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie, dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio". E chiamale se vuoi collusioni...

25.03.2009
Stupidi e contenti

E' arrivato oggi in libreria un volume bolognese [*], in cui appare un saggio di Romano Prodi letto nel 1992 proprio nella mia città, Rimini. E' intitolato "Non si può essere ricchi e stupidi per più di una generazione".
Si tratta di un discorso tenuto ad un convegno per bibliotecari dell'Istituto Beni Culturali dell'Emilia-Romagna.
Alcuni passi si adattano alla situazione odierna. Non è un nuovo 1929, avremo un rilevante aumento della disoccupazione, "e di conseguenza si avrà un difficile problema di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro".
Sono passati più di tre lustri. Non saremo ricchi ma resteremo soltanto stupidi. E' la risposta che lo stesso Prodi ha dato sere fa al cronista della Rai che lo intervistava dopo la presentazione ufficiale del volume, il mio antico amico Giorgio Tonelli.
Il guaio è che della stupidità contemporanea ogni giorno riusciamo ad accumulare prove numerose ed indiscutibili. Che piovono dall'alto, da molto in alto. Noi restiamo stupidi, ed i nostri governanti sono molto contenti. Perché facilitati nel loro lavoro.
[*] "Ma questa è un'altra storia", BUP, Bologna 2009.

24.03.2009
Bagnasco furente

Non c'era nulla di evangelico nella frase pronunciata dall'eminenza Bagnasco relativa alle critiche indirizzate di recente al papa. Spiace constatarlo nel leggere che il cardinale ha detto: "Non accetteremo...". Ebbene, che cosa seguirà alla "minaccia" proferita?
Sinora l'unico effetto registrato è stato (non poteva essere diversamente) quello di una lettera al porporato da parte del presidente emerito della Repubblica italiana Francesco Cossiga. In cui le parole dell'eminenza sono definite "coraggiose".
Ovviamente non ci vuole molto coraggio a sedere in alto ed a promettere le fiamme dell'inferno a chi non si adegua agli ordini della Chiesa.
Il dito alzato del cardinale, un po' come quello dell'on. Capezzone che vuole insegnare all'opposizione il mestiere, poteva essere sostituito da qualcosa di più fraterno e cordiale. Non diciamo una strizzatina d'occhi, ma l'affettuosa carezza anziché il ceffone rifilato algidamente in un consesso ufficiale. Con quella "ira" finita in un titolo de "La Stampa" di stamani.
Ci sentiamo di condividere quanto stamani ha scritto sulla "Stampa" Arrigo Levi: "Senza una buona dose di relativismo gli eretici continuerebbero ad essere bruciati e i nemici politici ghigliottinati o mandati nei lager".
E di sottolineare le parole di Stefano Rodotà apparse oggi nell'editoriale di "Repubblica": "Siamo ad una prova di forza, alla volontà vaticana di sottomettere il Parlamento" italiano con una legge sul testamento biologico che è "un ammasso di incostituzionalità, di regressioni normative, di piccoli deliri burocratici e linguistici".
Quel "Non accetteremo..." l'ho trovato sulla "Stampa" ma non sul "Corrierone". Dove però un'impietosa immagine fotografica mostra l'eminentessimo come stesse digrignando i denti.
Scherzo da preti, verrebbe da pensare se l'argomento non fosse tremendamente serio. Perché oltretutto si stanno cambiando le carte in tavola.
Il papa (mica i politici) aveva prima accusato la Curia di non essersi accorta delle gravissime posizioni negazioniste di Williamson. Poi in Africa ha detto che i preservativi non evitano il diffondersi dell'Aids. Anzi, "persino aggravano il problema".
Essendo il problema pratico, medico e scientifico, è lecito dissentire dal pontefice? Bagnasco dice di no, e per il futuro "minaccia" con un "Non accetteremo...".
Non vogliamo buttarla in politica, seguendo Cossiga, ma restiamo sul terreno religioso: è, ripetiamo la domanda, un modo evangelico di discutere la questione?
A proposito delle parole di Arrigo Levi ("Senza una buona dose di relativismo gli eretici continuerebbero ad essere bruciati..."), un ricordo storico.
Il 6 luglio 1415 al concilio di Costanza è bruciato vivo Giovanni Huss, seguace di Wycliff e capo di una rivolta autonomistica in Boemia che impensieriva l'imperatore Sigismondo. Huss era stato invitato con un salvacondotto dell'imperatore stesso. Fu attirato nella trappola dai padri conciliari che, non paghi del rogo su cui era stato giustiziato, fecero riesumare le sue ceneri per disperderle al vento come ultimo oltraggio.
Chi ha nostalgia di quei tempi e di quei saggi imperatori che appoggiavano la Chiesa con lo stesso entusiasmo di gran parte dei politici italiani dei nostri giorni?

23.03.2009
Pensiero fisso

E' divenuto un pensiero fisso di Fini. Nel Pdl non ci deve essere il "pensiero unico". Lui lo ripete perché lo sa. Il "pensiero unico" del Pdl esiste già, è la struttura del movimento, ne è l'essenza, la condizione essenziale. Senza la quale il re di Arcore non potrebbe essere tale.
Inutilmente Fini ripete "niente culto della personalità". Allude e confessa. Sinora ha cercato di stare a galla, di uscire dal cono d'ombra in cui il "principale" lo ha affettuosamente calato. Ma sarà dura sfilare da solo, emanciparsi dalla protezione paterna e quindi egoisticamente interessata. Il cavaliere non vuole rivali, ammette soltanto uomini di corte che s'inchinino alle sue prime volontà.
Le parole raccontano sempre i pensieri di chi le pronuncia. Fini batte lì dove il problema gli duole: né "pensiero unico" né "culto della personalità".
Sembra quel mago televisivo che camminava sui carboni ardenti e ripeteva la formula magica per convincersi a non scottarsi i piedi.
Il pensiero unico è quello che l'ineffabile Tremonti ha riassunto, a proposito di scuola, nell'ardita sintesi di "Un voto, un libro e un maestro". E quel maestro e quel libro debbono portare acqua al culto della personalità. Del cavaliere.
Tutto il resto è un onesto divagare perché per essere moralmente appagati bisogna fare di tutto per annunciare al mondo le proprie buone intenzioni. Ma il bello della politica italiana con quanto passa il convento di Arcore, è che se non si mangia quella minestra si salta dalla finestra. Fini lo sa da tempo.
Per non precipitare da quella finestra, Fini vi tiene accorate concioni con stile brillante e simpatica pronuncia, fingendo di essere lui il protagonista. Ma sa bene che se dice una parola in più, la manina che lo sorregge paternamente, potrebbe dargli una spinta in avanti. E farlo svanire nel vuoto.
Senza "pensiero unico" il partito personale di Berlusconi, non ha motivo di esistenza. E' un po' come il principe Emanuele Filiberto che confida: "Mi sento liberale". Peccato che si senta tale soltanto lui. Per gli altri resta quello che è. Uno che si accontenta di essere il "re del tip tap". Però è una fortuna anche per noi, a pensarci bene.
Oggi il Pd ha cantato "Bella ciao" per protestare alla Camera. Fischiato dal Pdl grazie al "pensiero unico" che in futuro riserverà forse i suoi applausi soltanto al tip tap del principe che si sente liberale. Il che dovrebbe inquietarci, se accadesse.

22.03.2009
La banalità del Mike

Gli eroi non si mandano al macero. Ad 85 anni è giusto (non soltanto per sé) andare a godersi frutti e memorie da divi televisivi di successo. Ma si ha pure il diritto di non essere presi a pesci in faccia, dopo aver dato tanto (o tutto) all'azienda divenuta una seconda pelle se non una nuova famiglia.
Dudi (Pier Silvio) Berlusconi non ha voluto più tra i piedi Mike Bongiorno. Fatti i conti, può avere ragione senza dubbio: pochi ascolti, pochi incassi. Amen.
Però un minimo di "Galateo", non diciamo di libro "Cuore", va osservato. Non gli hanno dato neppure gli otto giorni. E' calata la classica cortina di silenzio. Sono i nuovi manager, quelli che non buttano il cuore oltre l'ostacolo, ma l'ostacolo sanno eliminarlo in altro modo. Con un colpo al fegato. Ring da estrema periferia, insomma roba da cinema neorealista.
Alla banalità di Mike che finiva per essere troppo fedele a certe immagini convenzionali dell'Italia, è corrisposta la banalità dei compilatori di bilanci che potrebbero cenare sul cadavere del padre pur di non perdere tempo o soldi.
Se chi oggi sedendo come zio Paperone su montagne di denaro anche grazie alla genialità di un Bongiorno non qualsiasi, non sa ricordare queste cose, è scesa molto in basso la cosiddetta moralità degli imprenditori di successo e della classe dirigente. Sempre più propensa a qualificarsi come "digerente". Un po' di bicarbonato ed anche Bongiorno passa in un solo boccone alle fosse biologiche.
Il guaio è che questa mentalità di totale indifferenza rispetto alle minime regole di convenienza e convivenza, la si osserva anche scendendo in basso nella scala sociale.
La settimana scorsa una giornalista mi chiede il numero telefonico di una persona, su un cui scritto aveva dei dubbi. Mi manda lo scritto, e la richiamo: a me sembra tutto chiaro, vedi in questo passo. E poi azzardo: hai chiamato l'autore? Sì, ci siamo parlati. Bene.
La mattina dopo l'autore di quello scritto mi chiama: stessa domanda anche a lui: ha parlato con la redazione a cui aveva mandato il testo ?
L'autore cade dalle nuvole. Telefono a quella redazione. Mi richiameranno, dicono. Dopo molte ore, sollecitati da una mia mail, mi rispondono che la giornalista dichiara di avermi detto che non aveva trovato il tizio neppure dopo ripetuti tentativi.
Ecco, questa banalità della menzogna, detta tanto per dirla, senza nessun fine e significato, è la volgarità trionfante dei nostri tempi: cioè non rispettare quelle minime regole di convivenza e convenienza che reggono il consorzio umano.
Ti usano, ti chiedono un parere, un favore, e poi vogliono farti passare per invornito (*).
(*) "In Romagna indica persona strutturalmente non adatta ai processi logici." (Fonte: http://www.bruttastoria.it/dictionary/Invornito.html)

21.03.2009
Liberi muratori

Tutto diventa più facile in Italia, grazie al re di Arcore. Costruire case, se si hanno i soldi, ad esempio. Ci siamo persi qualche puntata. Si era partiti dall'idea che il mondo sta attraversando una crisi terribile, e che se la gente resta senza lavoro, bisogna trovare il modo di aiutarla.
L'idea geniale (parole di Italo Bocchino) venuta al capo del governo, è appunto questa: mettete dei soldi nei vostri mattoni.
Noi avevamo creduto che l'intervento del governo dovesse mirare a chi non ha né i soldi né i mattoni, ed ha perso il lavoro. Ci siamo sbagliati.
Sarà anche più facile gestire cantieri e fabbriche perché le norme sulla sicurezza sul lavoro diventano più elastiche. Una dichiarazione attribuita al "governo" sostiene: "Non è con il carcere che si innalzano i livelli di tutela".
All'insegna di questa temibile faciloneria dell'esecutivo, chissà quante ne vedremo nei prossimi giorni.
Da tanto tempo il ministro Tremonti ci affligge con il suo grido: "Ordine e regole". Ma ad esempio il falso in bilancio non è più reato dal 16 aprile 2002, (e quindi Berlusconi di recente è stato assolto al processo Sme...).
Berlusconi sta facendo il gioco delle tre carte. Per consolidare il potere dei liberi muratori, che non sono quelli che costruiscono le case ma quanti governano dalle logge. Le quali sono un altro tipo di edilizia facilitata. Dalla tessera P2 n. 625, dott. Silvio Berlusconi di Milano, residente a palazzo Chigi, Roma. In attesa di trasferimento al palazzo del Quirinale.

20.03.2009
Marco Biagi, rompicoglioni

A ricordo di Marco Biagi, a sette anni dalla sua uccisione, ripeschiamo il termine "rompicoglioni" con il quale fu gratificato da un ministro della Repubblica, Claudio Scajola, tuttora sulla scena politica come ministro dello Sviluppo economico. E riproponiamo nostri articoli apparsi fra 2002 e 2005.
7 luglio 2002
Cinquant'anni di cronache giudiziarie e di storie politiche, dovrebbero convincerci: occorre riformare il primo articolo della Costituzione, che vuole la Repubblica fondata sul Lavoro. Scriviamoci invece che il nostro Stato si regge sul Sospetto. La conferma di questa necessità, ci viene dalla pubblicazione su Repubblica del 28 giugno, di cinque lettere del prof. Marco Biagi, ucciso dalle Br il 19 marzo: una di esse, diretta a Stefano Parisi, direttore di Confindustria, è stata 'soffiata' con una censura, rivelata poi dallo stesso destinatario. Biagi non scrisse soltanto di temere che «le minacce» nei suoi confronti «venissero strumentalizzate da qualche criminale», ma precisò pure che si trattava di «minacce di Cofferati (riferitemi da persona assolutamente attendibile)».
Com'è ovvio, gli Inquirenti non conoscevano nulla del messaggio di Biagi a Parisi: forse l'hanno in archivio, non ancora letto, «data l'enormità del materiale» sequestrato. Nel nostro Paese, lo sappiamo, i tempi della Giustizia sono biblici. Suona offensivo nei confronti della memoria di Biagi e del dolore della sua famiglia che, dopo la misteriosa ma non inspiegabile comparsa di quei suoi testi epistolari, i giornali si siano interrogati: a chi giova tutto ciò e chi ne saranno i capri espiatori? Sarebbe strano se le cose andassero diversamente, in questa Patria di un Diritto che ogni giorno di più si scopre figlio illegittimo o del tutto orfano.
Agli Interni, qualcuno sospettava addirittura che Biagi fosse un mitomane. All'amico Casini presidente della Camera, chiedendogli aiuto per la propria «sicurezza personale», Biagi precisò che i suoi avversari («Cofferati in primo luogo») lo criminalizzavano. Gli Inquirenti ignoravano la denuncia, ma qualcuno sapeva, a Roma. Al ministro Maroni, Biagi scrisse di telefonate minatorie fattegli da persone stranamente al corrente dei suoi spostamenti. Fin che visse, fu costretto ad umiliare istanze, ad inviare solleciti, a questuare contatti per essere difeso da quello Stato per cui lavorava. Dopo la sua morte, sembra che qualcuno voglia giocare una partita dai contorni oscuri, ma non indecifrabili, comunque terribilmente osceni, perché avvengono sulla sua memoria.
Il capo degli Interni da Cipro ha definito Biagi «un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza». Lo hanno scritto soltanto Corsera e Sole-24 ore. E' arrivata immediata Smentita, diretta erede del Sospetto.
20 luglio 2003
Occhi azzurri e sguardo minaccioso. La loro razza rimase pura conservando caratteri propri. Tacito descrive così i Germani, aggiungendo che erano insofferenti della sete e del caldo. Per un contemporaneo, meno illustre di Tacito ma sottosegretario leghista del governo Berlusconi, i loro eredi concludono le rituali bevute di gruppo con un molesto e rumoroso inno alla felicità digestiva. Il sottosegretario, 'dimesso' dal presidente del Consiglio, ignorava che negli stessi giorni le tivù nazionali trasmettevano lo spot di una nuova rivista femminile, che si concludeva con il medesimo inno digestivo, dichiarandone così naturalità e liceità.
Le cronache hanno registrato le reazioni tedesche (cancelliamo le vacanze da voi), ed i preoccupati commenti italiani: se i crucchi stanno a casa andiamo in malora. Nessun connazionale ha superato la geografia del portafoglio, 50 centimetri fra cervello e saccoccia, ed ha pensato che fatto l'euro è l'ora di fare l'Europa non limitandosi a contare gli spiccioli di cassa. I quali sono importanti ma non nascono magicamente sotto gli alberi, bensì da una cultura del reciproco rispetto.
Oltre alla siccità, la nostra estate registra la penuria di materia grigia, se a nessuno è venuto in mente di dire al Cancelliere tedesco che succede nelle migliori famiglie di avere personaggi 'simpatici' ma bizzarri come quel sottosegretario. Il Cancellerie conosce le vicende italiane. Il ministro dell'Interno Scajola aveva definito «rompicoglioni» il defunto Marco Biagi. E pure in quel caso Berlusconi aveva dovuto invitare l'interessato a togliere il disturbo, anche se poi lo giustificò quasi avesse raccontato una di quelle storielle che caratterizzano i discorsi pubblici del nostro capo del Governo. Il quale all'estero ha sostenuto che noi ridiamo di tutto, persino sull'Olocausto.
La questione dei rutti tedeschi è una pagina cretina che aiuta a dimenticare vicende tragiche come quella di Marco Biagi. La cui moglie ha ricordato ai magistrati bolognesi che chi avrebbe dovuto proteggerlo lo trattava come un pezzente. Ora la Giustizia ha deciso: per la sua mancata difesa nessuno è colpevole anche se sono stati commessi «gravi errori». Negli Usa hanno scoperto già dal 15 marzo che il «bidone» iracheno sull'uranio nigeriano è made in Italy, costruito dai nostri servizi segreti militari. La tardiva smentita di Palazzo Chigi non serve. La via italiana alla stupidità s'è già affermata pure all'estero.
10 agosto 2003
La nostra situazione economica è «pericolosa». Lo ha scritto domenica scorsa il quotidiano di Confindustria, non l'Economist di Londra una volta indicato come fonte autorevole in materia. Adesso lo considerano una «vecchia zitella vittoriana» (definizione di Piero Ostellino) dopo che ha posto 27 domande al nostro Primo ministro, per far sapere al mondo quello che avrebbe potuto chiedergli il Tribunale di Milano dove ha deposto con «dichiarazioni spontanee» che blindano l'imputato da ogni interrogatorio. Il Cavaliere ha reagito intimamente con il più classico dei suoi pensieri: «Me ne frego». In pubblico, alla conferenza-stampa del primo agosto, ha confessato che ci sono difficoltà in economia per la quale «non possiamo molto, ma facciamo miracoli».
Verissimo, anche per i miracoli: l'esempio era stato fornito 24 ore prima con la resurrezione di Claudio Scajola che il 3 luglio 2002 era stato costretto a dimettersi dopo aver definito «rompicoglioni» il povero professor Marco Biagi. Scajola ora è ministro per l'Attuazione del programma.
Nella stessa conferenza-stampa Berlusconi ha voluto garantire il Paese: in materia di riforma del sistema radiotelevisivo, con lui Ciampi non ha palesato «nessuna perplessità, proprio nessuna». Poco dopo il Quirinale lo smentisce: Ciampi e Berlusconi non hanno mai discusso di quella riforma. Il Cavaliere è costretto a confermare le parole di Ciampi ed a correggere se stesso: mai parlato con il presidente della Repubblica della legge Gasparri.
Se Berlusconi in conferenza-stampa aveva attaccato tutte le televisioni nazionali perché non fanno vedere i cantieri aperti per le grandi opere, in Senato il presidente Pera se la prende con la stampa estera che delegittima Berlusconi nello stesso momento in cui l'opposizione delegittima la maggioranza. Pera forse è convinto che la stampa estera sia manovrata dall'opposizione. E sembra auspicare che l'opposizione appoggi la maggioranza in riforme costituzionali che (particolare trascurabile) la neutralizzerebbero definitivamente.
Scajola, salendo al Quirinale per il giuramento, ha confidato ai cronisti di essere tranquillo perché piace ad Umberto Bossi. Secondo il Cavaliere Bossi è come quei nonni bizzosi e stravaganti a cui tutti però sono affezionati. Rocco Buttiglione invece dice che Bossi sta metà nel governo e metà fuori. Da filosofo che parla pure il tedesco, Buttiglione si sarà chiesto se Bossi stia fuori di pancia o fuori di testa.
24 aprile 2005
Rivoltato si dice (anzi, si diceva in tempi magri) di un indumento vecchio, un abito od un cappotto rimesso a nuovo rovesciandone la stoffa.
Il governo Berlusconi bis (anzi, terzo della serie omonima partendo dal 1994), è stato definito nuovo, come un vestito appena uscito dal negozio. Per l'esattezza (anzi, per pignoleria) esso è soltanto il vecchio esecutivo del 2001 rimesso a nuovo ovvero semplicemente rivoltato con qualche rammendo, seguendo la tecnica che le ristrettezze economiche suggerivano (anzi, imponevano).
Messo in lavatrice per acquistare una lucentezza che il trascorrere del tempo aveva offuscato, ci sono state inevitabili sorprese. Il camice bianco della Sanità affidata al prof. Gerolamo Sirchia, s'è convertito nella camicia nera di Francesco Storace, «storicamente fascista» come da sua dichiarazione certificata dai giornali. Sembra di assistere ad una versione aggiornata di quel carosello che aveva per protagonista il celebre Calimero. Il suo lamento per essere piccolo e nero era smentito in parte dall'uso d'un certo detersivo. Storace conferma colore e statura, e non ringrazia. La sconfitta alle elezioni regionali nel Lazio è stata ripagata con un premio non voluto. Aveva detto scherzando: sì, vado alla Sanità, faccio la riforma psichiatrica e curo Berlusconi.
Ieri trombati, oggi trombettieri. Giulio Tremonti era stato costretto a dimettersi nel luglio scorso per i conti pubblici amari. Claudio Scajola allontanato dagli Interni (luglio 2002) per aver definito «rompicoglioni» il prof. Marco Biagi ucciso dalle bierre, era stato ripescato come ministro per l'Attuazione del programma. Il programma è stato bocciato alle regionali, così adesso passa alle Attività produttive che già di loro sono alquanto stanche. Mario Landolfi guiderà la Comunicazione: è pratico del settore. Nel 2000 a Gad Lerner poi andatosene, raccomandò una giornalista per il TG1, dove adesso lei lavora.
Marco Follini è rimasto fuori. Voleva discontinuità. Basta intendersi sulle parole. C'è stata soltanto una retromarcia. L'autobus di palazzo Chigi è tornato indietro al capolinea, recuperando quelli perduti, anzi mollati. Follini e Fini volevano defenestrare il dentista Calderoli dal gabinetto delle Riforme e devoluzione. Resta. Dovrà vedersela con una novità: il ministro dello Sviluppo e coesione territoriale. Ciò che la Lega slega, An rilega. Casini ha parlato di possibili elezioni anticipate. Anzi, è sicuro che ci saranno.
[Gli articoli sono apparsi sul settimanale riminese "il Ponte".]
19.03.2009
Silvio, il missionario

"Ciascuno svolge la sua missione ed è coerente con il suo ruolo".
Sono le sacrosante parole che Silvio Berlusconi ha pronunciato oggi a Bruxelles in risposta a chi gli chiedeva un parere su quelle del papa circa l'uso del preservativo.
Siccome il nostro premier in quel momento parlava da uomo politico e non da esponente dei sacri palazzi, avrebbe però dovuto aggiungere anche il parere ufficioso del nostro governo.
Questo richiede la missione di un presidente del Consiglio, questo pretende la responsabilità di chi ha un ruolo molto diverso da quello del vertice ecclesiastico centrale o locale...
Ma ovviamente per Berlusconi, queste sono tutte questioni secondarie. Per cui alla fine, in Europa, saremo gli unici a non far trapelare un'opinione dell'esecutivo perché si sa che esso tiene alla famiglia cristiana predicata dalla Chiesa, ma coltiva quella allargata che s'ispira alla laicità di pensiero.
Ovvero cerchiamo di accontentare tutti. Sia di Franza sia di Spagna, basta che se magna.
Purtroppo l'argomento è troppo serio per lasciarlo agli stratagemmi del cavaliere. E purtroppo nel Pd si è levata, se non erriamo, soltanto la voce di Marina Sereni (vicepresidente dei deputati), in difesa dei rapporti sessuali protetti: "Per non aggiungere male al male".
Testo integrale dell'on. Sereni: "La reale situazione dell'Africa, le migliaia di morti per Aids a cominciare dai bambini, la terribile piaga della diffusione della malattia sono una drammatica realtà di fronte alla quale nessuno può chiudere gli occhi" afferma Marina Sereni, vicepresidente dei deputati del Pd, e aggiunge: "Il preservativo, a oggi, è scientificamente provato, è il mezzo migliore per contrastare la diffusione dell'Aids. Compito di tutti è avviare intense campagne di comunicazione per sensibilizzare i giovani e le popolazioni in via di sviluppo a rapporti sessuali protetti. Non si può aggiungere male al male"
Una volta la Chiesa romana per certe questioni sceglieva il "male minore" delle teologia medievale, adesso punta tutto sui valori assoluti. Insomma, se qualcuno non resta casto e s'ammala, peggio per lui. Tutto ciò sa di carità o di terribile dogmatismo?
ULTIM'ORA. Dichiarazione di Dario Franceschini, segretario Pd: "Penso che il profilattico sia indispensabile e da diffondere per combattere l'Aids, la disperazione e la morte in Africa e nei Paesi più poveri del mondo".

18.03.2009
Asor Rosa il Rosso

Di rado succede di ricavare allegria dalle pagine letterarie dei giornali. Ci è accaduto sabato scorso con l'articolo di Massimo Onofri ("Tuttolibri"), ed intitolato "La politica divora la letteratura" e dedicato ad Alberto Asor Rosa, autore di una "Storia europea della letteratura italiana" .
Asor Rosa è effettivamente un caso politico. Come dimostra l'attacco che Eugenio Scalfari ha fatto ad un altro recensore, Alfonso Berardinelli, che sul "Sole-24 Ore" aveva manifestato i suoi dubbi a proposito di quella "Storia europea".
Scalfari ha scritto: "Si tratta d'una stroncatura in piena regola". Berardinelli ha replicato parlando della "constatata insostenibilità delle bronzee convinzioni politiche originarie, anticulturali e antisociali" di Asor Rosa.
Scalfari ha detto che la stroncatura non corrisponde alle "esigenze di un lettore avvertito". E che il componimento di Berardinelli era "fasullo".
A questo punto l'allegria si tramuta in tristezza. Asor Rosa non parla nella sua opera di Silone. Berardinelli lo sottolinea. Scalfari prende cappello, ma nello stesso tempo tesse l'elogio della stroncatura ideale, "benvenuta in una società letteraria dove la melassa e il giulebbe scorrono a bicchieroni".
Ma c'è da sospettare che possano scorrere anche bicchieroni di olio di ricino per chi non s'adegua alle verità salottiere partorite da quelle accademiche. E che non scoprono la verità rivoluzionaria della banale sentenza di Asor Rosa secondo cui la letteratura "è fatta fondamentalmente di Autori e Opere".
Ma la cultura marxista del pci buonanima non ci aveva sempre fatto una capa tanta per spiegarci che la letteratura è un prodotto della società...?
Asor Rosa si è ricreduto. Peccato, perché egli poi aveva avviato la meravigliosa iniziativa della storia letteraria einaudiana, non un'opera di politica ma un capolavoro editoriale che ha introdotto argomenti sino ad allora trascurati.
Fu quello che Onofri chiama un "cantiere metodologicamente aperto". In cui non s'innalzavano statue agli Autori ma si dipingevano "paesaggi".
Forse nel "paesaggio" odierno va collocata la riconversione politica di Asor Rosa che privilegia soltanto "Autori e Opere". Non per fornirgli alibi ma per completezza del discorso, vorremmo sapere dagli "addetti ai lavori": anche questa riconversione non è frutto della vecchia teoria che (pure) la società fa la letteratura?
Post scriptum. Non marginale, ma pienamente al centro della questione politica circa la gestione della cultura, c'è l'attacco di Pierluigi Battista al matematico Piergiorgio Odifreddi (16 marzo). L'esposizione del "corrierista" era stata ottima per convincerci che PGO avesse torto a causa di certe sue affermazioni polemiche sopra le righe.
Ma oggi l'Odifreddi ci spiega che PGB ha ignorato quanto scritto contro di lui, nell'attaccarlo con toni molto accesi. In breve: in Consiglio regionale piemontese si era detto che la sua nomina al Grinzane era risultata "sgradita al cardinale". Questo PGB non ce lo aveva riportato. Chiedo scusa a PGO per aver creduto nel mio intimo a PGB...

16.03.2009
Riottismi

Impareggiabile rivelazione di Luciano Canfora in una lettera al "CorSera" di oggi. Gianni Riotta ha esortato gli spettatori di Rai1 a non leggere un libro di Canfora, "La storia falsa".
A dicembre Riotta aveva presentato la stessa opera come "da leggere".
Forse, aggiunge Canfora, Riotta voleva mostrare "La natura del potere" recensito sul "Corsera" da Sergio Romano con il titolo "Il fascino del buon tiranno".
Scrive Canfora: "Non si legge, ovviamente, il libro. Non si legge neanche la recensione. Si legge il titolo della recensione".
Il prof. Canfora è molto ottimista: "Si legge il titolo della recensione"? Forse qualcuno ha raccontato quel titolo ad un collaboratore di Riotta che poi...
C'è una famosa storiella di Achille Campanile che ricostruisce il percorso di un ordine militare. Partito dalla frase: "Domani sera ci sarà l'eclissi di luna. Per ordine del signor Generale se ci sarà bel tempo la truppa scenderà in cortile per ammirarla". Ed arrivato all'estrema sintesi: "Domani sera per ordine del signor Generale ci sarà l'eclissi di luna".
La scenetta su Rai1 le rassomiglia. Da non leggere oggi (marzo 2009) un libro da leggere nel dicembre 2008! Come passa il tempo e cambiano rapidamente le cose.
Dal recentissimo "87 tragedie in due battute" di Achille Campanile (BUR 60):
"La vecchia marchesa: - Questo tramonto è bellissimo.
Il vecchio duca: - Vi piace? E' vostro".

15.03.2009
Chiesa lontana

Per i poveri cristi contano poco le dotte dispute teologiche di cui son pieni i quotidiani di questi giorni.
Valgono più certe parole come quelle di don Gino Rigoldi alla "Stampa" di oggi: la Chiesa "è troppo lontana dalla gente. Mancano sensibilità e autentico spirito di condivisione".
Don Gino rinvia alle parole di monsignor Fisichella, severo ministro vaticano per la bioetica, il quale ha scritto su "L'Osservatore Romano" di ieri sera un fondo intitolato: "Dalla parte della bambina brasiliana".
In esso c'è un passaggio dal doppio significato: per l'aborto la scomunica "si attua in maniera automatica"; per la bambina brasiliana, "non c'era bisogno di tanta urgenza e pubblicità".
Sui giornali di oggi, si è sottolineata soltanto questa seconda parte del testo, sino a deformarne il significato nei titoli. Il "CorSera" parla di "scomunica sbagliata", "La Stampa" di un "errore", "la Repubblica" sottolinea tra virgolette che quel vescovo brasiliano "ha sbagliato".
Ciò che dovrebbe interessare (e preoccupare), è il fatto che resta immutabile la scomunica anche in questi casi, quando ci si dimentica del detto di Gesù che non è la legge fatta per l'uomo, ma l'uomo per la legge.
Circa la lettera del papa ai vescovi, oggi il "CorSera" offre un commento di Alberto Melloni sulle "tre svolte di Ratzinger".
Prendiamo la seconda. Melloni spiega che il papa abbandona il linguaggio usato nel 2005. E ricorre ad una distinzione che definisce "troppo sottile" per certi pubblicisti. Ed infatti, noi (modestamante parlando) non l'abbiamo compresa.
Però ricordiamo il linguaggio usato ad apertura di conclave dall'allora cardinale Ratzinger. Con quell'atto d'accusa contro l'imperante relativismo: "Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via".
Bello, affascinante, teologicamete perfetto pure il pezzo di mons. Bruno Forte sul "Sole-24 Ore". Che alla fine si trasforma nell'atto d'accusa contro ogni forma di critica, se scrive che "più grande è il compito, più grande l'amore richiesto, più la croce della solitudine sarà presente". Ovvero resta inevitabile la distanza fra la Chiesa come istituzione e l'umile dolorosa tragica condizione umana? (Il Vangelo non è mai così astruso come i suoi commentatori...)
Infine Enzo Bianchi sulla "Stampa", nell'apparente calma del discorso sulla questione lefebvriana, inserisce inquietanti accenni ai retroscena curiali: negli ultimi dieci anni nella Chiesa romana abbiamo assistito a tutto: "calunnie fantasiose, interpretazioni false, denigrazioni, ricostruzioni accomodate di eventi fatte cirolare con l'aiuto di qualche giornalista compiacente per attaccare o screditare ora un cardinale, ora un vescovo, ora uomini di chiesa". E chiamalo se vuoi amor fraterno...
Se la Chiesa "è troppo lontana dalla gente", la colpa non è di certo della gente, ci sembra di poter concludere passando da don Gino Rigoldi a Enzo Bianchi. Ma anche don Gino lancia una frecciatina non da poco: "Molti vescovi vivono come politici. Assumono un ruolo e perdono il senso della condizione umana. Non sanno più trasmettere il volto misericordioso di Cristo. Hanno i loro riti, carriere, simboli".

14.03.2009
Santa Ipocrisia

Nulla di nuovo c'è sotto il sole, come ammonisce l'Ecclesiaste. Le discussioni sui rapporti tra papa e Curia lasciano il tempo che trovano. Ma non sono un problema soltanto di oggi. I legami tra gli ecclesiastici e tra costoro ed i fedeli, sono spesso improntati a ciò che ironicamente si può chiamare la "Santa Ipocrisia".
Il problema non è quello di vedere chi ha sbagliato nella gestione del ritiro della scomunica ai vescovi lefebvriani. Ma di capire perché in certi ambienti vaticani si neghi l'evidenza di una situazione di malessere nella cristianità tutta, che non dipende soltanto da azioni 'cattive' di questo o quell'addetto agli uffici papali. Ma da una serie di gravi questioni che non si possono risolvere in base all'ipse dixit del codice canonico.
Ad esempio la scomunica alla madre di una bimba brasiliana di nove anni violentata e per questo fatta abortire, ha suscitato reazioni dure non soltanto fra i laici. Ieri il portavoce della commissione episcopale brasiliana ha sconfessato il vescovo di Recife che aveva irrogato la scomunica.
Due notizie di oggi che rivelano la complessità della gestione dei problemi religiosi (vaticani?), al di là dei cosiddetti attacchi di cui il papa si è lamentato.
Prima notizia. Quando era ancora cardinale, Joseph Ratzinger autorizzò la ristampa di un suo saggio in un libro pubblicato da una casa editrice austriaca di estrema destra. Secondo l’ultimo numero del settimanale ‘Der Spiegel’, a dare nel 1998 l’autorizzazione della ristampa del saggio alla casa editrice ‘Aula-Verlag’ fu l’allora segretario di Ratzinger, monsignor Josef Clemens, il quale diede la sua approvazione "su incarico del signor cardinale Ratzinger".
Seconda notizia. La ricavo da una recensione apparsa su "Repubblica", a firma Filippo Ceccarelli, al libro dei giornalista Pino Nicotri sul caso di Emanuela Orlandi: "Non un intrigo di palazzo, ma un atroce caso di pedofilia".
Ho trovato sul web il sito di Nicotri. Qui, in un testo di pochi giorni fa in risposta ad un lettore, egli accusa "il conformismo servile dei mass media italiani": "E’ triste che ogni volta che c’è di mezzo un grande potere ci si allinei così pecorescamente al vento che tira. Poi non ci si può lamentare del discredito che circonda la nostra stampa e le nostre tv (pubbliche e private)".
L'accusa è tanto forte quanto grave il fatto che ha visto la povera Emanuela Orlandi sparire nel nulla. Ognuno può avere libero parere in merito alla vicenda della ragazza romana. Però non è troppo difficile concordare, ci sembra, sul "conformismo servile dei mass media italiani". Troppo pericoloso per le sorti della nostra fragile democrazia.
Su quest'ultimo aspetto merita un'attenta lettura l'articolo su "Repubblica" di Piero Ottone, il cui titolo, "Il profondo nero dei misteri d'Italia", rimanda a quello di un altro libro, di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, appunto "Profondo Nero", in cui si narra la storia d'Italia attraverso le cosiddette "stragi di Stato": dalla morte di Enrico Mattei al triplice governo di Silvio Berlusconi, tessera P2 n. 625, tutta la trama politica del nostro Paese sarebbe stata intessuta dalla loggia segreta fondata da Eugenio Cefis e poi portata avanti da Licio Gelli.
Conclude Piero Ottone che oggi esiste in Italia "un blocco di potere economico ormai abbastanza omogeneo e molto potente". Che, come ha spiegato all'inizio del pezzo, è quello dei vincitori messi in marcia da Cefis e sorvegliati poi da Gelli.
Siamo partiti dalla "Santa Ipocrisia", abbiamo attraversato il terreno melmoso in cui fu risucchiato il corpo innocente di una povera fanciulla, e siamo giunti nel buio assoluto del "profondo nero" delle trame segrete. Che poi a ben pensarci tanto segrete non son più, visti i risultati. Per cui quella "Santa Ipocrisia" finisce per rendere l'etichetta ironica come una drammatica constatazione di qualcosa che è ancora più grave. Come la fresca notizia sulla casa editrice austriaca di estrema destra e sull'allora cardinal Ratzinger..., anno Domini 1998.

14.03.2009
Fame di fama

Non dev'essere un'attenuante per le persone che saranno giudicate perché coinvolte nel caso di quel famoso premio letterario piemontese.
Ma ricordiamoci che esiste dappertutto, a tutte le latitudini e longitudini italiche, un mondo pieno di persone affamate di fama, che farebbero qualsiasi cosa per una patacca da appendere alla giacca o un "titolo" di cui vantarsi nella biografia o nella carte de visite.
Queste persone sono già note e persino celebrate, ma non sono mai sazie di elogi e di turiboli che le incensino sulla pubblica via.
Vivono nella dimensione di eroi della cultura non per quello che scrivono o "pensano", ma per le lodi più o meno sincere che ricevono, in questo allegro mercato delle vacche (sia detto senza ingiuria per le povere bestie) in cui il denaro pubblico è bruciato, non solo nel mitico Piemonte che ci è stato portato sempre ad esempio di oculatezza e di correttezza protocollare.
Dappertutto la gran festa avviene solleticando politici ed untorelli di professione che sfilano come miss o modelle sculettanti tra i tavoli o le poltrone di un teatro.
Pensate un po' se anche i nostri antenati avessero avuto le stesse abitudini contemporanee, nulla ci sarebbe stato tramandato in biblioteche e quant'altro oggi fa cultura. Oggi la cultura è troppo spesso ridotto ad un lauto pranzo, ovvero ad un rutto disgustoso.

13.03.2009
Papa inquieto

"Papa contro Curia" abbiamo intitolato il post in cui si preannunciava la dura lettera del pontefice diretta ai vescovi.
Oggi Marco Politi commenta su "Repubblica" quel documento parlando di "una Curia allo sbando". Una Curia nella cui gestione "c'è qualcosa che traballa" e che provoca impaccio e disfunzioni.
Franco Garelli sulla "Stampa" di oggi esamina invece le accuse del papa ai confratelli per avergli mostrato ostilità.
Garelli osserva che gli anatemi di questo pontificato "sembrano mettere in secondo piano quel primato della carità che pur fa parte" della vocazione della Chiesa.
Chi ce l'ha con il papa, si chiede il teologo Vito Mancuso su "Repubblica". Ecco l'elenco: 1) i lefebvriani; 2) i "curiali" e 3) "quei cattolici che hanno protestato" con l'ostilità denunciata dal papa.
A questo terzo gruppo di "cattivi", Mancuso dedica un'analisi attenta, tutta condotta in chiave strettamente teologica e non polemica. Per cui presenta il famigerato principio della "parresia", ovvero "franchezza di rapporti e di parola". Che molti enunciano a freddo e dimenticano di applicare nelle situazioni bollenti.
Sembra essere successo così anche a Roma in questi giorni. Dove il teologo Ratzinger non pecca d'orgoglio ma resta fedele al suo ruolo di enunciatore di verità a cui tutti dovrebbero inchinarsi senza pronunciar parola. Come sosteneva Agostino, se "Roma locuta est, causa finita est".
Il mondo dei cristiani è disposto a tacere davanti alle emergenze contemporanee per affidare ad uomini pii e dotti ma nascosti nelle loro stanze, la loro trattazione?
Questo papa inquieto (non nel senso che si lega a Paolo VI, ma come sinonimo elegante di turbato ed arrabbiato), legge il mondo attraverso i libri. Gli uomini nella loro miseria sanno che i libri si scrivono dopo aver letto il mondo. Chiedetelo ad esempio a quanti operano nelle missioni. Loro sanno quanto mare passi tra il dire ed il fare.
Per prima cosa, questo papa dovrebbe dismettere gli abiti da cerimonia così lussuosi e strambi per il nostro tempo. Nessuno dei suoi fidati consiglieri, immaginiamo, glielo ha suggerito. Immaginiamo anzi i tanti che si saranno affiancati a lui per sussurrargli in un orecchio: ma che magnifica cerimonia!! Poca gente va a piazza San Pietro per il papa? Sì ma che bella sfilata vedono quelli che ci sono. E' ancora cristianesimo, questo?
E a proposito di vero cristianesimo, confidiamo un'ultima cattiveria contro i "curiali" che hanno subdolamente attaccato Romano Prodi definitosi "cattolico adulto", e si sono appoggiati alla recita buffonesca degli "atei devoti" e dei loro capi politici.

13.03.2009
Prefetti perfetti

Prefetti perfetti per controllare il credito erogato dalla banche. L'ha detto l'Incredibile, ma non è una balla priva di fondamento. L'ha studiato a Parigi alla Sor Bona. L'ha appreso anche alla Statale di Milano che il prefetto è un "agente modernizzatore" dello Stato italiano, un "soggetto incaricato del coordinamento tra i vari segmenti istituzionali presenti sul territorio". Parole pronunciate il 6 maggio 1802 (1802!!) da Napoleone Bonaparte (Napoleone Bonaparte!!).
Nel 1944 Luigi Einaudi aveva proposto l'abolizione del prefetto con un articolo in cui si legge: "Democrazia e prefetto repugnano profondamente l'una all'altro".
Ovviamente dice molto il confronto fra queste parole del liberale Luigi Einaudi e le idee di Berlusconi modellate sulle parole di Napoleone del 1802.
Bankitalia ha già fatto sapere: i prefetti non potranno ottenere dalle banche le cifre disaggregate dei prestiti. Quindi le presunte vittime di soprusi da parte degli istituti di credito, non potranno chiedere raccomandazioni ai rappresentanti provinciali del governo.
Sui prefetti nutriamo tutti i dubbi possibili circa la loro capacità di comprendere il territorio su cui operano, partendo da un semplice dato di fatto: le liste delle persone nominate cavalieri della Repubblica ogni anno per il 2 giugno.
Nello scorso settembre l'impareggiabile Brunetta ha detto: "Se devo farmi operare ho il diritto di sapere se il mio medico è un macellaio oppure una persona efficiente. Se ammazza o salva le vite". Noi, dall'alto della nostra senilità, ci siamo permessi di chiedergli d'informarsi di come fanno i signori Prefetti a nominare i cavalieri della Repubblica. Invitandolo a pubblicare sul sito del ministero degli Interni le relazioni inviate all'Autorità competente. Consapevoli che sì che ci sarebbe da ridere. Rifacciamo la richiesta o proposta che dir si voglia.

12.03.2009
Incredibile? Lui

Fallisce al debutto su Rai1 "Incredibile". Nulla di strano. L'Incredibile comanda su tutto, è capo del governo, vorrebbe diventare anche il marionettista dell'opposizione, definisce "coglioni" quelli che non lo votano, non credeva alla recessione in agosto, poi ha dovuto ammetterla: così, tanto per non sfigurare troppo, ma poi s'è premurato di darne la colpa a giornali e tv...
In un Paese guidato dall'Incredibile, non può reggere una trasmissione dallo stesso titolo. Ovvio, elementare.
Dato che l'argomento non è ridanciano, ma tremendamente serio, andiamo a citare un articolo di "Repubblica" di oggi, in cui Stefano Rodotà tratta delle "Spallate alla Costituzione".
Dove è ricordato Obama che ha scritto: "Esercitando la mia responsabilità nel decidere se una legge sia incostituzionale, agirò con prudenza e misura, basandomi unicamente su Interpretazioni della Costituzione che siano solidamente fondate".
Commenta in conclusione Rodotà: "La spallata berlusconiana al Parlamento nasce in tempi di costituzionalismo debole e ha come fine, insieme alla cancellazione del sistema parlamentare, l'azzeramento delle garanzie, lo smantellamento del sistema dei diritti".
Si allude non soltanto alla recente proposta del cavaliere di far votare alle Camere unicamente i capigruppo parlamentari, ma a tutta una serie di questioni sul tappeto che vanno alterando "il funzionamento del sistema istituzionale". Ed accentuando le responsabilità del Capo dello Stato e della Corte costituzionale.
Questa è tutta l'incredibile realtà che un Incredibile, presidente del Consiglio dei ministri, ha creato e sta cercando di consolidare a danno degli equilibri costituzionali.
Per questo motivo ha ragione Franceschini che in un'intervista anticipata oggi da "l'Espresso", dichiara: se Berlusconi "stravince alle europee, grazie all'astensionismo e alla delusione nel nostro campo, quello che potrà fare dal giorno dopo è inimmaginabile".
Ci è già capitato di osservare che per Veltroni, se restava in carica sino all'estate, si preparava una lezione sonora, con un'astensione mai vista. La linea Franceschini potrebbe far far marcia indietro a molti dubbiosi.
Ma occorre non soltanto che al centro il Pd sia più saldo, ma che pure la periferia esca dal letargo. In quella periferia in cui si crede che le critiche oneste, ovvero disinteressate e senza secondi fini, siano la causa della crisi in cui i signori delle tessere si trovano a navigare con fatica e stanno per affogare miseramente.

11.03.2009
Papa contro Curia

Ma la Curia romana protegge il papa da possibili "errori", preparandogli dossier certi e documentati?
Vien da chiederselo partendo da una frase del pontefice contenuta nel documento che sarà pubblicato ufficialmente domani.
Esso riguarda la recente decisione papale di revocare la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, tra cui c'è quel Richard Williamson segnalatosi per il suo negazionismo.
Nella anticipazioni odierne, si legge che Ratzinger ammette in prima luogo gli errori che hanno accompagnato la revoca. Tra essi, appunto il non essersi accorti, nella Curia, delle gravissime posizioni di Williamson ampiamente diffuse su Internet. E quindi conoscibili anche da parte della stessa Curia.
Dobbiamo immaginare che nei sacri palazzi apostolici sappiano sempre qualcosa di più di quello che noi semplici ed ignari lettori del web apprendiamo, accedendo ad una linea telefonica. Però dobbiamo constatare che la nostra immaginazione erra per eccessiva fiducia.
Abbiamo già sottolineato qui, il mese scorso, che il caso di Williamson richiama la vicenda di Stanislaw Wielgus nominato dal Vaticano arcivescovo di Varsavia nel gennaio di due anni fa. Ci siamo permessi una battuta riassunta nel titolo che parlava di "InCuria romana".
Scherzare sulle cose serie, è utile per mantenere quel distacco razionale da esse che è sommamente necessario, e per non cedere all'emotività reazionaria propria dei tipi come Williamson.
Per Wielgus ci chiedemmo: "è colpa di Benedetto XVI oppure si tratta di un tiro mancino della Curia ai suoi danni?".
La domanda si replica per Williamson. Con una desolata aggiunta che deriva da notizie pubblicate domenica scorsa sul vescovo John Magee.
Citiamo i titoli apparsi su "CorSera", "Repubblica" e "Stampa": "Pedofilia, si dimette l'ex segretario di tre papi", "Pedofilia, travolto il segretario di tre Papi", "Preti pedofili. Si dimette il segretario dei Papi". Sulla "Stampa" c'è poi un sottotitolo virgolettato che illumina la vicenda: "Proteggeva chi abusava dei minori".
Diceva Enzo Biagi che anche a Gesù non andò bene in un caso su dodici. Forse in Curia, nella scelta del personale più responsabile, le percentuali si rovesciano, stando ai casi qui ricordati.
Se anche la Chiesa di Roma è travolta dai "fannulloni" c'è poco da stare allegri. E da temere che qualcuno pensi di arruolare Brunetta, magari nominandolo cardinale. Ma la sua Titti non lo permetterà e noi saremo più tranquilli.
Invece ci inquietano quelle parole del papa anticipate oggi, sul non essersi accorti, nella Curia, delle gravissime posizioni di Williamson. Accusa mica da poco.

10.03.2009
Obama e la crisi

Citiamo da un'intervista al presidente degli Stati Uniti apparsa su "Repubblica" di domenica scorsa, dedicata in gran parte al suo impegno per risanare l'economia.
Obama ha detto che:
1. occorre fare investimenti che permettano di "parare il colpo".
2. Bisogna "rafforzare il sistema finanziario".
3. E' necessario "investire a lungo termine sulla crescita economica, puntando sull'energia, l'educazione e l'assistenza sanitaria".
L'ultimo punto (assistenza sanitaria) per fortuna non ci tocca.
Per "energia", Obama non intende ovviamente la costruzione di centrali nucleari, anzi tutto l'opposto.
L'altro punto è l'educazione. Che cosa significhi investire nell'educazione si potrebbe riassumere in una frase soltanto: fare tutto l'opposto di quello che sta accadendo in Italia, come per l'energia.
Ecco perché non si è molto parlato del programma di Obama. Noi e gli Usa abbiamo gli stessi problemi. Le strade scelte per risolverli vanno in direzioni opposte.
Con i proclami ci si può raccontare tutto. Preferiamo esaminare i dati di fatto. E crediamo di poterci fidare più di Obama che dell'opaco re di Arcore.

10.03.2009
Stato malato

"Folle, armato lasciato libero di uccidere". Il titolo che apre l'edizione nazionale della "Stampa" ha qualcosa di più del carattere locale. La tragedia è avvenuta a Torino. Ma è simbolo di una realtà nazionale. Quella di uno Stato malato d'inefficienza in cui il morbo provoca un contagio letale. Un padre ucciso, la figlia ferita gravemente.
Ma è lo stesso morbo che risalta nella prima pagina di "Repubblica" per una cronaca molto diversa, però egualmente frutto di quell'inefficienza: "Così si moriva nella casa degli orrori". Una casa che è un istituto di ricovero, con dodici persone scomparse e quindici "possibili omicidi". Un ricovero "per derelitti e ripudiati di ogni specie". Simboli e vittime di uno Stato ormai derelitto e ripudiato da chi dovrebbe per dovere istituzionale farlo funzionare.
Non dateci dei pessimisti.
Sulla "Stampa" del 5 marzo Lucia Annunziata ha firmato un fondo molto onesto, "Giustizia è sfatta". Diciamo onesto perché non chiama in causa soltanto i guasti della macchina giudiziaria, con le indagini italiane "ampiamente carenti anche quando si tratta di crimini comuni". Ma coinvolge pure il mondo a cui l'autrice appartiene: "Troppo spesso noi giornalisti facciamo da acritica cassa di risonanza delle indagini. Una responsabilità che ci è stata già rinfacciata. E che ci prendiamo".
I quotidiani non sono una sacra bibbia. Per molti motivi. Non lo debbono essere per i lettori che vi si devono accostare con la consapevolezza che la "verità" di un giorno può trasformarsi in "bufala" la mattina successiva. Ma i quotidiani non debbono essere considerati portatori di valori assoluti anche da parte di chi li fa. "La Stampa" ha pubblicato un articolo di Sebastiano Vassalli su Leopardi che non leggeva bene il testo originale. Ho inviato una breve e cortese lettera, ma non è stata pubblicata. Andava contro il parere di uno scrittore ovviamente considerato intoccabile, e nessuno poteva permettersi di documentare come esso fosse più che infondato, del tutto errato.
Pensiamo che se questo succede per una frase di Leopardi, ancor meglio può accadere per discorsi più seri. Per cui ha fatto bene Lucia Annunziata a scrivere che "troppo spesso" i giornalisti fanno "da acritica cassa di risonanza"... Non soltanto alle indagini, ma a ciò che politicamente sta loro dietro, ci permettiamo di aggiungere.

10.03.2009
Anni di piombo. Chi ci salvò

Virginio Rognoni, ministro dell'Interno fra 1978 e 1983, ha scritto domenica scorsa sul "Corriere della Sera" un pezzo che merita di essere ripreso.
Partendo dal finanziamento pubblico per un film sugli anni del terrorismo in Italia, Rognoni tratta di una questione fondamentale, oscurata da chi allora sparava contro i "servi dello Stato": la "tenuta democratica del Paese". Tenuta che fu resistenza a quel terrorismo, e provocò la sconfitta della violenza.
L'Italia è uno strano Paese. Tutto è dimenticato, riciclato, mascherato. Dopo il 25 luglio 1943 nessuno era stato fascista, se non quei pazzi che poi aderirono alla Repubblica di Salò seminando altra violenza e altro sangue, e provocandone altro per le vendette sino a dopo la conclusione della guerra. Ciò non ha impedito a molti di loro di vivere gloriosamente come esempi perfetti di uomini democratici, sino addirittura per certuni al premio recente del laticlavio repubblicano.
Forse per queste caratteristiche italiche, ispirate ad un egoismo machiavellico (ma pure bertoldesco), i conti con la Storia da noi non sono mai fatti con un minimo di serietà, nella serena consapevolezza che tutto passa e la memoria è labile.
Restano sul terreno i martiri. Si chiamino essi soldati di Cefalonia, militari spediti in Russia o servitori di quello Stato che il terrorismo voleva distruggere, ebbro di ispirazioni leniniste spesso condivise da molti nelle premesse ma non nelle "espressioni" pratiche.
Ricordiamolo. Tanti "nipotini di D'Annunzio" (definizione credo di Leo Valiani), in quella che si chiamava allora sinistra extra-parlamentare, sostenevano essere il terrorismo un strumento utilizzato dalla classe dirigente al potere per soffocare le "lotte operaie".
Alla miopia di tanti giovani corrispondeva parallela se non addirittura convergente, quella di molta parte del mondo imprenditoriale che non sapeva leggere nelle questioni sindacali l'espressione democratica di settori dell'opinione pubblica altrimenti esclusi dalla partecipazione al dibattito politico. Fatto salvo il giudizio negativo sulle degenerazioni violente che anche in quella espressione democratica si dovettero allora registrare.
E poi ci furono anche le anime (in apparenza) candide e un po' troppo volpine (nella realtà) che si vantavano di una posizione terza, immacolata da ogni contagio, né con lo Stato né con le BR.
Nel lavoro quotidiano davanti al crollo delle vecchie certezze, dovemmo difendere (parlo, per esperienza personale, della scuola) non l'indifferenza sostenuta dai pensatori raffinati ed astratti, ma lo Stato con la semplicità di chi non vedeva altra salvezza se non nella democrazia.
Ecco perché è nel giusto Rognoni quando richiama la "tenuta democratica del Paese" in quegli anni di piombo. Le cui vittime dovrebbero essere ricordate non per chiudere la bocca a quanti allora usarono la ragione delle armi anziché le armi della Ragione, ma per riaffermare un principio fondamentale: non si possono confondere le vittime con i carnefici.
Possiamo cedere ai ciarlatani per altre cose, ma non su queste che debbono costituire la base della "memoria ufficiale" di uno Stato.
Rognoni parla di "memoria espressa condivisa". Da politico navigato sa che ciò va auspicato, ma spesso (forse sempre) non è possibile ottenere. Più modestamente, da cittadino qualsiasi ("semplice cittadino" dicevano una volta i giornali), ricorro ad una formula che può senza dubbio urtare, "memoria ufficiale".
Spiego quell'aggettivo: "ufficiale" perché lo vuole la Costituzione, lo vogliono le sue regole, il sacrificio di quanti, per far nascere quella Costituzione, persero la vita o lottarono con il silenzio del rifiuto o con le armi, contro i seguaci di una dittatura che costò tanto al nostro Paese.
La democrazia italiana nata dalla Resistenza, ha saputo sconfiggere il terrorismo, ci spiega giustamente Rognoni. E noi abbiamo oggi un capo del governo che, se non erro, non ha mai partecipato alle celebrazioni del 25 aprile. Non ce lo ha mai spiegato, ma un perché ci deve essere. C'è senz'altro. Assieme a quello della mancata risposta sulla questione. Nella Storia tutto si tiene. Ed è proprio un governo di centro-destra ad aver finanziato o a stare per finanziare un film come quello citato da Rognoni. Contraddizione? Forse fumo negli occhi per dimostrare che la violenza del terrorismo è la sigla etica di chi si oppone al volere dei capi che ci governano? Forse più che una domanda è la certezza di un diabolico piano contro quella "tenuta democratica" illustrataci giustamente da Rognoni.

09.03.2009
Quel che vedRai

La scelta di Ferruccio De Bortoli di rifiutare la poltrona di presidente della Rai, è da apprezzare. Controcorrente.
Fa bene a restare a dirigere il "Sole-24 ore", un foglio che si fa leggere per tanti motivi da chi cerca proprio e soltanto le informazioni.
Un solo esempio, la pagina che ieri è stata dedicata a "il mondo delle news tra carta ed intrenet". Ne vorremmo riparlare, perché l'intervista a Marco Benedetto dimostra che, come dice il titolo, "I giornali non moriranno". Mentre si annuncia la nascita di un quotidiano online, "Blitz", voluto dallo stesso Benedetto come "aggregatore di notizie".
La Rai è diventata nel corso dei decenni una imperfetta macchina informativa che premia la fedeltà ai padroni del vapore, e non la qualità del lavoro dei suoi giornalisti. Qualità che non manca ma è soffocata da un sistema terribile, come quello del "panino". Per cui si contrabbanda per obiettività un sistema che mira soltanto a caricare di offese ogni parere contrario alla maggioranza di governo.
Ricordate la vecchia battuta di Enzo Biagi? Quando scelgono i giornalisti in Rai, prendono un democristiano, un comunista, un socialista ed uno bravo...
Di questo passo, da Telekabul siamo passati al ditino alzato del buon Capezzone che, sprizzando umori arcoriani da tutti i suoi pori, pretende di gestire persino il lavoro dell'opposizione.
Ha scritto Biagi il 22 luglio 1993: "... anche i comunisti giocavano alla lottizzazione, e una signora che rappresentava i repubblicani si era perfino scordata il nome del suo raccomandato".
Ironizzava poi su certi progetti: tre telegionali, uno "vicino alla presidenza del Consiglio [...] poi un altro "leggero", ed è supponibile abbia come sponsor i "boy scouts"; un terzo "sbarazzino e impegnato", nel caso di disgrazie, niente Marcia funebre di Chopin, ma valzer di Strauss".
Di lottizzazione in lottizzazione, di progetto in progetto, siamo arrivati a persone che, calate nello scafandro del servizio pubblico, non avvertono il ridicolo delle situazioni, perché così fan tutti e così debbon fare tutti.
Intanto uno si è defilato. Grazie, De Bortoli. Chissà che l'esempio non serva per dimostrare che siamo stufi di assistere a certi spettacoli indecenti da parte di chi non dovrebbe fare spettacolo ma dare notizie. Soltanto e semplicemente. Che è la cosa più difficile nel sistema Rai. Amato da tutti i politici, benedetto da molti compari, invocato dai soliti eletti che hanno avuto la "grazia" per accreditare una verginità mai posseduta.

07.03.2009
Segnali di fumo

"La crisi si aggrava" dichiara il presidente della Repubblica. E' una risposta (diretta) al capo del governo che sui giornali di oggi campeggia con il severo monito: la crisi non è né tragica né definitiva.
Berlusconi si rivolgeva agli "operatori dei media", ma il suo segnale di fumo era diretto al ministro Tremonti. Il quale ieri non aveva scherzato nelle dichiarazioni riportate dai quotidiani: "Il 2009 andrà peggio del 2008". Sarà un anno terribile, aveva detto il ministro.
"Noi lo sapevamo già", ha commentato Massimo Giannini su "Repubblica". Forse questa frase di Giannini ha mandato su tutte le furie Berlusconi.
Il suo ministro che dice le stesse cose del massimo giornale d'opposizione, dev'essergli apparso un peccato contro natura. Di quelli che gridano vendetta al cospetto della corte di Arcore.
Un serafico Romano Prodi sul "Corrierone" aveva detto alcune cosette scottanti, dalla cronaca di un lezione tenuta ad Oxford.
I tempi sono terribili, la via d'uscita è lontana; la democrazia si basa sull'antitrust; un governo saggio fa la lotta all'evasione fiscale e tiene unito il Paese con l'equità fiscale; e poi, dulcis in fundo, non sappiamo creare una classe dirigente.
Su questo ultimo aspetto, la parabola del c'erano una volta le cellule del pci e le parrocchie per la dc, non è altro che una denuncia di un vuoto politico riempito da chi non è sceso in politica per servirla ma per servirsene.
Alle ondivaghe posizioni del "ritardatario" Tremonti ("Ora che bisognerebbe essere più elastici davanti alla crisi, riscopre il rigore", disse S. Gozi), corrispondono posizioni altrettanto oscure e misteriose del ministro Brunetta.
Il quale avrà sì la sua Titti da esibire come trofeo d'Amore (notoriamente cieco), ma quando tratta d'economia lascia senza fiato. Come se, invece di parlare lui, si spogliasse lei in tutta la sua statuaria avvenenza.
Brunetta ha detto al "Corrierone" di oggi: "Il sommerso è un grande ammortizzatore sociale".
Se ai nostri giovani nelle università s'insegnano tale teorie, possiamo ben rattristarci. In politica c'è sempre la speranza che dalle urne esca qualcosa di diverso. Da teste indottrinate malamente non si cava nulla.
Il discorso andrà applicato anche alla Sinistra. Ieri "Repubblica" ha relegato a pag. 35, sotto l'infuocato editoriale di Giannini che abbiano ricordato sopra, un breve, illuminante articolo di Nadia Urbinati. Intitolato non per nulla "Le colpe dell'opposizione".
Dopo la domanda retorica se i leader della sinistra avevano mai letto Locke o Montesquieu, appare una dura ma condivisibile sentenza: "La sinistra è stata ridotta a un'ombra di se stessa", "un guazzabuglio degno di un apprendista stregone", per cui dal suo "centro" non "potrà venire il rinnovamento".
Conclusione: l'opposizione ha "la responsabilità di contribuire a fare del paese una dittatura eletta".
Tempo fa parlammo qui di “miti (s)finiti”. I fatti ci hanno dato ragione. Veltroni ha salutato, Di Pietro è stato oscurato prima dalle note questioni interne al suo partito ed alla sua famiglia, poi dal successore di Veltroni, Franceschini. Che in poche mosse ha messo in imbarazzo governo e vecchia opposizione, dando a quest’ultima una spinta che non potrà essere facilmente arrestata da ciance compromissorie e da ammaestratori di serpenti in libera uscita.
Trionfa così la vecchia via emiliana alla democrazia, essendo Franceschini allievo di quello Zaccagnini che rimanda anche alla storia della Resistenza, in un Paese in cui, ai bilanci morali, sono stati sostituiti quelli degli affari personali di chi ha preso di potere e poi lo ha gestito soltanto a proprio uso e consumo.
Dunque, dai miti sfiniti ai miti finiti. Si riparte non da zero, mentre l’orizzonte economico è sempre più scuro. Non basta che Tremonti dica: l’avevo previsto. Bisogna che faccia qualcosa. Ed in simili emergenze il governo deve essere consapevole più che mai di un principio elementare: cioè che esso è deputato a reggere l’intero Paese, non è soltanto l’espressione della maggioranza che lo ha eletto.
Quindi non potrà più sostenere di volere dialogare soltanto con chi gli aggrada, non con "questa" sinistra, eccetera.
Sinora Berlusconi ha voluto fare tutto lui, i due poli del parlamento, una specie di ermafroditismo costituzionale che non sta né in cielo né in terra.
Mentre nel nome del dispetto verso la democrazia si vogliono bruciare 400 milioni differenziando la giornata elettorale da quella referendaria.
E’ una proposta illogica, immorale ed irresponsabile. Mancano i soldi per tutto, ma non per soddisfare le voglie illiberali di Bossi e compagnia. Ma di tutto ciò il capo del governo non si rende conto. Come dice Franceschini, Berlusconi vive "chiuso nel suo bunker dorato".
Dove usa soltanto il dizionario dei sinonimi per cercare l'aggettivo meno agghiacciante per descrive una situazione economica agghiacciante. Ma come si diceva tanto tempo fa, i nomi sono una conseguenze delle cose. Prima o poi la gente se ne accorge. Non è colpa dell'astronomo se cadono le stelle. Ed è inutile consultare gli astrologi.

05.03.2009
Sorbona

Oggi si è mosso persino il "Foglio" (diretto da Giuliano Ferrara e proprietà della signora Veronica Lario in Berlusconi, con annessi aiuti statali) contro il francese "Canal Plus" che ha inventato un labiale del cavaliere mentre discorreva con Sarkozy.
"Canal Plus" ha interpretato "C’est moi qui t’ai donné ta femme", al posto di un più prosaico: "Tu sais que j’ai etudié à la Sorbonne".
"Sbagliare si può, ma poi si deve chiedere scusa", sentenzia il "Foglio".
Ci permettiamo di osservare solamente che il signor Berlusconi Silvio non è mai stato allievo della Sorbona.
Giuseppe D'Avanzo ha scritto di recente su "Repubblica": nei discorsi di Berlusconi "ci sono le menzogne di conversazione e di interesse; di vanità, di esagerazione; di abbellimento; di fabulazione gratuita".
Corrado Augias ha osservato che il cavaliere l'8 luglio 1989 aveva dichiarato: "Ho studiato due anni a Parigi, alla Sorbona, e per mantenermi dovevo suonare e cantare nei locali della capitale". Il 4 agosto 2003 alla "Bild Zeitung" aveva detto: "L'unica vacanza che ricordi è un periodo di ferie alla Sorbona per frequentare dei corsi".
Sottolinea Augias: "Le indicazioni come si vede sono vaghe e contraddittorie. Comunque ho voluto tentare e grazie a persone amiche ho fatto svolgere una ricerca al segretariato della Sorbona per gli anni dal 1954 al 1959. Agli atti non figurano titoli di studio al nome di Berlusconi Silvio. Ma potrebbe essersi trattato di un breve corso estivo per studenti stranieri e in questo caso la ricerca sarebbe impossibile".
Morale della favola. Lasciamo i seguaci del cavaliere (come Ferrara) riscaldarsi sulla vera versione del labiale. Noialtri leggiamo i racconti che il capo del governo fa come favolette ad uso di un popolo che lui considera deficiente.
Smettiamola di parlare di gaffe. Sono gesti con cui lui vuole confezionare pagine non documentabili della sua biografia. Per affascinare i creduloni. Altro che balle. C'è molta gente che le considera verità teologiche.
Che questo sia lo scopo (politico) del suo parlare lo dimostra l'intervento del "Foglio". Non ridicolizziamo il premier per le gaffe vere o presunte. Stiamo sul suo stesso piano dialettico. Ci getta fumo negli occhi. Rispediamo quel fumo al mittente per guardare con lucidità la vita di ogni giorno. Soltanto per dimostrare che non stiamo al suo gioco. La politica è leggermente qualcosa di diverso dalle favole alla Ettore Petrolini.

04.03.2009
Sogni costosi

Se lo è chiesto un lettore della "Stampa" nelle lettere di ieri, Luciano Simonetti: “Ma allora se non ci sono i soldi, da dove escono i cento milioni di dollari per ricostruire Gaza?".
Ci associamo alla domanda. Aggiungendo che qualche spicciolo sembra essere stato promesso pure alla Libia. Da un'intervista allo storico Angelo Del Boca ("Repubblica" di ieri), ricaviamo la modesta cifra di cinque miliardi di dollari "come indennizzo per i crimini compiuti in trent'anni di presenza in Libia e per i centomila morti provocati".
Non si discute né dei crimini né dei morti provocati. Il problema è che diventa un crimine pure non occuparsi del pane e del companatico di tante persone, oggi e qui, in Italia.
Si dirà che Berlusconi nutre "sogni di gloria" (basta vederlo come corteggia il leader libico). Sì, sogni costosi, molto costosi. Perfettamente spiegati da un "retroscena" di Augusto Minzolini ieri sulla "Stampa", una risposta diretta all'articolo che lunedì Mario Calabresi aveva pubblicato su "Repubblica".
Calabresi aveva sottolineato come alla Casa Bianca non abbiano gradito certe rodomontate del cavaliere.
Attraverso Minzolini, Palazzo Chigi ha fatto sapere quali progetti abbia Berlusconi in mente per l'Italia. Il titolo dice molto: "... sogna il mediare il summit Obama-Medvedev". Sogna, appunto.
Il piano contro la miseria nel mondo, illustrato da Minzolini, guarda lontano e non tien conto delle vicinanze. Tanto per gli italiani basta dargli una partita di pallone ed un mandolino che accompagni gorgheggi melodici, e la fame si acquieta.
Crediamo abbia ragione Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma: l'Italia è un Paese "dove le ingiustizie sono aumentate, il ceto medio si è impoverito e indebitato".
Non basta a farci felici sapere che Gheddafi ha regalato due cammelli a Berlusconi.
Curiosità non banale. In certi ambienti ecclesiastici si sono studiate nuove forme di penitenza quaresimale, cioè non chattare, o non mandare sms. Per favore: c'è qualcuno in Vaticano che possa convincere le competenti e subordinate autorità periferiche che la penitenza dovrebbe essere considerata qualcosa di più serio?
Forse il piano Berlusconi per tenere a dieta gli italiani con la crisi, rientra nel progetto di salvare lo Spirito e mortificare la carne.

03.03.2009
Foibe, per un commento

In un commento ricevuto al post sulle foibe, un lettore scrive cose inesatte su Cefalonia. I militari italiani non passarono le loro armi ai resistenti greci. Essi rifiutarono di arrendersi ai tedeschi. Lo storico Giorgio Candeloro (nel volume decimo della sua opera sull'Italia moderna, p. 228), ricorda "il glorioso significato" di quanto accaduto allora nelle isole greche, ed il plebiscito tra ufficiali e soldati (13-14 settembre 1943). In base alle decisioni prese da quei militari, fu inviato al Comando germanico questo comunicato: "Per ordine del Comando supremo e per volontà degli ufficiali e dei soldati la divisione Acqui non cede le armi".
Le vittime furono 9.646, tra morti in combattimento ed assassinati dai vincitori. "I pochi superstiti si unirono ai partigiani greci", precisa Candeloro.
Sul piano diritti naturali, rientra quello alla rivolta ogni qual volta è oppressa la libertà. Scriveva Hobbes nel 1651: "Gli uomini giusti non possono rinunciare con un patto al diritto, che hanno per natura, di proteggere se stessi quando nessun altro può farlo". Poi è venuta la dichiarazione americana del 1776, poi quella francese del 1789...

02.03.2009
Pompiere cercasi

Davanti alla prospettiva di un bel rogo (ideale e legale) su cui far salire le prime vittime del dolore nel caso Englaro, nella maggioranza di governo cominciano a spuntare voci di dissenso.
L'inchiesta giudiziaria sul padre della povera Eluana è poco civile e non cristiana, ha detto il ministro Sandro Bondi. Capezzone, l'ardito e spigoloso Capezzone, ha addirittura sottolineato: "Mi pare crudele denunciarlo e dargli dell'assassino".
Cossiga pensa che l'ideale sarebbe stato che il Parlamento non si fosse occupato della questione della "fine vita".
Meglio lasciare a medici e famigliari certe decisioni, ritiene Beppe Pisanu, dc di lungo corso e di estrazione zaccagniniana.
A questo punto, la rosa delle opinioni si amplia. Ed è un fatto positivo per testimoniare sia civiltà nel dibattito, sia rispetto delle elementari regole democratiche. Che dovrebbero evitare il trionfo dei toni irrispettosi verso qualsiasi scelta così difficile, dura ed impegnativa come quella di cui si discute. Per fortuna che qualche pompiere è sceso nell'arena dei mangiatori di fuoco.
Fa piacere vedere che tra tanti assatanati possessori di verità assolute, si trovano anche persone che, a livello diverso sia per esperienza sia per orientamento culturale, hanno lo stesso desiderio di far cessare la disfida armata contro il povero Beppino Englaro.
Pisanu ha detto altre cose molto oneste e condivisibili sul problema dell'immigrazione e delle ronde.
A proposito delle ronde, ha osservato: esse sono ''un vulnus all'unitarietà e all'efficienza del nostro sistema di sicurezza''. Inoltre esse ''spesso si presentano come milizie di partito'' più che come associazioni di volontariato.
Circa l'immigrazione, ha sostenuto: "Gli immigrati sono per noi forza vitale. C'è l'inconveniente dell' immigrazione clandestina, e quella va combattuta". Se nei prossimi 20 anni si vorrà mantenere la quantità di forza lavoro attuale, bisognerà "mediamente importare 300 mila paia di braccia l'anno".
Tiriamo le somme. Le uniche voci ragionevoli del centro-destra sono queste? Quella di Pisanu che proviene dalla sinistra-dc di Zaccagnini?
Allora, tutto ciò significa il fallimento del progetto del cavaliere, del presidente Fini e di tutti gli altri intellettuali che sfilano sui teleschermi a spiegare l'inspiegabile. Sinora hanno raccontato barzellette.
Come hanno ben compreso i governanti stranieri. Ieri su "Repubblica" Mario Calabresi, raccogliendo confidenze di "uomini dell'Amministrazione", ha spiegato che alla Casa Bianca non dimenticano certi atteggiamenti sconvenienti o certe parole "in libertà" di Berlusconi che non rispettano la prassi diplomatica di un alleato degli Usa.
"Nei palazzi del potere americano nessuno" ha dimenticato le affermazioni di Berlusconi sull'"aggressione georgiana", la sua rottura della linea della Nato in favore dell'"amicizia fraterna" con Putin. Da Washington "adesso sottolineano che fughe in avanti di questo tipo, nei confronti della Russia o dell'Iran, non saranno più tollerate".
Anche in politica estera il capo del nostro governo ha bisogno di un qualche pompiere che spenga i suoi bollori. I quali gliela fanno fare spesso e volentieri fuori dal vaso.

01/03/2009
Certe ronde

Certe ronde ci sono sempre state. Un esempio. Controllori dell’ordine pubblico sotto la specie di quanto si scrive sui giornali. C’è sempre qualcuno che si ritiene un sapientone, mentre i fatti dimostrano che è un perfetto cretino. Perché soltanto un cretino può sostenere che non esiste una certa realtà, attestata da mezzo millennio di documenti, libri e studi.
Soltanto un cretino prezzolato può avere accesso in un quotidiano dove altri suoi pari grado possono poi scrivere che è uscito un volume dove si dichiarano inesistenti i fatti attestati da mezzo millennio di documenti, libri e studi.
Soltanto un cronista mafiosamente rondista può accreditare con tanto di firma l’esistenza di quel volume che non c’è, non è mai apparso e non sarà mai pubblicato. Ma è soltanto un’invenzione perfida per colpire qualcuno che non frequenta certi circoli, letti, salotti, paraventi e sagrestie.
Vedete che bel frullato di corruzione esce dalle ronde e dai loro messaggi. Trasformano in libro una mail ricevuta, e spacciata confidenzialmente per anonima. Sì col cavolo che era anonima, vi figurate un quotidiano che pubblica come verità teologica una mail di uno sconosciuto?
No, il cronista del quotidiano doveva conoscere bene il delatore-autore della mail, sacro inventore di balle e di lettere anonime come ricambio a certi favori professionali. Sui quali incombe il fantasma di liason erotiche benedette a livello di pubblica teologia ecclesiastica in quella città lontana e forse financo sconosciuta.
Dove tutto accade senza accadere, perché l’idiozia delle connivenza genera un’immoralità che soltanto gli sprovveduti possono scambiare per innocenza perduta, è invece soltanto perfidia acquisita, ben pagata e ricambiata.
Certe ronde ci sono sempre state, dunque. Ed il magistrato di turno in quello strano paese non ha voluto accertare chi fosse il mandante, chi avesse scritto la mail, perché nella notte nera tutte le vacche nere non possono diventare bianche, perché in quel luogo non ci s’accorge di nulla, ed il capo di tutti i magistrati di turno lo definisce corrotto, dopo vent’anni di permanenza nel suo alto ufficio mentre se ne va in pensione. Incolpando quasi i cittadini di non aver denunciato quella corruzione che lui, per dovere d’ufficio, avrebbe dovuto perseguire.
Ed allora davanti a tutto ciò in quella strana, lontana, corrotta città, le ronde ci sono sempre state con il beneplacito "delli superiori”" ad maiorem gloriam delle perversioni intellettuali di pochi detentori dei cordoni della borsa da cui escono i trenta danari della corruzione e del tradimenti. L’Italia è grande, e non so dove collocare quelle ronde di cui ho detto.
L’Italia è troppo grande per capire le piccole cose locali. E le città sono troppo ingranate negli affari occulti di gruppi di potere e corruzione per cercare di individuare, semplicemente da quale numero telefonico era partita la mail trasformata fantasiosamente in libro, per distruggere una realtà storicamente attesta da mezzo millennio e la reputazione di chi ne aveva tranquillamente parlato sopra un giornale.
Certe ronde ci sono sempre state. Ed hanno salito anche le scale vescovili per insegnare in istituti teologici grazie chissà a quali meriti, dato che ignorano persino le cose contro le quali parlano. Ma così va il mondo, così vanno i giornali, così vanno le istituzioni che corrompono acquistando spazi pubblicitari ai quali beatamente si concede un cronista mafiosamente rondista.


Antonio Montanari - 47921 Rimini. - Via Emilia 23 (Celle). Tel. 0541.740173
RIMINISTORIA è un sito amatoriale, non un prodotto editoriale. Tutto il materiale in esso contenuto, compreso "il Rimino", è da intendersi quale "copia pro manuscripto". Quindi esso non rientra nella legge 7.3.2001, n. 62, "Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416", pubblicata nellaGazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 2001.
2748, 15.03.2018

il Rimino 2009