il Rimino 2009


Il Rimino 158, anno XI
Febbraio 2009
Diario italiano

28/02/2009
Torture con vista roghi

Quanto sta accadendo a Peppino Englaro è terribile. Addirittura è stato denunciato per omicidio volontario. Chi ha promosso l'inchiesta della magistratura, è un esperto di Diritto. Dopo aver querelato il padre di Eluana ed altre tredici persone, costui ha detto delle preghiere per tutti loro.
"Non giudicare" sta scritto. Commentare si può. Si deve. Per esprimere sgomento, davanti ad un siffatto uso politico della religione.
Che è lo stesso attuato dal cardinal Poletto quando ha protestato contro "La Stampa" per aver pubblicato l'intervista ad un teologo del dissenso, Hans Kung. Auspicando "un atteggiamento maggiormente attento nei confronti della Chiesa cattolica e in particolare della persona del Santo Padre''.
Il papa è stato chiamato in causa anche dal ministro Gelmini, oggi, in un'intervista al Tg5: un fattaccio di stupidità (un crocefisso dato alle fiamme in una scuola), "evidenza l'emergenza educativa che il Santo Padre ha evocato tempo fa".
Non può un ministro della Repubblica denunciare l'esistenza di un problema soltanto perché ne ha parlato il pontefice.
Il dramma è che i nostri politici se ne accorgono soltanto perché ne ha parlato il pontefice. Al quale non prestano ascolto per tante altre cose. Non credono nel matrimonio (religioso), sono plurisposati e divorziati o conviventi. Fatti loro. Fanno benissimo. Ma non facciano gli ipocriti, soltanto per poter governare. E la Chiesa non si presti a questi terribili giochetti buoni per proclamare ancora un "uomo della Provvidenza".
L'emergenza educativa non si risolve, come pensa il ministro, facendo dialogare scuole e famiglie. Che sono gli anelli deboli su cui tutto quanto non funziona nella società si scarica. Ma l'andazzo di una società dipende da chi la governa.
Adesso stiamo vivendo la fase della tortura al povero padre di Eluana. Qualcuno sogna anche i roghi della pena di morte. Non è una bella prospettiva. La Chiesa non deve strumentalizzare e non farsi strumentalizzare. Il dolore umano come quello di Peppino deve trovare rispetto.
Tutto il resto, come la denuncia da cui siamo partiti, appartiene al terribile mondo retorico del pregiudizio. Ma sempre, in nome del pregiudizio, Chiese e Stati hanno torturato e bruciato le persone. Questo è il modello che si vuol riproporre, a braccetto con la Lega che in certi luoghi rinnova il desiderio della pena capitale?
Certo è che il cardinale Javier Lozano Barragan, ha detto: "Se il padre le ha tolto la vita, è da considerare un omicida". Chiamala se vuoi carità cristiana.

25/02/2009
Tramonti flop

La pura gioia ascosa. Lo dico ad imitazione dell'ingegner Gadda abbeveratosi manzonianamente per deridere (nella "Cognizione del dolore") "le signore" che si sentivano "pervase da un sottile brivido" nel sentirsi chiamare tali da ossequienti camerieri.
La pura gioia ascosa, preciso, è quella che ho provato a sentir parlare del Tremonti economista come di un signore che nei suoi libri ricicla vecchi motivi come nelle canzoni di Sanremo.
L'ho scritto qui che il Tremonti aveva detto il 18 settembre 2008 ad Aldo Cazzullo: "Non è la fine del mondo, ma la fine di un mondo".
Davasi il caso, aggiunsi, che qualche giorno prima (7 luglio) Domenico Siniscalco sulla "Stampa aveva scritto: "Non siamo alla fine del mondo. Quasi certamente siamo alla fine di un mondo".
Orbene, oggi ho avuto la conferma di aver visto giusto quando in segreto mi ero detto che il Tremonti è una buona antologia ambulante, una summa economica di mille pensieri sparsi nell'aere, una specie di Treccani in edizione tascabile ma aggiornata di continuo. A nostra educazione permanente. Altro che Tremonti-bond. Questo è il Tremonti-flop.
Chi stamani ha parlato del Tramonti-pensiero con la similitudine dei motivi sanremesi, è Sandro Gozi. Che Curzio Maltese presenta così su "Repubblica": "Quarant'anni, quindici trascorsi in giro per l'Europa, Francia, Inghilterra, Balcani, una lunga esperienza a Bruxelles con Oreja, Prodi e Barroso, prima di tornare in Italia da parlamentare, nelle liste Pd. Sandro Gozi è stato uno dei più critici della linea Veltroni".
Gozi, 40 anni, è il secondo dei "giovani del Pd" che Maltese ha incominciato ad intervistare da ieri. Dunque Gozi su Tremonti ha detto anche che nel Pd sono riusciti a regalargli "la fama di gigante del pensiero economico. Grottesco. E' stato ed è un ministro disastroso, a tratti dilettantesco. [...] Viaggia in ritardo perenne. Nel 2003, quando occorreva essere rigorosi, fece saltare i patti di stabilità. Ora che bisognerebbe essere più elastici davanti alla crisi, riscopre il rigore. Il problema è che l'opposizione non se ne accorge neppure".
A proposito di giovani, il Sartori furioso (più che mai) stamani sul "Corrierone" ha scritto che i capi-partito del Pd hanno promosso "gli obbedienti (anche se deficienti)" e cacciato " gli indipendenti (anche se intelligenti)".
Mi spiace per l'illustre Sartori prof. Giovanni. Il Gozi Sandro nelle parole riportate si dimostra intelligente ed indipendente, e non per queste sue caratteristiche (chiamiamole qualità) è stato cacciato. Anzi promette battaglia, come il suo collega Giuseppe Civati, lombardo.
Anche queste altre parole di Gozi meritano riflessione per non disperare: "L'Europa ci guarda con preoccupazione, e tanta. Quanto al tema delle ingerenze della Chiesa, stiamo andando anche lì serenamente verso una deriva autarchica, incomprensibile oltre Chiasso. Ma anche di qua dal confine. In fondo il 70 per cento degli italiani, nel caso Englaro, si è pronunciato contro la visione delle gerarchie ecclesiastiche. Peccato, ancora una volta, non essersene accorti".
Adesso che a questi "giovani" è stata concessa una pubblica tribuna per esprimere le loro idee, sarà utile che ne tengano conto anche quelli che Gozi chiama "i capibastone".

24/02/2009
Primo, non tacere

La democrazia si basa sul fatto che liberamente possano circolare le informazioni. Tutto il resto viene dopo.
Un giovane (classe 1975) politico lombardo del Pd, Giuseppe Civati, ha raccontato stamani a Curzio Maltese di "Repubblica" qualcosa che dovrebbe essere la regola comune di tutti quanti militano come lui in un partito che si definisce democratico.
Gli ha chiesto Maltese: "Da segretario dei Ds a Monza si è fatto un nome con la conquista a sorpresa della capitale della Brianza, il regno stesso di Berlusconi. Come avete fatto?"
Risposta di Giuseppe Civati: "Imponendo la nostra agenda politica. Ce ne inventavamo una al giorno e loro erano costretti a inseguirci. Davamo le notizie. Abbiamo rivelato i progetti di cementificazione del fratello di Berlusconi, lo scandalo del nuovo centro commerciale, l'assalto alle aree verdi. Non è che bisogna sempre aspettare l'inchiesta di Report o di Repubblica per denunciare uno scandalo. Dopo un po' ci chiamavano anche gli elettori di destra per dire: io non vi voto, però vi devo raccontare questa cosa".
Una postilla che riguarda il mondo dei blog. Civati ha aggiunto: "Ho letto che Franceschini e Bersani attaccano chi pretende di far politica coi blog...".
La democrazia senza informazione, non sopravvive. Noi italiani siamo serenamente convinti che la libertà di notizia sia un vezzo inutile per gente nullafacente. Il leader di questa parte del Paese a cui vanno bene soltanto le proprie idee e rigetta ferocemente ogni critica, è quel Francesco Rutelli che due anni fa si conquistò un meritato posto nella storia italiana con una frase famosa. Al posto del churchilliano «lacrime e sangue», Rutelli riassunse i sacrifici di una vita ricorrendo ad una immagine più casareccia: «Siamo andati avanti a pane e cicoria».
Come dieta, lo accertiamo oggi, non ha prodotto molti effetti positivi a livello di pensiero. Se Rutelli definisce "intollerabile", "inaccettabile" e "indecente", ogni critica alle sue posizioni sul "testamento biologico". In particolare Rutelli si riferisce all'Unità ed al Manifesto. Se quest'ultimo ha intitolato con la solita ironia "Esecutore testamentario", l'altro foglio è stato esplicito: "Rutelli e i teodem dividono il Pd". Sinceramente dove stia lo scandalo, non sappiamo. E' un dato di fatto. L'unico che non se ne è accorto sembra essere proprio Rutelli.

22/02/2009
P(oche) D(omande)

Dario Franceschini, è un uomo solo al comando di un partito (che di nome fa democratico), ed avverte a scanso di equivoci: qua comando io. Il che, come prova e dimostrazione di linea politica, non è il massimo. Ma è soltanto quello che può passare il convento. Per ora.
Auguri non soltanto per lui, ma per tutti noi. L'Italia è in mano a persone furbe. A Roma stanno con Berlusconi, in periferia votano per il cosiddetto "centro-sinistra".
I grandi giornali non hanno mai fatto il censimento delle città dove questo incesto politico ha avuto ampia soddisfazione. E' bello sapere tutto dei pettegolezzi divertenti su questo o quel personaggio. Ma a che serve questa forma di informazione?
Una volta tanto che un grande giornale come "Repubblica" decise di fare un'inchiesta sui "padroni delle città", e mandò uno dei suoi migliori inviati (che poi ne ricavò un libro applaudito), che cosa saltò fuori per esempio di Rimini?
Che nella città costiera "non c'è il mare", nel senso che nessuno ne avverte la presenza, quando tutta l'industria alberghiera vive bene o male sul gioco delle onde. Perché i nottambuli del "divertimentificio" assurto a categoria dello spirito ed a brevetto ideologico, mordono e fuggono. Tutt'al più lasciando un po' di soldi alla Stradale o ai Carabinieri durante i controlli contro alcool e droga (mercato fiorente)...
E ciliegina sulla torta della grande inchiesta della grande firma, una serie di geniali affermazioni riprese pari pari (senza citarne l'autore) da un piccolo testo di un giornalista scomparso, oltretutto marito della corrispondente locale del quotidiano. Testo gustoso per quei paradossi che soltanto gli indigeni possono comprendere, ma mille miglia lontano dalle questioni politiche.
Riassumibili in breve nel fatto che se la giunta di centro-sinistra ha vinto nel 2006, è perché allora Forza Italia le cedette quasi un 50% dei propri voti.
Ripropongo quanto già scritto: Rimini è una "città nella quale la speculazione edilizia è diventata un fenomeno politico incontrastato per un patto non tanto segreto di spartizione della torta. Per cui se qualcuno osa impostare una campagna giornalistica contro, ci rimette il posto. È successo. Era prevedibile. Non ha turbato nessuno. Anzi. Immaginiamo i commenti. Hai visto quello venuto da fuori, chissà chi credeva di essere. E dietro sta un compromesso politico per nulla segreto, con due assessori all'edilizia defenestrati perché contrari al troppo cemento, e poi un bel risultato elettorale. Comunali 2006. Forza Italia perde il 52,13% dei voti, mentre AN sale del 16,26. Una fetta del Polo vota per il Centro-sinistra. Segno che con la sua precedente amministrazione il Centro-destra (od almeno una sua parte) non se l'era poi passata così male. Luglio 2006. L’ex candidato sindaco del Polo decide di non votare contro la giunta ma di astenersi sulle linee programmatiche del governo cittadino".
Dietro la crisi del Pd ci stanno fatti come questi, non è questione di Bersani o D'Alema. Fatti che le cronache nazionali non raccontano. In quella giunta un assessore, poi divenuto onorevole del Pd, dichiarò: "Non sono mai stata iscritta né vicina ad alcun partito". Precisando di non essersi voluta interrogare "sul centro-destra o sul centro-sinistra". Anche questo è il "modello Rimini".
Lo scorso luglio riproposi quei fatti locali, quando Umberto Eco avvertì che la nostra democrazia era in pericolo ("Quando la maggioranza sostiene di aver sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia"). Aggiunsi: "Non si può governare l'Italia dei paesi e delle città in un modo, e poi da Roma sbaraccare tutto con un'opposizione ferrea e non arrendevole".
Forse è arrivato il momento in cui i cambiamenti romani provocheranno anche cambiamenti locali. S'intravede già una folta corsa verso il grande centro con Casini.
Lo scrivo da tempo, che Casini è il grande candidato del Vaticano alla guida dell'Italia.
Nel febbraio 2008, il direttore di "Avvenire" aveva benedetto ufficiosamente l'avventura dell'ex dc bolognese: "A me pare che sia interesse dei cattolici, e che possa essere interesse anche dello stesso Polo, che sia salvaguardata la persistenza di un partito che fa direttamente riferimento alla dottrina sociale cristiana".
Lo scorso giorno 8 febbraio 2009 ho ribadito: "Equilibrista, Casini aspetta il passo falso di Berlusconi per accreditarsi come candidato del Vaticano alla guida dell'Italia". Siamo forse alla svolta decisiva. Il 17 scorso la sen. Paola Binetti ha minacciato di lasciare il partito perché il collega chirurgo Ignazio Marino avrebbe aperto all'eutanasia.
Non sarà colpa neppure di Franceschini se il Pd gli esploderà tra i piedi. Neppure lui, nonostante le buone intenzioni riuscirà dove non è riuscito Veltroni.
Fa bene, Franceschini, a rievocare la Resistenza, ed a rilanciare la questione delle origini della democrazia italiana. E della nostra Costituzione per nulla bolscevica.
Ma ormai la "grande corsa verso il centro" non ammette due galli nel pollaio. Uno si chiama Casini ed ha la benedizione d'Oltretevere. Franceschini è soltanto un volenteroso cattolico che viene dall'Emilia rossa. Più simbolo di un amarcord politico che pilota della nuova (?) fase del Pd.

21/02/2009
Foibe "fasciste"

Non l'avevo mai sentito dire che le foibe "titine" fossero anche un fatto "fascista". Un mio concittadino, uomo di legge (avvocato di professione), classe 1945, sostiene che i soldati italiani abbandonati a loro stessi l'8 settembre 1943, ed in fuga dalle terre occupate, dovevano essere processati.
Queste le parole esatte che leggo sul settimanale riminese "il Ponte" (22.2.2009, p. 17): "Tutti i militari fascisti che dopo l'armistizio fuggirono da Istria andarono in Italia per riprendere il loro lavoro senza che si sapesse della loro condizione di fuggitivi. Nessuno fu mai processato".
L'avvocato sta parlando delle "responsabilità" nelle vicende istriane (leggasi: foibe). Quei militari in fuga dopo l'armistizio non erano più "fascisti", essendo stato rimosso Mussolini il 25 luglio. Erano in fuga come il loro capo, il re d'Italia. Erano stati abbandonati al loro destino. E lungo il loro cammino si trovarono la Repubblichina, l'arruolamento forzato, la minaccia di essere passati per le armi in caso di renitenza.
L'avvocato dimentica la Storia. E sostiene opinioni "strane" e "mal fondate", per ispirarci alle parole di Manzoni sul cardinal Borromeo. Non si sa a quale scopo. Chi parla deve documentarsi. Non può raccontare storie che non stanno né in cielo né in terra. Processati quei fuggitivi? Da chi, perché, come? Un uomo di legge dovrebbe porsi queste domande prima di inoltrarsi sul terreno del Diritto. E ricordare non favole ma storie vere, che tutti possono documentari.
Ha scritto Mario Fazio sulla "Stampa" del 14 settembre 2003: «Migliaia di ventenni scelsero come me di rifiutare Salò. Pur non essendo ancora informati dei campi di sterminio e di altri orrori e barbarie sentivamo l’impossibilità di aderire alla parte fascista, alleata o sottoposta ai “camerati nazisti”. Un’alleanza che prometteva altri lutti e dolori, che sbarrava il cammino verso la fine della tragedia e la conquista della libertà, mai vissuta nella nostra giovinezza.»
Racconta mio suocero, classe 1923: «Bisognava gettare la divisa. I civili di Fiume ci offrivano vestiti borghesi che a noi servivano per non essere riconosciuti dai tedeschi, e per non essere catturati. I civili avevano bisogno delle nostre armi. Le passavano anche ai partigiani.»
Tutta la vicenda personale di mio suocero, Alfredo Azzalli, è narrata in un mio breve testo: "Stellette addio. L’8 Settembre 1943 del soldato Alfredo Azzalli", leggibile su Internet.

20/02/2009
Englaro, niente è gratis

Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vice-capogruppo vicario del PdL al Senato, hanno accusato il padre di Eluana Englaro di aver "offeso gratuitamente il Parlamento". E di agire per introdurre l'eutanasia in Italia.
La colpa di Beppino Englaro starebbe nell'aver definito una "barbarie" la legge sul testamento biologico: "Una legge assurda e incostituzionale".
Quel "gratuitamente" rivolto da Gasparri e Quagliarello come una sberla a Beppino Englaro, è un'offesa alla logica prima che alla persona.
Il padre di Eluana ha pagato duramente per avere ora il diritto di esprimersi e di giudicare una proposta di legge. Gasparri e Quagliarello lo hanno aggredito in una maniera che rivela non soltanto una concezione della politica, ma una terribile concezione della vita.

19/02/2009
Pd marinato

Si marinava la scuola, si marina il pesce, ora si "marina" pure il Pd.
Il nome di Franco Marini suggerisce il titolo per una ricetta i cui ingredienti si ricavano dall'intervista da lui concessa a Paola Di Caro sul "CorSera" di oggi.
Dunque Marini se la prende con il "nuovismo" e sottolinea l'importanza di "portarsi dietro le nostre storie, che sono la nostra forza".
Contrario ad ogni categoria assoluta, e quindi pure alle contrapposizioni fra giovani e vecchi, Marini rivendica un ruolo anche per i "politici con esperienza".
Marini aggiunge che, se occorre "portarsi dietro le nostre storie", non si può però sperare di tornare sui vascelli di provenienza che sono stati bruciati. Quindi, o mangiar questa minestra o saltar dalla finestra. Il passato è chiuso, se lo si sogna per tornare indietro.
Il passato vuol dire qualcosa se si va avanti. Ma se si sta fermi? Si fa la sintesi, spiega Marini. Ma sintesi non significa dibattito e dialogo soltanto, significa conciliare posizioni che talora appaiono inconciliabili. Vedi lo scontro Binetti-Marino.
In questo contesto i richiami dei "grandi vecchi" non servono a nulla. Il modo va avanti. "Bisogna dare risposte riformiste ai cittadini sui temi cruciali del Paese oggi", sono parole di Marini, è una formula elegante di quella "sintesi" a cui Marini si ispira in astratto. Il mondo concreto però è tutta un'altra cosa. Ripetiamo, si veda lo scontro Marino-Binetti. Marini da che parte sta, al di fuori degli alti pensieri, delle nobili parole, degli ispirati concetti da padre nobile?
Questo Pd "marinato" è un prodotto tipico del made in Italy. A proposito del Bel Paese. Riferisce Alexander Stille su "Repubblica" che un suo collega americano gli ha scritto: "Fammi capire: viene condannato per corruzione il coimputato del primo ministro ma si dimette il capo dell'opposizione".
Sullo stesso giornale debutta come (aspirante) teologo il presidente della Camera Gianfranco Fini, con un pezzo dedicato alla "laicità positiva". Una "sintesi" perfetta, che avrà fatto felice Marini. E se Fini diventasse segretario del Pd "marinato"? Facciamoci un pensierino, non si sa mai... [57 (777)]

18/02/2009
Gattopardi e Volpi

Questa Italia da Gattopardo, ha sbuffato Walter Veltroni nell'addio alla segreteria del Pd. E' da mezzo secolo che ci sentiamo ripetere la citazione. L'Italia da Gattopardo, ovvero il Bel Paese che ama realizzare la filosofia di Tancredi: "Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi".
Il guaio, caro Veltroni, è che qui nulla è cambiato, ma nulla è rimasto com'era. Anzi tutto è andato di male in peggio. Gattopardi? Insomma, certuni sono Tigri ed altri Pecore. Ognuno per il suo tornaconto.
Veltroni paga per colpe non sue. E' un po' come il Bertoldo che si salvò dall'impiccagione per aver ottenuto di scegliere lui l'albero a cui essere appeso. Ma ritornato a corte, i menu raffinati del re gli rovinarono la salute.
I menu raffinati del Pd sono quelli di quanti non vogliono accettare un'Italia riformista e liberale che abbia come unica sigla la laicità.
Questa Italia da finti Gattopardi e da veri baciapile, ha fregato a Veltroni il suo sogno.
Il sogno vaticano, realizzato e trionfante, è stato quello di confondere le carte sul tavolo: bussare a quattrini al governo, bacchettare i vecchi democristiani, innalzare a gloria perenne il Defensor Fidei Berlusconi.
Ed ora ci troviamo così malridotti. A fare ancora un amarcord letterario del "Gattopardo", per non aver avuto il coraggio di compiere scelte di campo fra opzioni inconciliabili fra loro.
I cocci del Pd non sono i cocci soltanto di Veltroni. Non significa nulla cambiare segretario. Si ha il coraggio di far sapere al di là del Tevere che la laicità dello Stato è un bene indisponibile?
Sinora il Pd non ha mai fatto una scelta non dico condivisa da tutti, ma almeno a maggioranza. La questione delle due anime è stata la dannazione che ha sfiancato Veltroni ed annientato il Pd. Non ne hanno colpa D'Alema o Bersani.
Ne va del futuro di tutti, almeno di quell'Italia che non crede negli uomini della Provvidenza, nel razzismo leghista, nell'arbitrio diventato norma di diritto grazie a tante leggi imposte dai governi Berlusconi e tollerate dalle omissioni di gran parte degli oppositori. [56 (776)]

17/02/2009
Sardi e sordi

I sardi hanno detto la loro. Adesso gli altri non debbono fare i sordi. La crisi del Pd non è un'invenzione post-elettorale per la sconfitta di Soru. Nel giugno scorso, chiudevamo un post con queste parole: "Veltroni dovrebbe lasciare, Prodi ripensare il suo abbandono, lo spirito ulivista essere ripescato e rivissuto in questa grave emergenza costituzionale dell'Italia." Oggi, finalmente, Veltroni lascia. Con onestà e velocità di riflessi recuperata in extremis, in un contesto ormai per lui insostenibile: "Per molti sono un problema", avrebbe detto...
Dallo scorso giugno ad oggi niente di positivo è avvenuto nel Pd. Anzi le minacce odierne della sen. Paola Binetti di lasciare il partito perché il collega chirurgo Ignazio Marino avrebbe aperto all'eutanasia, aggravano ulteriormente il quadro 'clinico' circa la laicità del Pd e dello Stato.
Per il ricambio, più si aspettava peggio sarebbe stato. L'alibi delle elezioni europee non poteva funzionare. Per Veltroni, se restava in carica sino all'estate, si preparava una lezione sonora, con un'astensione mai vista. Non sono sporchi e cattivi gli elettori, se non vanno alle urne. Sono incoscienti quei dirigenti del Pd che non prendono atto che ha ragione Cacciari: "E' il Pd nel suo insieme che non va".
Ne hanno fatto un movimento che naviga a vista fra Vaticano e Palazzo Grazioli, e non ha mai visitato Porta Pia.
Veltroni lascia, ma le colpe non sono tutte e soltanto sue. Nel Pd hanno fatto confluire cento anime diverse, un esperimento di genetica politica accettabile nel contesto dell'Ulivo, pericoloso nell'isolamento che sottolinea più i contrasti che le convergenze. Veltroni ha cacciato Prodi, che non era un mito né un padre nobile da venerare secondo i riti ottocenteschi. Ma è stato un politico onesto che resterà assieme a Ciampi nell'albo d'onore repubblicano. E questo va ricordato soprattutto per un fatto: oggi è finalmente stato "applicato" per il capo del governo il "lodo Alfano" in un processo conclusosi a Milano con una condanna dell'imputato a 4 anni e 6 mesi. Di Pietro si lecca i baffi: "Siamo l'unica opposizione, noi", in questo Paese dove, se fosse normale, il presidente del Consiglio si sarebbe già dimesso

16/02/2009
Tremonti: bravo Prodi

Il ministro Giulio Tremonti torna ad elogiare Romano Prodi. Stamani sul "Messaggero", con una breve lettera al direttore, piena di elogi verso il premier dell'Ulivo: "Romano Prodi pubblica sul suo giornale articoli sempre di grande interesse, questo è di grandissimo interesse e, se posso aggiungere, è anche un articolo che esprime la 'cifra' della grande politica".
Insomma, per Tremonti, Prodi è un grande economista ed un grande politico.
In queste parole si nasconde forse un obiettivo preciso: comunicare a tutti che, al contrario di Prodi, Berlusconi non è né un grande economista né un grande politico.
Non è la prima volta che succede, e non sarà neppure l'ultima. Il 18 gennaio, ospite in tv di Fabio Fazio, Tremonti aveva dichiarato che Prodi "ha ragione quando dice che non esistono soluzioni nazionali a una crisi globale".
Giovanni Sartori aveva preso spunto da queste parole per contrapporre, sul "Corrierone", l'ottimismo di Berlusconi alle incertezze di Tremonti ("si divincola tra dire il vero e esternare assurdità", e soprattutto "pasticcia tra previsioni e ipotesi").
Dopo il cambio di rotta del cavaliere che venerdì 13 febbraio si è detto "preoccupato" per una crisi le cui dimensioni "non sono ancora del tutto definite", Tremonti rincara perfidamente la dose.
L'elogio di Prodi non è un gesto di cortesia formale. Può essere inteso tranquillamente come un (nuovo) atto di plateale dissenso verso il capo del governo di cui fa parte.
Tremonti chiude la sua lettera concordando con il professore e con un ringraziamento "di cuore" che immaginiamo diretto al fondatore dell'Ulivo e non al direttore del "Messaggero".
Che cosa ha detto Prodi di tanto illuminante da fulminare Tremonti sulla via per Bologna? Che "per non passare da una crisi all’altra serve un leone non un gattino".
Adesso attendiamo un altro editoriale di Sartori. In quello che abbiamo ricordato, citava a scopo di derisione una sentenza di Tremonti: il prevedere è "un mestiere da astrologi".
Ora che il ministro in carica dimostra di apprezzare più i leoni dei gattini, si potrebbe dire che un bravo economista non fa le fusa ai mici, ma scende nella gabbia debitamente addobbato come un domatore da circo.
Ma attenzione perché a volte, per scherzo, in quella stessa gabbia passano pure tremebondi pagliacci. Attenzione anche perché il rispettabile pubblico, quello che paga il biglietto agli spettacoli e le spese delle crisi (di tutte le crisi), sa distinguere bene tra chi fa sul serio e chi si comporta da clown.

15/02/2009
Gli sbronzi di Riace

Per il G8 del prossimo luglio in Sardegna, Berlusconi vorrebbe avere a disposizione anche i Bronzi di Riace. Si sa come è il personaggio. Ha la passione per l'arredamento. Al G8 di Genova, 2001, fece attaccare i limoni con la colla ad alberelli spogli che montavano la guardia senza convinzione e dignità vegetativa. La Natura, secondo il Cavaliere, è manipolabile come la sua capigliatura. Ciò che non c'è, s'importa. E che gli importa se poi il risultato è quello di una scenografia teatrale di cartapesta da sfilata del carnevale di Viareggio?
La notizia sui Bronzi di Riace ci permette di intitolare impunemente questo post. Avremmo voluto invece ispirarci ad una frase che leggiamo virgolettata nel saggio composto da Fabrizio Rondolino nella pagina culturale della "Stampa", e che riguarda certe opere letterarie odierne, così "alte" da essere accettate impunemente "in qualche parnaso di stronzi".
Ecco il nostro pensiero segreto. Il titolo ideale per questo post era: "Gli stronzi di Riace". Ma temendo di essere troppo audaci, abbiamo rinunciato al progetto e ci siamo affidati alla riverenza verso la notizia dei Bronzi da esporre in Sardegna.
Nel giornalismo, la riverenza è un gesto semplice e consuetudinario. A tal punto che è stata criticata anche dal buonista Veltroni, pur con un giro di parole illuminante. Anch'egli sulla "Stampa", ha detto che oggi come oggi c'è "un problema di racconto della politica italiana": "Gran parte dei politici e dei giornalisti si è formata in un tempo che non c'è più".
Da buon interprete della cultura mass-mediatica, Veltroni accenna a quell'eterna questione sui rapporti fra giornali e politica, spesso risolta appunto seguendo la linea che abbiamo definito della "riverenza".
Se faccio una proposta del governo-ombra, spiega Veltroni, mi dedicano tre righe. Se parlo delle "vicende interne" del Pd "o contro Berlusconi", mi danno nove colonne. Ovvio. Il tutto risponde al desiderio di compiacere il potente di turno.
Ecco, il "problema di racconto" della politica spiegato da Veltroni, ci ha fatto balenare pericolosamente agli occhi la citazione virgolettata da Rondolino sulle opere letterarie così "alte" da essere accettate impunemente "in qualche parnaso di stronzi".
E se questo parnaso fosse pure quello dei politici e di quanto girano loro attorno, sia che si trovino ad ammirare i Bronzi a Riace o passino il loro tempo altrove?

15/02/2009
Boicottiamo Bonolis

In breve "B.B.", "Boicottiamo Bonolis", il suo festival ed i suoi sponsor, solamente per dimostrare che il popolo bue non esiste, e che sappiamo non farci prendere in giro da chi porta a casa un milione di euro soltanto per presentare un festival canzonettaro. (Mentre mancano i soldi per la ricerca...)
E nessuno si è accorto della pubblicità occulta degli spot in cui il conduttore maximo appare con la solita spalla che lavora con lui nel reclamizzare una certa marca di caffè...?

13/02/2009
San Va Lentino

Segnatevi la data odierna, vigilia di San "Va Lentino". Per la prima volta il capo del governo italiano ha dimostrato di aver compreso la gravità della situazione economica. Dichiarandosi preoccupato per una crisi le cui dimensioni "non sono ancora del tutto definite".
Per arrivare a queste conclusioni, Berlusconi ha impiegato sei mesi.
In agosto aveva sentenziato che non ci sarebbe stata "recessione". La parola, scrivemmo qui, circolava invece già nei commenti economici dagli Usa all'Europa.
Il 24 ottobre l'Ocse lanciava l'allarme: la recessione sarà "più ampia a prolungata". Ma lui, non ci credeva.
Soltanto oggi, 13 febbraio, Berlusconi ha compreso che la rogna è grave, con una crisi globale che dipende "anche dai nostri comportamenti".
A novembre aveva invitato gli italiani a "tornare a spendere". Aveva segnalato che la crisi poteva rivelarsi "anche molto profonda". Ma aveva dato la colpa alle "profezie negative che si auto-alimentano", ed a quell'uccello del malaugurio della sinistra. Da cui era stato creato un "clima di sfiducia generale" attraverso giornali e tv, compresa quella pubblica.
Invece, questo lo aggiungiamo noi, le tv personali del premier illustravano le visite americane di comitive di connazionali che andavano a far spese convenienti a Nuova York. O mostravano cittadini felici che in patria affollavano gioiellerie e profumerie...
Con passo lento e mente ancora meno rapida, il cavaliere arriva soltanto dopo sei mesi ad avere un'idea meno confusa del solito del quadro economico mondiale. Il fatto non ci meraviglia. Ci rattrista, ma soltanto per noi "società civile" che ne paghiamo le conseguenze, che sia circondato da adulatori che non lo tirano sanamente per la giacchetta.
Ma questo è un fatto tipico nelle situazioni politiche in cui un leader assume toni altezzosi con un'arroganza intellettuale che sfocia soltanto nell'offesa agli avversari politici, da lui considerati nemici da estirpare.
Ripetiamo quanto già osservato qui sopra. I fatti gli hanno dato torto, dimostrando che non basta considerarsi monarchi costituzionali per essere veri statisti.
Post scriptum. E' un perfetto ritratto dell'Italia berlusconiana quel Bonolis sanremese che si becca un milione di euro per presentare il festival. E che si giustifica dicendo: per quella roba lì lavoro un anno intero (magari senza ferie pagate...).

12/02/2009
Il bavaglio

Il potere politico sogna di poter gestire un'informazione finta, scrivevo qui due giorni fa.
Stamani la "Stampa" offre un'amara primizia: "Il centrodestra vara l'ammazza-notizie".
Ovvero siamo sulla buona strada per completare un disegno illiberale, imbavagliare l'informazione, da parte di un governo sedicente liberale. Anzi forse siamo addirittura al capolinea di una grave crisi istituzionale.
Non può rassicurare che a difendere il capo dello Stato, attaccato nei giorni scorsi da Berlusconi, arrivi il più convinto anti-sistema della coalizione di governo, il leghista Bossi.
Il quale recita il ruolo paternalistico di chi può permettersi di tirare le orecchie al presidente del Consiglio. Ma sempre con quella bonomia che nasconde l'ambiguo, sempiterno gioco delle parti di questa maggioranza. Dove Fini parla e straparla per illanguidire Veltroni, ma alla fine, chi comanda è solo e soltanto il cavaliere di Arcore.
Il quale, se pochi giorni fa aveva definito "una situazione che fa ridere" quella della lettera di Napolitano sul caso Englaro, oggi smentisce, come da copione: "Il presidente del Consiglio non ha alcun interesse a non aver rapporti cordiali con il presidente della Repubblica".
Ed a confermare il gioco delle parti di cui dicevo, ecco Bossi che dà ragione a Berlusconi: "La sinistra ha visto un tentativo di delegittimazione del presidente, ma non è vero. Berlusconi in quel momento ha solo sentito il dovere di salvare Eluana".
Berlusconi assicura: "Io non ho mai attaccato la legge fondamentale dello Stato, anzi semmai l'ho difesa". E precisa: anche la sinistra vuole cambiarla. Quando fa comodo, quella sinistra bolscevica con cui il cavaliere non vuol dialogare, è la foglia di fico per coprire certe sue "vergogne". Ditemi se tutto questo è normale.
Su questo sfondo triste, arriva la doccia fredda del Pd che alla Commissione Sanità del Senato ha sostituito (per motivi tecnici) il prof. Ignazio Marino favorevole al testamento biologico, con Dorina Bianchi che da teodem è contraria. Veltroni rassicura che non cambierà nulla. Ovviamente non sarà colpa sua se qualcosa (ovvero tutto) cambierà. Grazie al Vaticano ed ai teodem. Ecco un altro bavaglio che è imposto alla vita pubblica italiana.
Il potere politico sogna di poter gestire un'informazione finta. L'amico Putin ci è già arrivato. Vi ricorda nulla il nome di Anna Politkovskaja?

11/02/2009
Mignottismi

Un'adorabile vignetta di Giuseppe Novello (1897-1988), celebre firma della "Stampa" nel dopoguerra ed oltre, illustrava "il Conte Nuto mentre osserva la Forma".
Per noi antichi, la forma è il parmiggiano. E contenuto e forma erano due termini che forse non ricorrono più nelle scuole odierne, lontane mille miglia dalla enunciazione desanctisiana "tal contenuto, tal forma".
La vecchia enunciazione, che presiedeva a tutte le discussioni letterarie, andrebbe ripresa.
Ad esempio si potrebbe dire che il mignottismo di tante trasmissioni tv rispecchia l'andazzo morale della società. Tal mignotta trionfante nella vita, tal immagine di mignotta esuberante nelle trasmissioni di successo.
Si potrebbe osservare che, se la gente preferisce non ascoltare il racconto della cronaca, è perché è stata educata a guardare i fatti dal buco della serratura. Per coglierne elementi pruriginosi, non spunti per discutere seriamente di un tema.
I giornali di stamani abbondano di discussioni sulla scelta popolare che l'altra sera ha premiato il "Grande fratello" e sconfitto i programmi seri sul caso di Eluana.
L'esito della sfida rispecchia l'educazione impartita tutti questi anni al popolo. Come dice lo slogan della campagna abbonamenti Rai? "Buona la tv, buono anche tu". La Rai e Mediaset come nuovo Ministero della Cultura popolare. Non è un progetto. E' un risultato evidente, sotto gli occhi di tutti.
Le discussioni odierne, perché ha vinto la Marcuzzi a danno di Vespa e di Fede, sono molto oziose. Dato che cane non morde cane, le cronache dei quotidiani non raccontano di come sono stati impostati i vari servizi. In certi casi è bello tacere.
Coliandro
Post scriptum. Per l'ispettore Coliandro non diciamo soltanto se la sceneggiatura è fatta bene, se gli attori recitano con grazia. Per favore, raccontiamo il contenuto. Il telefilm di ieri sera trattava delle mele marce presenti nella Benemerita, e mica per roba di poco conto...

09/02/2009
Mentana e Mediaset

Nulla succede per caso. Ieri la notizia della scomparsa di Eluana Englaro è arrivata sui teleschermi verso le 20.30 (fonte >Tg1 e Tg5). Immaginavo che la serata, nelle reti principali, sarebbe stata dedicata al fatto. Tenendo conto soprattutto del grave episodio degli scontri verbali avvenuti in Senato. La rete ammiraglia di Mediaset, Canale5, ha alzato bandiera bianca.
Il direttore editoriale di Mediaset, Enrico Mentana, per protesta ha presentato le dimissioni. Mediaset le ha accettate ed immediatamente sospeso il suo programma, Matrix.
Il Comitato di redazione del Tg5 ha protestato per quella bandiera bianca in una partita andata tutta a favore del "Porta a porta" speciale di Rai1.
Questo un passo del suo comunicato: "Sconcerta la decisione dell'azienda di accettare su due piedi le dimissioni di uno dei più autorevoli giornalisti italiani, patrimonio di Mediaset, fondatore del Tg5 e di Matrix, autore di successi che hanno dato lustro, credibilità e anima alla nostra televisione. La decisione poi di non mandare in onda Matrix neanche a mezzanotte come previsto, appare come una vera e propria ritorsione".
I giornalisti del Tg5 chiedono ai vertici aziendali un incontro urgente per chiarire "se l'informazione è ancora una delle priorità dell'azienda".
Il caso di Mentana non riguarda soltanto Mediaset. Avviene in un momento di grande confusione politica. Con il proprietario dell'azienda che è presidente del Consiglio, censore dell'operato del capo dello Stato, controllore dell'informazione pubblica (Rai). E mentre la Commissione di vigilanza Rai è appena uscita da un fase critica, quella di Villari cacciato e sostituito da Zavoli, e sta entrando in un periodo che sarà burrascoso e non facile con le famigerate "nomine" nei vari settori dell'azienda pubblica.
Sullo sfondo sta il pateracchio sanremese, dove Rai e Mediaset sembrano fondersi quasi a rappresentare idealmente lo stato comatoso dell'informazione pubblica.
C'è un'icona gentile ed eloquente per raffigurare l'andazzo di viale Mazzini, Lorena Bianchetti. Accusata o sospettata di aver fatto carriera grazie al Vaticano, lei (ovviamente) nega, e spiega che i suoi sponsor sono i camionisti.
Bella e brava Lorena, non ci prenda per cretini, facendoci credere che a scegliere lei per condurre la rubrica religiosa (per la quale scriveva pure i testi), siano stati i camionisti. Non ci risulta che abbiano, costoro, rapporti diplomatici ufficiali con la Santa Sede.
Fatevi, belle ragazze, tutte le carriere che volete, ma non tentate di dimostrare di aver scarsa fantasia nell'accreditare certe insostenibili leggende.
Torniamo ad ieri sera. La bandiera bianca di Canale 5 dalle 21 in avanti mi ha richiamato alla mente quanto accaduto il 22 novembre 1963. Alle 19.58 "un lancio d’agenzia annuncia che il presidente degli Stati Uniti d’America John F. Kennedy è stato gravemente ferito mentre in auto attraversava Dallas (Texas), a fianco della moglie Jacqueline. Alle 20.34 giunge la notizia che Kennedy è deceduto. Il telegiornale della Rai, condotto dall’annunciatore Mario Raviart, in segno di lutto interrompe la trasmissione iniziata da pochi minuti. Parte il monoscopio e, come sottofondo per parecchi secondi, va in onda un valzer di Strauss". (Fonte, "il Rimino".)
Il potere politico sogna di poter gestire un'informazione finta come quel cronista che appunto non lo è ma si presenta tale dove arriva una telecamera per intervistare un personaggio della vita governativa o parlamentare. Non fa male a nessuno. Così i politici vorrebbero che fossero cronisti e commentatori. Innocui. Ma questo non appartiene alla democrazia.

09/02/2009
Per Eluana

.. "ma valida / venne una man dal cielo, / e in più spirabil aere / pietosa il trasportò"
Ci piace pensare che anche per Eluana dal cielo una mano pietosa sia scesa a trasportarla "in più spirabil aere".

09/02/2009
La carica del 101

Il "programma 101", cioè il primo mini-computer del mondo, ed il primo grande calcolatore europeo Elea sono due esempi di una storia grande, nata e vissuta dalla Olivetti.
La scomparsa di Adriano Olivetti nel 1960 bloccò il sogno elettronico italiano, scrive oggi Mario Pirani su "Repubblica": "Si consumò allora la grande illusione del figlio Roberto (1928-1985), un genio misconosciuto dell'industria innovativa" che invano si batté a favore dell'elettronica.
È una vicenda nota. Pirani la ripropone come esempio simbolico della miopia dell'aristocrazia dell'imprenditoria nazionale e del nostro mondo bancario.
Da loro venne l'obbligo di chiudere la divisione elettronica, "buona tutt'al più per fare giocattoli".
Da qualche parte conservo altri ritagli su questa vicenda. Ne parlo sempre quando si discorre con qualcuno delle magnifiche sorti e progressive del Bel Paese.
Avremmo potuto avere un diverso destino economico, con altre teste alla guida del baraccone. Ne sono convinto. Siamo invece rimasti la periferia di un impero che ha cambiato volto in fretta, e ha per un certo periodo premiato i furbi.
Questi furbi hanno delocalizzato dal Nord-est italico nell'Est europeo. Poi hanno cominciato ad odiare quei cittadini dell'Est europeo che giungevano nel loro Nord-est.
Chi va a braccetto con i leghisti non ama né il progresso culturale né quello scientifico. Fa trionfare la beceraggine televisiva da grandi fratelli e piccole sorelle, per usare eufemismi. Il culmine è stato raggiunto in questi ultimi giorni. Con forme di mignottismo politico che poco di buono promettono per le sorti del nostro Paese.
Meditiamo, meditiamo gente sulla "carica del 101" buttato a mare, perché l'elettronica era "buona tutt'al più per fare giocattoli". Volete metterla a confronto con mafia e camorra, due marchi di qualità che resistono all'usura del tempo?
Noi oggi in Italia non ricordiamo gli eroi degli ambienti industriali come Roberto Olivetti (foto), ma abbiamo un presidente del Consiglio che ha decorato del titolo di eroe un carcerato che resistette al solletico dei giudici per farlo parlare male di lui.
Per la storia del "101", si legga on line il libro di Pier Giorgio Perotto.

08/02/2009
La svolta del Colle

1. Carlo Azeglio Ciampi conferma la gravità della crisi istituzionale nella quale il capo dell'esecutivo ha fatto precipitare l'Italia.
Intervistato da Sebastiano Messina su "Repubblica", l'ex capo di Stato ha detto: il presidente della Repubblica "non può essere ridotto a un passacarte del governo".
Il problema riguarda la valutazione dei "casi straordinari di necessità e d'urgenza" previsti dalla nostra Costituzione per i decreti-legge (art. 77).
Ciampi spiega che "il Capo dello Stato emana i decreti legge, cioè li firma".
La firma, precisa, "non è affatto un atto dovuto. Il presidente della Repubblica deve essere convinto della necessità del provvedimento. Non può essere ridotto a uno spolverino, a un passacarte del governo. La sua firma deve essere un atto convinto, meditato. Non è affatto un visto. Rientra pienamente nei poteri che gli assegna la Costituzione".
2. Ciampi è un galantuomo. Le sue parole vanno accolte come una lezione utile per valutare la situazione di crisi istituzionale voluta da Berlusconi per spianarsi la strada (è storia vecchia...) verso il Quirinale.
Nell'aprile 2008, Ciampi e Napolitano furono attaccati da Berlusconi per lo stesso motivo di oggi, i decreti-legge: "Sappiamo che ogni decisione del Consiglio dei ministri dovrà passare per le forche caudine di un capo dello Stato che sta dall'altra parte. Ricordo i rapporti con Carlo Azeglio Ciampi...".
Il Quirinale allora risposte: "La presidenza della Repubblica, chiunque ne fosse il titolare, ha sempre esercitato una funzione di garanzia...".
Così si espresse Ciampi: "L'obiezione da noi mossa al testo inviatoci allora da Palazzo Chigi, prima che fosse approvato al Consiglio dei ministri, riguardava solo l'incostituzionalità del premio di maggioranza nazionale per il Senato, che era in palese contrasto con l'articolo 57 della Carta".
Ciampi, dichiarò P. F. Casini oggi, è "un galantuomo che ha fatto onore all'Italia".
3. Nel luglio 2007, Napolitano aveva invitato tutti, maggioranza ed opposizione, a "calmare i bollenti spiriti".
Successivamente, Napolitano si è sempre adoperato per le riforme condivise. Lo scorso luglio, parlando della firma del "lodo Alfano", cominciavano il post così: "Sul primo Colle d'Italia si corre una gara che mira non a distruggere ma a consolidare la Costituzione".
Aggiungevamo: "Napolitano è una persona perbene. La sua prudenza politica lo ha portato a scegliere la firma del "lodo Alfano", quando avrebbe potuto percorrere altre due strade".
4. Adesso Napolitano ha abbandonato quella linea di prudenza istituzionale che gli era apparsa necessaria in vita del traguardo delle riforme condivise.
Davanti al ripetersi di un contrasto insanabile con palazzo Chigi, Napolitano non poteva aderire ad un decreto che non riguarda questioni politiche come il "lodo Alfano", ma ben più delicate e sottili questioni giuridiche come la sorte di una persona malata.
Allora, nello scorso luglio, Carlo Federico Grosso scrisse sulla "Stampa" parole profetiche: "Di mediazione in mediazione, il quadro delle riforme compiute o in gestazione [...] è comunque desolante. Si è trasformato il presidente del Consiglio in una sorta di Principe liberato, sia pure a termine, dalle normali, doverose, responsabilità giudiziarie...".
La svolta del Colle chiarirà molte cose, almeno ci auguriamo per il bene della democrazia. Di quella democrazia nata, assieme alla Costituzione repubblicana, dalla tragedia di una guerra voluta dal fascismo, come Berlusconi sempre dimostra di non voler ricordare.
4. Casini difese Ciampi. "Rispetto" ha manifestato adesso a Napolitano. Ma nello stesso tempo ha dato il suo consenso al governo. Equilibrista, Casini aspetta il passo falso di Berlusconi per accreditarsi come candidato del Vaticano alla guida dell'Italia. Quel Vaticano, il cui stato confusionale (con "enorme caduta di credibilità") è analizzato da Barbara Spinelli nel suo editoriale sulla "Stampa", intitolato "Il potere apparente della Chiesa".
5. Di Pietro oggi scrive: "Essere descritti come uno che sta con Berlusconi, proprio nel momento in cui lui sta cercando di dare il colpo finale alla democrazia italiana, fa venire la pelle d'oca solo a pensarci". Si riferisce a quanto riportato stamani dalla "Stampa ": "Non ho mai parlato con l'asserito intervistatore".

07/02/2009
Chi comanda?

E' stato breve il passo per Berlusconi dal discorso generico ("Non mi siederò mai al tavolo con questa sinistra leninista e antidemocratica. E sulla giustizia sono pronto a cambiare la Costituzione"), alla precisa minaccia sbattuta in faccia al presidente della Repubblica: "Se non ci fosse la possibilità di ricorrere ai decreti tornerei dal popolo a chiedere il cambiamento della Costituzione e del governo".
Ciò che addolora è il terribile gioco politico fatto sopra un dramma, quello di Eluana Englaro e della sua famiglia.
Approfittando di questo dramma, Berlusconi ha cominciato a calpestare la Costituzione (*).
(*) Art. 77.
Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.

07/02/2009
Infezioni

"Sarà dunque possibile che, dopo quarant'anni la 'Gazzetta ecclesiastica' abbia infettato Parigi e la Francia, e che cinque o sei persone bene unite non siano consapevoli di prendere le parti della ragione?". (Voltaire ad Helvétius, 1763)
06/02/2009
Leghismi psichici (... tra Rimini e Cesena)

Non soltanto la Lega ha i suoi delicati razzismi. Il male è contagioso.
A livello governativo, il morbo si è diffuso ampiamente, se si è arrivati alla spaventosa norma sulla "Medicina anti-clandestini".
A livello "popolare", di noi gente comune ovvero non politici, basta affacciarsi fuori del proprio giardino per essere considerati con il pregiudizio che vi fa sospettosamente forestiero.
Anni fa a Ravenna parlavo con un commerciante. Mi chiese da dove provenissi. Rimini, gli risposi. Commentò in dialetto: "Ostia, sia di giù...".
Una studiosa ravennate, nell'intervallo di un convegno storico, mi chiese scusa se riteneva Rimini una "fogna".
Un ex ambasciatore, originario di Cesena, mi raccontava con raffinata eleganza di aspetti della vita riminese, con quel tanto di aristocratico disprezzo che lo aiutò nel definire "mafiosa" la mia città.
A Cesena esce un volume in cui un riminese scrive cose inesatte al limite della diffamazione contro altri riminesi. E gli amici cesenati si giustificano accusando noi riminesi di essere litigiosi.
Sono uno di quelli presi per i fondelli: è stato scritto all'incirca che un nostro libro del 2004 ricalca un testo storico ottocentesco tranne che nella copertina.
Il sottoscritto vi ha composto le vicende cittadine dal 1859 al 2004.
La "pagella" apparsa a Cesena fa semplicemente ridere. Ma quelli che hanno pubblicato il volume cesenate, ci fanno sapere ufficiosamente di non coinvolgerli nelle nostre beghe interne.
Non si accorgono che la responsabilità dell'accaduto è loro, in quanto editori ufficiali del volume di una società alla quale siamo iscritti con regolare versamento di quota.
Ovvero dovremmo pagare questa quota per farci offendere...
Tu gli spedisci le dimissioni, e non ti rispondono. Gli mandi una relazione da trasmettere ai "probi viri" e fanno finta di niente...
Allora trasmetto un fax per chiedere conferma (nessuna risposta anche stavolta). E mi firmo "Ariminensis natione, non moribus", riecheggiando il passo dantesco della lettera a Cangrande (Ep. lat. 343).
Ed aggiungo a mo' di placida beffa, tanto per dire che riminese sono sì ma non troppo, una tabella con la "composizione del DNA geografico, secondo il metodo Druger-Kazzman", così concepita:
50% di origine forlimpopolese, per il ramo materno;
25% di origine riminese,
15% di provenienza toscana e
10% di influsso dalmata per il ramo materno.
Soltanto dopo il fax, alleluja, è stata data notificazione scritta di ricevimento delle precedenti missive.
Su questi fatti ho pubblicato tempo fa in un blog appartato un testo sanamente satirico. Lo riporto qui per dimostrare che non sono litigioso come i riminesi sono considerati a Cesena. E che ho intitolato "La cultura non è un derby di calcio", in una sezione dedicata alle "patologie riminesi".
Ecco quel testo.
"Si sa com'è la vita di provincia. Monotona. Anche perché affollata da molti personaggi che non danno il meglio della loro intelligenza, nonostante si sforzino continuamente. Ed intristiscono loro e gli altri con le loro fissazioni paranoiche di considerarsi i migliori di tutti, gli unici depositari della sapienza, i soli a poter discutere di tutto, e quindi obbligati moralmente a dover dare le pagelle a tutti gli altri.
E' successo proprio ora anche a me di essere "vittima" di questa ipertrofia narcisistica di un qualche tristo cavaliere che, nel fare certi suoi discorsi "dall'alto della cattedra", ha voluto sentenziare su cose che ha dimostrato di non aver compreso, il poveretto.
Dunque. Nel 2004 esce una breve storia di Rimini in cui io scrivo la parte finale, dal 1859 al 2004.
Orbene, anche questo capitolo è accusato di essere uguale (tranne la copertina...) ad un testo classico della storiografia cittadina, uscito a metà Ottocento...
Non si tratta di libera espressione di un pensiero critico, come sostengono i responsabili dell'edizione del volume in cui sono apparse queste pagelle.
E' più semplicemente l'effetto perverso di un eccesso di fatica mentale da parte del poveretto che certi sforzi non li mai potuti digerire... Non è un problema sorto con l'età ma congenito.
Il triste motivo della difesa dell'editore è che a Rimini queste cose succedono perché è popolata di persone invidiose e litigiose.
Agli abitanti della città in cui esiste quell'editore, allora, usando lo stesso tono da derby calcistico, potremmo dire che essi sono semplicemente dei leccatori di piedi in virtù del fatto che da Rimini per pubblicare quelle estreme verità ricevono le somme necessarie.
E si sa come succede in queste cose, si principia dai piedi e si finisce leggermente sopra. De gustibus."

05/02/2009
Sergio Zavoli, il sempreverde

Auguri, Sergio Zavoli. A quasi 86 anni rappresenta un mondo ormai scomparso. Ancora in prima linea, come sempre.
Protagonista elegante della scena nella nostra radio prima e poi nella tv, sofisticato parlatore, ora politico un po’ spupazzato per sanare situazioni alle quali guardiamo tutti da osservatori smaliziati con assoluta indifferenza.
Figurarsi se alla sua veneranda età aveva bisogno di presiedere una commissione di vigilanza Rai. Ma tant’è.
Quarant’anni fa composi in un foglio locale una serie di ritratti di glorie concittadine. Per Zavoli intitolai "Una lagrima sul video". Raccontavo tra l’altro di quando arrivava sul porto, accompagnato dall’amico pittore che gli reggeva un sacchetto pieno di carote, che lui, il divo del “Processo alla tappa”, gustava e masticava con una calma olimpica. L’amico pittore se la prese a male, non so lui.
Davanti a lui da ragazzo feci una figura terribile, proprio sul porto. Mio zio Guido Nozzoli, suo amico, si era prefissato di fare di me un provetto nuotatore. Alla prima lezione scivolai sui mitici scogli, tagliandomi un polpaccio. Finì lì la mia possibile carriera sportiva, alla quale ero completamente negato. Mi bagnai poi sempre e soltanto sul "bagnasciuga" (so che si dice battigia...) lungo la spiaggia libera, conversando con l’antico amico pittore della combriccola. Che era stato tra l’altro anche mio professore, oltre che amico di famiglia.
Zavoli aveva avuto un debutto giovanile nel giornalismo, sopra il foglio fascista "Testa di Ponte".
Immaginate facilmente come, negli amarcord odierni, quel titolo venga spesso oscenamente deformato.
Due assaggi della sua prosa. «Oggi più di ieri abbiamo bisogno di scuotere i famosi “montoni belanti”, “pecore rognose”… Attorno a te c’è ancora troppa gente che non sa e non è degna di vivere questo grande momento… Deve essere dato a tutti il privilegio di ‘vivere’ e ‘vincere’. Con ogni mezzo». E poi: «Io non sono psicologo: pure con la fiducia nelle nostre idee e in quelle delle generazioni capaci di comprenderci, arriveremo!».
«Salvò quei giorni di ragazzo […] con franco pudore». Zavoli ricorda in «Romanza» (1987) il 25 luglio 1943 vissuto da suo padre che con «una dignità doverosa» fa sparire nell’orto, in una fossa profonda quasi un metro, «le apparenze» del credo fascista, «giacca, pantaloni, camicia, cravatta, cinturone, mostrine e stivali».
Nei mesi successivi «quando qualcosa di ridotto al minimo, di irrimediabile e violento tenterà di riprodurre quel potere sconfessato, sarà come se nulla del falò riacceso potesse più riguardarlo. E ciò che del regime venne dopo restò al di fuori della sua storia e si svolse senza di lui, persino contro».
A quel «falò riacceso» dai repubblichini, invece Sergio portò qualche legnetto. Che lui ha però sempre rimosso, infatti nell’autobiografica «Romanza» non ne parla. Quando all’inizio del 1943 Gino Pagliarani e Guido Nozzoli erano finiti in carcere, dichiarò nel 1983, si istruirono «dei processi agli amici di Gino. Si voleva stabilire chi stava con Gino, chi ci stava tiepidamente, chi invece con convinzione: o, peggio, chi non ci stava affatto; o, peggio ancora, chi non ne voleva sapere neanche un po’. E nascevano delle sentenze inappellabili che scavavano degli abissi, oppure cementavano delle solidarietà che durano ancora da allora. Ecco quindi profilarsi la presa di coscienza di ciò che stava avvenendo: e fu grazie ai miei due amici», Gino e Guido.
Nel 1994 Gino Pagliarani interviene a proposito dell’orazione commemorativa tenuta da Zavoli ai funerali di Federico Fellini: «Mi dicono che […] incantò la folla. Non mi stupisce. Conosce e pratica virtuosamente l’arte della retorica (fin dai temi del liceo che puntualmente mi leggeva). Gli riconosco -nonostante qualche bidone- anche la volontà e il merito di aver riparato con molte delle sue iniziative televisive certi trascorsi giovanili non di antifascista». Qualcuno a Rimini ricordava Zavoli in compagnia, con tanto di divisa e di mitra a tracolla, del capo repubblichino che catturò i Tre Martiri poi impiccati, al tempo del «falò riacceso».
Altri rammentavano la presenza di Zavoli nella vicina Coriano, aprile ’44, quando avvenne la cattura di due «disertori», Libero Pedrelli e Vittorio Giovagnoli, poi affidati al tribunale tedesco che li fece fucilare il 18 maggio ad Ancona. Il ricordo fu riacceso quando a Coriano giunse una troupe della Rai per un’inchiesta televisiva sul fascismo diretta da Zavoli. Gli operatori non furono però guidati dallo stesso Zavoli, ma da un giornalista della sede Rai di Bologna.
Potete scaricare il mio libro "Giorni dell'ira. Settembre 1943 - settembre 1944 a Rimini e a San Marino",.

04/02/2009
InCuria romana

Proviamo a rileggere il caso del vescovo lefebvriano Richard Williamson non alla luce degli ultimi inevitabili sviluppi (dovrà ritrattare le sue dichiarazioni negazioniste della Shoah), ma in relazione ad un episodio accaduto giusto due anni fa. Gennaio 2007, Stanislaw Wielgus è nominato dal Vaticano arcivescovo di Varsavia.
Salta poi fuori che il prelato è stato negli anni della guerra fredda un informatore della polizia segreta comunista. Il Vaticano fa marcia indietro. Wielgus è costretto ad ammettere le sue responsabilità. Ed a dimettersi. Arcivescovo di Varsavia è nominato Kazimierz Nycz.
La colpa di tutta la vicenda fu data a Wielgius, come si lesse in un sito vaticano ufficioso: «Il vescovo ha assicurato tutti, Santo Padre compreso, che non aveva collaborato con i servizi comunisti e non aveva fatto del male a nessuno» (22 gennaio 2007).
Anche Bruno Vespa aveva incolpato Wielgus per salvare l'onore del Vaticano. E per dimostrare che in Italia, alla tivù, si scambia sempre l'informazione con la predica. Di pensiero diverso fu lo stesso Wielgus. Che aveva detto al papa, sono sue parole, di essere stato coinvolto "con i servizi di sicurezza dell'epoca che operavano in uno stato totalitario e ostile nei confronti della Chiesa".
Alla fine risultò chiaro che nella Curia romana avevano agito in modo confuso. Allora ci chiedemmo: "è colpa di Benedetto XVI oppure si tratta di un tiro mancino della Curia ai suoi danni?"
Ora, per il vescovo negazionista, la domanda resta sempre valida. Con l'aggravante di una conferma autorevole: il cardinal Kasper, presidente della commissione pontificia per i rapporti con l'ebraismo, ha parlato di "errori di gestione della Curia". Quindi non è illecito sovrapporre gli "errori" del 2009 a quelli ricordati del 2007. Anzi facendo la loro somma, si ha uno quadro molto sconfortate degli uomini che circondano il papa.
Due anni fa mi chiedevo: dove la disinformazione si ferma e non si trasforma in uno strumento di pressione politica ben mirata verso scopi altrettanto ben precisi?
Mi ricollegavo alla presenza nell'estate 2006 a Rimini al Meeting ciellino della cosiddetta "fonte Betulla", ovvero il giornalista Renato Farina.
Disinformazione e pressioni politiche sono state presenti sin dall'inizio anche nel caso Williamson. Quello che gli si chiede oggi (ritrattare le sue dichiarazioni negazioniste della Shoah) Il papa il 28 gennaio ha detto tardivamente "No al negazionismo ed al riduzionismo". La patata bollente del Concilio Vaticano II da far accettare ai lefebvriani, e la drammatica situazione di loro esponenti che negano la Shoah o sostengono esser state le camere a gas "usate per disinfettare", non potevano essere rimandate al "dopo-perdono" come è stato fatto. La colpa di chi è? Qualcuno in Curia ha ingannato il papa tacendogli particolari essenziali del "fascicolo"? Il ricordo del caso Wielgus allunga ombre inquietanti sui sacri palazzi.

03/02/2009
Guzzanti sputa il rospo

Ieri Paolo Guzzanti ha salutato Berlusconi sbattendogli la porta in faccia. Mossa prevedibile. Dopo che ad ottobre aveva denunciato che "qualcuno molto in alto aveva deciso in Forza Italia" di massacrarlo e dargli il "colpo di grazia".
Guzzanti forse allora alludeva al fatto che gli era stata tolta la scorta.
Ieri Guzzanti ha ribadito la sua condanna verso l'atteggiamento del cavaliere nei confronti di Putin. Non gli è mai piaciuto il "sostegno entusiasta, personale, amicale al signor Vladimir Putin per la criminale invasione della Georgia".
Poi ha aggiunto che in Italia la democrazia parlamentare vive una "condizione pre-agonica". E che Camera e Senato sono ridotti al ruolo di cani da slitta del governo che li costringe a correre "sotto i colpi di frusta dei voti di fiducia".
Ci rallegriamo che anche un acuto osservatore come Paolo Guzzanti si sia finalmente svegliato dal letargo in cui il mago di Arcore, con uno sbrigativo "a me gli occhi", lo aveva imbambolato e ridotto ad un ruolo che giustamente ora rifiuta.
Quando accadono questi fatti, il nostro pensiero nella modestia delle sue possibilità, non fa altro che ripetere la stessa domanda alle persone coinvolte: ma perché non lo avete capito prima, che vi stavano prendendo in giro?!
Senza questi illustri personaggi, che oramai si stanno stancando del mago di Arcore (ieri è stata la volta di Beppe Pisanu), il sistema berlusconiano non avrebbe potuto prendere il volo.
Quindi, caro Guzzanti, dopo la confessione piena, occorrerebbe adesso un vero atto di contrizione. Seguìto da una penitenza anche modesta. Per rispettare un po' quel rito religioso che piace tanto al governo attuale, anche se poi molti dei suoi uomini se ne fregano altamente della morale cattolica. Convinti come sono che la vendita delle indulgenze sia una pratica ancora in uso. Dando i soldi al Vaticano, sperano di essersi messi l'anima in salvo.
Non basta sputare il rospo come hanno fatto Pisanu e Guzzanti. Occorre impegnarli in attività socialmente utili per scontare le "colpe" politiche commesse sinora.
Sarebbe troppo comodo recriminare contro il vecchio dominus ed i passati alleati. Occorre un efficace segno di ravvedimento.
Seguite l'esempio di Maroni. Prima ha detto che se i ragazzi bruciano i clochard, è colpa di tutta la società. Poi per dimostrare che aveva colpito nel segno, ha rincarato la dose.
Ha detto: contro gli immigrati clandestini bisogna essere cattivi.
Sì, onorevole ministro, se i nostri ragazzi per divertirsi danno fuoco a qualcuno, la colpa è proprio della società che esprime ministri come lei.
Ma oramai è tanto il guasto che avete prodotto in questa società, che non basterà neppure cambiare governo.
E poi, diciamola tutta, chi ha voglia nell'opposizione di prendere il vostro posto? Fanno una vita tanto comoda nel Pd di Veltroni....

02/02/2009
Non facciamo gli indiani

Come a Rimini nel novembre scorso. Appiccano il fuoco a qualcuno, e poi dichiarano che volevano soltanto divertirsi.
Allora bruciò un barbone sopra una panchina lungo la strada, e vicino ad una chiesa.Adesso è toccato ad un indiano, nella stazione di Nettuno.
Come allora, anche adesso, stesse cronache: "sono ragazzi di buona famiglia".
Nulla da eccepire. Non facciamo risalire le colpe dei figli ai comportamenti dei padri.
Ma perbacco, potremo pure chiederci se, "politicamente", esiste una qualche responsabilità collettiva?
Nessuno ha ricette miracolistiche in tasca per tentare di risolvere il problema. Basterebbe avere la buona volontà di affrontarlo.
Oggi il presidente Napolitano ha preso atto che ci si trova dinanzi non a fatti isolati, ma a "sintomi allarmanti di tendenze diffuse". Con grande prudenza, ha accennato al "rischio di xenofobia, di razzismo, di violenza".
Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ritiene che non si tratti di un problema di ordine pubblico, ma di "un qualcosa che chiama in causa la società intera".
Avrebbe ragione, Maroni, se non fosse espressione di un partito che professa l'intolleranza.
Un suo predecessore (ed alleato), Beppe Pisanu, ha rilasciato oggi al "Corriere della Sera" un'intervista intitolata: "Immigrati, Silvio non subisca gli slogan leghisti". Maroni risponda a Pisanu, per favore.
Per la questione prettamente "politica", come dicevamo sopra, circa le responsabilità collettive, Maroni ha ragione. Ma non lo deve dire ai cronisti. Ne parli con i colleghi di governo.
Ci siamo riempiti bocca ed orecchie con la storiella del cinque in condotta. Ma la scuola non è tutto.
Lì i bulli sono identificabili e recuperabili. Fuori di lì, quanti vogliono "divertirsi" con poco, sono liberi di appiccare fuoco ad un barbone o ad un indiano.
Quale società i nostri politici vanagloriosi di stampo berlusconiano, hanno voluto proporre con la loro filosofia "commerciale"?
Il valore di una persona, ci è stato predicato sino alla nausea, risiede nel numero di telefonini che essa può avere in tasca. O nella capacità di sposare un uomo ricco se donna e di saper far soldi se uomo.
La vita è qualcosa di più complesso di queste mondanità allegre ma ridicole, imposte come modello di vita. Grazie alle quali facciamo gli indiani davanti ai veri, gravi problemi della società. E poi non lamentiamoci se certi giovani per divertirsi bruciano un uomo. Perché anche un barbone od un immigrato indiano sono uomini.

01/02/2009
Di Pietro, nuovo Mussolini?

Le molte buone ragioni teoriche di Piero Ostellino sul caso Di Pietro, nel suo "dubbio" settimanale del "Corriere della Sera" (31 gennaio), si scontrano con un dato di fatto ineludibile: che cosa ha veramente detto il leader dell'Idv? E sono fondate le sue osservazioni al capo dello Stato circa il "lodo Alfano"?
Ostellino sostiene che Di Pietro sta raccogliendo sostenitori "in quella stessa parte dell'opinione pubblica che, negli anni Venti, ingrossò, in buona fede, le file del fascismo".
Di Pietro è un nuovo (o soltanto aspirante) Mussolini? Ostellino dice: sì.
Vabbé. Per dimostrare la sua tesi, Ostellino richiama il primato della "Legge", ovvero del Costituzionalismo e della legge "uguale per tutti".
Ma è proprio questo che chiede anche Di Pietro: rispetto della "Legge" uguale per tutti.
Invece, Ostellino accusa Di Pietro di credere "in una società che persegua il Bene", realizzato da "uomini giusti" e inflessibili.
Nessuna simpatia politica per Di Pietro mi guida. Rivolgo alla vicenda soltanto uno sguardo sufficientemente distaccato. Ma consapevole che la formula dell'acqua non cambia se è inquinata. Però cambia la sostanza in sé. Ovvero l'acqua non è più potabile.
Dice Di Pietro: il "lodo Alfano" vìola la Costituzione. (Lo sostiene anche qualche emerito costituzionalista come Antonio Baldassarre.)
Gli risponde Ostellino: sei un fanatico, come quando usavi "la carcerazione preventiva per strappare le confessioni agli inquisiti".
In questo passaggio di Ostellino c'è una fallacia, come dicono i filosofi logici: ovvero Di Pietro se ha sbagliato allora (come magistrato), sbaglia pure adesso (da politico) perché si ritiene un "uomo giusto".
Ostellino attribuisce a Di Pietro argomenti mai ascoltati da lui: ovvero che il presidente della Repubblica si pronunci non tanto sul "vizio di costituzionalità" del "lodo Alfano", quanto per "ragioni morali".
Di Pietro parte dai princìpi della Costituzione per combattere il "lodo Alfano". Che considera una violazione di quegli stessi princìpi.
Non regge il paragone fatto da Ostellino, fra Di Pietro e Robespierre.
Ostellino è troppo colto per ignorare che i contesti storici (qui la rivoluzione francese del 1789, poco sopra quella fascista del 1922), sono un "tutto" essenziale per giudicare una parte lontana da essi, prima di fare dei paragoni fra quegli eventi ed opinioni espresse ai giorni nostri.
Il quale discorso nulla ha che fare con i fatti richiamati da Ostellino. Ovvero i paragoni non sono soltanto (come suol dirsi) antipatici, ma sono del tutto inadatti ad argomentazioni relative a periodi storici lontani da quello in cui viviamo. La storia non si ripete mai.
Figuriamoci se Di Pietro può essere raffigurato come un Mussolini od un Robespierre... Mica siamo ad un ballo in maschera...
La politica 'proposta' da Di Pietro può apparire una "regressione", come sostiene Ostellino. Può sembrare od essere, lo stesso ex pm, un "demagogo". Ma per motivi del tutto estranei alla questione del "lodo Alfano".
Proprio per salvaguardare il primato della "Legge" uguale per tutti, sarebbe utile che i liberali come Ostellino si pronunciassero sul "lodo Alfano". E', sì o no, una violazione del primato della "Legge" uguale per tutti?
Non è possibile menar il can per l'aia. Ostellino sa che ogni azione politica avviene in un quadro in cui le responsabilità sono anche di chi la provoca. O di chi non fa nulla perché essa non abbia effetto.
Perché noi dobbiamo dimenticarci di questi elementari princìpi della storiografia liberale alla quale Ostellino dovrebbe richiamarsi per restare fedele al suo credo politico?
Se Di Pietro è un demagogo, lo era sin dall'inizio o lo è diventato soltanto ora? E poi, come demagogo, di chi fa il gioco? (Chi c'è dietro di lui?) Non sarà che il "morbus arcorianus" contagia pure gli oppositori?
Di Pietro, conclude Ostellino, "incarna la reazione". Ovvero: è peggio di Berlusconi?
Chi ha inventato il "lodo Schifani" in parte riversato in quello Alfano? Berlusconi o Di Pietro?


Antonio Montanari - 47921 Rimini. - Via Emilia 23 (Celle). Tel. 0541.740173
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il Rimino 2009