Fuorisacco, 12.09.2015.  Rimini. Gli Ebrei cacciati nel 1615.

Lettera inviata al "Corriere di Rimini". Pubblicata il 13.09.2015
Leggo sul "Corriere" di oggi 12 settembre (p. 33) che la comunità ebraica fu cacciata da Rimini nel 1615 "per motivi ancora oscuri".
Dal 2005 è disponibile sul web una "Storia degli Ebrei a Rimini" da me curata, in cui scrivo che nel 1615 il ghetto riminese fu distrutto da una rivolta popolare (stando al racconto di monsignor Giacomo Villani). In essa ebbero un ruolo d'istigatori i padri Girolomini o Romiti di Scolca (a quanto si ricava da un testo del canonico Giovanni Antonio Pedroni cit. da C.Tonini, "Storia di Rimini", VI, 2, p. 761).
Sul tema rimando pure al settimanale riminese "il Ponte" che il 20 novembre dello stesso 2005 pubblicava nel supplemento "Quante storie" da me curato, una pagina intitolata appunto "1615, distrutto il ghetto".

Antonio Montanari
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Osservazioni in margine a questa lettera. Spie imperfette.

Non c'è soltanto il problema del 1615, con gli Ebrei cacciati da Rimini "per motivi ancora oscuri", mentre sappiamo che in quell'anno fu distrutto il loro ghetto.
C'è pure il fatto che si ignora che le sinagoghe furono tre (cfr. "il Ponte", "Ebrei, le sinagoghe e il cimitero", 11.12.2005). E questo anche in paludati volumi, dove gli studi miei vengono ignorati, ed anzi mi si accusa di non precisare nulla sulle lotte precomunali, in una nota alla "Storia di Rimini" di Antonio Bianchi (p. 99, nota 70), non accorgendosi che è stato lo stesso Bianchi a p. 94 a spiegare tutto.
Chi ha avuto l'incarico di scrivere queste cose contro di me, poveretto, è stato male informato, lui non ha nessuna colpa, non funzionano bene i servizi locali di spionaggio. (13.09.2015)


ARCHIVIO/1615, distrutto il ghetto.

Raffaele Adimari è ricordato nelle cronache oltre che per il Sito anche per un’altra impresa curata diligentemente nell’agosto 1613: il trasporto da Recanati a Rimini della statua dedicata a Paolo V, divisa in tre blocchi.
Paolo V, eletto il 16 maggio 1605, era il successore di Clemente VIII che il 10 febbraio 1605 aveva punito Rimini, sottomettendone il vescovo (sino ad allora assoggettato al pontefice) all’arcivescovo di Ravenna, Pietro Aldrobandini suo nipote. Clemente VIII morì poco dopo, il 27 aprile.
Proposta nel 1610, approvata l’anno successivo (non sapendo però «dove pigliare i denari») ed inaugurata nel 1614, la statua fu segno di ringraziamento al papa per la nomina a cardinale (1608) del concittadino Michelangelo Tonti, arcivescovo di Nazaret, il quale era stato festeggiato con pubbliche manifestazioni di giubilo culminate in disordini, e descritte da Carlo Tonini come «colmo di gioia» e «straordinaria libertà non divietata da alcuno». Alla fine, per merito della gioventù, radunata in casa d’Ercole Paci, cavaliere di Santo Stefano, se ne andarono in fumo botti, tavolati delle botteghe e persino le panche delle chiese e delle scuole con danni per tremila scudi (Storia, V, II, pp. 677-678).
Altri disordini si verificano nel 1615, con la distruzione del ghetto degli Ebrei situato in via Sant’Andrea, in un tratto che andava dall’oratorio di Sant’Onofrio alla cosiddetta «Costa del Corso»: «e in quella occasione si vide l’odio popolare contro quella gente», osserva Carlo Tonini che poi nel suo Compendio giudica l’episodio «di minor momento» e quindi da trascurare (Tonini, Storia, V, I, 410; Compendio, II, p. 322).
Nel 1796 alla fine di giugno, durante la raccolta della contribuzione per i francesi, alla quale sono sottoposti pure gli Ebrei, essi sono arrestati «onde sottrarli da quegli insulti che una certa malafede del Popolo, avrebbe potuto accagionargli». Da parte loro gli «Ebrei dimoranti con negozio da lungo tempo in Rimini» (sono cinque ditte, intestate a Moisé di Bono Levi, Samuel ed Elcana Costantini, fratelli Foligno, Samuele Mondolfo, ed Abram e Samuel Levi) temevano che nel «passaggio delle Truppe Francesi» potessero esser «molestati per raggion d'avere per Comando Pontefficio il solito segno nel Capello». Fu loro concesso di toglierlo dopo il versamento alla Comunità riminese di un «dono gratuito» di cinquecento scudi. In realtà, il «dono» fu fatto, come scrivono i Consoli di Rimini, «in luogo di darci conto del loro peculio, e del valore de rispettivi negozj, come da noi esigevasi». La Municipalità, soddisfatta della generosa offerta, versata oltretutto in moneta e non in oggetti preziosi, tralascia di sottolineare che essa andava contro le leggi: l'importante era riempire le casse pubbliche il cui stato diviene sempre più «lagrimevole». Nel 1799, il 30 maggio, la rivolta dei marinai si conclude anche con il saccheggio di due botteghe gestite da ebrei.
A. Montanari, 1615, distrutto il ghetto in «Il Sito riminese del 1616, Quante storie n. 2», p. 8, «il Ponte», 20 novembre 2005.



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