Politica. Articoli vari del mese di Gennaio 2008, blog de "La Stampa"
31/01/2008
Le ombre della P2
Tina Anselmi ha scritto ieri 30 gennaio una lettera a "Repubblica", il cui titolo chiarisce il contenuto: "Fango sulle istituzioni come voleva Gelli".
Due brevi citazioni: l'esperienza compiuta durante il lavoro della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia P2, "mi spinge a vedere nella attuale crisi politica una grave situazione di emergenza democratica. Mi rendo conto che gli anni di Gelli e dei suoi compagni oggi appiano lontani, ma quanto lontani?".
"Anch'io ho vissuto la stagione infelice di tangentopoli, e in quegli anni mi sono battuta a viso scoperto perché non si cadesse nel facile qualunquismo del così fan tutti".
Non ho ascoltato o letto nessuna reazione al testo di Tina Anselmi. Forse i nostri politici che possono avvertire un'affinità con la sua presa di posizione, sono talmente pochi che nessuno li ha interpellati.
O forse ha dato fastidio l'inizio della lettera, in cui Tina Anselmi dichiara di rivolgersi "a quei moderati che hanno a cuore" come lei "le sorti d'Italia, che rispettano le istituzioni e le regole democratiche e che sovente ho sentito dichiararsi discepoli di Alcide De Gasperi".
La verità è che in Italia c'è stato un periodo in cui molti si dichiaravano a gara "discepoli di Alcide De Gasperi". Ma nello stesso tempo essi non potevano aggiungere di rispettare "le istituzioni e le regole democratiche". Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Grazie, Tina Anselmi di questa sua testimonianza. Anch'io sono sempre stato un moderato. Trovandomi anni fa catalogato da qualche imbecille tra gli estremisti, solamente perché ho cercato di rispettare "le istituzioni e le regole democratiche".
Tutto nella vita è soggettivo. Basta non rubare per essere definiti fessi. Basta rispettare il prossimo per essere catalogati ingenui. Basta non rinunciare alla propria dignità per essere considerati dei piantagrane, in questo bel Paese in cui le strizzatine d'occhio non sono un tic occasionale, ma un'abitudine conventuale.
[Anno III, post n. 32 (409)]

30/01/2008
Marini in finale
Al festival della Terza Repubblica va in finale Franco Marini. Da questa sera è presidente incaricato non per formare un governo di transizione in vista delle elezioni, ma per trovare un accordo (per ora, almeno sulla carta, del tutto impossibile) per scrivere la riforma elettorale.
Alle 17:51 di stasera Marini ha dichiarato "So che nelle attese dei nostri cittadini c'è una attenzione forte alla modifica della legge elettorale".
Scongelate dallo stile politichese, le sue parole dicono tanto: la vogliono i cittadini, quella modifica, ma non le forze politiche che condizionano la crisi. Ad occhio e croce, la missione di Marini appare disperata.
Napolitano con la massima cautela ha fatto capire di non amare lo scioglimento anticipato delle Camere, a due anni dal loro insediamento.
Un tempo le parole di Marini avrebbero potuto ispirare fiumi d'inchiostro per distinguere il Paese reale dal Paese legale. Il primo attento ai problemi ed ai timori della vita quotidiana di tutti. Il secondo preso soltanto nelle proprie cerimonie, non sempre trasparenti. Quando un leader politico è assolto dall'accusa di falso in bilancio perché esso non è più reato in base ad una legge fatta quand'egli era presidente del Consiglio, dai dubbi si passa alle certezze.
Quando si legge quello che si è letto in questi giorni, al Paese reale ed al Paese legale, dobbiamo aggiungere anche quello illegale che è avanzato a grandi passi, conquistando intere regioni.
E questo Paese illegale accusa la Magistratura di guastare le istituzioni e quindi di distruggere lo Stato. Olè.
[Anno III, post n. 31 (408)]

29/01/2008
Roma come Sanremo
Annunciano il festival di Sanremo, edizione n. 58, con Pippo Baudo per la tredicesima volta presentatore, a mezzo secolo dall'esecuzione di "Volare", anzi di "Nel blu dipinto di blu".
Tutto uguale o tutto diverso? Da spalla fungerà Piero Chiambretti, l'eccezione alle regole rappresentate da Baudo, che è l'incarnazione sublime dell'ufficialità. Sorridente ma capace di severità, spontaneo ma preparato al millesimo di secondo in ogni mossa, Baudo è uno che è nato col copione in testa. Se c'è lui, tutto funziona bene. Un nome, una garanzia. Sì, va bene. Ma è sempre il solito Baudo, l'altro sarà il solito Chiambretti, ci saranno due vallette bipartisan, una bionda ed una nera, ed amen. Le solite vallette.
Insomma, tutto uguale.
Il rito delle consultazioni romane per la crisi di governo, sia detto senza offesa per nessuno, rassomiglia al festival di Sanremo. Tutto previsto, il copione non lo scrive Pippo Baudo, ma è quello da 60 anni a questa parte. Si era pensato qualche anno fa di risolvere il problema cambiando il sistema... Ovvero con un capo del governo scelto direttamente dagli elettori, eccetera eccetera.
No, siamo ancora alla passerella all'uscita dallo studio di Napolitano, ai microfoni che raccolgono le dichiarazioni, agli articoli di giornale che cercano retroscena, e trovano soltanto il retrogusto amaro di una situazione senza uscita.
Veltroni voleva mettersi d'accordo con Berlusconi, adesso il Cavaliere va per la sua strada, per cui gli italiani assistono ad un nuovo duello, infarcito di cose assurde (la marcia su Roma minacciata dal signore di Arcore) e delle relative smentite. Che se non arrivassero puntuali, farebbero insospettire.
Tutto qui. Ma tutto questo, il rituale delle consultazioni, delle dichiarazioni, delle interpretazioni, dei passi falsi e dei passi felpati, tutto ciò è un vecchio repertorio che sino a pochi giorni fa era rifiutato da quanti convenivano su riforme istituzionali, su snellimento delle procedure, e su tante altre belle idee che all'improvviso sono sparite.
Siamo tornati alla repliche. E come quando si rivede un vecchio film, si va avanti nelle battute, le sappiamo a memoria, magari sbadigliamo recitandocele sgraziatamente e con ironia.
Se davanti a "questa" politica delle repliche sbadigliamo allo stesso modo, beh, allora non date la colpa a noi, signori del Parlamento.
La Roma di una crisi politica, anche di questa crisi politica, è come il festival di Sanremo, una cerimonia ripetitiva ed un po' noiosa.
Ma Roma non è Sanremo, dev'essere diversa per forza di cose. La vita di ogni giorno non è fatta di canzonette. Esse debbono essere un intervallo, non costituire la trama di un'esistenza intera.
L'Italia 2008, è senza governo, è senza idee. Tutti si sono rimangiato tutto quello che avevano detto. Hanno perso memoria delle loro parole. Insomma c'è sempre del comico anche in ogni momento drammatico.
[Anno III, post n. 30 (407)]

28/01/2008
Effetti desiderati
Nel 'bugiardino' dei prodotti farmaceutici c'è sempre un lungo elenco degli effetti indesiderati indotti dalle sostanze in essi contenute.
Anche nei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia, c'è un lungo elenco di effetti: desiderati dagli uni (il Vaticano) e indesiderati dagli altri, i laici. Per cui meraviglia chi si meraviglia di ciò. Succede dal 1870, dalla presa di Porta Pia, con il papa che si sentiva prigioniero, ed a liberarlo fu l'ateo devoto ante-litteram Benito Mussolini con i Patti lateranensi.
Pure adesso la Chiesa di Roma si sente con il bavaglio alla bocca: il papa infatti non può parlare alla Sapienza, per cui i buoni esponenti della miglior politica cattolica (ovvero quella del centro-destra) vanno a pregare in piazza San Pietro (come è successo di recente) per far vedere agli italiani di rito romano quali sono le facce da votare alle prossime elezioni, oscurando il ricordo di un Romano di nome, ovvero Prodi, trinariciuto e pericolosamente bolscevico provenendo dalla copia conferma di Stalingrado, cioè dalla città Bologna la rossa e la grassa, simbolo del peccato e della degradazione morale di un'intera nazione.
Oggi a meravigliarsi degli effetti desiderati dalla Chiesa, è stato addirittura il cardinal Camillo Ruini nel dialogo che sarà trasmesso questa sera da "la 7", ad "Otto e mezzo" di Giuliano Ferrara e Ritanna Armeni.
Testuali parole del cardinale: "In Italia l'intervento della Chiesa ha un'efficacia maggiore rispetto a quanto avviene in altri Paesi più secolarizzati, ma non per questo è giusto parlare di una maggior ingerenza. Bisogna sfatare l'idea che in Italia ci sia una maggior attenzione della Chiesa verso la politica interna rispetto ad altri Paesi. Ciò non è vero".
Dunque, "un'efficacia maggiore" maggiore in Italia c'è ma non è merito o colpa della Chiesa. Ergo, è soltanto il frutto della sottomissione dei politici nostrani.
Un'ammissione implicita così semplice ed evidente non era mai stata lasciata intravedere da un cardinale. Dobbiamo essergliene grati.
Ma appunto perché chi conosce un po' di storie italiane, sa che la Chiesa sa anche usare i buoni uffici dei partiti per arrivare ai suoi scopi, per favore eminenza non si meravigli. Il Vaticano "non deve chiedere mai". Basta che desideri qualcosa e l'ottiene subito.
[Anno III, post n. 29 (406)]

27/01/2008
Il marcio su Roma
Dopo l'immondizia di Napoli, non poteva mancare il marcio su Roma, testimoniato dagli episodi raccolti (in maniera indifferenziata) negli ultimi giorni: dai senatori che sputano ai colleghi di partito, sino ai partiti come quello diniano di soli "tre componenti tre", che si spaccano in altrettante opzioni di voto, per parità rispetto alla Storia: uno si astiene, uno vota a favore e l'ultimo non può che votare contro, guai si dicesse che ha copiato l'idea da uno degli altri due.
Questa sì che è vera politica innovativa, da persone con gli attributi giusti al posto giusto nel momento giusto.
Oggi il marcio su Roma si accresce con la minaccia della marcia su Roma. Milioni di italiani sono lì già con il bagaglio in mano pronti a partire verso la capitale, cingere in stato d'assedio i luoghi del degrado demo-pluto-massonico-prodista, per fare piazza pulita di tutto, eliminare i parassiti, ravvivare la fiamma della democrazia, accendere un cero in San Pietro e prendersi una benedizione del Santo Padre, già che si è lì e che qualcuno ti ha pagato il viaggio, i panini e le bibite al sacco.
Oggi da Riva del Garda l'on. Silvio Berlusconi ha parlato chiaro: "Milioni di italiani si riverserebbero a Roma se non ottenessimo presto di andare al voto".
Poi ha aggiunto: "Se all'interno di questa sinistra c'è qualcuno che vuole dividere con noi certe responsabilità, non saremo certo noi a dire di no".
Se c'è questo qualcuno tra quelli di sinistra, si farà certamente avanti a viso aperto o di nascosto non c'è differenza, tanto poi arriva Veltroni a spiegare tutto con acuta dialettica politica, ed a metterci una pietra sopra, insomma una specie di condono per gli abusi politici.
La prima questione sarà per questo qualcuno tra quelli di sinistra: come andare a Roma, in carrozza letto seguendo l'esempio di Benito Mussolini od in elicottero imitando il Cavaliere? E poi, niente panini e bibite al sacco, ma una suite in un albergo a quattro stelle come minimo. Magari con l'aggiunta di qualche stellina avvezza a far certe cose per lavorare in tivù, secondo la parola del Cavaliere.
Per "dividere certe responsabilità" occorre prima condividere certi confort. E se anche la democrazia ha i suoi costi, perché pagarli di tasca propria dato che qualcuno lo può fare per te?
E poi chi non ti dice che questa volta ad impartire la benedizione sia proprio lui, Silvio da Arcore canonico di rito ambosiano, affiancato dal chierichetto fogliante Giuliano Ferrara?
[Anno III, post n. 28 (405)]

26/01/2008
Sete di Giustizia
Quanto sta avvenendo in questi giorni, con l'inaugurazione dell'anno giudiziario nelle varie sedi (ieri a Roma con il dimissionario premier Romano Prodi ministro ad interim), è il solito rito. In cui si ripetono nel fasto della cerimonia le solite cose di tutti gli anni.
Desta scandalo se negli Uffici del Catasto c'è un'autoregolamentazione di chi vi accede per rendere tutto più tranquillo.
Per vedere una scena inquietante di autoregolamentazione in mezzo ad una confusione da ora della ricreazione nella più inquieta scuola e con i peggiori allievi in campo, andate ad assistere ad un'udienza di un giudice di pace. In un tribunale come in quello dove ho accompagnato l'anno scorso un amico.
Tra queste scene a cui assistiamo ogni giorno, e credo in ogni parte d'Italia, di caos, di inefficienza, di smarrimento del cittadino "non potente" davanti alla Legge (che per qualcuno è sempre più uguale che per tutti gli altri); tra queste scene inquietanti e spaventose, e le cerimonie eleganti, barocche con gli ermellini sulle spalle, i tocchi in testa, e le mazze esposte su cuscini cremisi, c'è di mezzo un Paese smarrito. Quel Paese siamo noi.
Un Paese in cui il ministro della Giustizia si è dimesso contro la stessa Giustizia. Ed in cui il suo sostituto ad interim e dimissionario con tutto il governo è Romano Prodi che ieri ha dovuto parlare al "Palazzaccio" di Roma.
Il suo discorso è stato troppo legato alla contingenza: "Se i magistrati fanno loro mestiere non c’è nessuna supplenza, ma solo esatta applicazione della legge e allora non conta e non può contare il fatto che siano colpiti anche i politici, al pari di ogni altro", ha detto per poi aggiungere: "Se però si verificasse che alcuni magistrati utilizzano gli strumenti dell’investigazione e dell’azione penale fuori dai canoni strettamente previsti dalla legge, magari con l’intenzione di ovviare a veri o presunti difetti del funzionamento del sistema politico e amministrativo o in casi di carenza di controlli o insufficienza dei meccanismi di responsabilità, allora saremmo di fronte a fenomeni ben più gravi, di vera e propria distorsione, per non dire di eversione del tessuto istituzionale".
Il discorso di Prodi non mi è piaciuto. C'era già stato, come fatto negativo, l'applauso parlamentare bipartisan a Mastella a mettere sotto accusa i magistrati. Non sta ai politici (nella fattispecie il presidente del Consiglio) trattare dei rapporti fra loro (parte in causa) ed i magistrati. E Prodi sa bene perché.
Allo stesso modo considero fuori 'tono' il commento del vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, secondo cui non vi erano le condizioni per poter sottoporre agli arresti domiciliari la moglie di Mastella. Non spetta ad un vicepresidente del Scm parlare di ciò con la stampa.
Invece mi è parso esagerato il commento del presidente della Giunta siciliana, che ha detto di essersi dimesso per "umiltà". La parola "dovere" era molto più semplice e realistica.
Ma l'arte della politica è anche quella di usare parole che sembrano sbagliate, mentre sono il giusto ritratto di una classe che non soltanto si sente diversa, ma lo è rispetto ai normali cittadini.
Uno dei fattori maggiori della crisi politica che stiamo attraversando è proprio quello della Giustizia. Prodi pensava ai cinque anni come tempo su cui 'spalmare' anche provvedimenti come il conflitto di interessi. Il governo ha chiuso prima, ed il conflitto d'interessi non è stato toccato.
Ripropongo al proposito quanto Piero Ottone ha scritto il 21 novembre su «Repubblica» nel finale di una "Lettera a Berlusconi": "Pensi solo alla tua persona, al tuo successo, alle tue vendette. […] Confermando così che la tua avventura è stata, per il nostro paese, un immane disastro". Quella stagione sta ritornando. I brindisi che sono stati fatti al Senato dopo la 'caduta' di Prodi non erano dovuti alla sete di Giustizia.
[Anno III, post n. 27 (404)]

25/01/2008
Carnevale romano
Hanno definito una "porcata" la legge elettorale che hanno scritto quando governavano loro. Torneremo al voto con quella stessa legge, con loro che da opposizione diventeranno maggioranza.
Sono scene di ordinaria follia, sono momenti di un eterno carnevale in cui chi comanda permette al popolino di divertirsi, ridere e deridere. Proprio come ai tempi del papa-re e della statua di Pasquino, luogo della licenza verbale e della satira. Tollerate dal potere però, nella Roma ottocentesca, soltanto in quei giorni di baldoria del carnevale.
Ma la Roma repubblicana che festeggia i 60 anni della propria Costituzione, nata non in un dibattito guidato da Bruno Vespa, bensì dalle macerie di una guerra mondiale ed anche civile, questa Roma repubblicana non ha un guizzo d'orgoglio, un colpo di genio, un istante di follia per dire che, signori, dovremmo essere persone serie almeno al Senato, almeno quando la televisione è collegata in diretta. Poi facciano quello che vogliono, i signori senatori, vadano dove vogliono, ma abbiano il senso del ruolo. Per pochi minuti, davanti al Popolo che li ha eletti e grazie al quale (ed alla cui faccia) vivono una vita privilegiata.
La stanca ripetizione della favolette per addormentare la gente, concentrate sul Prodi causa di tutti i mali passati, presenti e futuri della Repubblica, non è degna nemmeno delle persone che ce le offrono.
L'affarismo denunciato a Nord ed a Sud, nelle giunte regionali di destra o di sinistra, le carriere sigillate e garantite ad amici e nemici da tenere buoni, sono episodi che si leggono, anche se raramente, ma si leggono.
Nel calendario politico della crisi, speriamo che presto il carnevale spensierato ceda il passo alla riflessione 'quaresimale' sul futuro comune.
Prodi ha dato il primo esempio positivo, dicendo: "Se si perde in parlamento anche solo per un voto, vuol dire che questo schema ha perso. Farò il nonno".
Nel carnevale romano, nonno Romano è l'unico che non si è messo la maschera. Ed ha salvato come sempre la dignità non soltanto personale, ma delle istituzioni alle quali ha dedicato il suo lavoro. Non è problema, adesso, di elencare i suoi errori di tattica o di strategia. Lui, come quella parte del Paese che è consapevole della realtà presente, è vittima di uno scippo.
Adesso, anche tutto il Pd e il suo segretario Veltroni debbono girare senza maschera. Il primo risultato Walter lo ha ottenuto, con poca fatica e molta collaborazione da parte dell'opposizione, appunto la caduta del governo Prodi.
Il secondo risultato sarà di riconsegnare l'Italia al signore di Arcore. Che dovrà assumere un secondo nome, accanto a Silvio. Quel secondo nome è Lazzaro. Resuscitato pure lui, il Cavaliere: quando le liti in famiglia lo stavano defenestrando. Gran bel colpo, signor sindaco di Roma. Ma questo non è uno scherzo di carnevale.
[Anno III, post n. 26 (403)]

24/01/2008
Stile italiano
Non ci resta che ridere?
Per mail mi arriva questo fresco commento di Claudio Sabelli Fioretti che ripropongo agli amici lettori, sulla divisione sorta nel gruppo diniano (tre senatori tre): "Che esistano i diniani a me pare già una cosa eccezionale, ma che i diniani si dividano in diniani che votano per Prodi e diniani che votano contro Prodi è veramente un mistero glorioso. Ma dobbiamo ancora meravigliarci di qualche cosa in questi giorni? Sono i giorni in cui un ministro cerca di far cadere il suo governo per motivi di famiglia. E dice anche: “Ho dato una lezione di stile”. E dice anche che prendersela con un segretario di partito equivale ad un attentato alla Costituzione. E nel frattempo il senatore Turigliatto, comunista, dice che lo mettono sotto torchio perché è di sinistra e conferma di essere una persona coerente e voterà per far cadere il governo Prodi".
Aggiungo un mio debol parere: più che glorioso, la faccenda dei dianiani dilaniati, è un mistero doloroso.
Tg3 Resta un mistero anche la scena di quel giovane che ieri sera ha interrotto il TG3.
Per non farlo inorgoglire tacciamone il nome, ora e sempre. Ma in un Paese dove tutto dev'essere autorizzato dalli Superiori, com'è possibile che sia lasciato infastidire i giornalisti al lavoro, quel 'signore' che oltre a boccacce e a gesti puerili non sembra aver donato altro alla cultura della Patria?
Non ci resta che ridere. Quel bravo ragazzo, ed i senatori diniani dilaniati sono tutto quello che lo "stile italiano famoso nel mondo" oggi sa offrire al mercato internazionale delle idee.
[Anno III, post n. 25 (402)]

23/01/2008
Chi l'ha vista?
Noi uomini ci crediamo astuti. Cerchiamo sempre di ridurre i fatti entro una formula. Ma non serve a nulla perché la Storia, come la ragione hegeliana, ha le sue astuzie che perfidamente smentiscono i discorsi e le formule in essi contenuti. Se ne è accorto benissimo il presidente Giorgio Napolitano che ha celebrato oggi il sessantesimo anniversario della Costituzione. Ma oggi si è anche scritta una delle pagine meno decenti della storia di uno Stato nato con quella e da quella Costituzione. Con la premessa della crisi di governo.
Di "acuta crisi e incertezza politica" ha parlato Napolitano nel suo messaggio alla cerimonia del sessantesimo, aggiungendo di conoscere "i motivi di inquietudine e di sfiducia che serpeggiano tra i cittadini".
Le leggi non sono osservate, c'è "scarso rispetto delle istituzioni ma anche di scarso senso del limite dei rapporti tra le istituzioni, di indebolimento dello spirito civico e in ciascuno del senso delle proprie responsabilità".
Insomma siamo un Paese allo sfascio, e la diagnosi non viene dall'anti-politica di Beppe Grillo, ma dallo stesso presidente della Repubblica.
Il quale ha concluso esprimendo "allarme per ogni smarrimento dei valori essenziali come quello della tolleranza e della libertà di confronto tra le diverse posizioni di pensiero". (Ha visto ieri sera "Ballarò" con lo scontro violento Pecoraro Scanio-Casini?)
Per la verità, forse quei "valori essenziali" noi in Italia non li abbiamo mai conosciuti e praticati. Né nel dopoguerra né in anni più recenti.
Non credo di fare affermazioni anti-politiche o come si diceva un tempo qualunquistiche, sostenendo che le uniche intese partitiche si sono registrate negli affari, nelle spartizioni dei posti, nelle manovre sottobanco.
E non si dimentichi che proprio la 'confusione' delle ultime settimane (dal caso Bassolino a quello Mastella) nasce proprio in questo contesto, cioè dalla gestione della politica intesa come esercizio di potere e non di servizio.
Purtroppo le parole di Napolitano resteranno un accorato esercizio di nobile retorica politica, mentre tutto attorno rotola in un marasma ridicolo, come dimostra il fatto che Berlusconi ha annunciato il passaggio di Mastella nella Casa dalle libertà, incassando immediatamente la smentita dello stesso Mastella.
La Costituzione è tutto, va bene ricordarla, ma bisognerebbe farla rispettare ed attuare. Chi l'ha vista, in questi giorni? Cercasi disperatamente. Segni particolari, lividi su varie parti del corpo.
[Anno III, post n. 24 (401)]

22/01/2008
Beati loro, Hillary e Obama
Usa Hillary e Obama hanno litigato in diretta tivù. Beati loro, viene da pensare, facendo un confronto con l'Italia dove le "primarie" per il Pd sono state sufficientemente blindate. Un solo esempio. Il 27 settembre scorso ho citato una lettera di PierGiorgio Gawronski che a Genova non aveva trovato un consigliere che vidimasse la sua lista.
Beati loro, anche riflettendo sulla crisi di governo che si annuncia allegramente con le parole di Mastella: "Tra l’amore della mia famiglia e il potere scelgo il primo".
Mastelladue
Siamo sicuri, e ce ne rallegriamo con lui, che non gli mancheranno in futuro né l'amore della famiglia né il potere. Anzi, il suo gesto che sta scuotendo la vita politica nazionale, gli procurerà benemerenze utili alla futura gestione di quel potere a cui mostra di aver rinunciato.
Beati loro, Hillary e Obama perché appunto hanno litigato in diretta tivù, davanti a tutti. Prodi non è riuscito a parlare con Mastella al telefonino. Per cui ha potuto sottolineare che i governi "nascono e cadono in Parlamento e non attraverso le agenzie di stampa".
Beati loro: ma, e noi poveri cittadini che andiamo a votare, e vediamo stracciato l'esito delle nostre scelte, non per eventi politici generali ma soltanto a causa di fatti personali? Alziamo le mani e ci arrendiamo.
L'on. Mastella ha portato alla cosiddetta antipolitica una dose "da cavallo". Il corpo della Repubblica è molto stressato. Il ricostituente non sta in nuove elezioni, in una crisi del sistema fatta balenare all'orizzonte, mentre il quadro economico internazionale è molto, ma molto oscuro.
Il dilemma di Mastella, amore della famiglia o potere, non ha preso in considerazione il senso del dovere verso le istituzioni, verso il Paese che anche lui, seppure con non molti voti, rappresentava ed incarnava in una delle sedi più prestigiose, quella di ministro di Grazia e Giustizia.
Che cosa diranno i posteri di un ministro della Giustizia che si dimette per protestare contro la stessa Giustizia?
E se poi con un nuovo governo, magari guidato da Pier Ferdinando Casini, gli affidassero proprio lo stesso ministero di Grazia e Giustizia?
[Anno III, post n. 23 (400)]

21/01/2008
Un altro Benedetto
Tanto per suggerire l'idea che la Storia ha sempre un suo peso, e che se si parla di Galileo, bisogna pensare ai tempi di Galileo e non al modo per scalzare Prodi. Che occorre non far finta di niente soffermandosi soltanto sull'oggi, sulle polemiche pretestuose, sui discorsi dei politici che sanno tutto di niente e niente di tutto...
Così tanto per rinfrescare la memoria che ci sono stati papi che hanno criticato l'Inquisizione e nessuno li ha mandati all'inferno, anzi i posteri li hanno ascoltati con attenzione (cosa diversa dalla deferenza odierna verso il papa contemporaneo, che è attenzione pelosa come la cosiddetta carità pelosa...).
Tanto per far vedere che la discussione di certi argomenti come l'Inquisizione è un argomento che fa parte della storia ecclesiastica, ecco un piccolo episodio che ha per protagonista Benedetto XIV, il bolognese Prospero Lorenzo Lambertini, papa dal 1740 al 1765.
Papa Lambertini, un tempo noto per una commedia di Alfredo Testoni interpretata nella parte del protagonista da Gino Cervi, nel 1748 riconobbe il "libero commercio", dichiarando come la sua proibizione nel passato fosse stata eseguita dalla Inquisizione «con tale asprezza» da rovinare le «povere» famiglie di «buona parte de’ Possidenti, coloni e contadini».
[Anno III, post n. 22 (399)]

20/01/2008
Tolleranze romane
Il papa ha detto all'Angelus: "Andiamo avanti in questo spirito di fraternità, amore per libertà e verità e impegno comune per una società fraterna e tollerante".
Da cristiano battezzato mi chiedo umilmente: Benedetto XVI si rivolgeva soltanto ai presenti (tra cui molti politici) od era il suo un discorso diretto a tutti ("Urbi ed Orbi")?
Perché se parlava soltanto ai presenti, intervenuti a difendere un papa dichiarato (dai politici plaudenti in piazza San Pietro) vittima di una persecuzione ideologica, allora quelle parole hanno un significato limitato e circoscritto come risposta alla protesta fatta lì strumentalmente, contro qualcuno che lì non c'era.
Come per dire: ci è stato impedito di parlare all'ateneo, ma noi non rispondiamo con le stesse armi perché vogliamo "una società fraterna e tollerante". Noi sì che siamo buoni e bravi.
Se il discorso era rivolto a tutti, presenti ed assenti, alla società nel suo complesso, allora l'impegno comune per una società fraterna e tollerante" va spiegato a quanti, "in partibus fidelium" (e non "infidelium") usano toni poco fraterni e tolleranti, come quel sacerdote che dirige una radio cattolica e che ha definito cornuti diabolicamente i professori "protestanti" della Sapienza.
Resto convinto che nessuno abbia offeso il papa con le critiche sul caso Galileo. Questo aspetto è accantonato da tutti gli interventi vaticani.
Il cardinal Ruini ha detto una cosa grave: "La Chiesa non detta l'agenda ai politici, ma chi lo fa? Sembra che nessuno riesca a dettarla e che l'agenda cambi ogni giorno".
(Su Ruini, si legga Barbara Spinelli nella "Stampa" di oggi: "Ci si racconta la storia di una Chiesa perseguitata, prendendo in prestito il linguaggio dell’esperienza ebraica; si denuncia e si irride la stasi della politica. In questo Ruini ha comportamenti sovversivi che singolarmente lo apparentano alla figura di Berlusconi".)
Il cardinal Bagnasco ha aggiunto con "Repubblica" che l'Italia ha bisogno di serenità, e che occorre evitare che "la polemica continua finisca per far dimenticare i veri problemi della gente". Come per dire: le chiacchiere accademiche sulla scienza non servono e non interessano a nessuno.
A questo punto il dialogo tra Chiesa e Stato è soltanto il caloroso ammiccamento plateale con forze governative ed opposizione. Leggendo che la Lega rivendica le radici cristiane dell'Italia, dopo aver celebrato i riti al dio Po, viene non da ridere ma da piangere. I politici trasversalmente ascoltano il Vaticano, e si fanno dettare da esso l'agenda, per dirla con Ruini.
Ma tutto ciò a chi giova? Nè alla Chiesa né allo Stato. La preziosa eredità di Giovanni Paolo II sta andando in fumo. Sotto il suo pontificato non avremmo avuto una situazione simile. Benedetto XVI, ha scritto oggi Barbara Spinelli, è "un Pontefice che sta mostrandosi incapace di sintesi, di delicatezza istituzionale. Di volta in volta Benedetto XVI aderisce a una corrente o all’altra della gerarchia, senza anticipare proprie soluzioni alte e meno italiane. Un giorno s’infiamma contro il 'degrado' di Roma, e ventiquattr’ore dopo descrive una città accogliente e ben governata".
In un bell'articolo sul "Corriere della Sera", Claudio Magris spiega oggi "Il senso del laico". In cui inserisce anche il "ridere e sorridere anche di ciò che si ama".
In questi giorni nessuno ha riso e sorriso tra i sostenitori politici del papa, in fremente attesa per la prova di forza di stamani. Seri, serissimi, imbronciati, tutti lì a tessere la trama di un'Italia barbarica, ostaggio di pochi ignobili studiosi e di quattro gatti di studenti ignoranti che urlavano al vento. Ma dove si nasconde quest'Italia che loro ci descrivono? Soltanto nelle loro teste.
Una certezza: "Senza Stato laico, che garantisca cattolici e non cattolici, atei e agnostici, avremmo in Europa guerre di religioni, intolleranze, pogrom" (B. Spinelli).
[Anno III, post n. 21 (398)]

19/01/2008
Grande fratello
Il "Grande fratello" n. 8 parte in puro stile veltroniano: si comincia ma senza casa. I concorrenti se la dovranno costruire strada facendo. Sembra un'imitazione del Partito democratico. Oppure Walter Veltroni aveva letto in anticipo il copione della trasmissione di "Canale 5", e lo ha copiato?
Oggi da Orvieto Veltroni ha confermato la sua linea dura di "senza tetto né legge" per le prossime elezioni: "Quale che sia il sistema elettorale, il Pd si presenterà con le liste del Pd". Ovvero nessun altro partitino tra i piedi.
Veltroni ha fatto un discorso dai toni piuttosto duri: "Lo voglio dire con chiarezza, formalità e nettezza, in modo anche da chiudere una porta dietro di me. Per me - ribadisce Veltroni - la condizione assoluta, la certezza inossidabile, è che quale che sia il sistema elettorale, quello che uscirà dalla bozza Bianco o dal referendum, o anche l’attuale legge elettorale, il Pd si presenterà con le liste del Pd". Punto e basta.
Sulla "Stampa" di stamane Fabio Martini ha spiegato la nascita del super-correntone targato "Vaticano" nel Pd: "nel centrosinistra il punto di riferimento" del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, "diventerà la neonata corrente" di cattolici democratici e conservatori, affratellati unicamente dall'obbedienza alle direttive pontificie.
Non credo sia arbitrario collegare l'annuncio di Fabio Martini con la notizia della adunata di domani in piazza San Pietro, per una preghiera di riparazione dopo il "fattaccio" della Sapienza. Anzi va aggiunto che domattina il super-correntone sarà in prima fila davanti al papa.
Ieri sera il cardinal Ruini ha fatto una battuta poco simpatica al Tg1 che suona come totale sfiducia nei confronti del governo Prodi: "La Chiesa non detta l'agenda ai politici, ma chi lo fa? Sembra che nessuno riesca a dettarla e che l'agenda cambi ogni giorno".
Pare quasi che sua eminenza abbia voluto ripagare il professore conterraneo per lo scarso entusiasmo dimostrato dinanzi alle polemiche sul caso-Galileo.
La battuta di Ruini alla fine si dimostra come la confessione d'una amara verità per i laici: la rinuncia 'imposta' al papa per la visita alla Sapienza, è stata una mossa tutta diretta a colpire il governo attuale, in vista di nuove alleanze fra cattolici.
Intanto si sono messi d'accordo quelli del Pd. Domani, si incontreranno in Vaticano i cattolici del Pd con quelli delle varie anime dell'opposizione attuale in fervida attesa di diventare la nuova maggioranza. Sotto lo sguardo vigile di Benedetto XVI e di Ruini, si scambieranno un gesto di pace ed una strizzata d'occhi.
L'agenda elettorale verrà scritta forse domattina tra un Pater, un'Ave ed un Gloria. Prodi dovrà recitare un atto di dolore?
[Anno III, post n. 20 (397)]

18/01/2008
Mi spiace per Milingo
Il gran parlare che si è fatto e si fa in questi ultimi giorni dei tanti gravi problemi che ci affliggono (un testo del card. Ratzinger del 1990, le accuse del ministro della Giustizia dimissionario contro alcuni magistrati con l'annesso ultimatum dell'Udeur, il prossimo referendum sulla legge elettorale, il rinvio a giudizio di Berlusconi per la faccenda della attrici televisive, e per ultima la condanna di Cuffaro), ha messo in ombra Emmanuel Milingo che a Roma ieri ha presentato la sua biografia, "Confessioni di uno scomunicato".
Milingo, con abito prelatizio e crocifisso al collo, ha tuonato, come si può constatare dal filmato dell'evento, contro i preti sposati italiani che "tremano non appena sentono la parola Vaticano e vanno a nascondersi".
Milingo se fosse giunto in altro momento più calmo per la politica italiana, avrebbe conquistato il primo posto nelle televisioni o sui giornali. Invece, nessuno o quasi si è accorto di lui.
Con quanto detto sinora, non difendo Milingo, parlo soltanto di un fatto 'generico' che riguarda la comunicazione di massa, non intendo offendere la castità imposta dalla Chiesa, non cerco di insinuare nulla sul mancato rispetto di quella castità, non voglio osannare Maria Sung consorte di Milingo, né tento di demonizzarla.
Scusate questa lagna. Ma debbo aggiungere che il post su Milingo mi serve soprattutto per dire che se qualcuno non è d'accordo con quello che scrivo, non è obbligato ad offendere.
Può aprire un blog e dire quello che pensa. Ho sempre ospitato tutti i pareri tranne nei casi in cui si superava la decenza. Quando si ricorreva cioè all'offesa come strumento dialettico.
Vorrei sapere perché dopo aver sostenuto che a me piace il caffè amaro, dovrei ammettere che è meglio zuccherato, soltanto perché qualcuno mi scrive dandomi dell'idiota.
Per questo motivo ho introdotto la moderazione dei commenti.
E' ammesso sempre il dialogo, ovviamente tra pensieri diversi. Ma se in risposta a quanto scrivo mi si mandano soltanto prese per i fondelli, allora non sto al gioco al massacro che diverte qualcuno. Garantirò a tutti libertà di espressione, ma nel rispetto della legge e delle regole di buona educazione.
Per tornare al discorso serio. Che ne dite della frase di Milingo sui preti sposati italiani che "tremano non appena sentono la parola Vaticano e vanno a nascondersi"? Perché tremano? Il dibattito è aperto.
Ho un caro amico sacerdote mio coetaneo. Molti anni fa stette male, lo credevano in crisi e lo mandarono agli esercizi spirituali per un mese. Aveva una grave malattia da cui riuscì a guarire mediante un'operazione.
[Anno III, post n. 19 (396)]

17/01/2008
Viva san Tommaso
Ieri sera l'"Osservatore Romano" ha reso noto il discorso preparato dal papa per l'intervento alla Sapienza, al quale ha poi rinunciato.
C'è un punto verso la fine in cui pontefice scrive: "Se però la ragione - sollecita della sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita".
In questo passo Benedetto XVI rivela e condensa tutta la visione pessimistica dell'uomo che gli è propria. San Tommaso scriveva che la ragione ha suoi principi verissimi in quanto infusi da Dio stesso. Per questo, la verità di ragione non può mai venire in contrasto con la verità rivelata.
Non mi permetto di criticare il papa. Prendo atto di come le cose siano cambiate nella stessa Chiesa. E per farlo cito una lettera apparsa oggi su "Repubblica" di Bologna, a firma di padre Benito M. Fusco, in cui leggo che "san Pietro e san Paolo non avrebbero rinunciato ad affrontare l'agorà, il giudizio, una realtà altra che il cuore evangelico conosce bene".
Descrivendo i nostri tempi, padre Fusco dice che essi "si nutrono di conflitti, di disarmonie, di rifiuti, di urla e di povertà", e che sono molto diversi da quelli “vissuti nei decenni scorsi quando i Pastori, le loro parole, i loro gesti e i loro documenti conciliari sollevano stupore ed entusiasmo, silenzi di ammirazione e riflessioni appassionate, dialogo e speranze creative", con l'intento di "indicare esperienze di vita e d'amore ben oltre i confini degli assolutismi, e renderci tutti partecipi di una Storia di fraternità, perché la pienezza dell'uomo è la vera passione dei Dio di Gesù Cristo".
Non mi ha invece convinto per nulla il pregevole articolo di Joaquìn Navarro Valls, apparso su "Repubblica", dove si spiega che è errato parlare di "scienza laica" perché "la scienza è scienza e basta". Giusto e vero, "la scienza è scienza e basta", però non si può sostenere che la sacrosanta autonomia della ricerca c'è da sette secoli.
Finalmente in campo laico qualcuno rivendica la dignità della critica libera, dimostrando che non esiste soltanto quella filo-papalina degli atei-devoti...
Paolo Flores d'Arcais sempre su "Repubblica" ci ha dato un testo esemplare dal punto di vista storico e teorico. Una sola frase: Ratzinger "è di fatto l'onnipresente editorialista dei telegiornali pubblici e privati".
Nelle pagine bolognesi, il prof. Carlo Flamigni precisa: "Invitare nel tempio della scienza, luogo del confronto, chi ragiona per verità rivelata non ha senso, non è utile a nessun dialogo".
Sulla "Stampa" Gavino Angius, ripercorre "i diversi episodi che hanno portato la laicità al centro del dibattito pubblico", e parla del caso Welby, delle coppie di fatto, dei diritti civili, dell'attacco frontale alla 194.
Si può essere o meno d'accordo con Flores d'Arcais, Flamigni ed Angius, ma almeno occorre ammettere che si è trovato qualcuno, nel campo laico, che non si cosparso il capo di cenere perché non hanno fatto parlare il papa. Benedetto XVI non ha voluto parlare, su questo non ci piove. E poi mica sarebbe successo il fattaccio in San Pietro, ma in un palazzo laico, ovvero fuori della mura leonine... Cioè in territorio italiano dove, come spiega Flores d'Arcais, le autorità religiose definiscono assassine le donne che abortiscono: "questo è ignobile e inammissibile".
Considero molto importante la conclusione di Angius: "L’effetto dell’ingerenza della Chiesa nella sfera pubblica è la negazione di libertà. Non credo che continuando così tireremo fuori l’Italia dalle secche, anche culturali, in cui si trova. Ecco, questa per me è la laicità, sinonimo di libertà e dunque rifiuto dell’esistenza di una morale superiore in quanto dei credenti che può dare lezioni ai non credenti in quanto portatori di una morale inferiore. La politica è scelta per il bene di tutti anche per il bene di coloro da cui ci si sente culturalmente distanti".
L'Italia non ha bisogno di nuove guerre di religione, ha già sufficienti rogne da grattarsi. Per questo motivo credo che abbia ragione Angius: "laicità è libertà".
Ma quanti sono i laici che la pensano come lui e non si accodano alle prediche degli atei-devoti? Ai quali suggeriamo di andarsi a leggere san Tommaso (non è per ora all'Indice).
[Anno III, post n. 18 (395)]

16/01/2008
La terza Roma
Giuseppe Mazzini aveva pensato alla "terza Roma", la Roma del popolo dopo quella degli imperatori e dei papi.
Oggi verrebbe da pensare ad un'altra terza Roma: non quella del Quirinale o dei Palazzi apostolici che si fronteggiano dal 1870, ma quella che oscilla fra le opposte sponde del Tevere, un po' in tuta da sub ed un po' in grembiulino, con quel fare equivoco che è una sua specialità.
A chi giova tutto il baccano che si è creato con il caso-Sapienza? Soltanto a chi poi si sbraccia nuotando per pacificare gli animi. Tanti cattolici, si garantisce in libri e giornali, portano il grembiulino.
Ma si dà il caso che alla Sapienza non ci siano state teste calde in azione, soltanto qualche parola in libertà in un Paese che è abituato ad ascoltarne tante. Le dicono i maestri della politica dall'opposizione, e non le possono ripetere gli allievi che stanno in opposizione dialettica con l'opposizione?
Bisogna aver fiducia nel prossimo. Nel marzo 1968, Giuliano Ferrara aveva 17 anni, faceva la seconda liceo: "lo trovi, ovviamente, dove frigge la storia, a Valle Giulia, immortalato durante gli scontri alla facoltà di architettura mentre corre, già paffuto, con un loden borghese, i riccioli al vento e un bastone in mano", ha scritto pochi giorni fa Luca Telese su il Giornale.
E come tutti sanno, Ferrara è cresciuto bene, oggi tiene le omelie ai giovani cattolici, lo amano le gerarchie ecclesiastiche, anche se lui, eterno bastian contrario, si dichiara soltanto un "ateo devoto".
Domenica scorsa Eugenio Scalfari su "Repubblica" riproponeva un brano di Pietro Scoppola (2001) in cui si parla della Chiesa "appiattita sulle logiche dello scambio".
Logiche che sembrano riproporsi in queste giornate, fra critiche del papa a Veltroni, stupore dello stesso pontefice per come esse sono state commentate, problema della Sapienza con il gran rifiuto di ieri.
Sul "Corriere della Sera" di oggi il filosofo Bernard-Hénri Levy critica duramente «il cinismo religioso di Monsieur Sarkozy», come recita il titolo del suo testo. Dove si accusa il presidente del Consiglio francese di aver pronunciato parole che sono un insulto a coloro che pur non essendo cristiani hanno tuttavia fatto la Francia.
All'estero di discute liberamente di queste cose. Da noi succede il finimondo ogni volta che si tratta di parlare di laicità. La cosa strana è che gli stessi laici sembrano quasi vergognarsi della loro condizione, giustificandosi, cercando appigli, amareggiandosi per quello che è successo...
Ma non è successo nulla. La Sapienza non è stata Valle Giulia. Lo stesso Ezio Mauro direttore di "Repubblica" conclude oggi il suo editoriale parlando di una "caricatura dello scontro culturale". Non c'è stato scontro, non c'è stato incontro, ma soltanto critiche ai docenti che avevano sollevato il problema ed ai ragazzi dell'ateneo.
Perché il dibattito sulla scienza, argomento tremendamente serio, debba essere poi considerato una "caricatura dello scontro culturale", non l'ho compreso.
Preciso che non ho fatto il '68, anzi in quei giorni dovevamo difenderci da quelli che come Giuliano Ferrara correvano "con un loden borghese, i riccioli al vento e un bastone in mano". Da quelli che ci chiamavo fascisti perché ci spettava di sorvegliare sull'incolumità delle persone affidateci dallo Stato.
[Anno III, post n. 17 (394)]

15/01/2008
Fuga dal vero
Il papa non andrà alla Sapienza. "A seguito delle ben note vicende", precisa un comunicato ufficiale.
L'"Osservatore romano" di questa sera pubblica un fondo del matematico Giorgio Israel, in cui si legge che "il discorso del 1990 può ben essere considerato, per chi lo legga con un minimo di attenzione, come una difesa della razionalità galileiana contro lo scetticismo e il relativismo della cultura postmoderna".
Qui si cambiano le carte in tavola. Nessuno vieta a lui o vietava al cardinal Ratzinger di sostenere che il caso di Galileo era "poco considerato nel XVII secolo". Tutto ciò non c'entra nulla con l'essenza del caso Galileo stesso.
Ratzinger nel 1990 attribuisce all'Illuminismo l'invenzione del "mito" di Galileo. Basterebbe soffermarsi su questa parola ("mito") per comprendere tutto lo sviluppo logico del discorso del cardinale poi divenuto papa.
Al quale premeva demolire l'Illuminismo, non Galileo. Perché poi lo concia per le feste, Galileo, con una semplice battuta: "Secondo Bloch, il sistema eliocentrico -così come quello geocentrico- si fonda su presupposti indimostrabili". Ovvero tutta la scienza è indimostrabile senza la fede: "Qui ho voluto ricordare un caso sintomatico che evidenzia fino a che punto il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica".
(Questo passo conclusivo nella traduzione è letterariamente arcaico con quell'attinto che significa raggiunto.)
Sono cose diverse completamente "il dubbio della modernità" ed il processo a Galileo del XVII secolo.
Per dimostrare questo "dubbio della modernità", il cardinal Ratzinger porta tre esempi:
1. Da Ernst Bloch ricava: "Il vantaggio del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico non consiste perciò in una maggior corrispondenza alla verità oggettiva, ma soltanto nel fatto che ci offre una maggiore facilità di calcolo". Ovvero potrebbe avere ragione la Bibbia, altro che la scienza moderna.
2. Da P. Feyerabend: la sentenza della Chiesa "contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione".
3. C. F. Von Weizsacker "vede una «via direttissima» che conduce da Galileo alla bomba atomica".
Ratzinger demoliva Galileo fingendo di difenderlo. E poi attribuiva il "dubbio della modernità" non ad un avanzamento del dibattito scientifico che è proprio di una società libera senza Inquisizione, ma al fatto che si rifiutava l'idea di rivoluzione scientifica galileiana. La quale invece è alla base del "dubbio della modernità". La scienza dà sempre una verità relativa, al contrario della religione che la dà assoluta. Una volta per tutte.
Insomma quel discorso del 1990 era una fuga dal vero. Non è "una difesa della razionalità galileiana contro lo scetticismo e il relativismo della cultura postmoderna" come invece sostiene l'"Osservatore romano" di stasera.
[Anno III, post n. 16 (393)]

14/01/2008
Dialogo sopra i minimi sistemi
Galileo Galilei: Suvvia, ma di che vi lagnate? Mi sembrate accorato e sfinito.
Silvio Berlusconi: Ve lo dico come in confessione, ascoltatemi con attenzione. Sono incompreso...
GG: E lo dite a me? Da quattro secoli non mi capiscono, e appena ascoltano il mio nome s'agitano e s'adirano. Quasi rimpiangono di non avermi bruciato vivo come quell'altro... Giordano Bruno.
SB: Avevo detto una semplice cosa ieri, che io ai soldi non ci rinuncio in cambio di una vittoria elettorale, ma tutti mi sono saltati addosso. Per primi gli amici del mio partito, poi gli avversari.
GG: Non mi sembra tutti, per la verità. Qualcuno ha avuto un senso di riguardo verso di voi... Come si chiama, quel bravo giovane che fa pure il sindaco della città dove bruciarono vivo Giordano Bruno...
SB: Ah, sì, quel Veltroni: bravo ragazzo, ma quante cattive compagnie frequenta. Se fosse per lui, tutto sarebbe già a posto. Invece, maledizione, gli altri: tutti estremisti, gente abituata a cattive diete, mangiar bambini in salsa moscovita...
GG: Non so di che parliate, ai miei tempi eran ricette sconosciute. L'arrosto andava di moda, come in Campo de' Fiori per il povero Giordano Bruno. Io me la sono cavata per il rotto della cuffia.
SB: Ma anche di voi si sta parlando oggi in Italia...
GG: So che non mi amano e che non mi capiscono. La cosa più carina che dicono è che facevo gli oroscopi per campare. Avrei voluto vedere loro e voi al mio posto.
SB: Avete ragione, altro che oroscopi io ho dovuto fare, faticare, sudare sette camicie, tra cui quella garibaldina di Bettino Craxi, che se non fosse stato per lui, con il tubo (catodico) che avrei avuto le televisioni libere.
GG: E che tubo è la televisione...
SB: Ah, già voi non sapete. Dico soltanto che quell'uomo, Bettino Craxi, santo sarebbe già, se dipendesse da me. Ma non ci credono che io sono l'unto del Signore. E per quanto vi riguarda...
GG: Per quanto mi riguarda, lo ripeto che da quattro secoli non mi digeriscono, i vostri amici che vi adorano e venerano come un messia... L'ultima barzelletta contro di me l'hanno detta in questi giorni...
SB: Ve la prendete per così poco? In fin dei conti, nel 1990 quel cardinale divenuto papa, ha soltanto ripetuto una frase altrui (*). Cioè che a ragionare bene era stata la Chiesa di Roma, quando vi ha condannato, perché voi eravate uno fuori di testa. O per lo meno con la testa tra le nubi.
GG: Voi non lo sapete, ma la Chiesa di Roma quando condanna usa sempre le frasi altrui per emettere la sentenza, mica le vostre parole. Per me, ha fatto ricorso ad Aristotele...
SB: Aristotele Onassis? Ma che c'entrava?
A quel punto, messer Galileo Galilei preso da sconforto, tentò di sbattere la testa contro il muro.
Ma dove si trova ora non ci sono muri come qui sulla terra, né per la scienza né per la politica.
(*) Nota storica.
Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella citta di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un’affermazione di Paul K. Feyerabend: «All’epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto».
[Anno III, post n. 15 (392)]

13/01/2008

Grazie a tutti i lettori
Il mio blog ha raggiunto quota 100 mila visite, pochi minuti fa.

Un grazie di cuore a chi mi ha letto e legge.
Il primo post è del 19 novembre 2005. Il contatore è partito agli inizi di dicembre 2005.

13/01/2008
Girate di spalle
Il papa celebra la messa girando le spalle ai fedeli, come nel rito preconciliare. Silvio Berlusconi gira le spalle a Walter Veltroni. In un collegamento con la festa azzurra della neve a Roccaraso, il cavaliere ha detto: "Non potremmo trattare con forze politiche che mettessero in atto una decisione criminale come il disegno di legge Gentiloni: non ci sarebbe nessuna possibilità di dialogo con chi agisse in questo modo''.
Insomma oggi domenica 13 rischi di finire in archivio come il giorno delle grandi girate di spalle.
Ed adesso che farà il segretario del Pd? Non ho la palla di cristallo, ma soltanto le ultime notizie d'agenzia. Arturo Parisi ha espresso in maniera inequivocabile il suo pensiero: "Tornare al proporzionale è già enorme. Accettare la resa al conflitto d'interessi è decisamente troppo".
Sappiamo tutti che la politica è l'arte dell'impossibile. E che quindi le cose potrebbero sistemarsi. Tra una smentita di Berlusconi ed un chiarimento di Veltroni.
Berlusconi potrebbe garantire di risolvere lui stesso il conflitto d'interessi una volta salito nuovamente a palazzo Chigi. E Veltroni potrebbe rassicurare alleati e non, citando una frase del leader spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero apparsa oggi sul "Corriere della Sera": "Da quando sto al governo sono diventato più di sinistra".
Il sindaco di Roma cercherebbe in tal modo di convincere i suoi alleati che, per avere un vero governo di sinistra, bisognerebbe approfittare di Berlusconi. Il quale, imitando Zapatero, diventerebbe un poco alla volta "più di sinistra" di quanto non lo sia stato praticamente in passato.
L'asso nella manica di Berlusconi è la promessa di risolvere definitivamente il conflitto d'interessi in quattro e quattr'otto una volta avuto l'incarico di fare il governo, con o senza nuove elezioni. Basterebbe una legge di un solo articolo: "Tra me e qualsiasi altra forma di pensiero politico, esiste un conflitto insormontabile che per il bene delle democrazia rende necessario tenere in nessuna considerazione questa qualsiasi altra forma di pensiero politico".
[Anno III, post n. 13 (390)]

12/01/2008
Fantozzi in casa Veltroni
Coraggio, facciamo finta che tutto sia normale. Un partito si riunisce a porte chiuse. Alle quali bussa un estraneo, addirittura un giornalista. Miracolo: le porte si aprono. E' successo stamani. Alla riunione del Pd, commissione Manifesto dei valori. Ad essere ammesso è stato Giuliano Ferrara.
Immaginiamo la scena un po' fantozziana. Ma il personaggio di Paolo Villaggio non era impersonato dal conduttore televisivo ed ideologo dei teo-con, che sappiamo essere attore consumato e giustamente sfrontato, bensì dal presidente della stessa commissione Manifesto dei valori, Alfredo Reichlin.
Al quale, per il ruolo ricoperto, avremmo per l'occasione attribuito una maschera di cortese ferocia (o se volete soltanto di fermezza) nel respingere l'istanza del 'giornalista' Ferrara.
Ferrara ha giustificato la richiesta appunto in base alla professione svolta. Ovviamente, non poteva dire: vengo a sentire che ne pensate delle mie idee sulla moratoria per l'aborto, tanto prima o poi le dovrete mettere in pratica perché essendo il Tevere molto stretto in questi momenti, non avete scampo...
No, si è giustificato: "Non interverrò, figuriamoci. Io sono qui solo nelle vesti di giornalista".
Immaginiamo che qualcuno gli abbia sussurrato in un orecchio: "Ma figùrati, ascolta e poi facci sapere che cosa ne pensi, anzi ti ringraziamo in anticipo di quello che potrai consigliarci".
Così va il mondo politico della cosiddetta linea di centro-sinistra in Italia: aspetta d'essere imboccata dal consigliere spirituale del capo dell'opposizione.
Verrebbe da ridere ma c'è da piangere. Concordo con quanto ha scritto oggi nel suo blog Pier Luigi Zanata: "E' inammissibile che buona parte dei politici nostrani non ricordino che l'Italia e' uno stato laico, non confessionale".
E pensare che soltanto ieri, Alfredo Reichlin è stato accusato da Piero Ostellino sul "Corriere della Sera" di aver abbozzato, assieme ai suoi collaboratori, un Manifesto dei valori pieno di rimandi a Marx ed a Lenin...
L'apertura delle porte può essere una mossa tattica (diabolicamente comunista) di Alfredo Reichlin verso Ferrara (ed il Vaticano)?
Ostellino ha scritto che il testo dei valori del Pd è "unicamente il frutto di una memoria politicamente ripudiata, ma culturalmente non ancora dimenticata".
Concetto che denuncia il persistere di un amarcord pericoloso nell'anima rivoluzionaria del Pd.
Nella mia personale inesperienza, non so se da oggi Alfredo Reichlin sia da considerare più pericoloso per aver aperto le porte a Ferrara (come potrebbe fare qualcuno suggestionato dalla bella pagina di Ostellino), o se sia da vedere come un eroe che aveva detto "avanti tutta", ma aveva alzato le mani appena Ferrara ha fatto bum bum con la bocca.
Sempre sul "Corriere" di ieri, Filippo Andreatta denunciava all'interno del partito che ha contribuito a far nascere, la presenza di contraddizioni provocate dalle "ambiguità con cui è venuto alla luce il Pd".
Da questa sera, alle contraddizioni elencate da Filippo Andreatta va aggiunta la scena del pellegrinaggio del cronista Ferrara che entra nelle segrete stanze di un partito che non è il suo. Un'altra mela avvelenata, o uno scivolo dolce verso la vittoria garantita dal Vaticano?
[Anno III, post n. 12 (389)]

11/01/2008
Che meraviglia, Walter
E del papa infin la meraviglia... Il comunicato-stampa odierno del Vaticano, è inusuale. Tirato per la giacchetta, qualcuno tra le mura leonine ha convinto Sua Santità che non era il caso di insistere, e che anzi bisognava un poco spiegarsi, dopo la bastonata data ieri a Walter Veltroni nell'udienza ufficiale alle autorità romane (Regione, Provincia, Comune).
Il papa aveva definito "gravissimo" il degrado dell'Urbe, aveva denunciato gli attacchi "minacciosi e insistenti" alla famiglia, aveva parlato di una "drammatica" situazione degli ospedali cattolici.
La bufera scatenatasi tra Campidoglio e Vaticano da ieri sera sino a stamani, ha convinto quel qualcuno a far stilare un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede. In cui si legge testualmente: "Desta meraviglia la strumentalizzazione politica che ha fatto seguito alle parole rivolte dal Santo Padre".
Non si dica che è poco. Nel trasferire ogni responsabilità della polemica sulle spalle di chi ha "strumentalizzato" le parole di Benedetto XVI, il Vaticano cava la castagna dal fuoco con un'eleganza che non può evitare di immaginare l'imbarazzo degli ambienti pontifici.
Dove certamente ci si sarà accorti che non era il caso di lasciar bistrattare il povero Veltroni dopo l'udienza papale. Come tutti sanno, anche all'ombra del cupolone, Veltroni è non soltanto il sindaco della città eterna e capitale del cattolicesimo, ma pure il segretario-ostetrico di un partito che sta nascendo molto male.
Quel comunicato forse farà il gioco di Veltroni nei confronti di Prodi. Così palazzo Chigi diventa un traguardo più vicino per lui.
Certo è che da oggi Veltroni può mettere nel carniere la meraviglia di un papa per quello che hanno compreso gli avversari del sindaco capitolino ascoltando un inequivocabile discorso pontificio.

10/01/2008
Roma degradata, parola di papa
Non sono giorni fortunati per Walter Veltroni. Assediato dalla destra e quasi prigioniero delle avances berlusconiane, quando stamani è entrato in Vaticano per l'udienza pontificia, certo non poteva immaginare una lavata di testa come quella pronunciata "su" di lui da Benedetto XVI.
Il papa ha definito "gravissimo" il degrado dell'Urbe, ha denunciato gli attacchi "minacciosi e insistenti" alla famiglia, ha parlato di una "drammatica" situazione degli ospedali cattolici.
Due piccioni con una fava: Veltroni è stato simbolicamente 'bastonato' quale sindaco di Roma e quale segretario del Pd. Per dirgli che anche in questa seconda funzione, deve stare attento a come si muove nei confronti della Chiesa cattolica.
La giornata era cominciata bene con la svolta di Casini sulla legge elettorale ("Intesa con Forza Italia, Pd e Prc"). Maria Teresa Meli sul "Corriere della Sera" poteva offrire un ottimistico titolo: "E Veltroni rompe l'assedio", anticipando il progetto di consultazione degli aderenti "magari" anche via Internet per garantire un reale pluralismo.
L'idea veltroniana di consultare il popolo 'democratico' via Internet sa molto di quella moda delle chat che oggi furoreggiano per le anime sole, come forse pure lui è nel suo partito. Ma neppure così riuscirà a risolvere i problemi di deficit politico che ogni giorno che passa sottolinea nel Pd.
Stamani Riccardo Barenghi sulla "Stampa" ha scritto un duro editoriale, "L'ammaina bandiera dell'Ulivo": "Il punto, diciamolo con una certa franchezza, è la subalternità ai valori altrui. Come se il centrosinistra italiano non avesse una sua storia, una sua cultura politica, suoi ideali, non avesse fatto lunghe battaglie, peraltro vinte, su questi temi".
È così. In un altro articolo della "Stampa", Andrea Romano affronta il tema della crisi italiana, suggerendo di guardare al modello americano, a quella "esibizione di freschezza politica" che nasce da partiti "che hanno saputo coltivare la cultura del confronto senza alcuna reticenza".
Questa cultura manca oggi, e l'impronta di Veltroni è sul luogo del "delitto". Romano spiega che l'anno passato è stato dominato dall'antipolitica.
Su questa interpretazione dei fatti mi sono sempre permesso e mi permetto pure oggi di dissentire, anche se il mio parere non conta nulla. L'antipolitica è nell'immondizia di Napoli, non nel popolo che protesta civilmente (lasciamo perdere le solite manovre violente, chissà da chi promosse).
Anche Angelo Panebianco invoca l'esempio americano, nel fondo del "Corriere della Sera", per un partito dalla molte anime in 'lotta' fra loro: però, aggiunge, per arrivare a questo risultato, è necessario il contesto istituzionale maggioritario.
Perché dobbiamo guardare sempre fuori di casa? Sembra un'istanza quasi teologica della politica italiana. Negli Usa, non c'è il Vaticano che detta come da noi oggi il calendario politico. Ci sono molte "Chiese", e non so se sia bene o se sia male. Ma ci sono anche molti problemi. La sanità a pagamento, ad esempio.
Quando ci si è avviati verso la nascita del Pd, la grande informazione nazionale ha guardato soltanto a Roma, trascurando i contesti periferici dove si è vista anticipata la trama che ha provocato "L'ammaina bandiera dell'Ulivo". Dico anch'io: guardate agli Usa. Per le primarie democratiche tutti i principali quotidiani hanno i loro inviati che descrivono le piccole realtà americane. Quando anche da noi si cominceranno a descrivere i contesti periferici, si potrà far comprendere alla gente sia che cosa è la democrazia sostanziale, sia come sono manovrati i candidati da forze estranee ai movimenti politici che si propongono al voto.

09/01/2008
Veltroni assediato
Povero Walter Veltroni. Ormai è ostaggio della destra. Assediato. Prima Giuliano Ferrara lo ha spinto a ritornare sulla questione dell'aborto, e ripetere cose che aveva già scritto a "Repubblica" il 5 gennaio: "La 194 è una conquista, ma sì al dialogo".
Poi è arrivato addirittura il Cavaliere. Nell'intervista sul "Corriere della Sera" odierno, Berlusconi offre il solito fuoco d'artificio fra misticismo e retorica che farebbe sorridere in altro contesto, ma adesso fa veramente preoccupare per la salute politica del segretario del Pd.
Berlusconi infatti ripete al "Corriere" quanto detto a Veltroni: "Io sono il tuo Messia, ti libero dall'abbraccio mortale della sinistra, ma se vogliamo fare assieme le riforme prima devi mettere d'accordo i tuoi...".
Fra le punzecchiature di Ferrara e le profferte di abbracci mortali da parte del signore di Arcore, ieri sulla scena è timidamente apparso il senatore Lamberto Dini. A cui è stato attribuito un rinvio ad aprile dell'ultimatum a Prodi, con la cosiddetta "frenata".
Oggi, Dini corregge le "interpretazioni improprie" di cui sarebbe stato vittima il suo pensiero.
Ho il massimo rispetto all'altrui pensiero, soprattutto se per spiegare quello del senatore Dini oggi si sono riuniti in tre, cioè tutti i "Liberaldemocratici" italiani, ma rinuncio a capire. Insomma, essi precisano di chiedere (soltanto?) "risposte chiare da parte della maggioranza".
Noi personalmente la nostra risposta "chiara" per il sen. Dini l'avremmo già, ma non sappiamo se sia di maggioranza o di opposizione. Per cui ci asteniamo dal pronunciarla.
Probabilmente, prima che i tre "Liberaldemocratici" italiani decidano qualcosa, occorrerà attendere che Berlusconi parli come annunciato sul "Corriere" di oggi: "Sto preparando un discorso sulla democrazia, sulla giustizia e la libertà in Italia, lo terrò alla Camera prima della fine del mese. Una denuncia forte su cui dovranno riflettere i nostri concittadini e i nostri rappresentanti in Parlamento".
Il governo Prodi non può cadere per merito di Dini, suvvia. La spallata la vuol dare il Cavaliere. Veltroni stia attento a non ripararsi dietro la porta quando Berlusconi prenderà la rincorsa. Potrebbe travolgerlo, anche senza l'aiuto di Giuliano Ferrara andato intanto in attenta avanscoperta con la questione dell'aborto.

08/01/2008
Ferrara appare al papa
Stupenda la battuta confidata da Giuliano Ferrara a Riccardo Barenghi: non diciamo che ho arruolato il papa. Ovviamente, «semmai è vero il contrario».
Ferrara è un perfetto istrione. Consumato dalla febbre della politica fin dalla prima giovinezza e solleticato continuamente dalle arguzie intellettuali che sa sfoderare per far soffrire i suoi avversari ideologici sino all'ultimo spasimo, egli è il simbolo perfetto dei nostri giorni.
È un personaggio tolemaico, il mondo gira attorno a lui. Senza scomodare la vecchia scienza, basterebbe citare lo slogan di una pubblicità televisiva. Tutto appunto ruota attorno a lui non perché abbia doni soprannaturali: se li possedesse, ovviamente avrebbe giù un bel saio, pellegrinaggi organizzati, e anche l'attribuzione di qualche prodigio.
Il dono di cui si serve Ferrara, è la parola che sa modulare con consumata perizia ed offrire con astuta eleganza.
Abituato alla disciplina dell'intelletto prima che a quella del lavoro di squadra, è un anima bella ed anarchica.
Possiamo soltanto immaginare quanti uomini politici per i quali lui delicatamente il tifo, in questi giorni si siano alterati nei suoi confronti. Non parlano, loro. Tiene la scena soltanto lui.
Interviene il papa? E giù commenti sulla proposta di Ferrara. Che ha parlato prima del pontefice. E quindi ha acquisito grandi meriti al di là del portone di bronzo. Ferrara non è un politico, come quelli che lo hanno coccolato, e che adesso si sentono intimamente amareggiati perché lui ruba loro la scena.
Se un giorno lontano si parlerà di beatificazione di Giuliano Ferrara nelle severe stanze del Vaticano, si potrà annunciare un miracolo che tale non è. Questa sera, Walter Veltroni ha nuovamente trattato del tema dell'aborto, appunto sollecitato dall'intervista di Barenghi a Ferrara. Ricevendo il plauso di quest'ultimo. Veltroni ha dichiarato: "La 194 è una conquista, ma sì al dialogo". Ferrara ha commentato: "Così si inizia bene".
Ma Veltroni su "Repubblica" del 5 gennaio aveva già detto le stesse cose: "Dunque per me la 194 è una legge importante, che va difesa. Ma non mi spaventa una discussione di merito, che tenda a rafforzare gli aspetti di prevenzione, perché l'aborto non è un diritto assoluto, ma è sempre un dramma da contrastare".
Ecco, il problema sta tutto qui. Veltroni contribuisce al monumento vivente di Giuliano Ferrara, senza minimamente rilevare quella situazione che bene ha descritto Gad Lerner su "Repubblica" di stamani: "... colpisce soprattutto una Chiesa italiana talmente debole nella sua ispirazione evangelica da mettersi al traino di un pensiero settario, rinunciando al dialogo fiducioso con l'insieme del mondo laico".
Quando su queste cose si arriva a poter sorridere della battuta di Giuliano Ferrara pensato come traino per il papa (gli è apparso in sogno forse), allora si ha laicamente e religiosamente di che spaventarsi.

07/01/2008
Napoli fortunata
Napoli baciata dalla fortuna, intitola un'agenzia di stampa. Si riferisce alla vincita della Lotteria Italia di ieri sera. Non alla grave emergenza dei rifiuti, ovviamente.
Napoli, ti sono vicino, e non per la vincita alla Lotteria. Lo so: le parole sono inutili.
Ma davanti ad un Calderoli che di Napoli dice che non è in Italia, rovescio il ragionamento (e mi preparo a molte pernacchie che mi saranno riservate), e sostengo che la colpa per Napoli è dell'Italia, non di quella città.
Jervolino01h Non perché poche ore fa il sindaco partenopeo signora Rosa Russo Iervolino abbia dichiarato che il governo era stato informato della gravità della situazione esattamente un anno fa, l'11 gennaio 2007. Non perché io ami o coltivi una visione deformata della realtà, ma perché comprendo le proteste di quella gente che vede crescere le malattie, e pensa alle proprie vite, sperando che ai giochi sporchi ponga fine lo Stato.
Lo Stato è arrivato a Napoli, in quegli angoli, da quella gente. Ed ho visto al TG5 come l'ha trattata. Non c'era bisogno di prendere a manganellate quell'uomo che si era issato nella cabina di guida di un escavatore per fermarlo e sabotare l'operazione di polizia. Lo avevano immobilizzato, non poteva fuggire, perché colpirlo duramente?
Il ministro degli Interni stamani sarebbe dovuto essere presente lì: perché in un Paese democratico, i politici debbono ascoltare la gente. Discutere, verificare le buone ragioni e le intenzioni di chi protesta non per far salire di prezzo un terreno da affittare come discarica, ma per far presente un dato di fatto gravissimo, l'aumento della malattie in quelle zone ormai infettate dalle vecchie discariche.
Quella gente, ripeto, pensa alle proprie vite, sperando che ai giochi sporchi ponga fine lo Stato.
Ma lo Stato che cosa fa? Stamani su "Repubblica" il presidente della Regione, Antonio Bassolino (spiegando che le sue dimissioni non servirebbero a nulla) ha scritto: "Sono riuscito a far costruire, tra mille opposizioni e proteste, i 7 impianti per produrre il Cdr (Combustibile derivato dai rifiuti). Per aprire il cantiere di Acerra ho dovuto fare i conti con ostacoli di ogni tipo e violente contestazioni. C'erano comitati civici, ambientalisti fondamentalisti, vescovi che predicavano contro i rifiuti-demonio, disoccupati organizzati, esponenti del centrodestra e del centrosinistra che si mettevano a capo dei cortei a caccia di consenso".
Forse ha ragione Di Pietro a chiedergli le dimissioni, non se se abbia torto Bassolino nel restare sulla poltrona che occupa. In questo momento è forse un aspetto secondario, più ideale che sostanziale. Mi incuriosisce un particolare di questa lettera di Bassolino: "vescovi che predicavano contro i rifiuti-demonio".
Qualcuno a Napoli è in grado di procurarci la documentazione, un discorso, non per far polemiche, ma soltanto per curiosità. Per capire se si scambia per demonio qualche operazione illecita che andrebbe perseguita penalmente e non avversata con preghiere o processioni.
Il male «arte e fattura diabolica» è una storia vecchia, già raccontata da un catto-illuminista, Alessandro Manzoni.

06/01/2008
Blogger, senza pensarci
Blogger, sempre blogger, perfidamente blogger?
Dagli Usa giunge l'accusa che noi blogger siamo dilettanti che pretendono di dire la loro su argomenti di cui sappiamo poco o nulla (Andrew Keen).
Cito dall'articolo domenicale di Riccardo Chiaberge nella prima pagina del supplemento della cultura: "L'invettiva di Keen è appassionata, ma non convince tutti".
Negli Usa il libro di Keen è stato stroncato da David Harsanyi sulla rivista liberista "Reason": "È vero che Internet sta distruggendo la nostra cultura, o dà solo fastidio agli snob?".
Chiaberge commenta a sua volta parlando di "nuova casta dei blogger" e citando Beppe Grillo ed il suo V-Day nato sul web.
Harsanyi, prosegue Chiaberge, osserva che fra giornali e rete, i due fronti in guerra, "si stanno creando le premesse di una contaminazione reciproca che può far crescere entrambi".
Splendida la classica citazione finale di Chiaberge dal "perfido" Karl Kraus: "Non avere un pensiero e saperlo esprimere, è questo che fa di uno un giornalista".
La massima va bene anche per noi blogger. Anzi, ci fa sentire importanti, data l'autorevolezza della fonte. E constatata la verità in essa contenuta, per quello che riguarda certe firme. Per leggere le quali, dobbiamo anche pagare. Almeno noi blogger siamo gratis. (Parlo da vecchio cronista, che per giornali ha bazzicato quasi cinquant'anni...)
Non c'entra con il nostro argomento, ma ricordiamoci degli "Angeli senza ali".

05/01/2008
Amnesie di Veltroni
E Veltroni ha parlato. La lunga intervista concessa a "Repubblica" di oggi contiene due passi fondamentali che entrano nel vivo delle discussioni degli ultimi giorni.
Chiaro il suo pensiero circa la questione dell'aborto e della laicità dello Stato: "Un valore imprescindibile, per me, è la laicità dello Stato. Questo significa che ci sono conquiste di civiltà che devono essere difese. Una di queste è proprio la 194, che si è dimostrata una legge contro l'aborto, visto che le interruzioni di gravidanza si sono ridotte del 44%. Dunque per me la 194 è una legge importante, che va difesa. Ma non mi spaventa una discussione di merito, che tenda a rafforzare gli aspetti di prevenzione, perché l'aborto non è un diritto assoluto, ma è sempre un dramma da contrastare".
Sul problema elettorale, Veltroni ha articolato il suo pensiero in tre punti.
Ha ammesso che Franceschini parlando del sistema francese, non ha fatto altro che ribadire una posizione dello stesso Veltroni: "Franceschini ha semplicemente riproposto quello che io stesso ho detto più volte".
Poi ha precisato: "Se mi si chiede qual è il sistema che preferisco, io rispondo il sistema francese: doppio turno e sistema presidenziale".
Infine l'aggiunta che "dobbiamo distinguere due fasi diverse. Una prima fase riguarda l'oggi: nelle condizioni attuali, ciò che dobbiamo ottenere è un sistema proporzionale ma bipolare, per evitare il rischio dell'ingovernabilità. Poi c'è una seconda fase, che riguarda il futuro: e dico fin da ora che quando si andrà al voto, mi auguro nel 2011, il Pd si presenterà proponendo agli italiani il maggioritario a doppio turno, con l'elezione diretta del Capo dello Stato".
La novità di questa "elezione diretta del Capo dello Stato" a cui pensa Veltroni, è completamente fuori dalla tradizione italiana. La Costituzione repubblicana è infatti parlamentare e non presidenziale.
A prima vista, la sua proposta sembra più complicare le cose che appianare il cammino della riforma elettorale. Perché si dovrebbe modificare anche la Costituzione (art. 83), non soltanto la legge elettorale.
Circa quest'ultima, stamani il prof. Giovanni Sartori sul "Corriere della Sera" ha firmato un editoriale ("Girandole elettorali") che, richiamandosi al discorso sul modello 'francese' di Dario Franceschini, osserva: non è presidenziale il sistema parigino suggerito, bensì quello americano.
Ed ha avanzato l'ipotesi di un Veltroni che usi Franceschini per sfasciare tutto.
In tal modo Sartori ha già risposto a Veltroni prima di poterlo leggere. Ed è andato giù pesante, parlando di «stupidume politico».
Come ho osservato sopra, occorre «una riscrittura radicale della Costituzione» sfuggita a Franceschini (e quindi anche al Veltroni dell'intervista di oggi).
Stupisce che non ci si renda conto ai massimi livelli del Pd di tutte queste implicazioni di revisione costituzionale, contenute nelle loro proposte.
Una revisione che è lunga e politicamente difficile nel contesto di oggi.
Veltroni sembra ignorare il problema, quando dichiara (come abbiamo visto): "...quando si andrà al voto, mi auguro nel 2011, il Pd si presenterà proponendo agli italiani il maggioritario a doppio turno, con l'elezione diretta del Capo dello Stato".
Eh no, se si vuole modificare la Costituzione bisogna muoversi molto prima di "quando si andrà al voto". Anche per ragioni di opportunità costituzionale, per non dar l'idea che ci si confeziona abiti su misura. Alla Berlusconi.
Questo discorso di Veltroni non è certamente il modo migliore per affrontare il problema dal punto di vista del rispetto e dell'applicazione della stessa Costituzione.
C'è una grande amnesia alla base di quel discorso, l'amnesia della legge fondamentale dello Stato. E ciò lo ha portato a teorizzare le "due fasi" che sono completamente inattuabili perché non tengono conto di ciò che appunto prescrive la Costituzione.
Il progetto veltroniano del "sistema proporzionale ma bipolare", infine, è chiaramente contraddittorio. Infatti, il bipolare si basa sul maggioritario puro e semplice. E il proporzionale non c'entra nulla con il bipolare.
Un "sistema proporzionale ma bipolare" è un'illogicità. Il proporzionale può favorire un 'grande centro' con affluenza di voti da destra e sinistra che manderebbe a farsi benedire il bipolarismo.
E' questo che si vuole? Basta dirlo.

04/01/2008
Il monito di Veronesi
«L'aborto è un dramma la moratoria è peggio», s'intitola un intervento del prof. Umberto Veronesi pubblicato stamani da «Repubblica».
Ho usato la parola «dramma» a proposito dell'aborto nel post del 2 gennaio, «Binetti verso Bondi».
Quindi mi permetto di sottoscrivere la prima parte del discorso dell'illustre scienziato.
Per la seconda concordo in pieno, laddove Veronesi osserva che se «la lotta a un grande male, come l'aborto» è combattuta «con la proibizione, conduce ad un male ancora più grande, che è la clandestinità delle pratiche abortive, a svantaggio dei più poveri e dei più deboli».
Veronesi conclude che bisogna intervenire a livello preventivo, con l'informazione e l'educazione. Insomma c'è il problema del preservativo di cui parlavo nel mio post, e per il quale la Chiesa non vuol sentire parole. Anche se molti sacerdoti, in virtù del cosiddetto male minore, non lo ammettono ma lo permettono ai propri fedeli.
Detto ciò, è utile riportare anche l'opinione del ministro Pierluigi Bersani che, intervistato dal «Corriere della Sera», circa la questione dell'aborto ha dichiarato: «Su un tema del genere, quando avremo allestito un partito che decide, bisognerà dire una parola chiara», e chiedere ai suoi aderenti non la disciplina (di vecchio stampo) ma almeno la coerenza.
Un po' di coerenza per evitare quell'effetto gorgo nel quale il Pd sembra essere trascinato dalla doppia lite (non chiamiamola discussione) sul sistema elettorale e sul tema dell'aborto imposto dalla Chiesa.
Sempre con il quotidiano di via Solferino, il cardinal Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, ha definito «lodevole» la richiesta di moratoria per l'aborto (fatta da Giuliano Ferrara) ed ha «auspicato» che si possa avere una revisione della legge 194.
Che ne pensa il Pd di cui Veltroni è segretario? La mia domanda è inutile. Ma lo è ancora più il silenzio di un partito riformista. Anzi è pericoloso, per una società democratica e libera, in cui i ruoli di ogni attore siano rispettati alla pari da tutti gli altri.

03/01/2008
Zapatere cercansi
Il Pd è vivo e lotta insieme a noi, pardon, e lotta con se stesso.
Dunque non bastava la sen. Paola Binetti a scompaginare il copione di Walter Veltroni. Adesso ci si è messo pure il simpatico scrittore Dario Franceschini (affascina quando tratta di letteratura descrivendo i suoi libri), che del partito è vicepresidente. Ha parlato di modello francese, non si sa se ispirato da Sarkò o da Carla Bruni: «un Parlamento forte e un presidente eletto direttamente».
Dopo di ciò, il diluvio.
Zapatere Una piccola soddisfazione al Pd l'ha data l'on. Stefania Prestigiacomo: in Forza Italia, sul problema dell'aborto c'è sempre stata libertà di coscienza, invece nell'Unione... Aggiungendo che per la questione della legge 194, «soltanto la donna ha il diritto di decidere».
Mentre Franca Rame si dichiara «un’innamorata delusa dalla politica» e sta per mollare il mandato politico, il Pd potrebbe tentare un aggancio anche soltanto temporaneo con la signora Prestigiacomo. Tanto per avere un po' di sostegno almeno morale nelle battaglie laico-riformiste.
E soprattutto per non lasciare che il dialogo Pd-opposizione si limiti ai caffé fra Berlusconi e Veltroni.
Anche qui occorrerebbe introdurre le quota rosa. Un incontro fra il ministro Turco e l'on Prestigiacomo sarebbe una discussione seria con un sicuro e sincero accordo su problemi molto scottanti.
Forse per la prima volta l'on. Prestigiacomo è d'accordo anche con Zapatero che alla gerarchia ecclesiastica del suo Paese ha detto: «Sulla famiglia indietro non si torna», perché «tutti hanno diritto agli stessi diritti, professino o no una fede religiosa».

02/01/2008
Binetti verso Bondi
Ma serve a qualcosa tutto il baccano politico che sta montando in questi giorni, a proposito di sessualità, famiglia, aborto?
Il papa ha detto: «Chi osteggia la famiglia rende fragile la pace della comunità». Benedetto Iddio, questi uomini di Chiesa che non sanno nulla del mondo! Ho tanti amici che hanno attraversato e stanno attraversando esperienze dolorose, sono cattolici praticanti ma con situazioni famigliari disperante o disperanti. Ed allora? Dovrei considerarli causa della «guerra» della società?
Ma il problema non è di oggi. Un mio coetaneo, il più educato cristianamente di tutti noi, il più esemplare socialmente, il più rispettato in certi ambienti ecclesiastici, combinò un pasticcio, come il pudore d'antan descriveva certe cose. La sua ragazza restò incinta, si tenne la sua creatura, lui se ne lavò le mani, non sentendosi all'altezza, dopo aver predicato ai suoi giovani come ci si deve comportare nella vita.
La senatrice Binetti dichiara di essere pronta a votare con l'opposizione. Dalla Bindi a Bondi, ci passa soltanto una vocale di differenza. Ma politicamente credo che sia una minaccia pericolosa per la stabilità del Paese. Ci riempiamo la bocca di inutili discussioni, e torniamo agli spettri del salto del fosso.
L'aborto non è come bere un bicchiere d'acqua fresca. Sempre, comunque e dovunque è un dramma. Ma allora perché la Chiesa non propaganda il preservativo, invece di condannarlo?
Dagli Usa ricevo la consueta "lettera" mensile di Oscar Bartoli. L'ultimo numero contiene un passo del volume "Citizen Berlusconi" scritto da Alexander Stille.
Lo riproduco in parte, dedicandolo a quanti sperano che un ritorno del Cavaliere a Palazzo Chigi possa far miracoli: «Ciò che è emerso progressivamente dopo qualche anno di governo Berlusconi è l'assenza di un vero programma, di forti obiettivi politici, di una reale ideologia che non fosse un generico anticomunismo e un impegno per la libertà economica (o quantomeno per la sua libertà economica). [...] Anche il suo migliore amico Fedele Confalonieri ha ammesso, pur cercando di dirlo nei termini più positivi possibili, che "la verità è che Berlusconi non è un politico. È un utopista. In un altro sistema, potrebbe essere un sovrano illuminato. Ma come politico democratico, beh, è decisamente anomalo." O, come ha scritto Montanelli in toni molto meno elogiativi: "Berlusconi? Non è fascista, non è niente. Pensa di essere un incrocio tra De Gaulle e Churchill, il guaio è che ci crede. [...] È un piccolo Peron sceso in campo per paura e passato dalla disperazione all'ebbrezza"».
La senatrice Binetti pensa onestamente ai suoi problemi di fede. Ma un personaggio pubblico come un senatore qual è lei, deve preoccuparsi anche dei problemi della politica. Appoggiare Bondi non credo che possa significare sperare nella resurrezione di questo «piccolo Peron» dopo la crocifissione di Prodi. Il Vaticano tesse la trama del Grande Centro. I cosiddetti riformisti del Pd ormai sono appiattiti nell'obbedienza veltroniana verso Oltretevere. Neppure questo è un fatto positivo per la sorte della democrazia.

01/01/2008
Il «problema» dell'Italia
Il «problema» a cui il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha accennato ieri sera all'inizio del suo messaggio d'auguri agli italiani, esiste. Eccome.
Queste le sue parole: «il problema sta nel» puntare «sull'innovazione e sul merito, privilegiando fortemente l'istruzione».
Innovazione è una parola facile ed inevitabile. Se l'industria non innova non è competitiva. Non possono far nulla da soli gli individui. Si debbono innovare lo Stato e la società, con i loro meccanismi quasi sempre arcaici e troppo spesso a tutela di ben determinati interessi di gruppi particolari.
L'individuo singolarmente, cioè fuori di ogni casta politica o professionale, può sperare soltanto che si punti sulla valorizzazione del merito.
Merito, caro presidente, è una di quelle parole che passando dal singolare al plurale, sembra quasi cambiare di significato.
Se c'è infatti il «merito» a cui ha fatto riferimento lei ieri sera, ci sono anche quei «meriti» che spesso sono oscuri ed indecifrabili all'apparenza, e si presentano soltanto come la proiezione di protezioni e di appartenenze a gruppi di potere.
Ai giovani va data la speranza (direi se mi permette: va garantita la sicurezza) che per le loro carriere conta unicamente il merito e non servono i meriti derivanti da altrui potere o dall'influenza di qualche gruppo di protezione.
Se seguendo il suo consiglio si rispetterà il merito e non si terrà conto dei meriti, l'Italia potrà fare una rivoluzione copernicana seguendo quell'altro suo suggerimento: «proporre, decidere, operare».
Lei sa bene che tutto ciò non deriva né dalla legge elettorale, né dalla riforma della Costituzione, ma da una forte moralità pubblica. Sulla cui presenza, mi permetto di non essere ottimista.
L'Italia attraversa una crisi che non dipende dagli individui singoli, se la base del vivere sociale, la Giustizia, non funziona a dovere, o per meglio dire sembra funzionare soltanto per gli autori dei reati ma non per le vittime. Che debbono affrontare processi lunghi, lunghissimi, assistere alle beffe della prescrizione, arrendersi davanti ad ostacoli insormontabili.
Il suo discorso, presidente Napolitano, contiene spunti molto importanti. Forse lo stile con cui li ha espressi, è stato troppo elevato, per poter arrivare a tutti come sarebbe necessario.
Mi scusi l'ardire: quando si vivono situazioni particolari come quella presente, viene in mente l'oratoria di Sandro Pertini. Ci faccia un pensierino, e non me ne voglia. Con i migliori auguri a lei ed alla sua famiglia, da un italiano qualsiasi. Ma non «qualunque».

Antonio Montanari


2718/18.02.2018/25.02.2018