Un testo battezzato, Febbraio-Marzo 2007

28 Febbraio 2007
Alla Biblioteca Gambalunga di Rimini è stato ritrovato un codice autografo di Leone Allacci, grande intellettuale del XVII secolo. La scoperta, che ha suscitato la sorpresa e la quasi incredulità degli specialisti, è merito di una giovane laureanda austriaca dell'Università di Bologna, Claudia Sojer.»Questa notizia mi ha provocato una bella curiosità, come sono belle tutte le curiosità legate alla storia ed ai libri.
Il codice non è stato «ritrovato». Esso non era mai andato perduto, come si è letto in qualche quotidiano, semplicemente ora si sa chi è il padre del manoscritto. Cioè chi ne è l'autore.
Senza nulla togliere ai meriti di Claudia Sojer, va precisato che la studiosa Donatella Frioli nel volume "I codici del Cardinale Garampi" (1986), pagina 27, elenca un manoscritto sec. XVI e scrive: "Il Garampi ha in genere apposto di sua mano i titoli delle singole opere, con rinvio all'edizione dell'Allacci, cui si fa esplicito riferimento...".Quindi Garampi aveva già fornito utile notizia per l'identificazione odierna.Sinceramente ad essere chiari, bisognava dire (anzi bisogna scrivere) che la giovane studiosa, sulla scorta delle annotazioni di Giuseppe Garampi e delle pagine di Donatella Frioli, è riuscita a dare sicura paternità al manoscritto della Gambalunga.

Battesimi letterari (contestati)
5 Marzo 2007. Ricevo e pubblico.
Gentilissimo Professor Montanari,
in merito alla Sua nota di commento alla notizia - pubblicata recentemente da alcuni quotidiani - della scoperta di un autografo di Allacci alla Biblioteca Gambalunga, nota che ho letto nel sito http://blog.riviera.rimini.it/antonio_montanari/, credo di doverLe alcune precisazioni, che possano chiarire meglio il significato della scoperta fatta dalla signorina Sojer, della cui tesi di laurea sono relatore, quindi anche responsabile.
1) Il manoscritto in questione della Biblioteca Gambalunga non è mai andato materialmente smarrito; non mi sembra che la notizia di cronaca miri a far intendere questo. Certamente non hanno mai sostenuto nulla del genere né l'autrice della scoperta, né i responsabili della Biblioteca, né chi Le scrive.
2) Era invece andata affatto smarrita, dai tempi di Epifanio Brunelli, la consapevolezza che si trattasse della raccolta autografa, cioè della compilazione di scritti di autori vari così come fu concepita dalla mente e vergata dalla mano di Allacci medesimo.
3) Nessuno, per quanto mi risulta, aveva notato, prima che il dato emergesse dal lavoro di ricerca della mia allieva, che il codice porta inconfondibili prove del fatto che su di esso è stata realizzata l'editio princeps del testo allacciano.
Concludendo, prima della tesi di laurea in questione il mondo degli studiosi credeva che dei "Graeciae orthodoxae tomi duo" di Allacci non sopravvivesse l'autografo. Ora la comunità scientifica, e non solo, ha motivo di rallegrarsi perché tale opinione è confutata: l'autografo di quella grande opera, se non integralmente, almeno in parte si è conservato. Dobbiamo essere grati a chi ce lo ha restituito.
Voglia gradire cordiali saluti.
Chiara Faraggiana di Sarzana
Dr. Phil. Chiara Faraggiana di Sarzana
Professore di Storia della letteratura e filologia bizantina
Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali (DISMEC)
Università di Bologna - sede di Ravenna
Via degli Ariani, 1
I - 48100 Ravenna

Ecco la mia risposta.
Gentile professoressa,
siamo d'accordo, anche se lei contesta il mio testo:
Il codice non è stato «ritrovato». Esso non era mai andato perduto, come si è letto in qualche quotidiano, semplicemente ora si sa chi è il padre del manoscritto. Cioè chi ne è l'autore.
Questo mio testo è a commento di quanto apparso in un quotidiano nazionale («Alla Biblioteca Gambalunga di Rimini è stato ritrovato un codice autografo di Leone Allacci, grande intellettuale del XVII secolo. La scoperta, che ha suscitato la sorpresa e la quasi incredulità degli specialisti, è merito di una giovane laureanda austriaca dell'Università di Bologna, Claudia Sojer.»).
Siccome ho qualche uso di mondo e so ancora intendere e volere, attribuisco al termine «ritrovato» di quell'articolo il senso negativo che avrebbe se fosse vera la notizia, senza nulla togliere ai meriti Suoi e della Sua allieva. Infatti (ripeto) ho scritto che «ora si sa chi è il padre del manoscritto. Cioè chi ne è l'autore». Cioè ho scritto quello che sostiene lei. Quindi dove stia la differenza, sinceramente non lo capisco.
Circa il punto 2) non è altro che nuova conferma della mia affermazione. Poi il punto 3 analizza lo stesso assunto (testo battezzato con il nome dell'autore): ma qui entriamo in un settore che non ho trattato in una semplice notizia di cronaca, e che è rivolto ad un pubblico specialistico.
Ovviamente nella comunicazione giornalistica occorre tener presente questo fatto, che si parla a chi non ha grandi cognizioni su biblioteche e letteratura. Qualcuno parlava di spezzare il pane della sapienza, ma poi si fanno briciole e si sporca la tovaglia. Meglio le briciole o l'incomprensione?
Posso aggiungere che ho ricevuto richieste di chiarimenti che mi hanno spinto a fare il post incriminato.
Comunque rallegramenti a Lei ed alla Sua allieva.
Con l'augurio di buon lavoro, mi creda Suo
Antonio Montanari

Adesso siamo alla seconda puntata.
Mi ha scritto ieri pomeriggio la prof. Chiara Faraggiana:
Gentilissimo Professore,
La ringrazio della cortese replica. Certo, leggendo l'articolo incriminatoa cui Lei fa riferimento, francamente io non vi ho ravvisato il falso.
Se con il verbo "scoprire" si intende, come lecito nella nostra lingua, identificare, o anche individuare le qualità sinora ignorate di qualcuno o di qualcosa, cominciando quindi ad apprezzare ciò che prima non si conosceva, e se con il verbo "ritrovare" si intende riuscire a vedere, scoprire o capire, dopo una ricerca più o meno laboriosa, l'autografo di Allacci è stato davvero ritrovato, è stato davvero scoperto, anzi, io direi dissepolto.
In ogni caso, se ancora vi fossero persone desiderose di chiarimenti sulla questione, le può senz'altro indirizzare a me. Sarà mia premura dissipare dubbi, fraintendimenti, e rispondere a eventuali critiche.
Rinnovo saluti cordiali.
Chiara Faraggiana

Io ho risposto con questa mail, nella speranza che il caso sia chiuso, perché è lampante che la studiosa riminese Donatella Frioli, che aveva citato Allacci tramite Garampi, è stata del tutto dimenticata:
Gentilissima professoressa,
grazie anzitutto della cortese risposta.
Lei (come dicevo ieri) fa un discorso tecnico, alto, lontano dal medio lettore non specialista.
Soltanto mia nonna (che era nata nel 1881) teneva nel comodino della camera da letto un dizionario. Ha mai visto le Iene intervistare i nostri deputati? Non conoscono il senso delle parole più semplici! Dunque non pretenda troppo dal pubblico normale che compera il giornale oggi per metterci domani i resti della cucina.
Ciò che mi ha meravigliato, e lo dico senza alcun timore, è il fatto che non sia stata ricordata la studiosa riminese Donatella Frioli la quale nel volume "I codici del Cardinale Garampi" (1986), pagina 27, aveva elencato un manoscritto sec. XVI aggiungendo: "Il Garampi ha in genere apposto di sua mano i titoli delle singole opere, con rinvio all'edizione dell'Allacci, cui si fa esplicito riferimento...".
Sinceramente, giocare come con raffinata eleganza fa Lei sui significati delle parole, mi sembra un depistaggio (lo dico brutalmente, e non me ne voglia) un depistaggio dal problema centrale. Esiste cioè un libro di Donatella Frioli in cui si dice che il Garampi rinvia all'Allacci. Punto e basta. Nei comunicati ufficiali di questo si parla? Non credo. Nei giornali sarebbe apparsa la citazione.
A prima vista un lettore semplice semplice potrebbe pensare che si tratti di una scoperta dell'acqua calda, altro che il ritrovamento di un testo perduto. Guardi, quel giornale (Avvenire) scriveva papale papale (... è il caso di dire): «Del volume si erano poi perse le tracce fin dal 1792». Suvvia, non allontaniamoci da queste informazioni con il gioco delle interpretazioni delle parole usate.
Cresciuto alla scuola di un italianista come Ezio Raimondi, il sottoscritto ha la sufficiente capacità di comprendere che se si scrive che di un volume si erano perse le tracce dal 1792, allora qualcosa nel sistema comunicativo non ha funzionato. E non per colpa del fruitore della notizia!
A me non "interessa" (nel senso materiale del termine, cioè di volerne ricavare un utile personale) nulla di criticare quell'articolo o il comunicato, e di stare a discuterne qui. A me come riminese e cittadino che si è sempre professionalmente occupato di queste cose, preme che sia chiaro che, prima di Lei e della Sua allieva, di questo 'fatto' si era occupata una degnissima studiosa che tanto ha lavorato a Rimini come la signora Frioli.
Cordialmente, Suo
Antonio Montanari

Antonio Montanari


2575/05.02.2018