Politica. Articoli vari del mese di Settembre 2007, blog de "La Stampa"

30/09/2007
Effetto Bossi
L'effetto Bossi si è manifestato in Silvio Berlusconi a 24 ore dall'assunzione della medicina, ovvero dall'ascolto della predica.
Ieri il capo della Lega aveva gridato: «Ora ci vuole una lotta di liberazione». Oggi il Cavaliere rilancia (al ribasso): scenderemo in piazza per chiedere nuove elezioni. C'è la sua bella differenza, come tra una Ferrari ed un'automobilina a pedali.
Si sa come vanno le cose del mondo, Bossi può tuonare, Berlusconi deve moderare. Ma insomma, parenti serpenti o soltanto inconcludenti, sempre parenti sono, perché stanno nella stessa Casa, anche se gli uomini di Bossi prendono in giro le donne del Cavaliere.
I circoli della libertà della signora MVBrambilla sono ieri diventati il «Circolo della Libertina». Sarà sì una goliardata, ma se l'avesse detto Grillo, al TG2 avrebbero gridato all'attentato come quel comico Beppe Braida che a Zelig faceva la parodia di un altro TG, quello di Rete 4 e di Emilio Fede.
Il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha commentato l'uscita di ieri di Bossi: «Capisco che è un periodo in cui chi la spara più grossa ha i titoli. Ma io non sono per accettare come innocente chi la spara grossa. Può contribuire in modo drammatico a generare odio. Non puoi usare un termine come guerra di liberazione - afferma - primo perché parli di guerra nel tuo Paese e poi perché per noi di guerra di liberazione ce ne è solo una, quella contro i fascisti».
Finiamo sempre a dover fare i conti con la Storia passata. Di quella presente non ci accorgiamo mai. Prendiamo tutto come uno scherzo. Berlusconi ieri ha giustificato Bossi: «Lui usa sempre un linguaggio colorito nelle riunioni, ma poi, nella pratica, ha sempre dimostrato un grande senso di responsabilità».
Traduzione: dice sempre delle gran 'cose', ma poi fa quello che voglio io. Bisogna vedere se sulla seconda parte è d'accordo, e fino a quando, anche l'on. Umberto Bossi.

28/09/2007
Ministri della malavita (nel 1909)
Il 19 scorso il prof. Giovanni Sartori in un fondo del «Corriere della Sera» parlava dei «miasmi di questa imputridita palude che è ormai la Seconda Repubblica». Parole da far sobbalzare sulla sedia, per la violenza insita nel concetto di uno Stato giunto alla sua putrefazione finale.
Ciò che non mi convince mai, sia detto con tutto il rispetto, quando si parla dell'Italia di oggi, è la definizione di «Seconda Repubblica».
Da nessuna parte dove si macina il Diritto (ovvero in Parlamento), si mai è detto che la Prima Repubblica era stata messa in soffitta da una nuova Carta costituzionale e da un nuovo assetto conseguente ad essa.
Pazienza, accettiamo per buona quest'etichetta che proviene da un figura illustre dalla Scienza politica, come spiega sull'«Espresso» uscito oggi Edmondo Berselli, un saggista a tutto campo che si occupa di sport il lunedì mattina alla radio, di televisione e vita dei partiti il venerdì sul settimanale romano, e che negli altri giorni scrive articoli gustosi di varia umanità sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari.
Orbene Berselli sull'«Espresso» di oggi parte da una premessa: «il professor Giovanni Sartori è il maggiore scienziato politico italiano, possiede un prestigio indiscusso, ha un alone di autorità internazionale».
Poi riporta la frase sui «miasmi di questa imputridita palude che è ormai la Seconda Repubblica», per concludere dopo aver riempito tutta la pagina con un non troppo enigmatico: «caro maestro, 'che fare'?».
Tutto finirebbe lì, se non fosse per il «Che fare?», titolo di un'opera di Lenin...
Sul «Corriere della Sera» di oggi, Gian Antonio Stella ripesca un brano di Luigi Einaudi dallo stesso quotidiano di via Solferino, del primo febbraio 1919: «Bisogna licenziare questi padreterni orgogliosi (...) persuasi di avere il dono divino di guidare i popoli nel procacciarsi il pane quotidiano. Troppo a lungo li abbiamo sopportati. I professori ritornino ad insegnare, i consiglieri di Stato ai loro pareri, i militari ai reggimenti e, se passano i limiti d'età, si piglino il meritato riposo».
Conclude Stella: «Era un qualunquista, Luigi Einaudi? Un demagogo? Un populista? Un «giullare della Suburra»? Meglio andarci piano, sempre, con le etichette insultanti. Forse, se i politici «padreterni» di allora lo avessero ascoltato senza fare spallucce, tre anni dopo ci saremmo evitati la Marcia su Roma».
Una sola annotazione. Il gioco delle citazioni è molto più ampio e perverso di quello che si possa immaginare.
Un titolo, e basta: «Il ministro della malavita». Altro articolo, altro giornale, l'«Avanti» del 14 marzo 1909. Altro autore, Gaetano Salvemini. Un solo personaggio attaccato: Giovanni Giolitti.
L'accusa: essersi procurato il suffragio elettorale nel Mezzogiorno usando questure e malavita.
Sono passati 98 anni. Sembra oggi.

27/09/2007
Trucchi dei big
le lettere di «Repubblica» di stamane, appare un messaggio di PierGiorgio Gawronski, candidato alle primarie del Pd, da cui riprendo questo passaggio: «L'esperienza del Pd da dietro le quinte è ancora più deplorevole di quanto non emerga» dall'articolo di Mario Pirani (20.9) a cui egli fa riferimento.
Gawronski parla dell'esperienza fatta a Genova, dove non ha trovato un consigliere che vidimasse la sua lista.
Gawronski accusa di «trucchi mediocri» le «persone direttamente riconducibili ai tre 'big' politici» operanti all'interno del Pd.
Ieri sempre su «Repubblica» un lungo intervento dello storico Massimo L. Salvadori concludeva dicendo: «Questo paese non ha proprio bisogno che si ripeta una crisi di sistema». Il rinvio è a quella del 1919-1922 che Salvadori rievoca, seguendo la scia e la teoria di Eugenio Scalfari.
Personalmente ritengo fuori luogo richiamare la crisi del 1919-1922 perché essa nacque da un contesto politico anche internazionale (prima guerra mondiale, rivoluzione sovietica, ecc.) che è inesistente ai giorni nostri.
Salvadori nel suo pezzo ha fatto un'osservazione importante: il «successo improvviso» di Grillo, «è la misura delle lunghe miserie altrui».
Oggi sempre su «Repubblica» Piero Fassino interviene con i suoi dieci comandamenti («proposte», li chiama) «contro l'antipolitica».
Ho letto soltanto il primo: sopprimere gli enti inutili. Ne sento parlare da mezzo secolo. Per questo motivo sono rimasto choccato e non ho continuato la lettura del suo pezzo. Me ne scuso.
Più stimolante invece Ezio Mauro nel fondo sempre su «Repubblica» che dirige, dove s'interroga circa le cause di questa crisi che viene definita dell'antipolitica. C'è uno smarrimento provocato dal fatto che i cittadini sono stati trasformati da attori in spettatori, resi impotenti da un vuoto in cui predominano tanti fattori negativi tra cui la «lottizzazione di ogni spazio pubblico con l'umiliazione del merito».
Molto interessante la conclusione dell'articolo di Lucia Annunziata sulla «Stampa» di oggi: «Basta che ci si ricordi che la politica non è l'unica responsabile, e che la protesta può diventare uno di quei giochi circensi con cui Nerone teneva buona la plebe».
Avremmo bisogno di veder cambiare i comportamenti di parecchie persone, le stesse che Lucia Annunziata chiama in causa: chi opera illegalmente (lavoro nero), le corporazioni, chi genera le ineguaglianze tramite le stesse corporazioni nelle condizioni di lavoro.
Se «la politica non è l'unica responsabile», non c'è da stare più tranquilli ma da preoccuparsi di più. E credo che i primi a doversene preoccupare dovrebbero essere gli stessi politici. Ma allora torniamo alla domanda classica: è nata prima la crisi della società o quella della politica, ovvero prima c'è l'uovo o c'è la gallina?
L'uovo (si sa) nasce da qualcosa che esiste già, la gallina è invece creata. Il giochetto non è poi tanto scherzoso. Si contrappongono darwinismo e creazionismo.
Se c'è prima la crisi della società, i politici sono salvi. Se la crisi della società è provocata dai politici, allora cambia il discorso. Come scrive Mauro, noi cittadini ci sentiamo defraudati dal ruolo di protagonisti e costretti a quello di silenziosi spettatori.
Silenziosi perché se parliamo ne paghiamo le conseguenze.
Per esperienza personale posso dire che è così. I Neroni ci sono già, sono quelli che impongono il silenzio e nello stesso tempo fanno divertire la plebe e far gli affari ai loro amici.
Sono i politici ad aver provocato la «lottizzazione di ogni spazio pubblico con l'umiliazione del merito». Sarebbe la fine dell'Italia se adesso anche venissero fuori altri Neroni come quelli giustamente temuti da Lucia Annunziata, alludendo a Grillo. Ma per evitare tutto ciò occorre che in breve i politici veri e seri sappiano restituire fiducia alla gente. Non c'è molto tempo.
Fatti come quelli denunciati da Genova da PierGiorgio Gawronski non sono di conforto, perché si constata che il nuovo partito nasce in maniera diversa da come era stato promesso per risanare la politica.

26/09/2007
Fame di buona politica
«Né qualunquismo né antipolitica, c'è domanda di buona politica». Lo ha detto ieri sera Rosi Bindi a «Ballarò», dimostrando ancora una volta di aver compreso il senso del passaggio attuale nella vita politica del nostro Paese.
Lo aveva sostenuto subito dopo l'apparizione di Grillo sulle piazze con i banchetti per la raccolta di firme in quella giornata di protesta contro gli attuali politici che ha raccolto adesioni, (ovviamente) allarmato e persino scandalizzato.
Lo ha ripetuto con una lucidità che avrei apprezzato anche nell'altro concorrente alla corsa per il posto di segretario del futuro Pd, non perché personalmente preferisca Veltroni alla Bindi (o viceversa), ma solamente perché nei momenti capitali delle vicende collettive, più si è lucidi da parte di chi «sta a Roma», e meglio è per tutti.
Se volessimo buttarla sul tono scherzoso, verrebbe da dire che, se delle Botteghe oscure s'è persa traccia nella geografia politica romana, ne sono rimasti forti segni nel sangue del candidato diessino. Al punto che la pasionaria Bindi riesce a dire quello che non dice Veltroni pur non facendo grandi sforzi di tipo teorico, ma soltanto ispirandosi al buon senso di chi ha vissuto in prima persona altri difficili momenti. Quando, come ha spiegato ieri sera, le riunioni democristiane si iniziavano in dieci e si finivano in cinque, perché gli altri nel frattempo erano stati arrestati. Non lo ha detto il comico Crozza all'inizio di trasmissione, ma chi all'epoca era segretaria della Dc veneta.
Il realismo di Rosy Bindi sottolinea sempre più il distacco rispetto al tono da parata hollywoodiana in cui l'attuale sindaco di Roma incarta tutto quanto lo circonda. Il suo ottimismo festaiolo contrasta con le amarezza quotidianamente vissuta dalla gente.
Questo è un tema affrontato dall'editoriale di Luigi La Spina sulla «Stampa» di stamane, significativamente intitolato «La casta e la rabbia».
La Spina sviscera un aspetto fondamentale della questione, sotto il profilo dei rapporti fra Stato e cittadini in una realtà democratica. Tutti pensano a Grillo, nessuno sembra ascoltare la voce di chi si sente minacciato nel presente e nel futuro, in tanti aspetti della vita quotidiana.
«L'urlo di Grillo si confonde, minacciosamente, con quello disperato di tanti giovani e di tanti loro genitori», conclude La Spina: «Peccato che il primo faccia tanto rumore e il secondo si estingua nell'indifferenza di tutti».
Le parole pronunciate dalla signora Bindi ieri sera a tarda ora, quando i giornali andavano in macchina, permettono di aver fiducia che qualche politico sappia sottrarsi a questa indifferenza generale.
Più numerosi saranno questi politici di maggioranza e di opposizione, meglio sarà per il nostro Paese.
Non dimentichiamo però la risposta che il Cavaliere dette a quella figlia di un operaio che lamentava le non allegre condizioni economiche del padre: se guadagna poco, è segno che ha lavorato poco, segua il mio esempio. Il concetto era questo, non giuro sulle parole.
Fatto sta che quando i politici vogliono fare i comici o peggio (a definire rompicoglioni il povero Marco Biagi fu un ministro degli Interni), non è un bel segno. Non occupiamoci soltanto dei comici che vogliono fare i politici. Ma segniamo a dito quei politici che fanno i comici per non segnarli a matita poi sulla scheda elettorale.
Breve postilla con ringraziamento ad Arrigo Levi per la lettera pubblicata sulla «Stampa» di ieri, in ricordo di Giorgio Fattori.
Levi scrive che ogni giornale ha un'anima, «una personalità che misteriosamente si trasmette di generazione in generazione, e di cui sono guardiani, insieme con una proprietà responsabile, non soltanto i direttori, i redattori e i collaboratori, ma, con un giudizio pressoché infallibile, i lettori: che sono e rimangono i veri padroni del giornale».
In questo blog da «lettore», memore della frequentazione della rubrica delle lettere della «Stampa» in cui fui spesso ospitato, esprimo a Levi la gratitudine di chi compera ogni mattina il giornale, e non può offrire altro che un'onesta lettura come premessa indispensabile per dialogare con il giornale stesso. Ora anche sul web.

25/09/2007
Penne in pena
Sandro Viola, su «Repubblica» di oggi esamina «Cosa alimenta l'antipolitica», e conclude che il rigetto del sistema politico e l'uggia divenuta incontenibile nella pubblica opinione, sono anche il frutto del modo in cui è stata «gestita nei nostri mezzi d'informazione» (tivù e giornali) la parte di cronaca che riguarda la politica.
Ovviamente lo spunto iniziale e la conclusione di Viola riprendono e ripropongono il nome di Beppe Grillo. Il quale sta perdendo giorno dopo giorno l'alone del comico «maledetto» (di cui si dice male, e basta) ed assumendo invece un po' l'aureola dell'eretico folle ma (quasi) indispensabile che ha aperto gli occhi a tanta gente... eccetera.
Questa è l'impressione ricavata non dagli spettacoli di Grillo, ma dalle discussioni che ne sono nate, per cui è cominciata una riflessione anche sul modo di fare informazione politica. Il quale è molto simile a quello che Mike Bongiorno ha seguìto nel guidare lo spettacolo di Miss Italia. Spettacolo che non ho visto se non per cinque minuti in due occasioni diverse.
Nella prima, c'era la signora Loretta Goggi che stava litigando con lui. Nella seconda, ieri sera, c'era lui che non riusciva a seguire il copione per presentare i volteggi delle fanciulle in gara, ed accusava lei di aver creato tutto quel «casino». Testuale.
Orbene, anche il 'giovane' Gianni Riotta al TG1 fa un po' come il 'vecchio' Mike. Aveva promesso un rinnovamento nella cronaca politica. Abbiamo atteso invano, è la solita solfa, sia detto con tutto il rispetto. Non basta uno studio rinnovato, occorre dare le notizie non per accontentare i politici ma per informare la gente. Lo dico con tutto l'affetto che un lettore ha verso le Grandi Firme (tipo Riotta) che hanno sempre insegnato qualcosa. Ma la tivù è il mostro che distrugge tutto, tranne i casini di Mike Bongiorno.

23/09/2007
Sotto Veltroni, il papa
Grillocofferati Alcune cose lette od accadute nelle ultime ore.
1.
Il caso di Bologna nato dall'accordo tra il sindaco Cofferati ed An sul tema della sicurezza, fa vacillare la giunta comunale ma spiazza Fini a destra favorendo Storace.
2.
Velletri. Il papa parla: «La vita è in verità sempre una scelta: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male».«È necessaria quindi una decisione fondamentale: la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo nel nostro agire e la logica della condivisione e della solidarietà». Per Benedetto XVI, «la logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra poveri e ricchi, come pure un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo equo, per il bene comune di tutti».
Questo appare dal testo della Stampa.web delle ore 11:28.
Su Televideo Rai delle 13:20 appare questo comunicato:
«Pd, Veltroni: serve un programma chiaro.
Il Pd nasce per evitare che in futuro possa esserci una coalizione che si presenta davanti ai cittadini "senza chiarezza di proposta", perché gli elettori"non capirebbero e non ci seguirebbero". Così Veltroni, sindaco di Roma e candidato alla segreteria del Pd. Quindi rimarca la necessità che il Pd abbia "un programma schiettamente riformista, in grado anche di immaginare valori carichi di radicalità del cambiamento"."Solo così potremo rilanciare l'azione del governo e superare la crisi di rapporto tra l'Unione e il Paese"»
Probabilmente Veltroni si è sentito spiazzato dal papa che ha parlato criticamente del capitalismo, dichiarando necessaria «la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo nel nostro agire e la logica della condivisione e della solidarietà».
Veltroni deve essersi sentito spiazzato a sinistra dal pontefice. Ed allora è andato a rispolverare una sua lettera apparsa su «Repubblica» il 2 settembre 2006. Un anno fa.
L'unica differenza tra il comunicato di oggi e la lettera del 2006, è che la parola radicalità ha perso le virgolette che ne attenuavano la portata, per non fare apparire l'autore del testo troppo estremista. Adesso Veltroni deve recuperare in salita ed invoca la «radicalità del cambiamento».
Deve aver pensato Veltroni: se anche il pontefice dice cose negative sul capitalismo, è ora che mi svegli anch'io...
3.
Articolo di stamani di Barbara Spinelli, sulla «Stampa»: leggetelo e conservatelo.
Già il titolo dice tutto: «Il vero antipolitico? È il Palazzo».
Sotto un diverso profilo tecnico-letterario, prosegue il discorso avviato dalla Jena-Barenghi il 17 scorso. Barenghi sosteneva che ormai la politica deve prendere atto di «un fatto doloroso ma ormai palese: cioè di essere essa stessa l'antipolitica».
Barbara Spinelli scrive che «l'antipolitica nasce prima di Grillo, e non a causa di Mani Pulite ma perché Mani Pulite non è riuscita a eliminare immoralità e cinismi ma li ha anzi dilatati. Il male dell'anti-politica è cominciato con la Lega, per culminare nell'ascesa di Berlusconi e nel patto d'oblio che egli strinse con parte dell'ex-Dc, dell'ex-Psi, dell'ex-Pri (oltre che con la sinistra nella Bicamerale). È un male che ha contaminato parte della stampa e televisione...».
Non voglio fare un riassunto del fondo di Barbara Spinelli, va letto tutto, tuttavia riporto un altro passo per sottolineare il taglio che l'articolo ha ricevuto, ovvero lo studio del contesto in cui il fenomeno Grillo è nato, e la serietà che anche i comici possono indossare in determinati momenti della storia (o della cronaca se si vuol volare più basso...): «La figura del buffone che dice la verità senza esser creduto perché appunto considerato buffone è già nell'Aut-Aut di Kierkegaard. "Accadde, in un teatro, che le quinte presero fuoco. Il Buffone uscì per avvisare il pubblico. Credettero che fosse uno scherzo e applaudirono; egli ripetè l'avviso: la gente esultò ancora di più. Così mi figuro che il mondo perirà fra l'esultanza generale degli spiritosi, che crederanno si tratti di uno scherzo"».
4.
Grillo suggerisce: "Tutti in Comune a controllare cosa fanno i politici".
Io modestamente nel mio piccolo l'ho fatto. Ma non essendo Grillo qualcuno si è adirato bene, come ho già raccontato sotto il titolo di «Liberi di tacere?».
5.
Mia semplice conclusione che non serve altro che a render chiare a me stesso le mie idee...
Il web diventerà sempre più importante, i blog saranno al servizio della politica come i giornali venti o trent'anni fa.
Lo pensa anche Barbara Spinelli: «Né la politica né le televisioni né i giornali hanno il potere di estromettere il nuovo mondo della comunicazione e della denuncia che si chiama blogosfera».
Il fenomeno in Italia è condizionato da tre fattori, aggiunge l'editorialista, tra cui il primo è «la complicità che lega il giornalista classico al politico, e che ha chiuso ambedue in una sorta di recinto inaccessibile: il giornalista parla al politico e per il politico, il politico parla al giornalista di se stesso e per se stesso, e nessuno parla della società, che ha l'impressione di non aver più rappresentanti».
Sarà necessario che i blog siano sempre pià attenti al «local» che al «global».
Avranno 'voglia' gli editori dei blog di accettare questa linea?
Circa il fondo di Eugenio Scalfari su «Repubblica», l'immagine della «prova d'orchestra» (dall'omonimo film di Federico Fellini») con «pifferi e tromboni», è molto bella.
Ma non credo che la condizione attuale sia quella dello sfascio del 1919.
Chiudo per non farla troppo lunga, dopo aver dato una risposta ad un lettore che mi chiede perché abbia scritto: "...il vero antipolitico è lo stesso Prodi che vive a Palazzo Ghigi perché non vogliamo che vi ritorni il Cavaliere».
In breve. Ho scritto «non vogliamo» per allargare la fascia dalla maggioranza attuale a parte di quella precedente.
Berlusconi non lo accettano più come leader né Casini né Fini né Bossi. I primi due aspettano l'occasione propizia e non traumatica per rompere ed andare verso il «grande centro», il terzo va per conto suo, ogni giorno, è incontrollabile.
Il bello sarà quando nel grande centro appariranno altri personaggi come Dini (che ha già in corso le pratiche di separazione da Prodi) e Mastella (che smania di saltare il fosso e non lo nasconde).
6.
Dimenticavo. Leggete Mina di oggi sulla «Stampa». Ormai Grillo, scrive la signora Mazzini, «parla con la voce di milioni di persone che, finalmente, hanno capito le urgenze che riguardano tutti quanti». Per cui «sarà dura metterlo a tacere».

21/09/2007
Cercasi Goggi a palazzo Chigi
È simbolica, molto simbolica la litigata avvenuta ieri sera a Miss Italia fra Loretta Goggi, dimenticata dietro le quinte da Mike Bongiorno che credeva di essere dentro il solito spot con Fiorello e non in diretta tivù con le fanciulle in fiore di Mirigliani.
Simbolica dello stato dello Stato italiano. La gerontocrazia che ha vertigini da orgoglio di primadonna e lascia le vere primedonne leggermente più giovani anche se non più fanciulle in fiore, dietro le quinte a mangiarsi il fegato...
Grande è stata la confusione sul palcoscenico di Miss Italia.
Ma non minore è quella che regna a Roma, dove Prodi è stato salvato da un estremista di destra, Achille Storace, pardon Francesco Storace. Mentre la parte di Mike Bongiorno è stata interpretata dal ministro di Clemenza e Giustizia Clemente Mastella, tanto poco fedele al proprio nome da uscire dall'aula facendo traballare pericolosamente il governo di cui fa parte.
Ecco, a questo punto ci vorrebbe a Palazzo Chigi un caratterino come quello di Loretta Goggi che è stata capace di dire ad inizio di trasmissione:«Me ne vado... grazie a tutti... buona notte».
Invece abbiamo avuto la solita liturgia delle telefonate di chiarimento fra Prodi e Mastella.
Forse il presidente del Consiglio con Mastella ha avuto una di quelle sue sfuriate che gli attribuiscono come risorsa del carattere in apparenza pacioso, e forse ha detto al suo ministro: «Se ti prendo ti faccio una faccia così».
Secondo fonti riservate in attesa di conferma, sembra che Prodi non abbia usato la parola faccia.

20/09/2007
Pd, tutto fa brodo?
Veltroni Stamani su «Repubblica» Mario Pirani ha scritto un editoriale sulla nascita del Partito democratico, che comincia così: «Non prendiamoci in giro. La nascita del Partito democratico non sta maturando attraverso una "fusione calda", malgrado le speranze suscitate e che erano sembrate coagularsi in due momenti: i congressi di scioglimento di Ds-Margherita e la presentazione della candidatura Veltroni. Dopo quei passaggi ci si attendeva un rilancio che aprisse subito le porte del costituendo partito a forze sociali fin qui mortificate, a intelligenze creative fin qui messe ai margini, a spiriti liberi pronti a impegnarsi. La delusione è, per contro, palpabile. Il timore che la perigliosa iniziativa sfuggisse di mano alle due nomenclature di riferimento ha prodotto un macchinario selettivo barocco e antidemocratico. Il suo funzionamento è difficilmente comprensibile, di nessuna attrattiva, dissuasivo nei confronti di ogni desiderio di partecipazione. Lo spezzatino delle liste per circoscrizione, la duplicazione delle medesime (più di una per candidato), la designazione delle candidature ad opera di piccoli gruppi di vertice addetti alla bisogna, il rifiuto di permettere le preferenze, così da controllare e gestire rigidamente l'ordine di ogni lista dei designati, (ricalcando l'aborrita - a parole - legge elettorale vigente): questi gli aspetti salienti del marchingegno messo in piedi».
Nelle parole di Pirani si rispecchia la sensazione che provo leggendo le liste riminesi. Non ditemi che parlo di cose periferiche. Il quadro complessivo del mosaico nazionale risulta dalle singole tessere locali. La mia città è una tessera, ma assieme contribuisce a fornire l'immagine generale, che è quella delineabile con le prime parole di Pirani: «Non prendiamoci in giro».
La lista a sostegno di Walter Veltroni nel collegio Nord è guidata da un assessore del Comune di Rimini, Elisa Marchioni, che l'anno scorso entrando in carica disse: «Non sono mai stata iscritta né vicina ad alcun partito, e più che interrogarmi sul centro-destra o sul centro-sinistra, alla proposta di un impegno in giunta, mi sono chiesta se mi sentivo di tirarmi indietro davanti all'opportunità di operare, da un altro punto di vista rispetto a prima, per le persone e la città».
Orbene, adesso a questo assessore verrebbe da chiedere se si è nel frattempo interrogata «sul centro-destra o sul centro-sinistra», per non definirsi più soltanto votata al bene comune della gente.
Ora si tratta di creare un nuovo partito (di centro-sinistra, se non ho io le visioni), per cui sarebbe opportuno sapere se è divenuta consapevole delle differenze fra destra e sinistra, o se per lei ancora tutto fa brodo.

19/09/2007
Liberi di tacere?
Risposta al commento apparso su Stampa.web al mio «Saluto Romano» di ieri.
Caro Colombari, grazie del commento che condivido in pieno. Con un'aggiunta, se permette, autobiografica.
«Se cominciassimo a denunciare le cose che non vanno alla base», lei osserva giustamente, anche i vertici migliorerebbero.
Io in queste faccende affaccendato in sede pubblicistica, ci sono da una quarantina d'anni.
Ho sempre parlato chiaro e denunciato, e sono sempre stato tenuto ai margini. Ed evitato come un «appestato» con prolungamenti che mi hanno costretto ad adire le vie penali. Un processo è in corso. (Non ne parlo per ora. Per rispetto della magistratura.)
Ecco perché di recente ho aperto un blog con il titolo «Appestato», dove può leggere queste due pagine che ritengo istruttive per metterla al corrente sul mio modus operandi:
http://digilander.libero.it/appestato.am/rimini/personale.html
http://digilander.libero.it/appestato.am/storia/rimini.biblio.malat.html
Per una lettera che ho pubblicata su di un quotidiano locale nello scorso marzo, mi è successo il patatrac di cui parlo nel testo del secondo link sopra indicato:
http://digilander.libero.it/appestato.am/storia/rimini.biblio.malat.html
La lettera era intitolata «Cultura a Rimini: affari tra massoni e bancari».
Può vederla qui:
http://antoniomontanari.over-blog.com/article-5907559.html
Per dirle quanto sono ingenuo, me la sono presa con i massoni, quando avrei potuto da anni avere la loro graziosa protezione, essendo stato il fratello di mia madre un grado 32 (ed ora che è scomparso gli hanno dedicato addirittura una loggia, qui a Rimini).
Siccome mi sono sempre considerato e comportato da uomo libero (cercando di non fare il furbo e di non passare per fesso), ho sempre scritto le cose che non vedevo combaciare con una elementare condizione di giustizia e di correttezza nel funzionamento della cosa pubblica.
Allora lei vede, gentile amico, che non basta denunciare gli errori della pubblica amministrazione. I vertici, scusi l'espressione, se ne sbattono. Anzi cercano l'occasione per vendicarsi.
Un altro breve ricordo, quando collaboravo come capocronaca al settimanale locale della Curia "il Ponte", nella pagina d'attualità che curavo, a proposito dei risultati elettorali comunali (15 anni fa o giù di lì), riportai una brevissima rassegna stampa del martedì successivo al voto (giorno in cui si chiudeva il giornale).
Misi una riga e mezzo anche dall'Unità (secondo cui le sorti della giunta di Rimini si sarebbero decise a Bologna). Successe il finimondo, da parte dei democristiani. Tra i quali avevo un amico che mi riferì: «Per fortuna che tu hai un tuo lavoro fuori dal giornale, altrimenti ti avrebbero rovinato».
Quando sento certi discorsi sulla libertà di stampa, mi vien da sorridere. Non dimentico i particolari, e non li invento. I giornali sono lì. Quella volta risposi sul settimanale alla lettera di protesta con una battuta che divenne famosa in città: «Anche se pubblicassimo soltanto gli orari della Sante Messe, qualcuno troverebbe da ridire sul fuso orario».

18/09/2007
Saluto Romano
TrioIl presidente Romano Prodi ieri sera ospite di Bruno Vespa ha cercato di fare lo spiritoso, ed ha detto una cosa sgradevole: "Non trovo che la società sia meglio" dei politici arraffoni e cialtroni, cambiacasacca e avidi, pavidi, mangia pane a ufo, mediocri.
Le persone che rivestono cariche prestigiose quando parlano di cose serie non possono raccontare barzellette come il Cavaliere o balle come le persone normali al caffè.
Prodi voleva rispondere a Grillo, ha fatto il comico (non allenato) come lui e non ha avuto un'uscita felice.
Ho il sospetto che a qualcuno faccia un favore, il buon Beppe Grillo.
Ha spiazzato Berlusconi che tentava il lancio della Brambilla. Affondata dallo stesso Berlusconi per non dispiacere ai fedeli del partito di Arcore.
Ha spiazzato il vecchio gruppo dirigente dei Ds, con la questione delle banche...
Quello che è stato trattato meglio è stato in fin dei conti Romano Prodi, con l'etichetta dell'Uomo-Valium.
Sai che offesa, qualcuno ladro e qualche altro imbroglione, lui soltanto addormentato...
Il buon Grillo non se ne è accorto, ma il vero antipolitico è lo stesso Prodi che vive a Palazzo Ghigi perché non vogliamo che vi ritorni il Cavaliere.
Insomma la vita a volte fa raggiungere scopi diversi da quelli prefissati.
Alla fine Prodi ne ricava un utile nella cassa elettorale, dove l'acqua non se l'è procurata da solo ma gliela hanno portata gli altri.
E lui ben consapevole di tutto ciò, può porgerci allegramente il suo «saluto Romano» in casa Vespa, con quella battuta che ho riportato all'inizio.
A Prodi rivolgiamo l'invito a non farlo più, altrimenti, come dicevano una volta, sono totò sul sederino.

17/09/2007
Brava Jena
Finalmente si comincia a capire una cosa molto semplice: che la cosiddetta antipolitica è soltanto il frutto di una politica fatta male.
Riccardo Barenghi (appunto la Jena che elogio nel titolo e che tutti i giorni tranne il lunedì azzanna dal suo angolino della terza pagina della Stampa), ha scritto sul suo quotidiano un articolo di fondo intitolato «Politica rovesciata».
La definizione è spiegata nelle ultime righe del pezzo:
«L'antipolitica che da almeno quindici anni serpeggia, e a volte esplode come in questi giorni, non è solo una reazione alla politica. Questo è quel che si vede in superficie e facilmente si registra e commenta. Ma il problema è più grave e più serio: ossia che la politica è ormai diventata il suo contrario. Con i suoi metodi, i suoi privilegi, la sua chiusura nel Palazzo, il suo essere impermeabile a qualsiasi voce cerchi di penetrarla, la sua totale autoreferenzialità, inefficacia, incomprensibilità. Se non si capisce questo, non si capirà mai perché tredici anni fa è arrivato Berlusconi e oggi, dall'altra parte, Grillo. E la politica continuerà a barcamenarsi, cercando risposte difensive e contingenti, dimostrandosi sempre più debole, incapace di affrontare sul serio la sua crisi. A meno che non riesca miracolosamente a fare un'operazione di verità, prendendo atto di un fatto doloroso ma ormai palese: cioè di essere essa stessa l'antipolitica».
Ripeto con Jena: la politica odierna italiana è essa stessa antipolitica. Sono contento della conclusione di Barenghi perché qui sopra, in questo blog da un pezzo sostengo appunto tale tesi, e per dimostrare che non parlo a vanvera, documento tutto.
1. Politica chiusa, dolori aperti (23.12.2006).
A proposito del caso Welby scrivevo:
L'articolo di fondo del Foglio di oggi, che parte dal caso Welby per discutere del ruolo del partito radicale in Italia, è un esempio illuminante non di quell'antipolitica che Giuliano Ferrara rimprovera ai seguaci di Pannella (definiti «l'altra faccia della medaglia di un sistema politico chiuso»), ma di quell'antipolitica a cui lo stesso Ferrara partecipa discutendo dei sacri princìpi della gestione della cosa pubblica...
2. Allarme voto (27.5.2007):
Credo che la cosiddetta «antipolitica» sia soltanto l'espressione non soltanto del diffuso malessere che ormai tutti notano (anche l'algido D'Alema), ma proprio la manifestazione di un progetto politico vero e proprio. Per far contare non i voti delle correnti dei partiti confluenti nel Partito democratico, ma i voti dei singoli cittadini. I quali hanno bisogno di respirare un'aria diversa da quella fumosa e nebbiosa delle segreterie nazionali, regionali, provinciali ed infine di quartiere. E magari di condominio.
I nostri politici di ogni colore si leggano sulla Stampa di ieri il testo di Luca Ricolfi : «Chi fa tutti i giorni il proprio dovere, ma non ha una rete di relazioni che lo sostiene e lo protegge, si accorge sempre più sovente che il gioco è truccato».
E su quella di oggi l'intervento di Barbara Spinelli: «Se è veramente forte, il politico non s'indigna se criticato».
3. Non è antipolitica (31.5.2007):
La doccia fredda mi è venuta da quel passo dell'intervista in cui la prof. Flavia Franzoni, moglie di Romano Prodi, si dichiara «molto preoccupata dall'ondata di antipolitica» diffusa nel Paese. Ondata che si manifesta come «sfiducia nelle istituzioni».
La politica, ha detto la signora deve essere «senso civico». Sono d'accordo. Ma «senso civico» non significa obbedienza cieca ed assoluta alle decisioni che un governo può prendere anche in contrasto con le premesse programmatiche da cui è partito sia nella campagna elettorale sia nella presentazione alle Camere per ottenerne la fiducia.
4. No, tu no (16.6.2007)
Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema non ha voluto sull'aereo di Stato l'inviato della «Stampa».
Con una fava ha preso due piccioni, come suol dirsi. Ha dimostrato di aver la stessa allergia di Berlusconi verso chi informa l'opinione pubblica (la stampa in genere non come testata).
E mi ha confermato nell'opinione che l'antipolitica non è nutrita dal risentimento dei cittadini verso i nostri rappresentati (si fa per dire), ma dalle mosse sbagliate degli stessi politici.
5. Veltroni a Torino (27.6.2007)
Mi ha convinto il punto in cui ha sostenuto che l'antipolitica non nasce dal cittadino che protesta, ma da chi soffia sul fuoco del populismo. E di populismo e di idee vecchie ce ne sono in entrambi gli schieramenti, come Veltroni ha dimostrato in vari passaggi.
6. Malaffari e politica (7.8.2007)
L'«Elzeviro» di Maurizio Viroli (La Stampa, 6.8.2007), intitolato «Antipolitica, la vecchia tentazione», m'ha fatto riaffiorare un ricordo tra il personale e lo storico.
Il fratello di mia madre, per meriti politici conquistati sul campo prima, dopo e durante la seconda guerra mondiale, doveva essere il sindaco della città subito dopo la Liberazione. Disse ai compagni del Pci, nel quale militava: «Burdèl, chi ruba va in galera». Scelsero ovviamente un altro.
7. Politica e «grande pubblico» (4.9.2007)
Ha ragione Enrico Letta nel concludere il suo intervento sulla «Stampa» di oggi che, se alla domanda di «un nuovo modello di partito», non sarà data una «risposta credibile», alla fine «prevarranno, in silenzio, altre logiche». [...]
Per non farla lunga, signor sottosegretario, la invito a leggere un bell'articolo apparso domenica scorsa sul «Sole-24 Ore», a firma di Carlo Carboni, intitolato significativamente: «Antipolitica? No, è critica costruttiva».
8. Rosy Bindi, effetto Grillo (10.9.2007)
Secondo Rosy Bindi, davanti alla convocazione popolare di Grillo, è sbagliato parlare di qualunquismo e demagogia: è un fatto a cui, dice, «dobbiamo dare una risposta».
Aspettiamo quella risposta, convinti come siamo che la protesta che serpeggia oggi in Italia non sia soltanto pura antipolitica. Come invece sembrano essere certi freschi discorsi del senatore Francesco Cossiga, sul quale doverosamente ritorneremo in una prossima puntata.
Chiuse le citazioni a scopo documentario, debbo riconoscere che non ho mantenuto la promessa di scrivere su Francesco Cossiga. Che con la storia dei sassolini tolti dalle scarpe è stato il primo padre dell'antipolitica italiana, addirittura nel secolo scorso... nel 1990, facendo il «picconatore» e dichiarando: «In realtà io non esterno. Io comunico. Io non sono matto. Io faccio il matto. E' diverso. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno».
Ecco questo è il tema da sviluppare. Lo lascio a chi ne sa più di me.

16/09/2007
Laura ride, MVB no
Negli Usa Laura Ingraham con il suo talk show radiofonico è ascoltata da sei milioni di persone che pendono dalle sue labbra per ricevere il vero credo dei conservatori.
L'ha intervistata sul «Sole-24 Ore» di stamani Mario Platero, in occasione dell'uscita del suo libro «Potere al popolo» («Power to the People»).
Segnalo un passo in cui Laura Ingraham critica il governo Bush: «La corruzione politica, morale ha toccato anche il Partito repubblicano e per questo c'è una disaffezione da parte della base conservatrice».
In un'altra nota, Mario Platero ricorda che Laura Ingraham «con il suo umorismo sottile ha massacrato il lobbista Jack Abramov e con lui i quattro deputati e i 17 funzionari al centro di un giro di bustarelle; ha fustigato il senatore Larry Craig, sospettato di adescare gay; ha attaccato quei senatori o deputati repubblicani che vogliono chiudere un occhio sull'immigrazione facile; ha messo in difficoltà il presidente Bush in varie occasioni».
Ho letto i due pezzi di Platero pensando all'Italia. Alla signora MVBrambilla creata dal nulla dal Berlusconi ed ieri «colpita ed affondata» come in una qualsiasi battaglia navale cartacea del tempo che fu, per non infastidire i maschietti del sognato partito delle Libertà. Ed ho pensato pure a Grillo Giuseppe detto Beppe, che da «comico» ha spaventato tutti, raccogliendo dapprima pernacchie dai commentatori, e poi un'attenzione critica che s'avvicina più al discorso scientifico su politica ed antipolitica.
A quale di queste due categorie appartiene Laura Ingraham?
Post scriptum del 17 settembre: vedi gli aggiornamenti nel post di oggi, Brava Jena.

15/09/2007
Prete-poeta senza museruola
Oggi a Rimini arriva il nuovo vescovo. Lo saluta, da un giornale locale, un vecchio sacerdote, letterato e poeta dalla sapienza acquisita anche con il tirocinio della vita, don Aldo Magnani, guardando non tanto al presente-futuro, quanto ad un passato lungo 17 anni del precedente pastore. Il bilancio di questo passato è raccolto in un breve passaggio del lungo commento di don Magnani: il motore che ha condotto sinora la vita ecclesiale cittadina era «asmatico e desueto».
Don Magnani non ha avuto mai troppa simpatia per i vertici della curia ormai pensionati. Il suo parlare franco, credo che non sia stato mai gradito né apprezzato dalle persone a cui s'indirizzava. Tutto ciò fa ovviamente parte del gioco della libera esistenza e di una società democratica.
Purtroppo alla voce aperta di questo sacerdote che «giudica e manda» in spirito un po' evangelico ed un po' romagnolo (ovvero senza troppi peli sulla lingua), spesso si è soprapposta qualche altra voce meno bene intenzionata e meno democratica, confezionando dossier pubblicati in un quotidiano avvezzo a raccogliere lettori con il raccontare retroscena più o meno rispondenti al vero. Le voci di corridoio non sempre sono le più attendibili. Come dimostrano certe appendici giudiziarie.
La faccenda assume un colore particolare se si considera che qualche voce giornalistica non è alimentata dal desiderio più che legittimo di vendita maggiore di copie, ma di vendetta contro Tizio Caio o Sempronio.
Per cui si fabbricano notizie non rispondenti al vero, addirittura si diffamano persone obbligando a penose rettifiche soltanto perché quelle notizie inventate come strumento di diffamazione fanno parte di un gioco politico a cui prendono parte altri uomini di Chiesa, od almeno legati ad importanti strumenti di essa, con il supporto di istituzioni extra-ecclesiastiche significative perché tengono i cordoni della borsa, elargiscono sovvenzioni, garantiscono protezioni.
Per cui anche chi scrive lettere (fintamente) anonime a qualche voce giornalistica trova ascolto perché ha la protezione del mondo curiale e il salvacondotto di chi paga pubblicità obbligando ad ospitare certe cosucce oscene, appunto le pagine diffamatorie di cui sopra. Come all'epoca dei «bravi» di don Rodrigo (che qualche intellettuale mio concittadino potrebbe ritenere essere un ecclesiastico..., e quindi da ossequiare e rispettare).
Il nuovo vescovo tutte queste cose non le sa. Gli auguriamo di interrogarsi perché quel suo vecchio sacerdote-poeta oggi ha scritto del motore «asmatico e desueto».
Aggiungerei, alla luce della mia esperienza, che si tratta anche di un motore truccato dalla interferenze politiche (da parte della politica e sulla politica) e da quelle certe azioni moralmente riprovevoli che ho ricordato, come le diffamazioni compiute da persone che si ritengono in grado di poterle compiere soltanto perché garantite e protette da personaggi curiali e dai loro finanziatori presenti in ogni occasione ecclesiale con una immodestia anticristiana, e con una spocchia mondana che li rende ridicoli a tutti, compresi quelli che li venerano soltanto perché alla fine allargano i cordoni della borsa.
Rimini, città più di vipere che di vip, luogo che ha sempre avuto una dimensione onirica come in certe scene felliniane, è pure questo scandaloso baratto fra chi svende una forte missione e chi accetta di farsi strumento di personali ricatti. È un mondo di incesti fra denaro e politica, dal quale non stanno lontani neppure quelli che dovrebbero evitarlo, dando a Cesare quello che è di Cesare, ma riservando a Dio quello che è di Dio.
Monsignor Francesco Lambiasi avrà un compito difficile. Dovrà indossare la tuta del meccanico per riparare quello che il suo vecchio prete-poeta chiama il motore «asmatico e desueto». E dovrà ricordarsi del vecchio modo di dire: «Dagli amici mi guardi Iddio, ché dai nemici mi guardo io».

14/09/2007
Governo vivo e vegeto
Il Papa ha detto: "Lo stato vegetativo è vita".
Romano Prodi ha pensato: "Allora sono salvo".

12/09/2007
Tito Boeri, i blog nel futuro
«Il blog non è forse lo strumento più consono per svolgere la funzione vera della politica, che è quella di mediare fra interessi diversi e trovare una sintesi. Più probabile che Internet continui ad essere uno strumento di informazione e di denuncia. È una funzione comunque molto importante. Speriamo lo sia sempre di più sui temi della finanza, [...] È probabile che saranno ancora i siti a dover svolgere questo ruolo in futuro. Almeno sin quando avremo una carta stampata condizionata dai cosiddetti "grandi gruppi economici"».
Tito Boeri, «Grillo, blog e politica», La Stampa di oggi 12 settembre 2007.

11/09/2007
Squizzati
Il quiz chiese allo studente:
ma tu sei cosciente
che io non servo a niente?
Lo studente incosciente
gli rispose da sapiente
che, filosoficamente,
lui non sapeva niente.
Bocciato immantinente:
il niente con niente
non combina niente.
Intanto si fregava le mani
chi dall'oggi al domani
grazie ai brogli combinati
i soldini avea incassati.

10/09/2007
Rosy Bindi, effetto Grillo
L'iniziativa di Beppe Grillo, di mobilitare controcorrente i suoi «lettori» (e speriamo che lui non cerchi di trasformarli in suoi «elettori»), ha due effetti che vanno registrati con obiettività.
Cominciamo dal secondo, l'effetto web: il tutto è nato da un blog e dai suoi fratelli. Leggiamo, e mi sembra aver ragione chi lo ha scritto, che è il trionfo dell'Internet 2007, il «web 2,0».
Primo aspetto, non meno o non più politico dell'altro: la reazione di Rosy Bindi che non ha stracciato le vesti a Grillo ed inveito contro l'ex comico genovese, ma ha pacatamente fatto "autocoscienza" del gruppo a cui appartiene, il mondo della politica.
Secondo Rosy Bindi, davanti alla convocazione popolare di Grillo, è sbagliato parlare di qualunquismo e demagogia: è un fatto a cui, dice, «dobbiamo dare una risposta».
Aspettiamo quella risposta, convinti come siamo che la protesta che serpeggia oggi in Italia non sia soltanto pura antipolitica. Come invece sembrano essere certi freschi discorsi del senatore Francesco Cossiga, sul quale doverosamente ritorneremo in una prossima puntata.
Per il momento, confermando la nostra fiducia nel libero arbitrio, sorridiamo davanti alle affermazioni di uno scienziato che vorrebbe le differenze nelle scelte politiche dettate soltanto da «differenze specifiche a livello neurologico», ovvero si nascerebbe conservatori o liberali. La nostra volontà e la nostra storia personale non c'entrerebbero per niente.
Non abbiamo nessuna autorità in materia, quindi non possiamo far altro che dissentire 'a naso', ovvero senza entrare nel merito di queste «differenze specifiche a livello neurologico».
Ci permettiamo soltanto di porre un problema: ed i voltagabbana da che cosa possono essere giustificati «a livello neurologico»?
ULTIM'ORA. Bertinotti difende Grillo: «Grillo riempie i vuoti della politica».

06/09/2007
Sabani come Tortora
Il Tg5 di ieri ci ha mostrato una vecchia scenetta con Gigi Sabani ed Enzo Tortora. Immagine simbolo di certa Italia, quella delle vittime innocenti di errori giudiziari ma soprattutto della perfidia di certe persone (o della natura umana?).
Sono vicende, quelle da loro vissute, che lasciano il segno, che distruggono dentro mentre il solito circo dell'informazione va avanti.
Enzo Tortora fu un grande giornalista. Gigi Sabati un ottimo artista.
Davano fastidio, li hanno triturati. Non sono ipotesi, è la vera vita vissuta, quegli accadimenti non sono fantasie.

05/09/2007
Ministro, non si illuda
Fioroni Ogni ministro della Pubblica istruzione ha diritto di passare alla Storia con dichiarazioni memorabili.
Nel 1969 il mitico Misasi compose la circolare 01 per spiegare in quindici righe quindici dattiloscritte, classico formato a4, che i ragazzi dovevano scrivere periodi brevi nei temi.
L'on. Fioroni non sa che la pletorica legislazione scolastica sui docenti (compreso il Codice civile e quello penale), basta ed avanza per colpire fannulloni ed imbroglioni. Annuncia provvedimenti per ridurre il tempo massimo entro cui pronunciare le sanzioni a 120 giorni. Ma non sa che poi ci saranno ricorsi, esposti, denunce, tutto sarà sospeso e nulla cambierà. Non si illuda signor ministro, siamo costretti a vivere fra tanti Azzeccagarbugli che devono pur rimediare la pagnotta...
Il problema sta nel manico. I presidi non hanno voglia di compromettersi. Si barcamenano. Ricorda certe cronache? Il nuovo titolo di dirigenti scolastici si adatta bene al loro stare in mezzo alla vita scolastica, fingendo di non vedere quello che scorgono benissimo.
Quante storie avrei da raccontare. Un solo preside per me fu all'altezza del compito, si chiamava Giorgio Magnani ed era di Bologna. Lo ricordo come galantuomo coraggioso e rispettoso della Legge. In tempi oltretutto tempestosi (1969).

04/09/2007
Politica e «grande pubblico»
Ha ragione Enrico Letta nel concludere il suo intervento sulla «Stampa» di oggi che, se alla domanda di «un nuovo modello di partito», non sarà data una «risposta credibile», alla fine «prevarranno, in silenzio, altre logiche».
È un enunciato che meriterebbe da parte dello stesso Letta un nuovo intervento, affinché quelle parole non restino la brillante chiusa di un articolo onesto intellettualmente, ma forse troppo ricco di spunti.
Letta parla dell'isolamento avvertito rispetto alla sua «voglia di discutere della forma-partito del Pd».
Questo è il punto centrale del discorso. Non credo che sia del tutto vero che noi, «grande pubblico», ci interessiamo soltanto «a questioni con ricadute dirette» sulla nostra «quotidianità».
Mi scusi, signor sottosegretario. Faccio un esempio: quando debbo scegliere per chi votare, vado a leggere anzitutto il programma che riguarda la sanità. Settore costoso, dove gli oneri insostenibili vengono scaricati sullo Stato, ed il piccolo cabotaggio che fa guadagnare bene il settore privato può essere più o meno favorito (a scapito del servizio pubblico) dal governo centrale o dalle amministrazioni regionali.
Semplice, o no? La mia scelta non è un egoistico richiamo alla «quotidianità» personale, ma alla vita collettiva.
Lei non può credere che il «grande pubblico» non sia consapevole di questi problemi. D'altro canto è la stessa politica che è fatta di questi problemi, per sua natura funzione e finalità.
Per non farla lunga, signor sottosegretario, la invito a leggere un bell'articolo apparso domenica scorsa sul «Sole-24 Ore», a firma di Carlo Carboni, intitolato significativamente: «Antipolitica? No, è critica costruttiva».
Avrei voluto dedicare a questo pezzo il mio post per intero, ma poi stamani ho letto il suo intervento, ed ho cambiato programma.
Carboni distingue tra i cittadini che io chiamo 'silenti', legati ad una «condotta inerziale e consensuale-clientelare della politica», da quelli che offrono una critica costruttiva e che sono scambiati per sostenitori e propagatori dell'antipolitica.
E che come tali, aggiungo io, sono additati al pubblico ludibrio. Perché? Lo spiega Carboni: questi cittadini che offrono una critica costruttiva, la indirizzano «a una classe politica che sacrifica l'interesse collettivo a favore dei suoi fini autoreferenziali».
Quindi il «silenzio» temuto da Letta non c'è.
C'è invece questa nostra partecipazione di cittadini fuori degli schemi consueti dei partiti, attraverso lettere ai giornali od articoli nei blog. Partecipazione che però i politici, come spiega Carboni, considerano una pericolosa forma di sovversione, appunto l'antipolitica.

02/09/2007
Montanelli, il bugiardo
Bugie a fin di bene, insomma, quelle di Indro Montanelli, spacciate come verità e dette soltanto con un nobile scopo: salvare l'Italia e quella sua certa idea di politica che non piaceva agli altri.
Questo è in pillole il commento che Mario Cervi collega, amico ed allievo di Indro Montanelli lancia su "il Giornale" di oggi, per rispondere ad un articolo apparso sull'ultimo numero de "l'Espresso" in cui si dà conto di un prossimo volume di Renata Broggini, nel quale l'autrice smaschera come non vere alcune vicende personali presentate da Montanelli quali invece rispondenti a fatti realmente accaduti.
Ecco cosa scrive Cervi di Montanelli: «Voleva che la storia risultasse più giornalistica, voleva accentuare la sua presenza di testimone dei maggiori eventi. Non era a Milano nei giorni della Liberazione e non poteva perciò aver visto i corpi appesi di piazzale Loreto. Ma il racconto montanelliano, così come i suoi ritratti, resta genuino, autentico, impeccabile nelle linee generali, che sono quelle che contano».
Alcuni punti del libro di Renata Broggini erano stati anticipati in un volume apparso da Einaudi nel marzo 2006, «Lo stregone» di Sandro Gerbi e Raffaele Liucci. A pagina 219 si legge ad esempio che la Broggini ha accertato come Montanelli non fosse presente in piazzale Loreto il 29 aprile 1945.
Nello «Stregone», volume di quasi 400 pagine, gli autori hanno smentito numerose altre cronache montanelliane. Il lavoro di Gerbi e Liucci è prezioso per comprendere pure i contesti in cui il giornalista-mito di Fucecchio lavorò ed agì.
Sono quelli di una storia complessa e difficile. Il che non significa che poi, superati i momenti in cui la regola prima è quella di salvare la pelle, non si debba fare un serio ed onesto esame di quei momenti e di quei fatti, almeno per togliere l'effetto dell'imbarazzo ai posteri.
Uno arguto come Montanelli deve averci pensato, di non lasciarsi 'fregare' dai posteri. Però, se lo ha fatto, non ne ha ricavato le sue debite conseguenze.
Spirito controcorrente, 'maledetto toscano' a tutto tondo, non merita però la giustificazione di Cervi. Non serve a nulla tirar fuori la ragion di Stato della politica anticomunista, per spiegare le cose non dette o dette a rovescio.
Montanelli sapeva bene che in Italia i comunisti non potevano prendere il potere, perché Mosca non voleva. Tutto il resto è una pantomima più legata all'attualità (elettorale) che alla storia.
Anche Veltroni sa che, quando dice che il 'suo' nuovo partito non odia i ricchi, non fa altro che ripetere la vecchia vulgata emiliana secondo cui il comunismo in Italia era il capitalismo gestito dai «rossi».
Tutto il resto appartiene ai drammi personali. Compreso quello della moglie di Montanelli per cui Filippo Sacchi, celebre critico cinematografico, accusò il collega di «imprudenza».
O quello di un industriale coinvolto indirettamente nella vicenda della moglie di Montanelli, ma poi ucciso nel 1944.
Non possiamo sapere quanto peso nella storia segreta di Montanelli queste cose abbiano avuto, ma non dobbiamo neanche sottostare alla giustificazione addotta da Mario Cervi: «Voleva che la storia risultasse più giornalistica».
Quante storie macina la Storia. Montanelli ci potrebbe spiegare che macina anche quelle fasulle, e che se non lo sappiamo siamo degli idioti. Anzi dei bischeri.

Antonio Montanari


2602/09.02.2018