Politica. Articoli vari del mese di Febbraio 2007, blog de "La Stampa"

25/02/2007/
Sanremo è nato a Rimini
Il primo festival della canzone di tenne nella mia città, Rimini (1936-37).
Nel '36 il cronista del "Corriere Padano" (che non aveva ancora ascoltato l'esecuzione dei motivi, ma parlava per sentito dire), si soffermava sulla fragilità di certi versi non sufficientemente fascisti in apparenza: "Vorrei toccare le tue coscette fresche...".
Altre notizie si leggono qui:
Marina Centro. Il turismo riminese (1930-1959) e mio padre Valfredo Montanari.

24/02/2007/
Dico Binetti
Paola Binetti è stata intervistata sulla Stampa di stamani, 24 febbraio 2007.
Ho la cattiva abitudine di leggere soltanto le risposte, nelle interviste.
Per cui ho compreso che la Binetti ha ringraziato il Padreterno perché è caduto il governo Prodi. Che lei e i suoi colleghi di partito lo hanno aiutato soltanto, lui gli ha detto lavorate e loro hanno lavorato. Che non hanno ricevuto nessuna telefonata da lui. Che invece la Binetti si è sentita con lui.
A questo punto ho dovuto leggere anche le domande.
Chi ha detto di lavorare non è stato il Padreterno, ma Rutelli.
Chi non ha telefonato è stato il cardinal Ruini.
Quello con cui si è sentita la Binetti, è stato Mastella.
Va bene, ho fatto confusione io, ma non scherza neppure la Binetti che mescola Padreterno e Mastella passando per Rutelli (quello che li ha fatti lavorare) ed addirittura Ruini, l'ingrato che non ha telefonato.
Tutto bene, ma si potrebbe (pure se si è la Binetti) rispettare il comandamento: "Non pronunciare il nome di Dio invano" (Dt 5,11).
Post scriptum.
Ho "smoderato" i commenti. Ma come si leggeva nelle inserzioni matrimoniali di mezzo secolo fa, «astenersi perditempo».
Chi scrive per offendere sappia che sarà cancellato, per rispetto al sito che ci ospita ed alle sue regole.

17/02/2007/
Noi fancazzisti contro il cemento di Rimini
Lettera inviata al Corriere Romagna (e pubblicata il 19 febbraio)

Contro il cemento, Rimini ha reagito così
Tutta la Gallia è divisa in tre parti, scrisse Giulio Cesare all'inizio di un'operetta che si faceva leggere e tradurre mezzo secolo fa ai poveri studenti alle prese con i latinucci delle Medie ante-riforma. Prendo a modello la prosa dell'illustre condottiero che dalle nostre parti passò. E che proprio nel foro di Rimini arringò i suoi soldati dopo aver superato il Rubicone.
Prendo a modello Giulio Cesare per sostenere non senza fondamento che anche la popolazione di Rimini (o quasi tutta) si può dividere in tre parti: i silenti, i mugugnanti ed i parlanti.
Le prime due categorie hanno in comune l'intenzione di non arrecare danno a loro stesse, consapevoli del fatto che aver il coraggio di parlare non è la stessa cosa che aver il coraggio di far male ai propri affari.
Silenti e mugugnanti infatti pensano soltanto alle proprie tasche. Con la differenza che chi non parla in pubblico può anche sussurrare in privato. Mentre chi manifesta qualche malcontento borbottando davanti a tutti, può mirare a salvarsi l'anima, facendo finta di essere aperto a criticare il prossimo. Ma in realtà pensando bene di non esporsi troppo arditamente. Per cui forse potrebbe essere anche ben più pericoloso dei colleghi silenti. I quali semplicemente tacciono, mentre il mugugnante s'inventa un ruolo di recita finalizzata al proprio interesse e non a quello collettivo.
La terza ed ultima categoria, quella dell'«homo ariminenis loquax» (da non intendersi secondo quanto suggeriscono i dizionari classici, come «chiacchierone», ma semplicemente come «colui che parla»), risulta storicamente composta soprattutto da ingenui e temerari individui che hanno il coraggio delle loro opinioni e non si spaventano se debbono manifestarle, nei dovuti modi della civiltà e della correttezza, davanti al tribunale della Pubblica Opinione.
Orbene, nella vicenda del motoraccio immobiliare, la mia teoria sulle tre specie di concittadini (i silenti, i mugugnanti ed i parlanti) ha trovato ferrea conferma.
Molti politici hanno parlato in ritardo sui tempi di una decenza pubblica che risiede nel principio di fare gli interessi della collettività, e non quelli di questo o quel potentato economico. Molti altri non hanno detto nulla. Alcuni hanno finto di parlare, con quell'abilità che serve indubbiamente a scalare le vette dell'oratoria cattedrattica o congressuale, ma che si ferma nel concreto d'ogni giorno sulla soglia del principio evangelico di scegliere tra il sì ed il no per non farsi prendere la mano dal demonio.
Qualcuno s'è azzardato e si è tirato indietro, come quando si viaggia in treno e si guarda fuori dal finestrino, ma poi si scopre il cartello ammonitore che vieta quel gesto, pena la multa da parte del controllore.
Molti, invece, hanno parlato per merito di questo giornale che li ha ospitati e che ha favorito ed incoraggiato il dibattito.
Avendo partecipato dalle colonne del «Corriere» a questo stesso dibattito, non ho però bisogno di appuntarmi sul petto la coccarda del parlante. Ma solo quello di confermare ai pubblici amministratori che noi cittadini non staremo zitti, anche se siamo stati già additati a pubblico ludibrio come scansafatiche che, anziché sobbarcarci il peso di un impegno amministrativo, stiamo in panciolle a criticare quanto i nostri rappresentanti eletti concepiscono, sudando nelle segrete stanze del Potere.
Saremo scansafatiche (o «fancazzisti» come scrivono modernamente), ma intanto qualcosa abbiamo combinato pure noi, lasciatecelo dire. Abbiamo fermato (si spera...) una rovinosa colata di cemento in questa città dove parlare ha un prezzo, e dove silenzio e mugugni sono sempre stati regolarmente ricompensati a tassi da usura.
Antonio Montanari
Rimini

11/02/2007/
InterneTEPPISTI
Leggo nel blog sui nostri blog un interessante intervento di Fabio, autore del blog metamorphosis, che ho commentato con il testo che riproduco qui:
"Sottoscrivo, con un'aggiunta personale che è utile a tutti.
Il mio post sui "Tagli alle pensionate" ha provocato un'infinità di commenti, oltre 40.
C'è chi è stato educato, ma si sono pure manifestati gli incivili di cui parlate qui sopra.
Volevo fare un intervento nel mio blog, mi sono finora trattenuto.
Ho fatto bene perché vedo che non sono il solo a sentirmi deluso e tradito.
Con Fabio pure io dico: «Basta con la violenza verbale!».
Un lettore che aveva scritto un commento nel mio blog è stato offeso. Lo stesso lettore mi ha spedito questa mail che vi propongo:
«Caro Antonio, il tuo appello iniziale alla pacatezza non è stato accolto da certi tuoi lettori. Un tal Marco mi ha attaccato sul tuo
blog in modo alquanto arrogante. Anche se non sono state usate parole volgari il tono denotava una mancanza di rispetto non degna di un dibattito civile. Sono state usate espressioni come "levati il prosciutto dagli occhi" e "spero che tu possa lavorare gratis". Si possono avere anche idee diverse ma è bene moderare i toni e tenere le debite distanze. Scusami se ti scrivo ma sono veramente amareggiato. Ti rinnovo la mia stima, cordialità, Fabio.»
Forse è lo stesso Fabio del quale si parla nel post.
Ho mezza voglia di non scrivere più nulla.
Per ora lascio quei commenti a testimonianza del problema, nei prossimi giorni cancellerò tutto.
E se continuo, non lascio i commenti liberi.
L'intervento che mi proponevo di fare poteva avere come titolo "InterneTEPPISTI".
Se vi piace ricopiatelo ed aderite ad una campagna di civilizzazione, cortesia e correttezza nella comunicazione sui blog."

08/02/2007/
Tagli alle pensionate
Finalmente giustizia è fatta!
Alle pensioni di reversibilità versate alle vedove di dipendenti statali, è stato imposto un taglio del dieci per cento.
Essendo io il pensionato statale, tocco... ferro, e mi auguro lunga vita.
Ma ai signori che governano e che ho lietamente votato, dico: attenzione, non fateci fessi, perché noi elettori possiamo e sappiamo vendicarci.
Se avete bisogno di soldi, andate a stanare gli evasori fiscali dai quali siamo circondati, e non rapinate le già scarse nostre sostanze.
Per il momento vergognatevi.
Per il seguito non voglio dirvi pentitevi, perché non voterò mai a destra. Ma forse non voterò la prossima volta. State dimostrando che è del tutto inutile scegliere un partito, una linea, un programma.

05/02/2007/
Calcio e affari
Il cosiddetto sport del calcio tiene banco a livello nazionale per le drammatiche (e non imprevedibili vicende di Catania).
Nella mia città, Rimini, il calcio è al centro di infuocate polemiche perché con la scusa di far costruire un nuovo stadio (nella foto il vecchio "Romeo Neri"), si sta minacciando una terribile colata di cemento quale ricompensa per gli immobiliaristi interessati all'iniziativa.
La contropartita iniziale parlava di trecento appartamenti, adesso siamo arrivati a 1.700, perché nel frattempo allo stadio sono stati aggiunti una pista di atletica ed un palazzo per la danza.
Il malumore della città è stato interpretato da molti interventi, tra cui quelli del sottoscritto sul quotidiano locale Corriere di Romagna.
I politici non gradiscono. Il padrone della Rimini Calcio ieri ha definito «incivile» la protesta della gente che non vuole vedere scomparire gli ultimi spazi a disposizione sotto una nuova colata di cemento.

Riproduco qui di sèguito quanto a mia firma è apparso sul Corriere di Romagna odierno.
L'assessore Elisa Marchioni tratta delle vicende cittadine del «motore immobiliare», invitando a non lasciare la discussione al solo dilemma «fra chi accusa tout court e chi si difende d'ufficio».
Poi, dopo aver raccontato che ormai le risorse finanziarie delle amministrazioni locali sono al lumicino, afferma: «Concordo che il confronto non si esaurisca in campagna elettorale!». Infine, la signora Marchioni confida di non possedere «ricette o verità assolute» per quanto concerne «il bene comune» della città; ed invita ironicamente «chi ne abbia» a farsi avanti ed a mettersi in gioco, sottolineando che «forse, chiamarsi fuori da questo servizio così complesso e prezioso, salvaguarda le mani pulite» e preserva dai guai. Per evitare questi comportamenti ignavi, l'assessore invita a sostituire «alle polemiche» un «ritrovato gusto di sentirsi parte attiva» e protagonista della città.
L'assessore ha inavvertitamente ragione là dove scrive (quasi per lapsus freudiano) che oggi «costruire» è diventato «più difficile». Infatti Rimini non accetta in modo passivo la minacciata cementificazione del motoraccio immobiliare legato allo stadio Romeo Neri.
Tralasciando per motivi di spazio altri aspetti derivanti dalla morte dell'ispettore di Polizia Filippo Racita allo stadio di Catania, vorrei soffermarmi soltanto sulla controversia dialettica che l'assessore Marchioni ha introdotto nel dibattito in corso al quale ho partecipato sulle colonne del Corriere il 27 gennaio scorso.
Le osservazioni al progetto urbanistico comunale che la signora liquida come polemiche (immagino fastidiose per tutti i signori della Giunta municipale, e quindi anche per lei), nascono dalla volontà dei cittadini di non vedere rovinata definitivamente una città in cui il sottoscritto nel corso di mezzo secolo circa ha ascoltato promesse mai realizzate.
A simbolo di questa realtà di sovrano immobilismo si prenda il ponte di Tiberio, costretto ancor oggi a sopportare il traffico urbano perché: a) il nuovo ponte che avrebbe dovuto collegare la sottocirconvallazione alle Celle non è stato costruito in quanto al suo posto è sorto un edificio ad uso di civile abitazione; b) non vi è una circonvallazione esterna e veloce, ma la strada statale è stata trasformata in parte della città; c) la nuova fiera è stata collocata alle Celle e non sulla statale di San Marino, cioè dentro Rimini e non fuori. Orbene, queste non sono polemiche ma fatti conseguenti ad «errori» gravi dei pubblici amministratori, ai quali non si può più porre rimedio.
La partecipazione che lei reclama, caro assessore, non è ben accetta agli stessi pubblici amministratori per i quali sembra vigere l'antico avviso antidemocratico «Non disturbate il manovratore». Chi scrive di queste cose ai giornali (parlo per me), non vuole presentarsi come «anima bella» che cerca di non sporcarsi le mani, ma lo fa perché altre vie sono duramente (so quello che dico) impedite. Ho un grosso fascicolo di lettere ai pubblici amministratori ed ai giornali (Corriere compreso) su piccoli ma gravi problemi di viabilità; lettere alle quali non è mai stata data risposta neanche dopo colloqui personali con il signor Sindaco.
L'assessore Marchioni lamenta che la coperta dei soldi sia sempre più corta. Ha ragione. Però bisognerebbe aggiungere la lunga lista delle spese inutili di tutte le pubbliche amministrazioni. Comunque, caro assessore, ricordi quanti tripli o quadrupli salti mortali senza rete di protezione fecero nel secondo Dopoguerra i suoi predecessori per la Ricostruzione italiana in generale e riminese nel caso specifico.
Ora voi siete abituati troppo bene, e vi spaventa un futuro in cui per prima regola occorrerebbe non introdurre nuove addizionali a chi paga già le tasse, ma stanare gli evasori. Oggigiorno, ha detto sabato scorso il governatore di BankItalia, il Fisco «penalizza le famiglie che compiono il proprio dovere». Ascoltatelo.

Un altro mio intervento sul tema era stato ospitato dallo stesso quotidiano il 2 febbraio. Eccolo:
Caro Corriere, ieri sera sono andato a letto con l'idea di scriverti sulla gestione della cosa pubblica a Rimini negli ultimi cento e passa anni, partendo da una notizia del luglio 1876, quando il «Corriere della Sera» scrisse che da noi regnava «la miseria», e sottolineava il contrasto fra la gestione appunto pubblica della stazione balneare (da cui traeva «profitto tutta la città»), e la mancanza d'investimenti sociali.
Volevo collegare quel discorso alla realtà odierna, in cui discutiamo della temuta colata di nuovo cemento su questa Rimini ridotta ad un immenso mostro urbanistico dove tra case e case non ci sarà, anzi non c'è già più spazio per circolare, perché il problema viabilità è sempre affrontato "dopo" come dimettendosi meditò l'assessore Tiziano Arlotti: prima fate le case e poi "dopo" mi fate costruire le strade. Quando magari (aggiungo) lo spazio per le strade appunto non esiste perché tutto consumato per un'edilizia che è la più cara d'Italia (vedi costo degli affitti e degli immobili).
Stamattina ho cambiato idea. Lasciamo stare il passato (semmai ci ritorniamo sopra un'altra volta, se acconsentirai), e guardiamo il presente, ma non ripetendo (oso sperare) discorsi già fatti, bensì toccando una questione inedita che risulta indigesta anche a me che me la sono posta, e che quindi offro alla discussione di persone più esperte del sottoscritto, cioè a chi conosce le contorte vie della Politica, del Diritto, soprattutto nel caso in esame, cioè le strade ardue del Diritto costituzionale che sta alla base delle concezioni relative sia alla pubblica Amministrazione sia alla gestione della Politica stessa.
Il problema è tutto qui: una Giunta eletta con un certo programma, e messa ora in discussione da un'intera città, può far finta di niente davanti alla 'rivolta' collettiva? Un sindaco, un vicesindaco, gli assessori competenti e tutti gli altri che alla fine debbono reggere le sorti della città, possono credere che nulla sia successo, ed andare avanti senza rendersi conto che, oltre alla rovina della città ipotizzata sia dagli esperti (vedi Campos Venuti) sia da chi ci vive ogni giorno, c' è questo interrogativo che pesa (direbbero in tivù) «come un macigno»: è «democratico» l'eroico furore dei signori di Palazzo Garampi nel raggiungere il loro traguardo?
Alle precedenti elezioni il sindaco Ravaioli incamerò buona parte delle perdite di Forza Italia (52,13% dei voti, mentre AN salì del 16,26). Poi (luglio 2006) ci fu la scelta dell'ex candidato sindaco Alberto Bucci di non votare contro Alberto Ravaioli e la sua giunta, ma di astenersi sulle linee programmatiche del governo cittadino. Una scelta che suonava ampiamente innovativa, per cui sembrò (in apparenza) aver ragione il capogruppo di Forza Italia Alessandro Ravaglioli: «È come se Berlusconi si fosse astenuto sulla fiducia di Prodi». Forse l'andare avanti verso il motoraccio immobiliare è la dimostrazione che Ravaglioli aveva torto e che avrà ragione Ravaioli: la politica che corteggia i palazzinari, premia.
Grazie, caro Corriere, se mi ospiterai.
Antonio Montanari

03/02/2007/
Giordano Bruno insegna
La bella biografia di Giordano Bruno, presente oggi sulla Stampa, e scritta dalla professoressa Anna Foa, mi suggerisce una breve riflessione sul fatto che adesso i cattolici chic ed aggiornati, non parlano più di «Controriforma», ma di «Riforma cattolica».
Consapevoli dei guai fatti dalla Controriforma (vedasi appunto l'uccisione di Giordano Bruno), usano un vocabolo diverso.
Ma se le parole sono conseguenza delle cose, le cose c'insegnano che il termine usato oggi, cancellando la prima parte della vecchia parola, tenta di far dimenticare gli orrori della reazione romana alle nuove correnti religiose e filosofiche.
Cambiano le parole, restano i fatti. Come il rogo di Giordano Bruno.

Antonio Montanari


2593/08.02.2018