Storia della Scienza riminese
Scritta da Giulia Vannoni per il «Serpieri»

All’antica collezione di strumenti del laboratorio di Fisica del Liceo scientifico «Alessandro Serpieri» di Rimini, è dedicato un importante e ricco volume a cura di Carlo M. Fabbri, Varide Nanni e Giulia Vannoni.
Ci preme qui segnalare il saggio di Giulia Vannoni (pp. 13-29) che ha il semplice titolo di Introduzione, ma che in effetti è la prima storia della cultura scientifica riminese moderna, e che arriva fino ai nostri giorni per quanto riguarda l’ambiente del «Serpieri».
L’autrice parte dall’epoca malatestiana citando il Tempio di Sigismondo (1450), emblema della scienza umanistica, e ricordando la biblioteca voluta da Carlo Malatesti e realizzata nel 1430 da Galeotto Roberto [vedi Nota].
Giulia Vannoni segue con attenzione l’itinerario culturale del Seicento riminese (fatto di figure anche dimenticate come quella di Giuseppe Antonio Barbari), e presenta notizie inedite (da documenti conservati nel locale Archivio di Stato) sulla Biblioteca Gambalunghiana nel XVII secolo (1778, acquisto di macchine per lo studio della «filosofia sperimentale», cioè della fisica, p. 21).

Experimenta. Antica collezione di strumenti del laboratorio di Fisica. Panozzo editore, Rimini 2006, pp. 324.


[Nota di A. M. (ricavata da questo articolo)]
Il progetto di costituire una biblioteca aperta la pubblico e utile soprattutto agli studenti poveri, è testimoniato nel 1430 per iniziativa di Galeotto Roberto Malatesti che segue una intenzione dello zio Carlo (morto l'anno prima). Sigismondo, lo «splendido» Sigismondo (così lo chiama Maria Bellonci), arricchisce la biblioteca con «moltissimi volumi di libri sacri e profani, e di tutte le migliori discipline». Così testimonia Roberto Valturio (che alla stessa biblioteca lascia i suoi volumi). Sono testi latini, greci, ebraici, caldei ed arabi che restano quali tracce del progetto di Sigismondo per diffondere una conoscenza aperta all’ascolto di tutte le voci, da Aristotele a Cicerone, da Aulo Gellio al Lucrezio del «De rerum natura», da Seneca a sant’Agostino, sino a Diogene Laerzio ed alle sue «Vitae» degli antichi filosofi.
Una biblioteca di famiglia dei Malatesti nel XIV secolo è attestata da una lettera di Francesco Petrarca a Pandolfo («Seniles», XIII, 10). Anche il giureconsulto Rainero Meliorati lascia (1499) i propri testi ai frati di Rimini, mentre vanno (1474) a quelli di Cesena le opere possedute dal medico riminese Giovanni Di Marco (come ringraziamento per un vitalizio ricevuto dal signore di quella città, da lui curato).
Una iscrizione del 1490 (e non 1420 come precisa Antonio Bianchi, 1784-1840, da cui attingiamo queste notizie), ricorda il trasferimento della biblioteca francescana al piano superiore del convento da quello a terra «pregiudizievole a materiali sì fatti» (Angelo Battaglini, 1794).
Nel secolo XVII, aggiunge Bianchi, «della preziosa libreria, che i Malatesti, per conservarla ad utile pubblico, avevano dato in custodia ai frati di San Francesco», restano soltanto 400 volumi per la maggior parte manoscritti. Questo «rimasuglio» va perduto secondo monsignor Giacomo Villani (1605-1690), perché quelle carte preziose finiscono in mano ai salumai («deinde in manus salsamentariorum mea aetate pervenisse satis constat»). Federico Sartoni (1730-86), come riferisce Luigi Tonini, sostiene invece che i frati vendettero la libreria alla famiglia romana dei Cesi, alla quale appartengono i fratelli Angelo (vescovo di Rimini dal 1627 al 1646) e Federico, fondatore dell'Accademia dei Lincei nel 1603.


Antonio Montanari1204/25.08.2006