ANTONIO MONTANARI
ERUDIZIONE ‘MALATESTIANA’ NEL SETTECENTO RIMINESE.
IANO PLANCO E LE TOMBE DEL TEMPIO

Nelle vicende storiche a volte un semplice evento, opportunamente colorito ed esagerato nei toni descrittivi, diventa una leggenda in grado di rappresentare simbolicamente un certo momento culturale. Ciò è accaduto pure per l’apertura degli avelli del Tempio malatestiano di Rimini, voluta nel 1756 da padre Francesco Antonio Righini, procuratore del convento di San Francesco. Il 19 agosto di quell’anno egli confida per lettera a Giuseppe Garampi di esser stato mosso all’impresa soltanto da «curiosità»:

Affine di porre con ogni sincerità il vero della Storia di ciò che concerne questo nostro magnifico Tempio mi sorse curiosità l’altro giorno 1 di fare aprire alla presenza di molti testimonj ciascuna delle casse di marmo che a fianchi della medesima nostra chiesa si vedono inalzate al di fuori alla parte verso mezzodì per notare se in tutte siavi il divisato respettivo cadavere di Giusto Oratore, Basinio Poeta, Gemisto Bisanzio, Roberto Valturio con tutti gli altri ivi descritti 2.

Oggi quell’impresa è assurta a simbolo di un’erudizione «intelligente» che scava nel passato malatestiano della città; e padre Righini appare a taluno 3 come un uomo di grande cultura e d’acuta capacità d’osservazione. Righini in realtà sapeva poco o nulla della storia dell’illustre chiesa di cui era custode. Lo dimostra nella stessa lettera a Garampi, quando chiede di suggerirgli «qualche notizia particolare» attorno «a questo nostro Tempio», da inserire «nella rozza composizione che da me presentemente viene esorata».
La «curiosità» di Righini era diretta ad appurare se avesse ragione chi, seguendo la tesi del bibliotecario gambalunghiano Giuseppe Malatesta Garuffi (1655-1727), sosteneva essere quelle delle vere tombe, oppure quanti invece dichiaravano trattarsi soltanto di cenotafi, come riassume in una Lettera a stampa 4 il filosofo e naturalista Giovanni Antonio Battarra (1714-1789) compagno di Righini nell’impresa malatestiana. Il frate non usa con Garampi la stessa «sincerità» che invoca come propria scusante, e non gli ricorda tutto «il vero» del proprio agire. Righini infatti tralascia di spiegargli che, prima dell’ispezione alle tombe esterne, c’era stata all’interno della chiesa, nella cappella della Madonna dell’Acqua, quella all’Arca degli Antenati da lui aperta furtivamente il 22 luglio. Righini descrive a Garampi soltanto la seconda visita fatta all’Arca, quella del 16 agosto: il giorno precedente ha esaminato «alla presenza di molti testimoni» 5 le «casse di marmo» esterne; e, lo stesso 16 agosto, il sepolcro di Isotta davanti ad una compagnia di dodici persone.
Restava da aprire, aggiungeva, soltanto il sepolcro di Sigismondo: «se la curiosità mi trasporterà a farlo voglio farlo con tutta la pulizia possibile», cercando d’aver presenti il vicario generale della diocesi, il notaio «ed altre persone graduate per testimonj». Righini tenta in tal modo d’evitare il ripetersi delle polemiche provocate dalle precedenti esplorazioni, per le quali contro lui s’erano levate in città le accuse d’essere stato «troppo audace» 6. Con Garampi il frate si difende sostenendo d’aver agito «colla licenza» del vicario generale diocesano, e del «Religioso superiore» dell’Ordine dei Minori Conventuali a cui apparteneva. Da Garampi, prefetto dell’Archivio segreto apostolico vaticano e studioso di meritata fama, padre Righini sembra invocare una specie d’assoluzione, particolarmente autorevole, per la sua iniziativa. Il 21 agosto avviene finalmente la ricognizione alla tomba di Sigismondo, a cui concorrono più di trenta amici di padre Righini. Non interviene il vicario Francesco Maria Pasini. Si presenta invece il capo console pro tempore Lodovico Battaglini.
Nella prima visita all’Arca degli Antenati, il 22 luglio, padre Righini ha fatto quasi tutto da solo. Con sé ha portato soltanto il pittore Giambattista Costa «erudito in Antiquaria» (e futuro autore di un testo sul Tempio 7), «ed alcuni altri» 8, cioè due muratori come precisa Epifanio Brunelli nelle note alla Lettera 9 di Battarra. Il quale non riferisce10 sull’ispezione del 22 luglio, ma comincia la propria narrazione soltanto dal 15 agosto come padre Righini con Garampi. L’episodio del 22 luglio è però mentovato nelle note di Epifanio Brunelli (Righini operò «privatamente» 11). Battarra ricorda che il 16 agosto, nell’Arca degli Antenati, si vide soltanto «un mucchio d’ossa confuse fra stracci» 12. Brunelli spiega 13 il perché: il muratore che il 22 luglio era penetrato nel «Sepolcro, prima d’uscire scompigliò tutti que’ Cadaveri».
Padre Righini improvvisa l’esplorazione degli avelli del Tempio, proprio nei giorni in cui egli sta architettando un colpo con cui spera di diventare famoso. Jacques Dalarun chiama padre Righini un «autodidatta in perpetuo», di cui oggi ancora si parla soltanto perché ha acquistato fama di «falsario» 14, avendo imbrogliato le carte sulla storia della beata Chiara da Rimini 15. Ha inventato la scoperta d’un manoscritto datato 1362 che oggi risulta con la data raschiata «14 agosto 1685». Garampi annotò 16 in una sua scheda: «Credo che il medesimo» Righini «sia autore di una lettera anonima scritta contro di me per provare che la Beata Chiara di Rimino fosse dell’Ordine Francescano. Il Lami nelle Nov. Lett. 17 mi difese quanto bastava per risparmiarmi la pena di rispondere al detto scritto».
A protestare vivacemente contro l’impresa del frate è Giovanni Bianchi 18 (Iano Planco, 1693-1775), medico, naturalista, docente di Anatomia umana a Siena dal 1741 al 1744, e rifondatore nel 1745 dell’Accademia dei Lincei 19. Battarra precisa ad un comune conoscente bolognese (lo studioso «della Storia Naturale e della Botanica» 20 Ferdinando Bassi), che il suo maestro Bianchi era fra quanti militavano nel partito dei cenotafi 21. La battaglia ingaggiata da Bianchi contro Righini va ricostruita partendo da un duplice antefatto.
Nel 1753 il nobile bresciano Giammaria Mazzuchelli (1707-1765) cura a Verona un’edizione della Bella mano di Giusto de’ Conti 22, morto a Rimini nel 1449 alla corte di Sigismondo Pandolfo Malatesti. Questi lo fece seppellire nella seconda tomba esterna del Tempio, contando dalla facciata. Del sepolcro di Giusto de’ Conti, Mazzuchelli propone nel volume un’incisione 23 tratta da un disegno di Giovanni Antonio Battarra procuratogli proprio da Bianchi 24. Mazzuchelli è oggi ricordato soprattutto per Gli scrittori d’Italia, opera di «altissimo pregio» per la «sostanza erudita in essa contenuta» 25. Girolamo Tiraboschi (1731-1794), nella prefazione alla propria Storia della letteratura italiana (1772), la richiama per sottolinearne «l’erudizione e la diligenza» 26. Nell’opera di Mazzuchelli, osserva Walter Binni, l’«erudizione del periodo arcadico-razionalistico» è «resa come più lucida e puntuale dall’illuministico bisogno di verità e di conoscenza sicura» 27. La sua esperienza intellettuale raccoglie, da «discepolo ideale» 28 l’esempio di Ludovico Antonio Muratori che contrappose «due idee di erudizione», distinguendo quella «oratoria o all’antica» da quella «di gusto moderno, sul tipo scientifico» già delineato da padre Benedetto Bacchini 29. Per Mazzuchelli si può quindi disegnare un’ideale genealogia che lo inserisce lungo quel «filo» che scende da Bacchini a Muratori, e che «non è soltanto un metodo erudito, ma anche una logica unitaria della scienza, una filosofia generale del sapere» 30. Mazzuchelli ebbe avversione al celebre Dei delitti e delle pene 31, ed al suo autore 32 di cui scrisse negli Opuscoli 33 veneziani. Un giudizio curioso su Mazzuchelli, è in una lettera che Bianchi scrive a Garampi, definendo il nobile bresciano «uno spilorcio il quale ha troppa paura di spendere danari nella Posta» per chiedere notizie sulle cose che va pubblicando 34.
Mazzuchelli per curare l’edizione della La bella mano ha contattato Bianchi tramite padre Serafino Maria Maccarinelli 35. Dopo la pubblicazione, Mazzuchelli ne invia a Bianchi due copie: una per lui e l’altra per Battarra come ricompensa per il disegno riprodotto 36. Accusandone la ricevuta, Bianchi si lamenta di non essere stato citato 37. Mazzuchelli gli risponde il 15 ottobre 1754 inviandogli la bozza 38 della biografia che aveva preparato per Gli scrittori d’Italia, e che era da completare con i dati anagrafici 39. Se confrontiamo la biografia di Planco allegata da Mazzuchelli alla sua lettera, con quella apparsa negli Scrittori 40, constatiamo che la seconda è più analitica rispetto a quella proposta dal conte bresciano al medico riminese. L’intervento di Bianchi si rileva, oltre che nel testo, anche nell’ampio corredo di note delle quali non c’è traccia nel ms. inviato da Mazzuchelli a Planco. In quest’ultimo ad esempio manca la parte finale dedicata alle ascrizioni alle accademie ed alla rifondazione dei Lincei nel 1745, presente invece nel volume 41.
Il primo aprile 1756 Mazzuchelli scrive nuovamente a Bianchi: «Io non saprei a chi meglio ricorrere che a V. S. Ill.ma per avere alcune notizie, che mi sono necessarie per illustrare la vita della celebre Isotta da Rimini, concubina alla prima, e poi moglie di Sigismondo Pandolfo de’ Malatesti» 42. Bianchi il 26 aprile gli invia il disegno del sepolcro di Isotta 43. Il successivo 24 maggio 44 Bianchi spedisce quelle che Mazzuchelli chiama «belle notizie intorno ad Isotta» 45. Tramite Planco, Mazzuchelli ringrazia il bibliotecario gambalunghiano Bernardino Brunelli 46.
Lo scritto di Mazzuchelli appare in ottobre 47, con il titolo di Notizie intorno ad Isotta da Rimino, nella «Raccolta Milanese dell’anno 1756» (fogli 39-40), edita nella capitale lombarda da Antonio Agnelli 48. L’erudito bresciano nel suo scritto si dichiara «debitore» a Planco 49. Mazzuchelli ne fa tirare «più copie a parte», dopo aver raccomandato al tipografo di stampare i disegni «non confusi come nella Raccolta Milanese» 50. Ne trasmette a Planco cinque copie 51 tramite il libraio e tipografo Giovan Battista Pasquali di Venezia, che aveva negozio presso al Ponte di Rialto, e che era in stretto rapporto di lavoro con Bianchi 52. Mazzuchelli scrive a Bianchi: «La menzione che vi ho fatta di lei, era necessaria sì per render giustizia al suo merito, e dare a tutti il suo, come per far credere ch’io non ho mancato di diligenza per rendere meno imperfetto quel mio tenue lavoro» 53. Planco gli invia «nuove riflessioni» 54, dalle quali Mazzuchelli è spinto a pubblicare una seconda edizione tre anni dopo 55.
Sulle Notizie intorno ad Isotta ha scritto Augusto Campana che è una «piccola cosa se si vuole, ma veramente egregia», e soprattutto si tratta del «primo lavoro monografico moderno di argomento malatestiano» 56. Fu forse proprio Bianchi ad attirare, nei circoli culturali riminesi, l’attenzione circa la questione degli avelli malatestiani, raccontando in città, nella primavera del 1756, delle richieste inoltrategli di Mazzuchelli attorno alla figura di Isotta 57. Delle Notizie Bianchi pubblica l’anno successivo una recensione sulle «Novelle letterarie» 58 di Firenze, aggiungendo con studiata malizia d’aver appreso che il sepolcro della donna di Sigismondo era stato da poco aperto «privatamente» 59. E che non vi «hanno ritrovate che l’ossa nude, perciocché quei sepolcri altre volte prima da altri per uno spirito forse d’avarizia erano stati frugati» 60.
Appena appare il suo breve scritto, a Bianchi scrivono lo stesso Mazzuchelli ed alcuni redattori editoriali di Venezia 61, per conoscere altri particolari di quella visita alla tomba della donna di Sigismondo, appena compiuta. Bianchi risponde a tutti, ma prima di avviare le missive al corriere, le legge pubblicamente in città. Bianchi, come racconta Battarra a Ferdinando Bassi 62, sostiene che quei «sepolcri sono stati aperti privatamente da un Fraticello ignorante che si è unito con alcuni di poca mente e che nottetempo sono andati a frugacciare» nelle tombe. Alla lettura di queste missive, Bianchi accompagna commenti cordialmente osceni 63 in faccia allo stesso Battarra ed agli altri della compagnia di Righini.
Alla recensione di Bianchi sul lavoro di Mazzuchelli apparsa l’11 marzo, replica immediatamente un anonimo riminese sullo stesso periodico fiorentino 64, con una Relazione d’apertura d’Avelli in cui leggiamo che l’ispezione al sepolcro di Isotta era stata fatta da 1160.erudizione.sr2003.htmlsi «galantuomini». L’affermazione non smentisce sostanzialmente la notizia di Bianchi, che essa cioè fosse avvenuta «privatamente». Dove fosse lo scandalo dell’opinione di Bianchi, non si comprende. Anche Brunelli, come abbiamo visto, sostiene in una nota alla Lettera milanese a stampa (uscita con la data del 16 giugno 1757) che per la tomba degli Antenati tutto è accaduto «privatamente» 65. Battarra nello stesso scritto milanese non può smentire Bianchi: ricorda che, accanto ai soliti invitati, per la visita al sepolcro d’Isotta erano stati presenti soltanto religiosi riminesi e forestieri dell’Ordine di padre Righini.
Solamente per il sepolcro di Sigismondo arriva un’autorità pubblica, il capo console Battaglini. Ma, come farà osservare Bianchi, il vicario generale della diocesi, invitato da padre Righini, non interviene «per non autorizzare colla sua presenza un atto, nel quale ci poteva essere anche qualche dubbio». Questa frase si legge in un ms. gambalunghiano inedito 66, che Bianchi compose intitolandolo Note d’una Persona, che vien supposta Amica della Nobilissima Casa Malatesta. A questo testo accenna Battarra con Ferdinando Bassi: il dottor Bianchi «presentemente sta scrivendo, e va vegliando ancora notti intiere per istampare contro quest’apertura d’Avelli» 67. Battarra racconta che Bianchi lo ha colpito «con un esercito d’impertinenze», ed è «diventato sì fanatico» da farsi compatire dappertutto, e da divenire inavvicinabile. Al nipote di Bianchi, Girolamo (anch’egli medico), Battarra confida: suo zio se l’è presa con me, «ed il maggior mio dispiacere è di vederlo rendersi pressocché ridicolo e puerile» 68. Al concittadino conte Roberto Sassatelli, Battarra scrive: «Le nostre rotture con Bianchi si sconvolgono sempre più» 69. Ma il 29 settembre Battarra ricorrerà tranquillamente all’antico maestro per chiedergli una visita urgente al padre «aggravato dal mal d’orina» 70.
Bianchi nelle Note d’una Persona accusa padre Righini d’aver agito soltanto «per semplice curiosità». Questo il frate lo aveva già ammesso, anche se in un contesto diverso, come giustificazione. Planco usa il termine «curiosità» quale aggravante dell’azione compiuta «privatamente, cioè senza chiedere licenza ad alcun Superiore, ma coll’ajuto, e coll’intervento di soli pochi suoi Amici, persone tutte private». Occorreva invece, «perché non si dicesse che questi tali sepolcri fossero stati violati d’aver la licenza de’ Superiori ecclesiastici di Rimino, ed anche quella del Principe, e che questa apertura non fosse stata fatta così privatamente, ma che ci fossero persone intendenti destinate dai Superiori per assistere ad essa» 71. Stando così le cose, secondo Planco si era consumato il reato di violazione di sepolcro: «cose infami che hanno in oltre con sé la pena della forca», aggiunge scrivendo a Giovanni Lami 72. Al quale spiega che «quella sciocca Relazione» anonima aveva avuto come unico scopo di colpire lui, Bianchi stesso, e la sua affermazione circa l’apertura privata dell’avello di Isotta. Il senso della polemica di Planco è da lui medesimo riassunta nella nota conclusiva alle inedite Note d’una Persona, dove leggiamo alla c. 22:

Da tutto quello che s’è veduto, e detto in queste note si può raccorre che fu molto superflua l’apertura di questi sepolcri, per non dirla del tutto mal fatta, perché fatta solamente per semplice vana curiosità, e senza le debite licenze, ed in oltre è scritta in uno stile ridicolo alto, e basso, e pieno d’improprietà, e mancante di ogni buon criterio, onde per la Città di Rimino colla lettura d’essa se ne sono fatte le commedie; per la qual cosa era meglio per ogni conto seppellire la memoria di questa apertura, e molto più questa rozza Relazione di quest’Anonimo frugatore, anziché divulgarla nelle Novelle Fiorentine, che vanno per tutto il mondo.

La Relazione d’apertura d’Avelli, apparsa sulle «Novelle», definiva l’imolese padre Righini «uomo non letterato, ma non di meno buon genio per le cose spettanti all’erudizione del suo Convento», allora «tutto intento da molte pergamene di trarre materia da poter tessere una storia della sua Chiesa, e del suo Convento». Il frate radunò «alcuni galantuomini suoi amici», fra i quali l’autore della corrispondenza: «uomini quantunque di mente non superiore all’umana, tuttavia erano uomini di bastante giudizio per distinguere i morti dai vivi, e per distinguere i cadaveri dagli scheletri 73. Erano ancora uomini onesti, per non imposturare sul fatto» 74. Circa il fatto che quei sepolcri «altre volte prima da altri per uno spirito forse d’avarizia» fossero stati frugati, come aveva insinuato Bianchi sulle «Novelle» dell’11 marzo, l’Anonimo risponde ora nella Relazione negando quell’affermazione per quanto riguarda la tomba d’Isotta 75, il cui corpo ha conservato «la sua prima positura, conforme anche può vedersi al presente, non essendo stato toccato da veruno». Se all’interno dell’avello si sono verificati dei guasti (a causa del «fradiciume» che ricopriva il cadavere, e che ne ha causato la putrefazione), il fatto è imputabile alla rottura nel monumento di un legamento di ferro: essa ha fatto scostare uno dei pezzi dell’arca 76. (Però abbiamo pure letto che lo stesso frate Righini ammette con Garampi che quei sepolcri «da noi aperti si conobbe evidentemente che prima di noi furono aperti da altra persona».)
Nel descrivere l’interno dell’Arca degli Antenati, l’Anonimo osserva che in mano ad un cadavere giudicato di donna, fu trovata «una rama d’ulivo» 77. L’espressione fa inorridire Bianchi: sono «parole da villani del nostro contado» scrive a Giovanni Lami 78, a cui segnala un altro passo della Relazione incriminata: la descrizione del corpo di Sigismondo, a fianco del quale sono stati trovati «due speroni di metalli tutti colo» 79. Battarra scrive a Lami 80 per far correggere quest’ultima espressione («tutti colo»), frutto di un errore tipografico. Nel successivo n. 22 delle «Novelle», col. 351, c’è infatti la correzione da «tutti colo» a «tutti di colo». Circa il significato di queste parole, non resta che leggere gli altri scritti sull’apertura della tomba di Sigismondo. Nella Relazione ms. di Battarra inviata a Garampi si legge: «Avea due speroni di rame colla staffa tutta di getto» 81. Padre Righini, nel suo noto Campione 82 sul Malatestiano, ricorda gli speroni che «erano di metallo parimenti dorato molto ben conservato». L’espressione dell’Anonimo riminese voleva intendere che gli speroni di Sigismondo si erano conservati interi? Queste dispute linguistiche che appassionavano, forse con un superbo senso di elitario anacronismo il dottor Bianchi (antico cultore del trecentismo boccacciano 83), sono tuttavia utili nella nostra ricerca di una paternità del testo anonimo fiorentino.
Secondo Corrado Ricci 84, l’autore anonimo della Relazione d’apertura d’Avelli apparsa sulle «Novelle», era Bianchi. La sua attribuzione però contrasta con i dati oggettivi fin qui esposti, ed anche con quanto scritto dallo stesso medico riminese a proposito di Battarra, considerato non soltanto «Capo Frugatore di questi undici famosi sepolcri» 85, ma pure autore della Relazione anonima fiorentina in questione, come leggiamo in una lettera di Bianchi diretta a Mazzuchelli, per rimproverarlo d’aver sbagliato nel «porre in dubbio […] che non fosse» di Battarra «la descrizione dell’apertura di questi Sepolcri riferita alla col. 262, e seguenti delle Novelle» 86. Bianchi scrive tale lettera dopo che, nella seconda edizione delle Notizie intorno ad Isotta (dello stesso 1759), Mazzuchelli ha sostenuto giustamente che la Relazione anonima fiorentina era «d’altra penna» rispetto al testo milanese di Battarra 87.
Alessandro Tosi nel 1927 identificò l’Anonimo riminese in Battarra, partendo dalla cit. lettera di quest’ultimo a Ferdinando Bassi: padre Righini per dimostrare errata la tesi sui sepolcri vuoti sostenuta da Bianchi, decide di aprirli senza invitare «il sig. Bianchi e questo fu subito un crimen laesae Majestatis» 88. Si noti questo «sig. Bianchi», usato da Battarra con un tono di non troppo vago dispetto verso il «dottor Bianchi». Successivamente, aggiungeva Battarra, sono mandate «fuori le relazioni mss. di tal apertura», e varie ai suoi amici ne invia pure Battarra: «col mio nome», precisa non inutilmente. Battarra non è quindi l’unico ad aver composto una «relazione» sul tema. La sua è quella conservataci da Garampi (ora in BGR, SC-MS. 227, cit.), che Tosi non conosce, per cui attribuisce a Battarra la Relazione delle «Novelle».
A questo punto, occorre fare un confronto fra la Relazione anonima fiorentina da una parte, e dall’altra i due scritti dichiaratamente firmati da Battarra: il ms. conservatoci da Garampi (SC-MS. 227, cit.) e la Lettera della «Raccolta Milanese». Ne ricaviamo che la Relazione anonima fiorentina è stilisticamente diversa da questi due testi dichiaratamente battarriani. Esaminiamo invece le note che Epifanio Brunelli (senza essere redazionalmente citato nella propria identità), aggiunge al testo milanese di Battarra, e confrontiamole con la Relazione anonima fiorentina. Incontriamo almeno in un punto di questi due lavori una concordanza stilistica che dovrebbe risolvere il problema. Nelle note, elencando gli oggetti trovati il 22 luglio 1756 nell’Arca degli Antenati, Brunelli scrive che c’era anche «una rama d’ulivo». La stessa espressione, criticata da Bianchi, è quella che abbiamo già incontrato nella Relazione anonima fiorentina. Questa concordanza ci fa propendere per lo stesso Brunelli come autore della controversa pagina anonima delle «Novelle». Infine Battarra nella sua relazione ms. inviata a Garampi (SC-MS. 227, cit.), parla dell’Arca degli Antenati due volte, sotto le date del 22 luglio e del 16 agosto, mentre l’Anonimo sulle «Novelle» lo fa una sola volta: «S’aprì in fine l’altro, che è nella Cappella della Madonna detta dell’Acqua…» (col. 266), forse per desiderio dello stesso padre Righini, il quale aveva descritto per lettera a Garampi unicamente la seconda visita fatta all’Arca.
Resta da spiegare il ruolo di Battarra. Egli scrive a Bassi 89 d’aver mandato una lettera al direttore delle «Novelle» contro la recensione di Bianchi circa la «bugia che aveva stampato» con quel «privatamente». E d’aver allegato «la relazione di dette aperture». Battarra non scrive la «mia relazione», ma «la relazione». Perché sia stato Battarra e non Brunelli (supposto che ne sia costui l’autore), a rivolgersi a Firenze, è presto detto. Battarra era noto a Lami, e considerava Brunelli un suo scolaro, come leggiamo nel testo milanese 90. Negli anni successivi Brunelli diventa collaboratore assiduo delle «Novelle» 91, e nel 1759 vi pubblica (anonima) la recensione alla Lettera milanese di Battarra 92, dove cita pure se stesso scrivendo che le note della medesima Lettera erano state curate «dall’illustre Giovane Sig. Epifanio Brunelli da Rimino, Vice Bibliotecario dell’insigne Libreria Gambalunga; e dilettante di medaglie, delle quali possiede in bronzo una sufficiente raccolta». Lo scritto termina con i rallegramenti diretti sia a Battarra sia a Brunelli.
Giovanni Lami invia a Battarra una lettera il 28 agosto 1759 [fasc. 1257, Lami G., FGMR], osservando che «ora mai l’articolo trasmessomi dal Signore Epifanio Brunelli è stampato, e non può più arretrarsi, onde bramo altra occasione di secondare il suo genio». Battarra si era preparato da solo una recensione della sua Lettera per le «Novelle letterarie», ignorando che vi aveva già provveduto Brunelli. Lami scrive il 28 agosto. La nota di Brunelli, che esce il 14 settembre, alla fine di agosto era già in composizione in tipografia.
Dietro questo «giallo» letterario, stanno alcuni interrogativi a cui è possibile però dare una risposta storicamente importante. Perché Bianchi non era stato invitato nel Tempio? Perché Brunelli, ammesso che sia lui l’anonimo fiorentino, e Battarra (ex allievo di Planco) lo attaccano? Bianchi nel 1752 ha subìto la condanna all’Indice per il suo Discorso in lode dell’arte comica, elogiato da Voltaire 93. Condanna che Giuseppe Garampi definisce rapida ed «improvvisa». Per non dire quasi irregolare. Dietro quella condanna c’è l’insofferenza degli ambienti curiali riminesi verso un maestro che aveva loro tolto il monopolio culturale in città, e che aveva indirizzato la sua ricerca scientifica verso territori che apparivano pericolosamente contingui all’eresia, in quanto mettevano in crisi l’impianto aristotelico-tomista delle dottrine ufficiali della Chiesa. Bianchi infine, come abbiamo visto, aveva rifondato nel 1745 quell’Accademia dei Lincei che, nel 1616 durante il processo al suo ascritto Galileo Galilei, si era schierata per un principio («in naturalibus libertas») opposto a quello dell’«auctoritas» predicato dalla Chiesa di Roma. L’ombra del processo a Galileo del 1633 si era così (vagamente) proiettata nel 1752, con la condanna dell’Artecomica, sull’eredità lincea proposta da Bianchi a Rimini.
Bianchi, nell’affrontare la questione malatestiana, prosegue una tradizione locale che ha lasciato tracce dimenticate 94 ma significative. Nel 1718 Giuseppe Malatesta Garuffi 95 ha pubblicato nel veneziano «Giornale de’ Letterati d’Italia» 96 una Lettera apologetica […] in difesa del Tempio famosissimo di san Francesco 97, per criticare quanto scritto nel 1628 negli Annali Francescani 98 dall’irlandese padre Lucas Wadding (1588-1657) censore dell’Inquisizione romana 99. Il testo di Wadding secondo Garuffi, conteneva «alcuni periodi» che sono «pieni di calunnia contro il Tempio di san Francesco di Rimino». Wadding definisce Sigismondo uomo da ricordare più per le doti del fisico che per quelle dello spirito 100. Famoso per gloria militare, straordinaria eloquenza e forza del corpo, Sigismondo gli appare però anche ignobile per infami costumi ed un genere di vita che nulla ha avuto di cristiano. A questo punto Wadding ricorda la biografia di Sigismondo scritta da Pio II che niente tralasciò dei presunti delitti del signore di Rimini 101. Wadding prosegue sostenendo che Sigismondo dedica sì il Tempio alla memoria di san Francesco, ma lo riempie di immagini con miti pagani e simboli profani, aggiungendovi pure un mausoleo (di fattura e materia bellissima) per la sua amante, con un epitaffio chiaramente pagano: «Dedicato alla divina Isotta» 102. Garuffi taglia corto: Sigismondo è stato «un eroe insigne non meno per valore, che per la religione», e Wadding aveva scritto soltanto «una serie di cose falsissime» 103. Garuffi sapeva che Pio II l’aveva accusato di aver ripudiata la prima moglie, avvelenata la seconda, strangolata la terza. Ed anche per papa Piccolomini, il bibliotecario riminese ha pronte le risposte in difesa di Sigismondo 104. La prima moglie era la figlia di Francesco Bussone detto il Carmagnola (1380-1432): Sigismondo rifiutò di sposarla dopo la condanna a morte del futuro suocero. Per Ginevra d’Este, la seconda (ma in realtà la prima ad essere impalmata), il sospetto di una morte per veleno fu diffuso dai parenti del Carmagnola. Circa Polissena Sforza, Garuffi spiega che se anche l’avesse fatto, Sigismondo avrebbe agito «per giusta ragione di Stato», avendo lei rivelato al padre, in lettere intercettate dal marito, «alcuni militari segreti del consorte». Infine Garuffi scrive che Isotta era stata sposata da Sigismondo, quindi non si poteva definire sua amante. Nelle pagine successive 105 Garuffi passa alla difesa del Tempio, con la descrizione delle singole cappelle, riservando la conclusione al problema della scritta sulla tomba d’Isotta: «D. Isottae Ariminensi B. M. Sacrum. MCCCCL». Quel «D.» sta ad indicare «Dominae» e non «Divae» come aveva interpretato Wadding 106. Ma se anche fosse come proponeva lo storico francescano, spiega Garuffi, non ci sarebbe nulla di male, perché chiamare «diva» Isotta significava soltanto usare un titolo degno per la moglie di un principe, senza alcun «sentore di gentilesimo», cioè di paganesimo 107. Wadding non sapeva quanto scoperto nel 1912 da Corrado Ricci. La discussa iscrizione per Isotta era stata sovrapposta ad un’anteriore, ancora più compromettente: «Isote ariminensi forma et virtute Italiae decori. MCCCCXLVI». Era di un’audacia scandalosa quel «decoro d’Italia» riservato ad una giovinetta come Isotta che aveva circa tredici anni nel 1446, quando fu sedotta da Sigismondo mentr’era ancor viva la moglie Polissena. Isotta nello stesso anno concepì da Sigismondo un figlio, Giovanni, che morì in fasce il 22 maggio 1447.
A Garuffi nello stesso anno («Rimino, 15 dicembre 1718») risponde un anonimo con altra Lettera a stampa 108, prendendo le difese di Wadding, con una minuziosa e pedante requisitoria contro la presunta religiosità di Sigismondo, in cui si richiamano altri autori riminesi che in passato avevano accettato senza fare una piega l’accusa di eresia rivoltagli da Pio II. L’anonimo corregge errori di datazione commessi da Garuffi circa le morti delle mogli di Sigismondo; rispolvera la vicenda (leggendaria) del frate martirizzato per non avergli voluto rivelare i segreti del confessionale di Polissena Sforza; ed aggiunge come ciliegina sulla torta che i cesenati sospettavano il signore riminese d’aver «aiutata» nel 1432 la morte del mite fratello Galeotto Roberto, come premessa alla ripartizione del potere con Novello 109. Dopo ben nove anni (1727) Garuffi risponde 110 con altre citazioni alle contestazioni che gli erano state indirizzate dall’Anonimo, e discute secondo lo spirito del tempo sul valore dei simboli presenti nella chiesa di san Francesco.
Delle accuse dirette a Sigismondo c’è testimonianza anche nelle Notizie intorno ad Isotta,quando Mazzuchelli cita una «Cronica a penna in pergamena, che tuttavia si conserva nell’Archivio de’ Padri Minori Conventuali di S. Francesco di Rimino composta da Fr. Alessandro da Rimino Proccuratore di quel suo Convento» 111. Mazzuchelli dichiara che della notizia dell’esistenza di questo codice «come altresì di alcune altre», si «confessa debitore al chiarissimo Dottor Giovanni Bianchi di Rimino, che con sua lettera mi ha dato in ciò saggio egualmente della sua gentilezza, che della sua singolare erudizione» 112. E dell’erudizione malatestiana di Bianchi abbiamo ulteriore testimonianza nelle adunanze dei suoi Lincei riminesi 113, su cui abbiamo già trattato in questa sede.


NOTE

1 Esattamente il 15 agosto.
2 Cfr. in Lettere a Giuseppe Garampi, SC-MS. 208, Biblioteca Gambalunghiana di Rimini [BGR].
3 Diciamo soltanto il peccato, avendo come esempio l’«Accademia dell’Istituto delle Scienze» di Bologna, le cui leggi proibivano la censura di qualunque autore.
4 Cfr. G. A. BATTARRA, Lettera […] in cui si dà ragguaglio dell’apertura degli Avelli […]. Rimino 16 giugno 1757, «Raccolta Milanese», Milano 1757, pp. 3-4, che rimanda ad un passo di G. M. GARUFFI, Lucerna lapidaria, Ferrari, Rimini 1691, p. 63.
5 Cfr. C. RICCI, Il Tempio Malatestiano in Rimini, Milano-Roma 1924, ed. an. Rimini 1974, p. 352, pp. 287-289. Dai verbali stesi per l’occasione risulta che, all’apertura del primo sarcofago (quello di Basinio), sono presenti padre Righini, Battarra, il pittore Giambattista Costa, padre Ottavio Tondini, il vice-bibliotecario della Gambalunghiana Epifanio Brunelli (figlio del bibliotecario Bernardino) ed il notaio Francesco Antonio Masi che sottosegnò tutti i verbali medesimi.
6 Così scrive Righini a Garampi nella cit. lettera.
7 Cfr. G. COSTA, Il Tempio di S. Francesco di Rimino o sia descrizione delle cose più notabili in esso contenute, Rocchi, Lucca 1765.
8 Cfr. G. A. BATTARRA, Relazione intorno all'apertura de' monumenti esistenti dentro e fuori del magnifico Templo di S. Francesco di Rimino […], conservata in G. GARAMPI, Apografi. Miscellanea Ariminensis (I, cc. 479-80), SC-MS. 227, BGR. La Relazione è senza data. Essa è stata trascritta da A. SERPIERI, nell’ed. an. (Rimini 1994) della cit. Lettera a stampa (Milano 1757) dello stesso Battarra, pp. IX-X.
9 Il ms. originale (che comprende il testo di Battarra e le note di Epifanio Brunelli), è in Battarra G. A., I (177), doc. 31, FGMR.
10 Cfr. BATTARRA, Lettera, cit. p. 4.
11 Ibid., p. 9, nota (a).
12 Ibid., pp. 8-9.
13 Ibid., p. 9, nota (a).
14 Cfr. J. DALARUN, Santa e ribelle, Vita di Chiara da Rimini, Bari 2000, p. 13.
15 Sulla beata Chiara cfr. ne Gli Agolanti e il Castello di Riccione, a cura di R. COPIOLI, Rimini, 2003, ad indicem.
16 Cfr. L. TONINI, Indicazioni o memorie di scrittori ed opere riminesi [...] tratte dalle Schede Garampi, dall'Indice de' Mss. della Gambalunga e da altre fonti..., SC-MS. 1306, BGR, p. 55. Questa scheda garampiana segnala i limiti culturali di padre Righini.
17 Cfr. «Novelle letterarie», tomo XVI, n. 35, 29.8.1755, coll. 550-554, dove il volume garampiano Memorie ecclesiastiche appartenenti all’Istoria e al culto della B. Chiara da Rimini, edito nello stesso anno a Roma da Pagliarini, fu recensito.
18 Su Bianchi, cfr. A. MONTANARI, Tra erudizione e nuova Scienza. I Lincei riminesi di G. B. (1745), «Studi Romagnoli», LII (2001, ma 2004), pp. 401-492.
19 Ibidem.
20 Di Bassi riferisce brevemente Mazzuchelli nel cit. vol. II, 1 dei suoi Scrittori d’Italia, p. 526.
21 Cfr. la missiva di Battarra del 7.5.1757, in A. TOSI, Alcune note sul Tempio Malatestiano, Imola 1927, pp. 4-5, estratto de «La Romagna», a. XVI, 1927, II-III, pp. 214-235.
22 Questa «edizione seconda veronese» presso Giannalberto Tumermani tien dietro a quella del 1750, rispetto alla quale presenta «quanto di più particolare si ha nell’edizioni antecedenti» (p. XXIII).
23 La tavola fuori testo, a fronte di p. 1, contiene la riproduzione della celebre medaglia di Matteo de’ Pasti con il profilo di Sigismondo Pandolfo Malatesti; e due immagini (in prospetto e fianco) del sepolcro di Giusto.
24 Cfr. in G. BIANCHI, Minute di lettere 1741-1761, SC-MS. 970, BGR, c. 257v, la lettera del 5.10.1754 a Mazzuchelli.
25 Cfr. G. GETTO, Storia delle storie letterarie, Firenze 1969, pp. 70-71.
26 Ibid., p. 80.
27 Cfr. W. BINNI, Il Settecento letterario, «Storia della Letteratura Italiana», VI, Milano 1968, p. 629.
28 Cfr. la scheda di P. ROCCHI in Letteratura italiana. Gli Autori. Dizionario bio-bibliografico e Indici. Volume II, H-Z, Einaudi, Torino 1991, p. 1175.
29 Cfr. E. RAIMONDI, Ragione ed erudizione nell’opera del Muratori, ne I sentieri del lettore, II, Bologna 1994, p. 141. Il testo in origine è apparso ne I lumi dell’erudizione. Saggi sul Settecento italiano, Milano 1989, p. 88.
30 Cfr ID, Scienza e letteratura, Torino 1978, p. 58.
31 Cfr. R. ZORZI, Cesare Beccaria. Il dramma della giustizia, Milano 1996, pp. 104-105.
32 Cfr. C. CAPRA, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna 2002, p. 213, nota 91.
33 Cfr. «Nuova Raccolta d’Opuscoli scientifici, e filologici», XIII, presso Simone Occhi, Venezia 1765, pp. VII-XII.
34 Cfr. la minuta del 7 luglio 1763 nel cit. SC-MS 208.
35 Cfr. la ricordata missiva 5.10.1754, SC-MS. 970, cit.
36 Ibid. «Ieri l’altro dal P. Maestro Tonni nostro Inquisitore mi furono mandati due esemplari della Bella mano di Giusto de’ Conti ristampata l’anno passato in Verona con annotazioni di V. S. Ill.ma».
37 Ibid. La missiva prosegue da c. 257v a c. 258v, SC-MS. 970, cit.
38 Cfr. in Fondo Gambetti, Lettere al dottor Giovanni Bianchi [FGLB], BGR, ad vocem.
39 Della risposta di Bianchi (dell’11.11.1754) c’è annotazione nel suo Commercium epistolicum, SC-MS. 974, BGR, ad diem.
40 Cfr. MAZZUCHELLI, Gli scrittori d'Italia, II, II, Bossini, Brescia 1760, pp. 1137-1148.
41 Cfr. le pp. 1138-1139.
42 Cfr. la lettera in tale data, FGLB, ad vocem.
43 Cfr. il cit. SC-MS. 974, ad diem.
44 Ibid., ad diem.
45 Cfr. lettera del 6.5.1756, FGLB, ad vocem.
46 Ibid.
47 Bianchi ne accusa ricevuta l’8.11.1756, come risulta dal cit. ms. 974, ad diem.
48 Sul significato di questa iniziativa editoriale, cfr. F. VENTURI, Settecento riformatore, I. Da Muratori a Beccaria, Torino 1998, pp. 645-646, dove è cit. pure il lavoro di Mazzuchelli su Isotta; e CAPRA, op. cit., p. 128.
49 Cfr. p. 3.
50 Cfr. lettera del 12.11.1756, FGLB, ad vocem.
51 La spedizione delle cinque copie avviene all’inizio del nuovo anno: cfr. la lettera di Mazzuchelli a Bianchi del 10.1.1757, FGLB, ad vocem.
52 Pasquali pubblicò varie opere di Bianchi.
53 Cfr. la cit. lettera del 12.11.1756, FGLB, ad vocem.
54 In SC-MS 974 cit., Bianchi annota sotto l’8.11.1756 di aver scritto al bresciano, «dicendogli della Lettera di Isotta».
55 In questa seconda ed. di Brescia 1759, alla nota 54 di p. 38, Mazzuchelli presenta alcune indicazioni bibliografiche originali.
56 Cfr. A. CAMPANA, Vicende e problemi degli studi malatestiani, «Studi Romagnoli», II (1951), p. 144.
57 In calce alla II ed. del lavoro di Mazzuchelli, c’è un sommario di mano di Bianchi, relativo alle parti che lo riguardano, ed alle mancate citazioni.
58 Cfr. tomo XVIII, n. 10, 11.3.1757, coll. 151-156.
59 «Intendo che privatamente sia stato ora, non ha molto, aperto in Rimino da alcuni, e frugato, come hanno fatto di tutti gli altri di quella Chiesa», col. 156.
60 La recensione, assieme ad altri otto lavori apparsi sul periodico fiorentino nel 1757, è poi fatta stampare da Bianchi a parte.
61 Questi redattori sono «quelli che traducono in Venezia la Storia di Salmon», come si legge nella ricordata lettera battarriana a Bassi del 7.5.1757: «
62 Cfr. l’appena ricordata lettera battarriana del 7.5.1757, in TOSI, Alcune note, cit., p. 5.
63 Scrive Battarra, ibid., che Bianchi dava dei «visi di c.o» ai suoi interlocutori.
64 Cfr. «Novelle letterarie», tomo XVIII, n. 17, 29.4.1757, coll. 262-268.
65 Cfr. la cit. p. 9, nota (a).
66 Cfr. fasc. 235, Bianchi Giovanni, FGMR. Lo stesso testo, in prima stesura, è in fasc. 234, FGMR.
67 Cfr la lettera del 21.6.1757 in TOSI, Alcune note, cit., p. 5.
68 Si tratta di una minuta di lettera conservata nel cit. fasc. Battarra, I (177), FGMR, n. 4, 7.6.1757.
69 Cfr. A. MERCATI, Lettere di scienziati dall’Archivio Segreto Vaticano, Roma 1941, V, vol, V, n. 2, «Commentationes della Pontificia Academia Scientiarum», p. 157.
70 Cfr. in FGLB, ad vocem.
71 Cfr. c. 1 del cit. fasc. 235, Note d’una Persona, FGMR.
72 Cfr. la lettera del 28.5.1757, c. 294r, SC-MS. 970, cit.
73 A queste osservazioni risponde lo stesso medico nel cit. fasc. 235, Note d’una Persona, FGMR.
74 Cfr. TOSI, Relazione degli oggetti trovati nella tomba di Sigismondo Pandolfo Malatesta nel Tempio malatestiano di Rimini, Roma 1924, p. 16, nota 13.
75 A proposito del sepolcro d’Isotta leggiamo: «onde non resto persuaso che possa essere stato smosso in altro tempo» (cfr. col. 265 delle citt. «Novelle letterarie», 29.4.1757). Questa precisazione polemica nei confronti di Bianchi, manca nella relazione ms. di Battarra conservataci da Garampi, di cui s’è detto alla nota 7, ed ora nel cit. SC-MS. 227.
76 Cfr. alle coll. 265-266 delle citt. «Novelle letterarie», 29.4.1757.
77 TOSI, Alcune note, cit., p. 10, erra nel riportare la citazione dalla lettera di Bianchi: scrive «ramo» e non «rama».
78 Cfr. lettera del 28.5.1757, SC-MS. 970, cit., c. 294v.
79 «Questo colo è veramente una parola da accrescere il vocabolario della crusca», ibid.
80 La lettera di Battarra a Lami, del 7.5.1757, è riportata da TOSI, Alcune note, cit., pp. 10-11.
81 Cfr. il cit. SC-MS. 227.
82 Cfr. la citazione di questo ms., il Nuovo ed esatto campione del convento de’ Min. Conventuali di S. Francesco, in Ricci, op. cit., p. 352.
83 Delle proprie novelle boccaccevoli Bianchi conservò le brutte copie, se nel 1758 le trascrisse per il marchese Romualdo de Sterlich di Chieti, da dove mi dà questa notizia lo storico prof. Giuseppe Francesco de Tiberiis.
84 Cfr. Ricci, op. cit., pp. 286-287; 200, nota 4.
85 Leggiamo nel cit. fasc. 235, FGMR, c. 1, che il passo della col. 156 delle «Novelle letterarie» tomo XVIII, n. 10, 11.3.1757 «dispiacque ad un Anonimo, che si suppone Capo Frugatore di questi undici famosi sepolcri, e in discolpa di se, e del P. Righini primo Autore di questa Apertura ne scrisse una relazione sopra la medesima Apertura, e la mandò al Novellista Fiorentino, che la inserì, non si sà il perché, nell’ultimo foglio delle sue Novelle del mese di Aprile» alle coll. 262 e segg.
86 Cfr. la lettera del 26.3.1759 (nel cit. SC-MS 970, c. 310v).
87 Cfr. nelle Notizie intorno ad Isotta, cit., p. 29, nota 39.
88 Cfr. TOSI, Alcune note, cit., p. 5.
89 Ibid.
90 «Unite a questa mia troverà alcune Note, che ad un mio Scolaro è riuscito di raccapezzare per lo più in questa nostra pubblica libreria, che, unite a questa mia relazione, serviranno a V. S. Illustrissima di trattenimento in un’ora oziosa» (p. 3).
91 Su Epifanio Brunelli cfr. MAZZUCHELLI, Scrittori d’Italia, II, IV, cit., pp. 2170-2171.
92 Cfr. la lettera a Battarra, 28.8.1759, in Lami, G., FGMR
93 Sull’argomento, cfr. il nostro Iano Planco, la puttanella, il vescovo. La condanna all’Indice del rifondatore dei Lincei, Rimini 2003.
94 Anche ne La cultura letteraria nelle corti malatestiane, a cura di A. PIROMALLI, Rimini 2002, non si accenna agli interessi malatestiani di Bianchi.
95 Su Garuffi e la cultura riminese del primo Settecento, cfr. i nostri Giovanni Bianchi studente di Medicina a Bologna (1717-19), «Studi Romagnoli» XLVI (1995, ma 1998), pp. 385-389; e G. A. Barbari da Savignano (1647-1707), Rimini 2005, pp. 97-101.
96 Cfr. il tomo XXX, pp. 156-186. L’esemplare di BGR proviene dalla locale biblioteca teatina.
97 La lettera reca la data del «penultimo mese dell’anno cadente 1717» (p. 186).
98 Cfr. Annales Minorum seu trium ordinum a S. Francisco institutorum, auctore Luca Waddingo Hiberno, ex sumptibus Claudii Londry, Lugduni 1628, II, p. 634.
99 Cfr. <www.ku.edu> e <www.encyclocapranica.it>.
100 Cfr. p. 157 della Lettera apologetica di Garuffi.
101 Wadding scrive: «[…] nihil scelerum aut male auctorum praetemittens».
102 «Divae Isottae Sacrum».
103 Cfr. Lettera apologetica, cit., p. 157.
104 Ibid., pp. 161-163.
105 Ibid., pp. 166-175.
106 Ibid., pp. 178-179.
107 Sul «B. M.» gli studiosi si sono sbizzarriti: beata o buona memoria, oppure benemerita.
108 Cfr. Lettera scritta al Molto Rev. Padre Fr. Giulio da Venezia. Non è riportata l’indicazione del luogo, ma è probabilmente Rimini.
109 Cfr. p. XL della cit. Lettera scritta.
110 Cfr. Seconda lettera apologetica dell’Arciprete D. Giuseppe Malatesta Garuffi, Pesaro 1727.
111 Cfr. ibid., p. 3: frate Alessandro definisce Sigismondo «Iniquus Princeps», e ricorda che costui prese come moglie Isotta «qua cum per multos annos libere sine matrimonio vixit». Circa le nozze di Isotta con Sigismondo, Mazzuchelli ipotizza il principio del 1453.
112 Mazzuchelli in altra parte del testo (p. 8, col. 15, nota a) ricorda che Bianchi conservava copia di una raccolta ms. di «cinque libri in versi dedicati ad Isotta», poi editi nel 1549.
113 Cfr. il nostro cit. scritto Tra erudizione e nuova Scienza, pp. 470-472 .

Antonio Montanari



1160/23.02.2006