Fuochi

Mancano sei mesi alle elezioni politiche. Abbiamo l'impressione che i nostri eroi abbiamo calcolato male il tempo dello spettacolo. Nei fuochi d'artificio si parte con un allegro andante per arrivare al botto finale che è tutto un tripudio di luci, colori e suoni assordanti. I politici al governo hanno saltato l'inizio, l'intermezzo, l'intervallo ed hanno principiato dal gran finale. Potrebbe essere una mossa originale: stendiamo gli avversari sin dall'inizio, e così non se ne parla più. Potrebbe essere però una decisione folle, rivelatrice di sciocche pretese e di arroganti intimità. A forza di stringerlo al collo, a qualcuno mancherà il respiro. Ma è un lusso che una democrazia decente non dovrebbe permettersi.

Con la frenesia tipica delle opere buffe prima che si chiuda il sipario al terzo atto, è andata in scena una rappresentazione che potremmo intitolare: «L'amico infedele», in cui la vittima è quel Follini che non digerisce più Berlusconi il quale ha stretto a sé Casini e Fini in un patto per vincere il campionato ed arrivare ad occupare tutto lo Stato con questo organigramma: lui, il Cavaliere, al Quirinale per succedere a Ciampi, Fini a palazzo Chigi per subentrare a Berlusconi ed il buon Casini a capo della Casa delle libertà al posto del medesimo re di Arcore che in un botto solo lancia due successioni raddoppiando il potere per ognuna di esse, e stendendo ko la Costituzione.

Quando si parla di Costituzione, bisogna intendersi: essa è oltre al testo, pure lo spirito. È assurdo che una sola parte politica occupi tutto lo Stato. Nella Costituzione c'è l'idea di un equilibrio fra poteri che ora verrebbe ridicolmente violato proprio da parte di chi voleva togliere al Quirinale ogni ruolo di garanzia, sottomettendone l'inquilino alla funzione di semplice segretario delle decisioni di palazzo Chigi. Cosa del resto prevedibile per un governo in cui c'è chi considera l'unità nazionale un disgustoso ornamento ed invita ad usare il tricolore non nelle sfilate ma nei cessi.
Il comico della situazione diventa drammatica mancanza di rispetto di quelli che con retorica si chiamano comunemente i «valori». Per i quali tanti hanno perso la vita per l'Italia, difendendone gli stracci dopo l'8 settembre 1943 od onorandola con il lavoro in miniera. Abbiamo esportato gente onesta e povera, non soltanto la mafia. Nei sei mesi della campagna elettorale, chi si ricorderà di quest'Italia, dove la Storia non siamo noi? [931]

Antonio Montanari


1114/Riministoria-il Rimino/Antonio Montanari Nozzoli/ 03.10.2005