Meriti

Un ex generale ora deputato di An, Luigi Ramponi, presidente della commissione Difesa della Camera, ha fornito indirettamente una chiave di lettura fondamentale per comprendere la vicenda irachena conclusasi con la morte di Nicola Calipari. Per la liberazione di Simona Pari e Simona Torretta, il merito fu attribuito a Maurizio Scelli, allora commissario straordinario della Croce Rossa, mascherando l’intervento del nostro servizio segreto militare (Sismi). Scelli nel frattempo ha organizzato un fallito raduno di giovani forzitalisti a Firenze, ricoprendo un incarico derivatogli soltanto dalla «benemerenza» acquisita sul campo di guerra.
Il rapporto americano sulla morte di Calipari ha provocato la risentita reazione del governo italiano che il 2 maggio ha risposto per dimostrare le nostre divergenze e le nostre (presunte) ragioni. Gli Usa avevano sostenuto: è stato un errore, non un agguato. Noi abbiamo replicato con la faccia seria di Fini ed il volto compunto del premier, che non è stato un agguato ma soltanto un errore. Per qualche giorno insomma abbiamo fatto quello che la regia marina napoletana definiva ammuina. Abbiamo tentato di nascondere che il povero Calipari è morto eseguendo gli ordini impartiti da chi a Roma aveva la responsabilità diretta, attribuitagli dal premier d’accordo con l’opposizione. La sera del 4 marzo tutt’Italia sapeva dalla tivù che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, era il gran cerimoniere dell’operazione. Se l’altra volta il merito era stato di Scelli e non del Sismi, questa volta non è colpa di Letta, del governo e dell’opposizione, ma del Sismi.
Il documento del 2 maggio non fa luce, aggiunge mistero a mistero con il tipico linguaggio italiano: «è verosimile che la catena di comando Usa non fosse formalmente a conoscenza del contenuto della missione», mentre è «indiscutibilmente certo che fosse al corrente dell’arrivo del dottor Calipari». Questo stile ha radici secolari, dalla dissimulazione seicentesca alla storia più recente come insegna la strage di piazza Fontana, 12 dicembre 1969, ancora al centro di attività processuali, e con magistrati attivi all’epoca che suggeriscono ora d’interpellare Giulio Andreotti. Il quale a sua volta porta una ventata di novità tirando in ballo il ballerino Pietro Valpreda, l’anarchico prima accusato e poi assolto. Con lui si ritorna daccapo, a dimostrazione perfetta che chi muore giace e chi vive si dà pace. [913]

Antonio Montanari


1055/Riministoria-il Rimino/Antonio Montanari Nozzoli/3.5.2005