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"il Rimino"



Documenti spariti
e storie non narrate
A qualcuno non è piaciuto il mio articolo sul 1946 (intitolato «Erba nei fossi e forche in piazza») che affronta un tema poi riproposto ne "I giorni dell'ira".
Con l'arroganza poco democratica di chi detiene un potere inteso non come servizio ma come difesa di posizioni privilegiate (che non sono soltanto economiche), di recente mi è stato fatto notare che "la storia si fa con i documenti".
Ho risposto pubblicamente sul web che, a Rimini, i documenti sono stati fatti sparire. Questo il testo pubblicato un mese fa.

«Mi si dice da persona autorevole, a proposito di certe storie riminesi di guerra e del dopoguerra, che la Storia si fa in base ai documenti. I documenti ci sono e smentiscono gli autocompiacimenti delleautobiografie.
Il problema è che molti documenti sono stati fatti sparire, dalle raccolte dei giornali conservati nelle biblioteche e dalla serie di atti pubblici (ovvero ufficiali) posseduti dalle stesse biblioteche.
E quindi, questi autorevoli personaggi che sostengono gli autocompiacimenti delle autobiografie, come spiegano quello che ora non c'è più?»


Vorrei aggiungere ora che, di certi episodi del 1944, a Rimini non si è mai parlato.

I primi a tacerne sono stati i repubblichini più in vista.
Cito dal "Giornale di Rimini" (I, 1) dell'8 luglio 1945, il pezzo sulla lunga lettera inviata da Paolo Tacchi al sindaco di Rimini, lettera che si concludeva che l'accenno ad «altre tre uccisioni avvenute» in città.
Giuffrida Platania in un testo inviato la segretario del fascio repubblichino (posteriore al 20.5.1944), scrive di «Altre azioni che per opportunità non è il caso di menzionare...».

Un personaggio antifascista noto per le sue posizioni polemiche verso la dirigenza antifascista postbellica, Elio Ferrari, scriveva in un fax inviato alla redazione del settimanale "il Ponte" il 28 aprile 1997, che un concittadino aveva fatto vivere momenti drammatici ai figli di un capo dell'antifascismo riminese (di questo "capo" faceva nome e cognome nel fax, come pure del "concittadino").
Lo stesso nome e lo stesso cognome del "capo" antifascista, faceva un generale e partigiano a chi lo intervistava, accusando quel signore "concittadino" citato da Ferrari, di aver sparato ad uno dei due figli di quel medesimo capo dell'antifascismo riminese.

C'è infine anche chi riferisce che, per quei colpi d'arma da fuoco, nel marzo 1944 ci scappò un morto, e non era il defunto l'obiettivo dell'azione. Forse si tratta di una di quelle «altre azioni che per opportunità non è il caso di menzionare...», secondo quanto scriveva Platania.


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