La pacificazione impossibile
La "folla impazzisce" dopo la 'caduta' di Mussolini. L'arresto di Platania, Buratti e Lancia, liberati poi dai tedeschi. La proposta di un "patto di non aggressione".

I giorni dell’ira, 10. "il Ponte", 29.07.1990
51. Dal 25 luglio all'8 settembre.
Alle 22.45 del 25 luglio, l'Eiar trasmette la notizia della caduta di Mussolini. Alle 17, il duce è stato arrestato, all'uscita da un breve colloquio con il re. Fatto salire dai Regi Carabinieri su di un'ambulanza, è trasferito a Ponza. Poi, viene tradotto alla Maddalena e a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Qui, il 12 settembre, è liberato da un commando di paracadutisti tedeschi, che lo conduce in Germania.
Il 18 settembre, Mussolini parla da Radio Monaco: «Sono sicuro che la riconoscerete: è la voce che vi ha chiamato a raccolta nei momenti difficili». É una voce stanca che aveva perso i toni abituali. Per questo, molti credono che Mussolini sia stato ucciso e che si tratti di un sosia, vagamente rassogliante, «usato dai tedeschi per far credere che il Duce sia davvero libero e vivo». (1)
É l'annuncio della nascita della repubblica sociale italiana, la famigerata repubblica di Salò.
L'Italia è divisa in due, al Nord ed al Centro, tedeschi e fascisti. Al Sud, il regno che ha per capitale prima Brindisi e poi, dall'11 febbraio 1944, Salerno.
Comincia per il nostro Paese il momento tragico della guerra civile.
Ricostruiamo le vicende riminesi di quei dodici mesi, dal settembre '43 al settembre '44, i lunghi «giorni dell'ira», partendo proprio dal 25 luglio '43, che segna un cambiamento radicale nella storia italiana.
Quella sera al cinema Savoia si proietta il film «Giorni felici», mentre Maurice Chevalier al Fulgor invita: «Sorridete con me». (2)
Dopo l'annuncio della Radio italiana sulle 'dimissioni' di Mussolini, anche a Rimini la gente esce per le strade a gridare la propria gioia.
Da Marina centro, si forma un corteo che si dirige verso piazza Cavour, al grido di «Viva la libertà! Vogliamo la pace». (3)
In piazza Cavour, c'è un tafferuglio: da una parte i manifestanti, dall'altra alcuni poliziotti ed un ufficiale della milizia che sferra un pugno in faccia ad un giovane comunista, Alessandro Ghelfi, che aveva doti oratorie particolari, pari alla sua forza fisica. Una decina di Carabinieri con il moschetto in mano, intima lo scioglimento. Il gruppo degli antifascisti si disperde nei borghi, discutendo sino a notte fonda. (4)
In piazza Giulio Cesare (ora Tre Martiri), c'è un battibecco tra chi cerca di arringare la folla, parlando anche dei combattenti: «Fu redarguito e stava per nascere un focarello di litigio. Le cose si quietarono subito, e tutto finì lì». (5)
La notte del 25 luglio, torna a Rimini Paolo Tacchi. É un sottufficiale della Marina, in licenza di convalescenza. Gioca a fare il duro. É un nome che ricorrerà spesso nelle nostre cronache.
Dalla stazione ferroviaria, Tacchi va verso casa sua, posta in via dei Mille. Al Caffè Marittimo, qualcuno gli grida: «É finita anche per te». Ne nasce una zuffa, sedata per l'intervento di altre persone. (6)
Le notizie che provengono da Roma, gli fanno deporre «la burbanzosa arroganza» che lo contraddistingueva. (7)
26 luglio: «Molta gente che non aveva sentito la radio o letto i giornali, era uscita di casa ignara di quanto accaduto, portando come al solito il distintivo del fascio all'occhiello della giacca». (8)
Gli antifascisti controllano, impongono di togliere quel distintivo, e se incontrano resistenza danno «scapaccioni e calci nel sedere». (9)
Racconta un altro testimone, il giornalista Flavio Lombardini: «Uomini di ogni età e condizione calpestano rabbiosamente il distintivo del Pnf. Un negozio di souvenir viene preso d'assalto e distrutto».
Un busto di Mussolini d'alabastro, gettato da una finestra, sfiora Lombardini a due dita dal capo. «La folla impazzisce». (10)
In piazza Cavour, su di un manifesto, «il solito ignoto ha scritto con mano sicura "Dalla tragedia alla farsa"». (11)
Mentre percorre via Garibaldi, viene picchiato a sangue con uno zoccolo in testa da cinque persone, Giuffrida Platania, un «acceso fascista» (12) che «non sapeva darsi pace», personaggio ben noto in città. (13)
La caccia al fascista è cominciata.
Quella mattina del 26 luglio, alcuni sammarinesi s'incontrano a Rimini nello studio del dentista dott. Alvaro Casali, allo scopo di «organizzare una manifestazione per indurre il governo di San Marino alle dimissioni». (14)
Tra 27 e 28 luglio, vengono arrestati alcuni esponenti del fascismo riminese: Giuffrida Platania, Perindo Buratti, Eugenio Lazzarotto, Giuseppe Betti e Valerio Lancia (che era stato anche il federale della città). Li libereranno i tedeschi il 13 settembre. (15)
Racconterà Buratti: «Il 27 o 28 luglio del '43 andai a Roma. Mi accompagnai col capitano dei carabinieri Bracco che da Rimini era stato trasferito a Roma... Quando, dopo una decina di giorni, tornai, il mio amico e fascista Motta, commissario di PS mandò un agente a casa mia -abitavo in piazza Malatesta- a vedere se c'ero. E poiché c'ero mi mandò a dire che andassi da lui. Non temessi: era un amico e un fascista. E mi mise in galera. Per protezione, mi disse». (16)
Qualche altro personaggio in vista nella Rimini in camicia nera, cerca raccomandazioni per il futuro, presso gli antifascisti. É il caso dell'avv. Salvatore Corrias, dell'Istituto di Cultura fascista, che va a trovare il socialista Mario Macina. Corrias è il primo a fare discorsi antifascisti in piazza. (17)
Otto settembre, tutti a casa. Qualcuno organizza la resistenza ai nazifascisti, come Carlo Capanna, uno studente riminese dell'Accademia aeronautica di Forlì, che se ne scappa a Meldola con un fucile, una pistola, ed un grosso pacco di caricatori per il fucile. (18)


Note
(1) Cfr. Silvio Bertoldi, Salò, Bur Rizzoli, Milano, 1978, p. 19.
(2) Cfr. Antonio Montanari, Rimini ieri 1943-1946, Il Ponte, Rimini, 1989, p. 16.
(3) Cfr. Decio Mercanti, Primi passi della Resistenza nel Riminese, in «Storie e storia», n. 4, p. 32.
(4) Ibidem.
(5) Cfr. Oreste Cavallari, Rimini imperiale!, Rimini, 1979, p. 98.
(6) Cfr. Amedeo Montemaggi, Come cadde il fascismo, «il Resto del Carlino», 25.7.1973. Se non indicate diversamente, s'intendono le pagine di cronaca riminese.
(7) Cfr. Flavio Lombardini, Fra due fuochi, 25 luglio 1943 - 25 agosto 1945, Rimini, 1975, in fotocopia, p. 11.
(8) Cfr. la testimonianza di Virginio Reffi, in La Repubblica di San Marino - Storia e cultura - Il passaggio della guerra 1943-1944, Bruno Ghigi editore (e curatore), Rimini, 1983, p. 199.
(9) Ibidem.
(10) Cfr. F. Lombardini, Fra due fuochi…, cit., pp. 5-7.
(11) Ibidem.
(12) Cfr. la testimonianza citata di V. Reffi.
(13) Cfr. A. Montemaggi, Rimini 1943-1944, «Il Ponte», 1978, a dispense, p. 8.
(14) Cfr. la testimonianza citata di V. Reffi. Il fascismo a San Marino cade il 28 luglio 1943: cfr. la puntata de I giorni dell'Ira del 4. 3. 1990 (28 luglio, San Marino volta pagina).
(15) Cfr. A. Montemaggi, Rimini 1943-1944, cit., p. 11.
(16) Cfr. O. Cavallari, Bandiera rossa la trionferà - Rimini 1944-1946, Rimini, 1979, p. 16.
(17) Cfr. A. Montemaggi, Come cadde il fascismo, cit., e O. Cavallari, Rimini imperiale!, cit., p. 96. Macina fu assessore nella Giunta socialista abbattutta dai fascisti nel 1922.
(18) Cfr. l'intervista concessa al «Ponte» del 29. 10. 1989, dal titolo «Così arrestai Tacchi a Padova».



52. Arrivano i tedeschi.
Il 10 settembre, giorno dell'occupazione tedesca di Roma, a Rimini due autocarri-radio dei nazisti s'installano in piazza Giulio Cesare.
Il giorno 11, una pattuglia di motociclisti germanici giunge sul piazzale della nostra stazione ferroviaria.
Il 12, Mussolini viene liberato a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, dai paracadutisti del gen. Karl Student (il merito se lo attribuì il colonnello delle SS Otto Skorzeny, ricevendo da Hitler le insegne di Cavaliere della Croce di ferro).
Quel giorno, da noi alcuni reparti tedeschi presidiano i punti nevralgici della città. I Comandi tedeschi occupano i migliori alberghi.
La notizia della liberazione di Mussolini, mette in agitazione la Milizia: un suo reparto sfila velocemente per il corso d'Augusto. Qualcuno pensa a voce alta: «Ma che cosa combinerà quel matto?». (1)
Lo stesso 12 settembre, la prefettura di Forlì pubblica un bando del Feldmaresciallo Albert Kesserling, comandante in capo tedesco in Italia, che segna la resa italiana ai nazisti: «Il territorio dell'Italia a me sottoposta è dichiarato territorio di guerra. In esso sono valide le leggi tedesche di guerra. Tutti i delitti commessi contro le forze armate tedesche saranno giudicati secondo il diritto tedesco di guerra. Ogni sciopero è proibito [...]. Gli organizzatori, i sabotatori ed i franco tiratori saranno giudicati e fucilati per giudizio sommario. Sono deciso a mantenere la calma e la disciplina ed a sostenere le autorità italiane competenti con tutti i mezzi per assicurare la sicurezza alla popolazione [...]. É proibito fino a nuovo ordine la corrispondenza privata [...]. Le autorità e le organizzazioni italiane civiche sono verso di me responsabili per il funzionamento dell'ordine pubblico. Esse compiranno il loro dovere solamente se si atterranno ai nostri ordini e se impediranno ogni atto di sabotaggio e di resistenza passiva contro le misure tedesche e se collaboreranno in modo esemplare con gli uffici tedeschi».
E poi: «Le truppe italiane che opporranno resistenza agli ordini emanati dai comandi tedeschi verranno trattate come FRANCOTIRATORI; gli ufficiali ed i comandanti di queste truppe saranno resi responsabili della resistenza eventuale e trattati come FRANCOTIRATORI». (2)
Sui proclami dei nazisti, nottetempo vengono apposte strisce con «A morte i tedeschi e i fascisti», stampate a Morciano dalla tipografia di Luigi Cavalli. (3)
I tedeschi fanno scuola ai 'nuovi' fascisti di Salò: dal berretto nero (copiato da quello delle SS tedesche), fino alla ferocia dell' «occhio per occhio, pietà l'è morta» (4), e agli atteggiamenti contro gli ebrei: «Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica». (5)
Rispuntano «i nuovi ras del terrorismo ad ogni costo». (6)
I tedeschi trattano i repubblichini «con distacco, non si fidano, ma essi fanno ostentazione di fedeltà all'alleanza. Un rapporto senza stima, basato sulla convenienza reciproca». (7)
E la gente? «Nessun popolo gradisce la presenza nei propri territori di forze armate straniere emananti decreti e ordinanze e esercenti atti di imperio»: lo scrive Mussolini sul «Corriere della Sera». (8)
Finisce così «quella lunga estate del '43», in cui a Rimini la «stagione balneare... era stata più movimentata e festosa delle altre». (9)

Note
(1) Cfr. F. Lombardini, Fra due fuochi…, cit., p. 16.
(2) Cfr. A. Zambelli, Resistenza nel Forlivese, Cappelli, Bologna, 1962, p. 20.
(3) Cfr. l'intervista a Guglielmo Marconi in A. Montemaggi, L'antifascismo riminese si organizza, «Carlino», 10. 4. 1964.
(4) Cfr. S. Bertoldi, Salò, cit., p. 36.
(5) Ibidem, p. 39.
(6) Ibidem, p. 15.
(7) Cfr. Silvio Bertoldi, La chiamavamo patria, Rizzoli, Milano, 1989, p. 230.
(8) La data è l'11 ottobre 1943, cfr. Giorgio Bocca, La repubblica di Mussolini, Laterza, Bari, 1977, p. 48.
(9) Cfr. l'intervista a Guido Nozzoli in La guerra a Rimini e sulla linea gotica, Documenti e testimonianze raccolti da Bruno Ghigi, Ghigi editore, Rimini, 1980, p. 210.



53. Incontro tra nemici.
La sera del 12 settembre, a Rimini, i repubblichini Paolo Tacchi, Perindo Buratti e Gualtiero Frontali s'incontrano, nello studio di quest'ultimo, in via Bonsi, con un gruppo di antifascisti cittadini, in vista di un patto di non aggressione, per evitare massacri «tra gli italiani». (1)
Racconterà Buratti: «Ci riunimmo... per salvare Rimini dai tedeschi al di sopra delle inimicizie di parte, animati solo da amor di patria». (2)
Tacchi non ha mai parlato di quell'incontro, il cui spirito però lo si può dedurre da parole che lo stesso Tacchi scrisse a proposito della costituzione del fascio repubblichino: «Difesa morale e materiale dell'Italia», soprattutto nei confronti dei tedeschi. (3)
Il comunista Decio Mercanti ricorda che la riunione «venne indetta... nell'intento di gettare le basi per la costituzione di un Comitato di Concordia tra fascisti e antifascisti», che «avrebbe dovuto portare alla pacificazione fra le due parti per impedire delle rappresaglie». (4)
Nei repubblichini forse agiva il ricordo di un'analoga iniziativa del 2 agosto 1921, quando Mussolini cercò di eliminare dal suo partito le punte estremistiche ed eversive dello squadrismo agrario, e propose un patto di pacificazione col partito socialista e con i sindacati, che durò soltanto fino a novembre. Mussolini intendeva dimostrare al Paese che il fascismo era ormai una forza politicamente matura.
Nella sua linea, Mussolini ebbe sempre contro i fascisti della zona padana, ma ottenne di poterla realizzare quando a Sarzana, il 21 luglio, un'azione squadristica guidata da Amerigo Dumini (il futuro assassino di Giacomo Matteotti), venne respinta da undici Carabinieri che fecero diciotto morti tra i fascisti.
Mussolini temeva «l'isolamento del fascismo e l'eventualità di un'inversione di tendenza nell'atteggiamento governativo verso i fasci» (5), che fino a quel momento avevano fatto i loro comodi.
In seguito, resosi conto di non poter fare a meno dello squadrismo agrario, Mussolini sconfessò quel suo patto di pacificazione (che in effetti non aveva mai funzionato sul serio). Ottenne così il riconoscimento della sua funzione di guida del fascismo che, nel novembre 1921, da movimento si trasforma in vero e proprio partito. Sono circa 300 mila, gli iscritti.
Ritorniamo al 1943. L'atteggiamento conciliatorio dei repubblichini riminesi, lo si ritrova anche in quelli di altre città.
A Ferrara, ad esempio, il federale Igino Ghisellini «propone un accordo con i partiti antifascisti,... discute con i loro esponenti,... concorda una tregua tra le parti». (6)
La sua è una «posizione tollerante» che si scontra con la linea dura di Pavolini, Farinacci, Ricci e Mezzasoma. (7)
A rimetterci è lo stesso Ghisellini: egli «avrebbe voluto portare al congresso» del pfr a Verona (14 novembre '43), dove nasce la repubblica di Salò, il «suo progetto di pacificazione nazionale, di accordo con i partiti antifascisti e di tolleranza per i protagonisti del colpo di Stato» del 25 luglio. (8)
Ma proprio quel 14 novembre, Ghisellini è ucciso, in modo misterioso. Viaggiava in auto. «Il suo corpo trapassato da sei colpi di rivoltella fu trovato senza stivali e senza portafogli nella cunetta della strada provinciale che portava al paesino dov'era sfollato, e l'assassinio fu attribuito ai partigiani benché i carabinieri potessero dimostrare che il federale era stato ucciso da qualcuno che viaggiava in auto assieme a lui». (9)
«Più tardi si comincerà a diffondere la voce che forse Ghisellini è stato ammazzato dai suoi». (10)
Già da settembre, «la Repubblica che avrebbe scatenato la guerra civile», aveva cominciato a spalancare «molte porte con una ventata che lì per lì sembrò di libertà... In una parola, pacificazione». (11)
Gli eventi successivi fecero cambiare opinione. Lo stesso 14 novembre, avviene la vendetta, nella città di Ghisellini, a Ferrara, con i tredici martiri del Castello.
Salò nasce nel sangue. Non ci si poteva fare illusioni sul futuro comportamento dei repubblichini.

Note
(1) Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, cit., pag. 25.
(2) Cfr. A. Montemaggi, Rimini 1943-1944, cit., p. 16.
(3) Cfr. la lettera di Tacchi al «Carlino» del 31. 1. 1964, in Fascisti, antifascisti e tedeschi fra le macerie di Rimini distrutta, di A. Montemaggi.
(4) Cfr. D. Mercanti, Primi passi…, cit., p. 34.
(5) Cfr. Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, VIII, 1914-1922, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo, Feltrinelli, Milano, 1978, p. 373.
(6) Cfr. S. Bertoldi, Salò, cit., p. 15.
(7) Ibidem.
(8) Cfr. Gian Franco Vené, Coprifuoco, Mondadori, Milano, 1989, p. 225.
(9) Ibidem.
(10) Cfr. S. Bertoldi, Salò, cit., p. 15.
(11) Cfr. Gian Franco Vené, Coprifuoco, cit., p. 97.


Al capitolo precedente.

Antonio Montanari



Giorni dell'ira. Indice
Rimini ieri. Cronache dalla città. Indice
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