Due Giugno 1946, la nuova Italia
Come si arrivò al referendum tra repubblica e monarchia ed al voto per l'Assemblea costituente, dopo le lacerazioni della guerra che avevano diviso in due l'Italia. La nascita della democrazia
["il Ponte", n. 22, 1996]

Riministoria
il Rimino

Vittorio Emanuele III annotò sul suo diario alla data di lunedì 31 dicembre 1945: «21 pesci pescati» (a Posillipo, dove si era ritirato nella villa Maria Pia). «Di fronte alle notizie ora tristi ora buone affettava impassibilità, come sempre aveva fatto», scrisse di lui Domenico Bartoli. Si chiudeva l'ultimo anno di guerra ed il primo della pace. Anche per il re d'Italia, suo malgrado, s'apriva la stagione delle scelte decisive. Suo figlio Umberto II era stato nominato luogotenente generale del regno il 5 giugno '44, giorno successivo alla liberazione di Roma, e precedente lo sbarco alleato in Normandia.
Il 25 giugno '44 il governo Bonomi con un decreto del luogotenente aveva stabilito che, a guerra conclusa, gli italiani sarebbero stati chiamati alle urne per eleggere a suffragio universale l'Assemblea costituente, la quale avrebbe poi avuto il compito di dare all'Italia una nuova legge fondamentale dello Stato in sostituzione del vecchio Statuto albertino, e di scegliere la forma di governo tra repubblica e monarchia. Il 16 marzo 1946, invece, il governo De Gasperi affida questa scelta al voto popolare.

Le due schede
Il 9 maggio '46 Vittorio Emanuele III abdica a favore di Umberto II. Il 2 giugno si aprono i seggi elettorali. Vota l'89,1% degli aventi diritto. Nelle urne vanno così due schede. Quella per il referendum istituzionale (repubblica batte monarchia con 12.717.928 voti contro 10.769.284, schede nulle 1.498.154), e quella per l'Assemblea costituente che si riunisce per la prima volta il 25 giugno ed elegge il 28 Enrico De Nicola «capo provvisorio dello Stato».
I risultati del referendum erano stati comunicati in forma non definitiva il 10 giugno. Umberto II decide di attendere la proclamazione finale. La sera del 12 De Gasperi lo prende in contropiede, assumendo «le funzioni» (ma non i poteri) di capo provvisorio dello Stato, e costringendolo ad una decisione rapida: alle ore 16 del 13 giugno Umberto II, infatti, parte da Ciampino per il Portogallo con l'aereo messogli a disposizione, già da diversi giorni, dal governo.
Prima di andarsene, il re firma un proclama alla nazione, in cui accusa il governo di aver agito «in spregio alle leggi e al potere giudiziario» per aver assunto poteri che non gli spettavano. De Gasperi risponde definendo mendaci le affermazioni del re. De Gasperi ha fatto fallire «l'ultimo tentativo dei monarchici di salvare un'istituzione che Vittorio Emanuele III aveva portato alla rovina con la sua complicità» con Mussolini, e «la sua corresponsabilità nelle imprese di guerra del fascismo» (G. Candeloro).
La proclamazione definitiva dei dati del referendum (secondo le cifre che abbiamo riportato sopra), avviene il 18 giugno: la repubblica ha vinto per 453.506 voti.
Il testo della Costituzione, approvato il 22 dicembre 1947 (453 voti favorevoli, 62 contrari), viene promulgato il 27 dicembre, per entrare in vigore il primo gennaio '48.

Cento anni di Statuto
La lunga pagina dello storia d'Italia svoltasi all'insegna dello Statuto albertino, che era iniziata nel Risorgimento (4 marzo 1848), si chiude dopo la guerra di Liberazione, con la firma della nuova Carta da parte di Enrico De Nicola, un anziano giurista napoletano dalle non nascoste nostalgie monarchiche.
Lo Statuto albertino, in mano a Vittorio Emanuele III, era diventato una specie di fisarmonica, tirata da ogni parte per assecondare e non guidare gli eventi. Lo spirito di quella Carta era stato ripetutamente violato: nel maggio 1915, quando la Corona decise l'intervento in guerra senza e contro il Parlamento; nel '22, con l'incarico dato a Mussolini di formare il governo, sotto la pressione di una piazza che sarebbe stata facilmente controllabile; ed il 25 luglio '43 quando fu arrestato il duce, dopo che questi era stato messo in minoranza dal Gran Consiglio del fascismo. Durante il ventennio fascista, lo Statuto era passato in ombra nel '25, così come la figura del re rispetto a quella di Mussolini.

I nuovi partiti
Nell'Assemblea costituente, predominano la Democrazia Cristiana che ottiene 207 seggi, il Partito Socialista (115), e quello Comunista (104). Ci sono altri partiti minori, dall'Uomo qualunque di Guglielmo Giannini ai liberali, ai monarchici ed ai nostalgici del fascismo. Scompare in pratica il Partito d'Azione, che aveva dato un rilevante contributo alla Resistenza, schiacciato dai movimenti di massa. Ai social-comunisti va il suffragio del proletariato industriale nel Nord e di quello agricolo del Nord e del Centro. Classi medie e contadini del Nord-Est e di parte del Sud (prevalentemente monarchico), hanno scelto la Dc.

Il voto a Rimini
Il voto dei riminesi nel referendum istituzionale fu repubblicano (30.473 suffragi contro i 6.431 a favore della monarchia). Nell'urna per l'Assemblea costituente, i comunisti ottennero 12.587 voti, i socialisti 10.162, la Dc 8.232, il Partito repubblicano 4.000, l'Uomo qualunque 878, l'Unione democratica 542, gli azionisti 530. I cittadini ammessi al voto erano stati 44.172 su 72.878 abitanti. Votarono in 38.656. Le schede bianche e nulle furono 1.752 per il referendum, e 1.876 per l'Assemblea costituente.
Tutto si svolse «nel massimo ordine e nella più assoluta calma», come si legge nella delibera comunale del 6 giugno che si apre con la comunicazione dei risultati, da parte del sindaco di Rimini, Arturo Clari, alla Giunta: «la cittadinanza ha dato prova di alta civiltà in questa solenne espressione della sua libertà democratica, dalla quale è uscita la vittoria luminosa del popolo lavoratore e della volontà repubblicana della grande maggioranza degli elettori».

Le amministrative di ottobre
Il 6 ottobre '46 i riminesi tornano alle urne, questa volta per le amministrative: 28 dei 40 seggi in palio vanno alle sinistre. Diciassette ne hanno conquistati i comunisti, dieci i socialisti, nove i dc (con 6.492 voti), tre i repubblicani ed uno la lista degli Indipendenti (avv. Pietro Ricci). Il 25 ottobre si tiene l'ultima seduta della Giunta del Comitato di Liberazione Nazionale. Il nuovo Consiglio comunale s'insedia il primo novembre decidendo, all'apertura dei lavori, di dedicare ai Tre Martiri (uccisi dai nazifascisti il 16 agosto '44) la piazza Giulio Cesare. Il secondo anniversario della tragica esecuzione capitale di Mario Capelli (23 anni), Luigi Nicolò (22) e Adelio Pagliarani (19), è stato commemorato, nella ricorrenza del 16 agosto, con una Messa da campo del vescovo di Rimini mons. Luigi Santa. Il foglio dc L'Arengo scrive: «Rimini celebra commossa i Suoi Martiri simbolo del nostro riscatto e monito a chi vuole ingiustamente punirci».

Nacque la democrazia
Che cosa significò il 2 giugno '46 per le vicende d'Italia? Fu il primo atto di vera democrazia nella storia del nostro secolo, con il suffragio universale esteso a tutti i cittadini, comprese le donne; e con la scelta istituzionale (tra monarchia e repubblica) affidata direttamente, come si è visto, al corpo elettorale e non all'Assemblea Costituente. Fu la ricostituzione dell'unità d'Italia che, nata dopo la presa di Porta Pia il 20 settembre 1870 con la caduta (provvidenziale, la definì Paolo VI) del potere temporale dei papi, ebbe una frattura tragica con il 25 luglio e l'8 settembre '43, quando il nostro Paese si trovò diviso in due parti, armate l'una contro l'altra. Fu il manifestarsi di una precisa volontà politica, comune ai partiti nati dalla Resistenza, attorno ad una serie di principi di rinnovamento dello Stato e della società. Volontà che troviamo espressa nei 139 articoli (più 18 disposizioni transitorie) della Carta costituzionale. Il cui schema di rigido equilibrio fra i poteri dello Stato, oggi non da tutti accettato, ha la sua giustificazione storica nella volontà di evitare quella 'elasticità' che caratterizzò l'applicazione dello Statuto albertino.

«La sfida della libertà»
Subito dopo il referendum del '46, Massimo Mila (intellettuale e musicologo piemontese, che per antifascismo era stato condannato nel '35 a quattro anni di carcere), commentava: «D'una cosa ha bisogno essenzialmente la vita della democrazia in Italia: di posizioni chiare, e che ognuno dica aperto quello che pensa, senza mascheramenti tattici, senza timori reverenziali e senza vane aspirazioni alla concordia universale e all'unanimità più uno». Parole che ancor oggi hanno un loro senso per noi che non dobbiamo dimenticare che quel referendum, quell'Assemblea costituente, quella Costituzione nacquero dal sangue, dal dolore, dalle macerie di una guerra lacerante in cui tutti, vinti e vincitori, furono le vittime di sogni di grandezza e di follie nazionalistiche, dalle quali oggi dovrebbe salvaguardarci il progetto-Europa.
Lo storico Walter Laquer ammonisce da Oxford a ricordare che «il nostro terreno è ancora fertile per i movimenti e i regimi antidemocratici». Da Maribor, in Slovenia, luogo considerato un simbolo dei rapporti tra Est ed Ovest, Giovanni Paolo II il 19 maggio ha detto: «I muri sono crollati, le cortine di ferro non ci sono più, ma la sfida circa il senso della vita e il valore della libertà rimane più forte che mai nell'intimo delle intelligenze e delle coscienze. E come non vedere che l'interrogativo su Dio sta al cuore di questo problema?».
Antonio Montanari

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1842, 05.03.2013. Modificata, 05.03.2013, 18:15

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