I segreti dei Malatesti. 1990

Ammettiamolo, senza timori di smentite. Per molti, troppi, quasi tutti, i Malatesti voglion dire soltanto la fosca historia di un cavalier perduto dietro ad una donna, e di un conseguente amore tragicamente finito. Paolo e Francesca. Punto e basta. Di lì si parte, lì si arriva.
Invece. Invece che cosa? Padre Dante parla ancora dei Malatesti: questo volevamo aggiungere? Ne riparleremo. Per ora, accantoniamo il discorso sulla «Divina Commedia».
Dunque: che cosa si sa dei Malatesti? Ah, sì: il Castello. Oh, perbacco, il Tempio. E poi?
Una frase del prof. Piergiorgio Pasini, è finita recentemente in una pagina speciale del "Corriere della Sera" su Rimini: se furoreggia il ferragosto al mare, "il luogo più tranquillo" resta proprio il Tempio malatestiano. La gente lo ignora. (E se il Tempio fosse in qualche altro Paese d'Europa, scuole, circoli, associazioni e tribù vacanziere, organizzerebbero gite istruttive, con colazioni al sacco).
Allora, per concludere la premessa: che cosa significano per noi i Malatesti?
Un aiuto, fresco e quindi aggiornato, per nulla polveroso, lo offre alla città (e non solo ad essa, ma anche alla cultura nazionale ed oltre), l'iniziativa del Centro Studi Malatestiani, presieduto da Bruno Ghigi che edita sotto la sua ormai nota sigla, una collana di libri.
Sono gli atti delle giornate di studio che s'intitolano alle "Signore dei Malatesti", e che unificano uno sforzo di ricerca di grande significato.
Siamo a livello colto, di specializzazione. Cose non impossibili, ma talora difficili. L'augurio (e la necessità), è che presto questa scienza si traduca in una sintesi agile per divulgare notizie e nozioni in modo facile ed organico.
Gli ultimi tre volumi, freschi di stampa, sono dedicati a Santa Maria di Scolca in Rimini, Cesena e Civitanova Marche. Dedicati, nel senso che in questi luoghi si sono svolte le giornate di studio, e che a quei luoghi sono riservati quasi tutti gli argomenti trattati.
A Cesena, ad esempio, si è anche parlato del commercio di pietre di Giorgio da Sebenico con i Malatesti, e dei rapporti tra i Malatesti e la Bosnia.
A Civitanova, si è detto di Spalato e delle sue relazioni con Romagna e Marche in epoca malatestiana; di slavi ed albanesi a Macerata nel sec. XV, di presenza slava a Loreto, di tracce slave a Recanati, e di Arbe nel Quattrocento.
Il volume su Santa Maria di Scolca in Rimini contiene anche l'albero genealogico malatestiano delle origini, che rimanda inevitabilmente a Dante.
E qui facciamo una prima divagazione. Nell'ultimo quaderno di "Studi sammarinesi" (1989), è pubblicato il discorso che Giuseppe Pochettino tenne il primo aprile 19O7 in occasione dell'insediamento dei Capitani Reggenti, su "La Repubblica di San Marino durante l'esilio dell'Alighieri": vi si ricorda che Dante non fu mai a San Marino e che mai ne parlò nella sua «Divina Commedia».
Quel discorso del 1907 ricostruisce però climi ed eventi di Romagna che ritroviamo in Dante stesso: siamo tra 1283 e 1285.
Seconda divagazione. Gianciotto Malatesta, intorno al 1275, ha sposato Francesca da Polenta, figlia del Signore di Ravenna. Nasce Concordia, la figlia che nel suo nome ripete quello della nonna, ma soprattutto rappresenta la pacificazione tra due famiglie, avvenuta col matrimonio dei suoi genitori.
Francesca muore verso il 1283/1285. Gianciotto si risposerà con la faentina Zambrasina, figlia di quel Tebaldello che Dante sprofonda all'Inferno (XXXII, 122-123), tra i traditori, per aver aperto le porte della sua città, lui ghibellino, ai guelfi bolognesi che l' assediavano, di notte, mentre "si dormìa".
Ah, questi romagnoli. Se Malaparte avesse scritto a quei tempi i suoi "Maledetti toscani", Dante avrebbe rovesciata l'"accusa" in "Maledetti romagnoli". Le prove? Sùbito, e sufficientemente note, da Inferno, XXVII: "Romagna tua non è, e non fu mai, sanza guerra ne' cuor de' suoi tiranni".
E poi , in questo canto, il richiamo riminese: "E 'l mastin vecchio e 'l nuovo da Verrucchio, che fecer di Montagna il mal governo...": sono versi che sintetizzano non solo la condizione del dominio riminese dei Malatesta, ma anche la loro crudeltà dei due tiranni, definiti appunto "mastini". I quali sono Malatesta il Vecchio e suo figlio Malatestino, che uccise Montagna de' Parcitadi, ghibellino della nostra città.
Come scrive Currado Curradi nel vol. 6 (Santa Maria di Scolca), Malatesta da Verucchio "viene giustamente considerato il principale artefice della fortuna dei Malatesti, realizzata per merito delle sue eccezionali capacità politiche e di governo, ma anche attraverso una serie molto accorta di matrimoni suoi e dei suoi figli" (pag. 77). Due o tre mogli, comunque una (Concordia) ricchissima, con denari e proprietà recati in dote. Hanno quattro figli: Ramberto si fa prete; per gli altri tre (Gianciotto, Paolo e Malatestino 'mastino'), il padre organizza ricchi matrimoni. Curradi racconta la lunga preparazione di quello tra Paolo e la contessa di Ghiaggiolo. Insomma, gente che ai soldi ci teneva, e sapeva anche come farli. Cose che Dante conosceva, lui che non sopportava il "maladetto fiorino" della "gente nova" di Firenze!
Giriamo pagina. Nello stesso volume sesto, G.F.Fiori tratta di "Carlo Malatesta e gli Olivetani" di Scolca (1421-1430), illustrando anni tormentati per la storia della Chiesa: 1406, è eletto papa Gregorio XII, è lo scontro con lo scisma avignonese (1378-1417), ma è anche agitazione interna alla Curia romana ed alla terra italiana: "Papa Gregorio XII, non potendo tornare a Roma occupata da Ladislao re i Napoli, decise di trasferirsi in Romagna, ma venne avvisato da Carlo Malatesta, signore di Rimini, che il card. Cossa tentava di impadronirsi della sua persona " (pag. 9).
Prima di venire a Rimini, nella villa-castello di Scolca, il papa a Siena nomina nove nuovi cardinali, tra cui Bandello, vescovo della nostra città.
Nel frattempo, a Pisa (1409) è eletto il terzo papa contemporaneamente: quello di Roma è Gregorio XII, quello di Avignone è Benedetto XIII, e questo nuovo è Alessandro V, che muore poco dopo.
Carlo Malatesta si adopra per far conoscere ai cardinali ribelli residenti a Bologna, le "nuove proposte di Gregorio XII per togliere lo scisma" (pag. 10), ma non viene ascoltato: anzi, i cardinali eleggono ed incoronano l'antipapa Giovanni XXIII. Poi, dal Concilio di Costanza, voluto dall'imperatore tedesco Sigismondo, esce pontefice Martino V (1417): Carlo Malatesta è presente, quale portavoce di Gregorio XII che aveva deciso di ritirarsi (1415) dalla competizione, prima di morire (1417). Benedetto XIII è deposto (26 luglio 1417). Lo scisma è finito.
Nel suo saggio, Fiori parla anche del monastero di San Lorenzo in Monte a Rimini, e dell'abbazia di San Gregorio in Conca a Morciano, legata al nome di San Pier Damiani e del riminese Bennone: quest'ultimo è un personaggio importante della nostra storia cittadina, vittima di lotte precomunali di cui parlammo sui queste colonne, ma di cui non c'è traccia né in questo né in altri volumi successivi alla nostra nota. (Nessuno ci ha letto!).
Giriamo ancora pagina. Antonio G. Luciani tratta delle "Iscrizioni greche gemelle del Tempio malatestiano", proponendo la sua versione dell'epigrafe: "A Dio immortale/ Sigismondo Pandolfo Malatesta/ di Pandolfo, scampato a moltissimi e grandissimi/ pericoli durante la guerra d'Italia,/ vincitore per le imprese da lui/ compiute con valore e con fortuna, a Dio/ immortale e alla città innalzò questo Tempio, come in/ quel frangente aveva fatto voto,/ splendidamente sostenendone le spese, e / lasciò un monumento glorioso e sacro".
Oreste Delucca offre i "primi appunti" sui "Rapporti fra Rimini e la Dalmazia in età malatestiana". Sono storie di emigrazione: "Le genti slave (ed anche albanesi) per vari secoli -e particolarmente nel XV- sono emigrate numerose sulla costa italiana, premute dall'espansionismo turco che tendeva a comprimerle verso il mare, sollecitate dalla precarietà delle loro condizioni economico-sociali su cui influiva non poco la natura sfavorevole di tanto suolo dalmata, incentivate… da alcune scelte politiche malatestiane. (…) Anche a Rimini la loro presenza era piuttosto numerosa. La comunità slava e albanese, nel XV secolo, contava qualche centinaio di persone: un numero significativo, in rapporto alla ridotta popolazione di quel tempo" (pagg. 90-91).
Ivan Pederini, nel volume ottavo su Cesena, trattando del "Commercio delle pietre di Giorgio da Sebenico con i Malatesti", racconta di questo celebre architetto che "si era obbligato a fornire pietre da costruzione per il Tempio malatestiano a Rimini, ma non mantenne la promessa fatta a Sigismondo Malatesti per cui questi se le procurò, nel 1554, a Verona" (pag. 38).
Nello stesso volume ottavo, Stefania De Biase discute dell'"Epitaffio di Galeotto Malatesti": morto a Cesena nel 1385, "il suo corpo venne trasportato con gran pompa a Rimini", per essere sepolto nella chiesa di San Francesco, che diventa così (secondo quanto scrisse nel 1951 Augusto Campana), Tempio malatestiano ancora prima dei lavori voluti (nel 1447) da Sigismondo. Corpo di Galeotto che, per quei lavori, fu forse spostato nell'arca degli antenati, anche se andò perduta l'epigrafe della vecchia sepoltura. Epigrafe che, passata tra varie carte, viene qui ricostruita e riproposta . E che celebra il personaggio, guerriero famoso, il più grande di tutti.
Perché l'epigrafe andò perduta? Non si sa. E se Sigismondo, invidioso di così alti elogi per un suo antenato, fosse stato proprio lui a farla sparire?

Antonio Montanari

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