Riministoria
il Rimino


Rimini ieri. Cronache dalla città ["Marina Centro"]
«Sino al 25 luglio 1943…»
Un memoriale ufficiale di mio padre Valfredo Montanari, da me pubblicato in "Marina Centro"

«Rimini, 8 gennaio 1945. Alla Segreteria del Comitato di Liberazione Nazionale, Rimini. In relazione all'invito rivoltomi dal signor Bordoni Gomberto, assessore del Municipio di Rimini, mi è gradito segnalare quanto segue, nei riguardi della mia posizione politico-impiegatizia:
- Montanari Valfredo, figlio di fu Antonio e della fu Zaccarini Ida, nato a Forlimpopoli il 5 marzo 1901, residente e domiciliato in Rimini dal 10 febbraio 1930, funzionario di questo Comune, attualmente Capo della Sezione Stato Civile, Leva e Servizi Militari, coniugato e con 1 figlio, provvisto di licenza di Scuola Magistrale.
- Inscritto all'ex Partito Nazionale Fascista dall'11 novembre 1925 (Fascio di Riccione, dove io mi trovavo dipendente del Comune, quale Capo Ufficio di Stato Civile e direttore dell'Ufficio Guida per l'industria balneare di quella stazione climatica).
- Sino al 25 luglio 1943 appartenni al partito anzidetto; da tale epoca, a tutt'oggi, non ho più militato in alcun altro partito politico.
- Nell'ambito dell'ex partito fascista non svolsi mai particolare, interessante attività, poiché vi rimasi sempre come un modestissimo gregario. Partecipai, naturalmente, alle manifestazioni per le quali era obbligatorio l'intervento. È noto, inoltre, che, ai fini del mantenimento dell'impiego, era richiesto il requisito dell'iscrizione al partito nazionale fascista.
- L'appartenenza all'ex partito fascista, non significa, a priori, che, nei miei confronti, si verifichi senz'altro uno dei casi previsti dalla legge in vigore, concernente l'epurazione, il cui concetto migliore consiglia una discriminazione severa e razionale, rispondente allo spirito che la informa.
Se si esamina, infatti, il testo della legge e se si assumono notizie precise e veritiere sulla mia condotta politica, emerge chiaramente che non mi si può imputare alcuna della cause stabilite dalla legge in questione.
Il conforto che mi deriva, in proposito, dalla mia coscienza, e la sicurezza di una serena disamina da parte di codesto Comitato, mi rendono ancor più tranquillo.
La condizione di appartenenza all'ex p.n.f. può indurre, certamente, a riflettere ch'io pure abbia seguito fedelmente e con piena fiducia le direttive di allora; ciò non vuol dire, tuttavia, che mi si possano attribuire colpe rigorosamente attinenti alle cause fissate dalla legge per l'epurazione, allo scopo di promuovere un provvedimento regolare, perché manca il concorso di fatti, diretto e indiretto, volontario o involontario, atto a determinare le cause medesime.
Né la mancata adesione ad uno dei Partiti politici che vivono ed agiscono, oggi, nell'Italia Liberata, può e deve influire nell'emettere un giudizio qualunque nei miei rispetti. Se il cittadino è libero di scegliere il partito che più dimostra la realizzazione di una idea personale, egli è altrettanto libero di non iscriversi a nessun partito. Ne conseguirebbe, però, un'intenzione arbitraria da parte di chi pretendesse considerarmi, oggi, un fascista. Se avevo la volontà di restare fascista, mi sarei ricongiunto alla seconda edizione del partito fascista e mi sarei assunto tutto l'onore della decisione. L'apoliticità, insomma, non può essere una colpa. È importante, intanto, nei riguardi di un pubblico funzionario, ch'egli segua le direttive dell'Amministrazione dalla quale dipende e serva il pubblico nelle sue esigenze complete.
Non ebbi mai, come risulta dalla scheda personale, incarico di svolgere propaganda fascista; ogni eventuale accusa in merito è assolutamente priva di fondamento. Anch'io posso aver discusso, a simiglianza di tutti gli altri, argomenti politici che, soprattutto, erano animati dal desiderio di essere un buon Italiano. Un buon Italiano semplicemente poteva esserlo un cittadino che aveva tre fratelli alle armi, due prigionieri di guerra e l'altro disperso, che viveva, per ciò, con trepidazione ed angoscia il tempo della guerra. D'altra parte, quando si parla di propaganda, bisogna rilevare esattamente il valore di questa parola. Quella che può essere stata l'opinione di un cittadino non assurge a forma di propaganda, allorché non si ha alcuna missione da compiere, non si ha alcuna finalità da raggiungere. Io non dovevo avviarmi alla carriera politica. Ecco, quindi, perché decade ogni motivo di accusa eventuale.
Nel rispetto politico, pertanto, la mia persona non ebbe, in nessun momento, posizione di primo e secondo piano, non ebbe caratteri, né costanti né saltuari, di speciale rilievo, poiché predominò in ogni tempo la condizione di inscritto, non fornito di cariche e di incarichi, demandati dall'ambiente politico e dalla direzione politica. Che, inoltre, io non abbia avuta una personalità politica, lo comproveranno i fatti di cui dirò in appresso, circa la posizione impiegatizia.
Nell'anno 1927 fui nominato Capo Manipolo dell'O.N.B.; negli ultimi anni non detti attività di sorta, poiché, tra l'altro, ero occupatissimo per l'impiego. Durante la permanenza nel Ruolo Ufficiali dell'O.N.B. e, dopo, della G.I.L., la mia attività fu limitata alla sola presenza settimanale e al compito di prendere parte, con i giovani organizzati, alle manifestazioni dell'istituzione e del partito. Aggiungo, anzi, che fui richiamato talune volte, a Riccione e a Rimini, per opera del Comitato Provinciale dell'O.N.B., a cagione della scarsa attività prestata (in un determinato tempo fui designato “un peso morto”). L'O.N.B., infine, aveva una finalità ginnico-militare e non esclusivamente politica.
La posizione politica, in rapporto a quella impiegatizia, va vista sotto un aspetto singolare: è risaputo che, in periodo di guerra, un ufficio Municipale di Leva Militare accresce d'importanza, oltre che di attività. La importanza medesima comporta una mansione delicata per il funzionario direttivo. Specie nell'attuale guerra, a cagione delle vicende verificatesi, l'Ufficio al quale fui preposto ebbe fasi alterne di ordine veramente delicato. Il controllo a cui era sottoposto l'Ufficio non consentiva atteggiamenti personali indipendenti e di parte. La massa popolare che affluiva all'Ufficio veniva, in ogni modo, trattata con le circostanze più favorevoli. Io stesso mi preoccupai di mantenere, specie in materia assistenziale, un equilibrio ragionevole. A un funzionario che abbia compiuto il suo dovere nell'interesse del pubblico e dei servizi affidatigli, l'onere della responsabilità, in dipendenza del regime politico dominante, va soggetto, naturalmente, a un apprezzamento equo e umano. Non si può, per esempio, addebitare la responsabilità intera al funzionario, senza commettere un errore di valutazione.
L'individuo sta sempre di fronte a un grande tribunale: la società, intesa nelle sue manifestazioni di giustizia umana, morale e politica. Egli porta alla società il bene e il male. I rivolgimenti politici chiamano gli uomini nuovi a giudicare il male recato dagli altri.
Io prego di voler prendere atto nella sua sincerità integrale, della seguente mia dichiarazione: “Qualunque venga considerata la mia posizione durante il ventennio fascista, sia ben chiaro che io non feci del male a nessuno”.
Il 10 febbraio 1930 fui chiamato, in seguito a pubblico concorso, a coprire il posto di Capo Ufficio Propaganda, Pubblicità e Servizi Balneari dell'Azienda Autonoma di Soggiorno del Comune di Rimini, parificato al grado di Capo Sezione nella pianta organica del personale.
L'esperienza in materia turistica, mi concesse di provvedere a un lavoro di organizzazione vasto e redditizio a vantaggio della valorizzazione turistica di Rimini. Io non debbo, però, enumerare l'attività espletata, poiché codesto Comitato ha modo di apprenderlo da diversa fonte: se i riferimenti saranno esatti, come non ne dubito, particolarmente da parte della Segreteria dell'Azienda Autonoma di Soggiorno, si raggiungeranno prove convincenti.
Inevitabili contrasti interni, provocati da interferenze di funzionari gelosi e intolleranti, mirarono a rendermi sgradito all'ambiente comunale e a sminuire la competenza.
Desidero ora esporre:
- A seguito di istanza diretta all'Amministrazione Comunale da alcuni funzionari di pari grado, mi fu diminuito lo stipendio, contravvenendo alle norme stabilite dal bandi di concorso.
- A causa di falso dichiarato in un riferimento all'Amministrazione dal Ragioniere Generale del Municipio, mi fu applicato il provvedimento disciplinare della censura.
- Poiché si tentava di arrivare al mio licenziamento, per assegnare il posto ad altra persona preferita, fui accusato di scarso rendimento e minacciato di procedimento disciplinare; dileguatasi rapidamente l'accusa, fui provocato con altri mezzi.
- Una mia richiesta di congedo ordinario della durata di giorni otto, offrì l'occasione all'ex Podestà Mattioli di ordinare che fossi sottoposto a visita medica fiscale, mediante ingiunzione all'Ufficiale Sanitario del Comune di proporre un congedo, per malattia, della durata di mesi tre. Poiché opposi netto rifiuto alla visita, in quanto si trattava di atto illegale, arbitrario e malevolo, rispondente ad analogo intendimento del Podestà Mattioli, il quale violava persino il buon senso, ebbi da questi minaccia di procedimento disciplinare se non gli avessi prodotta la dichiarazione di visita rilasciata dall'Ufficiale Sanitario.
- Allo scopo di ritentare il mio licenziamento, il Podestà Mattioli mi mise sotto controllo di un certo Cella Nello, appositamente assunto presso l'Azienda autonoma di Soggiorno. Il Cella dette luogo a vivaci contrasti fra me e l'Amministrazione. Per il solo fatto che il cassetto personale del mio scrittoio [il testo appare incompleto, n.d.r.], si promosse un'inchiesta!
- La cattiveria e l'odio personale del Podestà Mattioli continuarono a manifestarsi con uno stillicidio interminabile: si servì nuovamente del Cella per incaricarlo di svolgere la propaganda turistica di Rimini all'estero. In relazione a ciò, per una mia denuncia ai membri dell'Azienda Autonoma di Soggiorno, denuncia che non comportava alcuna infrazione disciplinare, come fu ammesso dalla Commissione d'inchiesta, fui oggetto di altro procedimento disciplinare, imbastito con un cumulo di addebiti pei quali non era possibile né meno produrre le controdeduzioni: si trattava, infatti, di addebiti vaghi, generici e imprecisi. Il procedimento tendeva a cercare il classico “pelo nell'uovo”, alfine di punirmi; avvenuta la conclusione, il Podestà Mattioli, in pendenza di decisione, volle gravare la opera della Commissione Provinciale di Disciplina con intervento personale, offendendomi, muovendomi rimproveri e redarguendomi su quanto ebbi a deporre in sede di procedimento. E poiché non gli fu agevole punirmi, pel fatto che il procedimento doveva essere revocato in ordine a sopravvenuto condono, il Podestà Mattioli esigeva ad ogni costo che avessi lasciato l'Ufficio per la durata di mesi tre. Non essendo riuscito nell'intento, determinò l'interruzione di rapporti diretti e mi mise al fianco il signor Camillo Dupré, designato quale mio successore. Il Dupré, tipico rappresentante della menzogna, si servì di tutte le arti maligne, pur di insediarsi al mio posto. La questione culminò con il trasferimento d'Ufficio, deliberato nei miei confronti; mentre ancora il provvedimento doveva essere approvato dall'Autorità tutoria, ebbi ordine categorico di lasciare, entro due ore, l'Ufficio. E venni destinato, infatti, alla Biblioteca Gambalunga, in qualità di Vice Bibliotecario. Nacque così lo scandalo Dupré di cui fu parlato a lungo in Rimini.
L'imposizione di lasciare l'Ufficio, in contrasto con le disposizioni del Regolamento Organico, dato che io coprivo un posto ottenuto da pubblico concorso, fu caratterizzata dalla violenza e dalla minaccia di decreto di licenziamento immediato. Non soddisfatto di tanto, il Podestà Mattioli mi denunciò all'autorità di Pubblica Sicurezza locale, quale presunto collaboratore di persone che avrebbero complottato contro di lui. Accertata la mia condotta corretta, non ebbi conseguenze di sorta. Dopo di ciò ricevetti la promessa, dietro intervento del Vice Questore di Rimini, ricevetti la promessa, non mai mantenuta, di essere reintegrato nelle funzioni originarie presso l'Azienda di Soggiorno.
Dalla Biblioteca Gambalunga fui nuovamente trasferito, il 1° aprile 1940, al posto di Capo Sezione Stato Civile, Leva e Servizi Militari del Municipio, in seguito ai noti incidenti verificatisi all'Ufficio Leva-Reparto Sussidi Militari.
Avvenuta l'eliminazione del Podestà Mattioli, il successore di lui, avv. Eugenio Bianchini, negò gli impegni assunti da entrambi per la reintegrazione ripetutamente invocata, cosicché sorsero aspri contrasti. Lo stesso avv. Bianchini per mantenere in impiego il Dupré, rinnovò le minacce di provvedimento disciplinare. A un certo momento intervenne anche il Vice Prefetto Ispettore del Comune per la Provincia di Forlì, tramite il quale ebbi la promessa di reintegrazione nel posto d'origine, oppure la promozione a Capo Divisione. Effettivamente, sono ancora in attesa di ottenere uno dei due benefici.
Sono in grado, altresì, di segnalare:
a) che dalle Amministrazioni Comunali anzidette fui posto in cattiva luce presso il fascio locale, presso le autorità di Pubblica Sicurezza (che compirono vari accertamenti a mio riguardo); presso gli altri colleghi;
b) che non ebbi sempre un trattamento, sotto vari aspetti uguale ad altri funzionari;
c) che fui posto in cattiva luce presso le Autorità della Provincia (Prefettura), per cui non metteva conto nemmeno adire la ordinaria giustizia amministrativa;
d) che del trattamento usatomi ne profittarono dipendenti comunali;
e) che fui costretto a sostenere da solo una lunga lotta per salvare il mio impiego, vale a dire il mio pane.
Non ho voluto intrattenermi in maniera diversa e più dettagliata; io ritengo che i pochi fatti esposti stiano a provare che atti illegali, abusi di autorità e soprusi abbiano costretto la mia persona a sofferenze non lievi. È pure ovvio che se codesta non è considerata la sede competente a giudicare la mai reintegrazione nell'Ufficio della Azienda Autonoma di Soggiorno, potrò, spero, prospettare la questione nell'ambito normale dell'Amministrazione Municipale e dell'Azienda medesima.
Codesto Comitato può essere certo della verità esposta.
Quanto è più sopra specificato conferma che se avessi avuta una personalità politica, me ne sarei valso.
Con ossequio.
Valfredo Montanari

Su questo tema ho pubblicato, nel settimanale "il Ponte" di Rimini del 7 gennaio 2001, il Tam Tama n. 788 intitolato "Compromessi politici (e mafiosi) del Dopoguerra". Ne ripresento il testo completo.

La mostra che l'amico pittore Armido Della Bartola ha allestito, prima di Natale, con opere dedicate alla Rimini distrutta dalle bombe del 1943-44, mi ha suggerito alcune considerazioni. Sono nato nel 1942, di quei giorni non ricordo dunque nulla. Nella memoria e nell'animo sono rimaste però le parole raccolte nei successivi conversari casalinghi. Il ritorno alla normalità fu aspro. Mio padre che era impiegato comunale, tesserato fascista sino al 25 luglio 1943, caduta di Mussolini, quindi senza alcuna adesione alla repubblichina di Salò, fu sottoposto ad epurazione. I nuovi arrivati nella Pubblica amministrazione gli dissero di andare con moglie e figlio a mangiare l'erba ai fossi. L'umiliazione inferta a mio padre resta non soltanto come piaga mia ma pure quale testimonianza della perfidia delle persone che per bassi motivi (ovviamente, fregargli il posto a favore di qualche protetto), oltraggiavano un uomo innocente.

Uscendo dalla mostra di Armido, incontrai altri amici, più anziani di me, che raccontavano del Dopoguerra. Proprio qui sul Corso, davanti ad una libreria, un compagno prese a ceffoni un altro compagno per aver quest'ultimo militato nella repubblichina come guardia del corpo del 'terrore di Rimini'. Come mai, chiedo, la vigilanza rivoluzionaria dei compagni si era allentata tanto, al punto di accogliere l'ex repubblichino, attorno al quale poi il partito avrebbe fatto quadrato per decenni, mentre un uomo qualunque come quell'impiegato comunale dovette essere sottoposto al Tribunale della Storia perché tesserato fascista sino al 25 luglio 1943? Non ricevo una risposta razionale. Uno scrittore mi obietta che i casi personali non contano, che il racconto dei fatti deve depurarsi da essi, per poi essere affidato alla serenità del giudizio degli Storici.

Qualche giorno dopo ho letto che la moglie di Antonio Gramsci era una spia dell'Nkvd (il Kgb del tempo). E che la cognata Tania, ritenuta sempre un Angelo Custode di Gramsci e come tale eternamente celebrata, era pure lei una spia di Mosca. Giuliano Gramsci, figlio di Antonio, non ha mai voluto vedere né parlare con la zia Tania: lo ha confidato Olga, figlia di Giuliano, a Massimo Caprara nel libro "Paesaggi con figure". Al citato scrittore incontrato sul Corso, se avessi fiducia nella razionalità umana, vorrei chiedere: anche quella di Antonio Gramsci è una vicenda personale di cui non tener conto?

Sul tema, vedere questa scheda intitolata "Documenti spariti e storie non narrate".

Su Sergio Zavoli, vedere la puntata n. 5 di "Rimini ieri", "1946. Dal Rubicone all'Ausa" e la relativa Scheda [2011]. E questo capitolo (il XIV) de "I giorni dell'ira".

Rimini ieri. Cronache dalla città
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1557, 21.12.2011. Modificata, 21.12.2011, 14:41