il Rimino - Riministoria
Anna Rosa Balducci
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Fuorisacco, 05.06.2015.  Anna Rosa Balducci, "Pane a colazione",
un romanzo del 2008

Sono storie di due generazioni, quella delle madri e quella delle figlie, raccolte come in un mazzo, per documentare la lunga linea rossa che attraversa la vita, sotto il segno degli amori e delle infelicità, intendendo con questa parola tutto: l'affacciarsi dei problemi, le inquietudini nell'affrontarli, i tentativi di svicolare o di ritornare indietro nel tempo e nello spazio, alla ricerca più o meno intensa e disperata di quegli ieri che sono immersi nell'oggi, indispensabili per capire il presente, inutili soltanto a parole, essenziali nel vivere i fatti dei quali forse nemmeno ci rendiamo conto.
Anna Rosa Balducci costruisce in oltre 230 pagine questo convincente romanzo dell'umile quotidiano, reso con efficacia dal titolo "Pane a colazione". Il quale rimanda per contrasto ad un altro libro di mezzo secolo fa, quel celebre "Cioccolata a colazione" (1957) di Pamela Moore, oggetto di venerazione e di scandalo, ritratto della "gioventù bruciata" di Hollywood, di un'America allora sognata, copiata e strapazzata, lontana da tutto quello che dieci anni dopo furono gli Usa. Dai campus in rivolta alla guerra nel Viet-Nam. Anzi per rispettare il rapporto causa-effetto, dalla guerra nel Viet-Nam ai campus in rivolta. Dalla "nuova frontiera" di JFK, alla sua uccisione, a quella di Martin Luther King e di Robert Kennedy .
Nel libro di Anna Rosa Balducci siamo nella provincia pigra che ha tuttavia le sue simboliche figure di qualcosa che agita e tormenta per chi le sa vedere ed interpretare.
Proprio all'inizio del romanzo c'è un passo in cui tutto ciò è riassunto e spiegato, quando Giovanna passa nel centro della città e si trova davanti il tempio malatestiano di Rimini: «Quella figura di pietra bianca è così accomodata in quel punto esatto della terra, eppure lei sa che tra le sue linee si nascondono storiche inquietudini, imprecisate anomalie ideologiche, rabbuffi grotteschi lasciati come criptogrammi da decifrare, apparentemente inesistenti tra la perfezione delle linee evidenti».
Le nostre storie di tutti i giorni sono così, "apparentemente inesistenti", eppure vere, collocate da qualche parte, forse in quella stanza degli affetti smarriti che finisce per essere la vita. Ma grazie al cielo se in quella stanza ci si può ritrovare, o da soli o con la "compagnia" che era partita ed è ritornata, tra il balenare di ricordi e l'illuminazione di speranze.
L'autrice sa ricostruite il legame tra le scene, accompagnare sulla pagina i protagonisti, introdurre il lettore alla varie parti di una storia che non è la documentazione di tutto il possibile oppure di tutto l'accaduto.
Tra il possibile e l'accaduto, esiste un legame ambiguo che è la forza del racconto: per dimostrare che alla fine costano fatica le strade sulle quali si cammina per ritrovare la certezza dei fatti avvenuti, ma che spesso questa fatica non è ripagata dalla certezza.
Il possibile rassomiglia sempre di più all'accaduto, perché l'accaduto resta indecifrabile, fitto di interrogativi, per cui nella vita si corre il rischio di considerare fatti veri quelle che per forza di cose sono soltanto ipotesi, appunto il possibile che immaginiamo successo nel passato o possa avvenire nel futuro.
Verso la fine del libro c'è una scena magistralmente simbolo di questa situazione esistenziale, il treno che si ferma in aperta campagna, e nessuno sa niente né perché si è bloccato né perché poi piano piano, alla fine, è ripartito.
Grande abilità nella narrazione, segno di una maturità da vera scrittrice, nelle pagine di "Pane e colazione" dimostra Anna Rosa Balducci. C'è una frase che mi ha felicemente colpito, quando l'autrice parla di un vecchio signore, le cui idee "mai erano diventate in lui una gabbia di cattiverie e malefici". Basta questa piccola frase per riassumere un intero saggio sulla vita.
Antonio Montanari

Fuorisacco, 05.06.2015.  Anna Rosa Balducci, Nove racconti, 2010
Al lettore il segreto lo spiega "il bibliotecario vecchissimo di una di quelle biblioteche che stanno in cima a città antiche, circondate da mura screpolate e arricchite di piazze". Una città divisa in due parti esatte, di qua i ricchi, di là i poveri. Questo antico signore ad un tratto si desta dal suo dormiveglia, per merito di una scrittrice riminese (Anna Rosa Balducci) che lo mette al centro delle proprie pagine, con il compito di raccontare una storia che ha lunghi incanti ed improvvisi misteri.
La scrittrice fa del bibliotecario il suo doppio, per chiarire la chiave di lettura non delle pagine che compone, ma della vita stessa di ogni giorno delle persone qualsiasi. Il bibliotecario diventa così una specie di grande saggio, capace appunto di svelare certi segreti, ma soprattutto di interrogarsi sulle stranezze che accadono a tutti, lungo il cammino dell'esistenza.
Ma questo compito lo mette in crisi. Quando gli chiedono il perché di quelle strane luci apparse nei suoi occhi ad un certo punto del racconto, il bibliotecario s'interrompe. E fa una confessione che contiene il registro principale di queste pagine: "Che pasticcio, ragazzi miei, andar dietro a storie che sono anche un poco favole, che bel pasticcio davvero". In tutti i racconti del nuovo libro di Anna Rosa Balducci, "Girasole e altre storie" (Il Ponte Vecchio, Cesena 2010, pp. 164), il lettore è coinvolto in strane atmosfere ben riassunte da una descrizione che appare quasi all'inizio: "Questa casa è un caleidoscopio, muta forma, contiene tutto quello che le chiedi".
Un'asciutta e precisa analisi del volume è fatta dalla studiosa concittadina (e per giunta bibliotecaria), Oriana Maroni, che nella presentazione ne sottolinea efficacemente gli aspetti fondamentali: lo "scorazzare in un mondo liberato dalla storia ufficiale", non per nostalgia, ma con "sdegno, e dunque un preoccupato spiare il futuro". Maroni al proposito cita il racconto più angosciante, quello in cui si prefigura lo scenario da incubo dell'anno di grazia 2252. In cui tutta la vita degli individui è decisa dall'antico psicologo divenuto "psicotropo". Il quale attua la politica voluta dai "grandi controllori". A cui tutti dovranno sottostare. Ai posteri auguriamo che lo scenario da incubo qui prefigurato, non si avveri. Anche se nella contemporaneità qualcosa s'intravede già.
Ai contemporanei suggeriamo la lettura attenta delle pagine più autobiografiche del volume. Quelle dedicate alla scomparsa della nonna di Mariola, ovvero la mamma di Anna Rosa. Le possiamo sintetizzare nelle righe con cui la nipotina rammenta quel San Gabriele di cui le era stato tanto volte detto perché nel paesello della nonna "ogni volta che un bambino malato si guariva, si regalava al Santo una vestina da battesimo ricamata di bianco". Mariola invano sognava allora che anche per la nonna si potesse portare a San Gabriele quella vestina per ringraziamento. La vita non contiene tutto quello che le chiedi.
Antonio Montanari

Fuorisacco, 05.06.2015.  Anna Rosa Balducci, ARCHIVIO.
Dentro la tazzina. Un racconto di Anna Rosa Balducci, 2014
Le (presunte) maghe leggevano il futuro guardando ai fondi del caffè dentro la tazzina servita al cliente. Una (vera) scrittrice come Anna Rosa Balducci agita la sua penna dentro le tazzine da caffè per rileggere il passato.
È un testo appena pubblicato (in «Racconti emiliani», 4, Reggio Emilia 2013), dove incontriamo il bilancio di una vita che comincia con l’acquisto di un pacchetto di caffè di qualità mediocre, suggerito dal guizzo inatteso ed alla fine deludente, da parte dello “spiritello del risparmio”.
Messa sul fuoco la caffettiera con il contenuto di quel pacchetto, ne scappa fuori un liquido “orrendo, indigeribile”. Che costringe Anna Rosa a nascondere lo stesso pacchetto per qualche eventuale occasione di second’ordine, non in virtù di spilorceria congenita, ma per obbedire alle regole del ben vivere suggerite dalla cronaca.
La quale cronaca fa sapere che l’Europa vacilla. E se l’Europa vacilla, si può gettar via un pacchetto di caffè cattivissimo? Neppure per sogno, basta nasconderlo.
Lo sappiamo che fine fanno le cose nascoste, se debbono essere commestibili ed hanno una data di scadenza.
Senza data di scadenza sono invece i ricordi, soprattutto se girano graffiando nella mente di questa signora “classe cinquantadue” che di motivi per cui lamentarsi ne ha parecchi, con lo slogan felice che riassume però un bilancio collettivo: “Generazione di mezzo, né carne né pesce”.
Di tazzina in tazzina, si approda al bicchierino di plastica della macchinetta a scuola, dove la prof. Balducci insegna, vicino alla quale (macchinetta) “c’è sempre un piccolo manipolo di ragazzi che in qualche modo rimane complice”.
La felice idea narrativa di costruire il racconto tutt’attorno a questa specie di (inconsapevole, ma veritiero) centro del mondo, approda alla richiesta fatta ad un barista di “un caffè basso, ristretto, amaro, per questa classe cinquantadue”.
Lo sappiamo tutti che questi ricordi agitati da una penna dentro una tazzina, rischiano di diventare famosi, come pagine di storia di vita quotidiana. Non vanno mai a male.

"La casa color grigioperla"
2012. Nel suo blog, lo scorso giugno la scrittrice riminese Anna Rosa Balducci ha raccontato una scena inquietante vissuta in prima persona, con lei costretta ad intervenire presso una pattuglia di Polizia per evitare “un pestaggio in piena regola”.
C'è “un gazebo occupato nottetempo da giovani stranieri con sacchi di cianfrusaglie e forse oggetti personali”. C'è l'agente “nervoso, gonfio di muscoli, con una inquietante testa rasata” che inveisce contro di lei che protesta. C'è l'altro poliziotto “più calmo” che interviene e fa cessare l'azione.
Adesso lo stesso mondo doloroso dell'immigrazione, lo ritroviamo nell'ultima prova narrativa di Anna Rosa Balducci, “La casa color grigioperla” (Ed. Progetto Cultura, Roma).
Dove si racconta una storia d'ordinaria vita di quindici persone fuggite verso l'Europa per trovare salvezza e futuro: due donne e due uomini vecchi, “i quattro giovani, di cui uno più serio e distinto, l'altro che si intendeva legato alla donna più giovane, sicuramente lo sposo di lei”. E poi un'altra donna giovane e cinque bambini, due femmine e tre maschi.
L'esperienza narrativa di Anna Rosa Balducci sconvolge la trama con l'intervento di più narratori. C'è quello che racconta gli eventi da fuori, poi un uomo giovane che appartiene ai profughi, ed infine un bambino dello stesso gruppo di profughi.
L'autrice a metà del lavoro dialoga con “il solito osservatore” che parla di una storia noiosa, di retorica dei buoni sentimenti, e ricostruisce la trama nascosta degli antefatti, avviando una specie di labirinto narrativo che serve a testimoniare di un semplice fatto, ovvero della complessità delle vicende vissute da questi sconosciuti. Che agli occhi della gente appaiono soltanto dei soggetti pericolosi da cacciare dalla casa in cui hanno trovato rifugio. [09.09.2012]

La balena del 1943 a San Giuliano.
Debutto di Anna Rosa Balducci

Anna Rosa Balducci vara «La balena», un libro di racconti (Ponte Vecchio, Cesena) che hanno ampio riferimento alla storia novecentesca di Rimini, in quell'angolo fra terra e mare di San Giuliano da dove partono ricordi della sua famiglia e pennellate delle sue descrizioni.
Il volume è un debutto editoriale che raccoglie una lunga esperienza ed un tirocinio appassionato di scrittura, un suo «bisogno primario» come confida con la consueta timidezza, aggiungendo: «Barerei con me stessa se cercassi a questa mia attività giustificazioni di varia natura. Non posso fare a meno di scrivere, ora che ho compiuto cinquant'anni, così come quando ero adolescente, e la cosa poteva essere sospettata di intimismo consolatorio».
I racconti che compongono il volume (dedicato alla memoria del padre Guido, scomparso in aprile ad 82 anni), spiega, «sono legati tra di loro dal filo di appartenenza allo stesso territorio, quel tratto di città che va dal Ponte di Tiberio alla spiaggetta di San Giuliano a Mare».
La balena del titolo, è quella che approda alla riva di San Giuliano nell'aprile del 1943, un capodoglio naufragato su cui la gente inizia subito a fantasticare in tempi spaventosi, quelli della guerra che la Balducci sintetizza con efficacia nella trama del racconto il quale, commenta, «vuole essere un inno all'amore, alla storia della mia gente, dei miei vecchi, alla memoria ed alla fantasia che loro mi hanno lasciato».
Alla fine della «Balena», un vecchio ripete la solita cronaca del «quattroaprilequarantatré», raccontando di un piccolo Giannino che vide allora quel grosso corpo lucido che avanzava. Forse Giannino non è mai esistito scrive la Balducci: «anche questo è il bello del raccontare storie: che si può, così senza esagerare, dare qualche piccolo ritocco, per rendere più avvincente la trama, e insieme eleggere noi stessi a personaggi. Altrimenti, chi si ricorderebbe di noi?».
In questa conclusione, la Balducci fa consistere la sua poetica: partire dai fatti, legarsi ad essi per poi costruire l'invenzione letteraria che troviamo nella pagina compiuta. Dove lei dimostra una maturità espressiva ed un controllo dei mezzi narrativi che testimoniano la sua passione ed il suo autocontrollo che in certi momenti può essere anche eccessivo (all'inizio leggiamo: «La sfida che sto accettando è questa: scrivere qualcosa di 'storico'. Difficile, so che è difficile: ho giocato molto con la scrittura, ma questa sfida mi trova più irrigidita. La storia mi mette soggezione.»).
La vicenda della balena è talmente originale nella sua impostazione che potrebbe da sola reggere il peso di un intero romanzo: è una sfida che la Balducci potrebbe vincere con se stessa. Basta sapere aspettare che sulla pagina bianca approdi, in un misterioso momento, qualche altra immagine di luce o di ombra per dare corpo alle parole, ai pensieri. Come appunto quella balena del «quattroaprilequarantatré».

2003. Voci di pace a scuola, fra i ricordi di guerra.
Un'antologia curata da Anna Rosa Balducci
La scrittrice concittadina Anna Rosa Balducci, che insegna all'Istituto Marco Polo, ha curato una piccola ma preziosa antologia, intitolata «Schegge di guerra… Voci di pace…», a cui hanno collaborato anche gli allievi della sua scuola: sono loro i testi che occupano la prima parte del libro. Seguono brani ripresi da autori chiamati per convenzione classici (si parte da Plauto e si arriva a B. Brecht, passando attraverso il Ruzzante, Marinetti, Ungaretti, Quasimodo ed a contemporanei come M. Rigoni Stern e S. Benni). Poi incontriamo le voci che parlano della «sfida della pace» (Leopardi, M. L. King, papa Giovanni XXIII, don Milani, papa Wojtyla, S. Pertini). Infine ci sono «ospiti cittadini»: V. Giorgetti, O. Baldani, M. Ugolini, P. G. Franchini, N. Pazzini, A. Bellini.
Come può risultare dall'impianto con cui il volume è stato appassionatamente costruito, e dalle varie presenze di autori così diversi fra loro, questo libro gioca tutto il suo significato in una sfida pedagogica e culturale originale, così come sono nuovi i problemi storici che sono alla base della sua nascita. Finiti i tempi in cui, sino all'11 settembre 2001, si poteva predicare un'interpretazione della Storia, in cui tutto andava (quasi) bene per (quasi) tutti, sono arrivati i momenti in cui ognuno di noi si è trovato di fronte alla necessità di pronunciarsi circa i processi politici messi in atto per rispondere concretamente agli interrogativi che il terrorismo poneva in senso globale, cioè ad ogni popolo, ad ogni Stato, nessuno escluso, dividendo il mondo in opposte fazioni.
Dice bene l'arguta prefazione: «Al di là delle particolari convinzioni, ideologiche e politiche, personali e di gruppo, quello che risultava evidente nella coscienza collettiva [dopo l'11 settembre], era la percezione di un nodo epocale della storia dell'umanità, un punto di non ritorno, una ‘terra di nessuno' in cui ci si stava immettendo».
Ovviamente, quest'operazione culturale e pedagogica deve obbligarci a non richiedere a quegli studenti che hanno partecipato alla sperimentazione letteraria nient'altro che il senso della riflessione su temi che sono stati e saranno sempre più grandi di noi gente comune, e per i quali occorrono voci come quelle che poi arrivano nelle pagine seguenti, dove si raccontano la farsa e la tragedia della guerra, con uno scambio di territori che supera i confini delle definizioni letterarie. Come si può constatare in quella canzone in cui Bertolt Brecht parla di che cosa ricevette la donna del soldato dalla vecchia capitale Praga, da Varsavia, da Oslo, dalla ricca Rotterdam, da Brussels, da Parigi piena di luci, dalla vasta Russia: ricevette soltanto il velo vedovile per la cerimonia funebre.
La farsa, come non mai, racconta meglio di ogni altra forma il tormento e l'angoscia della vicenda storica, mentre le parole di Marinetti, con la futuristica descrizione della battaglia di Adrianopoli, descrivono ed illuminano il dramma di una generazione a cui lui stesso glorificava oscenamente la guerra come «sola igiene del mondo».
Due altre pagine meritano una segnalazione: il messaggio di Pertini agli italiani del 31 dicembre 1993 («E mentre si spendono miliardi per costruire questi ordigni di morte, 40 mila bambini muoiono di fame ogni giorno. Questa morte di innocenti pesa sulla coscienza di tutti gli uomini di Stato, quindi pesa anche sulla mia coscienza»), ed una poesia di Karol Wojtyla sull'uomo che in una fabbrica d'armi prepara minuscole viti, tormentandosi perché se non pecca, non influisce neppure: «Il mondo che io creo non è / buono / eppure non sono io che lo / rendo malvagio! / Ma questo basta?».
Approfitto di questa nota per segnalare, restando in argomento, l'ultimo numero (ottobre-novembre) di «Missioni Consolata» (Corso Ferrucci 14, 10138 Torino), rivista sempre interessante, dedicato al tema «La guerra. Le guerre. Viaggio in un mondo di conflitti. E di menzogne». L'editoriale di Benedetto Bellesi, intitolato «Non possiamo tacere», tra l'altro contiene questa riflessione da non dimenticare: «Le cause ultime di tante guerre e terrorismo sono povertà disuguaglianze, ingiustizie: mali di cui non possiamo lavarci le mani»

Antonio Montanari
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