Dialetto, e sai di cosa parli
Nobile origine dal latino d'ogni giorno


Il testo è scientifico, quindi per affrontarlo occorrono pazienza e volontà di approfondimento. Proprio per questo ci sentiamo di raccomandarlo a quanti sono appassionati seriamente di dialetto. Per avere la consapevolezza della sua dignità storica, e per distinguere le (poche) cose buone dalle (molte) cattive che lo riguardano.

Fabio Foresti, autore di questo "Profilo linguistico dell'Emilia-Romagna" edito da Laterza nella collana dei "Manuali", insegna Sociolinguistica a Lettere di Bologna e dirige la "Rivista italiana di Dialettologia". Il suo biglietto di presentazione lo offriamo prima di citare una frase che tutti dovremmo mandare a memoria. Questa: dialetto ed italiano hanno la comune origine dal latino parlato. Oggi va invece di moda l'improvvisazione, per cui dall'italiano si traduce in dialetto.

Foresti cita come cattivo esempio l'antologia ferrarese (pubblicata tra 1924 e 1926 in ossequio alla riforma Gentile), dove si sostiene appunto che il dialetto deriva dall'italiano. Sono sciocchezze, spiega Foresti, che ritroviamo in scritti usciti a stampa anche nei nostri anni. Ne sono autori quelli che, aggiunge, si definiscono "cultori del dialetto". Costoro, osserva, contribuiscono spesso ad allontanare il dialetto dalla sua reale dimensione storica. Tramite false etimologie. Prendendo l'italiano come superiore modello di riferimento. E addirittura confondendo il dialetto con il gergo. Il dialetto non ha minor dignità dell'italiano.

In virtù di questo principio, se amate il dialetto e volete leggerne la storia regionale nel passato e la geografia nel presente, c'è soltanto da ascoltare la prosa di Foresti, semplice ed elegante. Gli sgulvanati si maseranno senza gnorgnia in qualche cantone per zavariare in pace, dopo aver quilato le cose necessarie alla casa, e giù a leggere le duecento pagine di Foresti. Che cita anche Sigismondo Malatesti e la sua corte...

Riprendiamone alcune notizie che riguardano il nostro territorio. Sono di origine pre-latina certi nomi, come quello del fiume che attraversa Bologna, l'Aposa (con l'accento sulla prima a), a cui è connesso il torrente riminese Ausa, "testimoni di un tipo denominativo ampiamente diffuso in Veneto, Friuli e in area germanica e illirica".

Sulla via Emilia che parte da Rimini, "si innestano, con un forma a pettine, una dozzina di importanti strade di provenienza appenninica, che scendono dalle valli" verso le città. Rimini è dapprima il limite dell'Aemilia. Sotto, verso Pesaro c'è la Flaminia. Poi Rimini è considerata parte della Flaminia, che da noi diventa Romagna (Romània, ovvero terra dei Romani). Le dominazioni germaniche, importanti sotto il profilo politico, non cambiano la nostra lingua, anche se lasciano numerosi toponimi: Mondaino, Montegridolfo....

Dopo il Mille la lingua colta adotta il parlar quotidiano. Negli Statuti sammarinesi ad inizio del Trecento s'incontra il divieto di mettere a mollo, "mitere ad mollum", il bucato nella cisterna pubblica. Ancora su San Marino: nel 1468 c'è una scuola pubblica per "tereri e forestieri" che insegna "letera" ovvero il latino per preparare i giovani (che pagano una tassa di frequenza) alla vita pubblica, pratica e degli affari.

Nel 1864 si registrano nella nostra regione sette "diversi popolari linguaggi", più quello di San Marino. Un capitolo è dedicato alle varietà micro-territoriali, di cui noi riminesi siamo testimoni per il fatto che ogni nostro borgo antico ha il suo modo di esprimersi.

Nella parte sui cantastorie si ricorda Giustiniano Villa (1842-1919), simbolo nelle proprie composizioni delle differenze linguistiche che derivano da quelle geografiche. Nato a San Clemente, passa dal proprio dialetto a quello di Morciano, al riminese ed infine, spiega Foresti, ad un "romagnolo" a base interprovinciale. Si ricorda poi la tradizione della "Pasquella" sopravvissuta nella "più conservativa Romagna", e tuttora attestata dalle cronache locali. Nel viaggio lungo il presente della poesia dialettale, brevi cenni riassumono le esperienza di Tonino Guerra, Nino Pedretti, Tolmino Baldassarri e Raffaello Baldini.

Nella parte linguistica vera e propria, si presentano i caratteri dei vari dialetti seguendo la geografia della regione. Qui ci si istruisce e diverte, passando in rassegna differenze e parentele, su cui riportiamo un solo esempio, la parola bambino. Che va da bambéin a babén, fangén, putìn, putèin, tabàch e burdèl (a Rimini). E, come diceva quel conte che non aveva molti soldi per saldare un debito con il contadino, "Scusate se è poco".

Antonio Montanari

© by Antonio Montanari / "Il Ponte" bisettimanale di Rimini, 2010

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Pagina 1303
creata 22.03.2010
Pagina aggiornata 22.03.2010, 18:00
Antonio Montanari
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