TamTama * 07.2000 * Riministoria * Antonio Montanari

Riministoria
il Rimino

Riministoria. Antonio Montanari

Tama 766, 2.7.2000

Galli & polli

Il problema del Teatro Galli è da qualche tempo circondato da un duplice alone, di mistero e di ridicolo. Non so stabilire quale dei due venga prima, così come è difficile distinguere in percentuali da chimico il valore di queste componenti che costituiscono l’essenza del problema. Fatto sta che, almeno per una generazione futura di politici, è garantito libero spazio alle loro fantasie. L’altro dato certo, è che Fabio Zavatta, presidente della società per azioni incaricata di costruire il Teatro cittadino, ha dato le dimissioni dall’incarico, con quella dignità che lo ha sempre contraddistinto nelle sue funzioni di pubblico amministratore.

Azzardo un’ipotesi: la dolorosa istoria del povero edificio potrebbe essere tutta inscritta nel nome che esso porta. Galli evoca immagini di ruspanti pennuti sulle aie di campagna. E che cosa si va ad ipotizzare per approdare a qualcosa di concreto? Nientemeno che di tagliare le ali del Galli, creando la cacofonica espressione che richiama un vecchio ballo, l’halligalli. Signor sindaco, non balli l’halligalli, non cerchi di fare costruire il nostro teatro senza le ali, perché il Galli non è un pollo. Andando avanti di questo passo, ad altri potrebbe venir l’idea di tagliare le cosce. A lei, assessore, quale parte del pollo piace di più? Signori della maggioranza, preferite spennare il pollo, pardon il Galli, o servire il piatto completo in ogni sua parte?

Cari Amministratori, prima di andare avanti nella discussione sui progetti presenti, passati e futuri, eliminate tutte quelle parole che possono far equivocare, dimenticate le ali del pollo, pardon del Galli, per evitare di confonderci le idee. Diteci soltanto se volete che Rimini abbia un teatro, se Rimini vuol essere una città intelligente (senza offesa per nessuno), se ci si può mettere d’accordo non con un compromesso (mezzo Poletti e mezzo Natalini), ma su di un’idea che non sta a me suggerire, perché altrimenti sarei costretto a farmela pagare. Signori, abbiate il senso del tempo che passa, del nulla che resta, del bilancio che disavanza. La prossima estate Rimini sarà ancora alle prese con decisioni non assunte, con le interpellanze in parlamento dell’opposizione, con i consiglieri comunali che tuonano, come scrivono i giornali, tramite un comunicato nel quale, bollando, stigmatizzando e censurando, segnano il vano trascorrere dei mesi e degli anni. [766]

 

>> Tama 767, 9.7.2000

Coccodé

Possiamo stare tranquilli. Il vicepresidente della nostra Provincia ci ha rassicurati: le strade saranno più sicure perché abbiamo il cnocau, ed i progetti definitivi al proposito (che lo stesso signore ha preferito chiamare progettazioni, con una punta di tecnicismo che fa fino, come la erre moscia nelle signore). Per la verità, lui ha detto know how, ma uno che poveretto non sa l’inglese e capisce a malapena l’italiano usato dai politici, deve arrangiarsi (la vita è tutto un arrangiamento, spiegava un noto direttore d’orchestra agli aspiranti compositori di canzonette). Che cosa voglia dire cnocau, pardon know how, ce lo spiegherebbe un dizionario di inglese, se avessimo voglia, leggendo il giornale, di alzarci e ritirarlo da una imprecisata scansia dove s’impolvera meritoriamente nel nostro personale oblìo. E se qui sopra, con il computer scrivo cnocau, il correttore automatico mi suggerisce coccodé. E vada per quest’ultima parola, come vuole la perfezione informatica, e siamo lieti ed onorati che un nostro rappresentante (nostro, nel senso del Popolo) parli così alla mano: il traffico andrà meglio perché abbiamo il coccodé.

Ma sarà convinto il lettore che un vicepresidente di Provincia manifesti il suo politico entusiasmo soltanto per il coccodé? Internet permette di scoprire il mistero del cnocau, pardon ancora, del know how, senza doversi alzare dalla sedia ed arrampicarsi tra gli scaffali. Dunque, la benedetta parola significa soltanto conoscenza od esperienza. Però, vuoi mettere la differenza rispetto ad un discorso in cui si dica in oscena semplicità che siamo capaci di fare queste cose? Ovviamente un politico deve elogiare i pregi dei suoi progetti come importanti e risolutivi, ma deve stare in guardia a non comportarsi come il noto Dulcamara dell’opera lirica, reclamizzando in questo caso l’elisir non d’amore ma della viabilità.

Se fossimo pessimisti, diremmo che parlare di cnocau, significa ricorrere ad una forma di prudenza scaramantica: se andiamo a diffondere la voce che noi abbiamo la giusta esperienza, e poi tutto va a rotoli, che figura ci facciamo? Invece, sostenendo che abbiamo appunto quel coccodé là, mettiamo le mani avanti. Falliscono i progetti? Pazienza, noi non ci eravamo compromessi, avevano semplicemente detto di avere il necessario know how. Se avete frainteso, è stato solo una questione di pronuncia, non di Provincia. [767]

 

>> Tama 768, 23.7.2000

C. & C.

Per antica e ripetutamente confermata tradizione, siamo il Paese di Capra & Cavoli. Vogliamo far sempre conciliare gli opposti, non per quello spirito di consonanza necessario in ogni attimo della vita nazionale, ma soprattutto per interesse. Ricorderete quando gli industrialotti del Nord-Est sbraitavano dalle trasmissioni televisive che loro avevano trovato in Albania operai a 160 mila lire il mese, mentre i nostri pretendevano salari moltiplicati per dieci. Adesso gli stessi signori, con un fare tutto tecnico e confindustriale, hanno cambiato programma. Non si esportano più le fabbriche (od il lavoro nero), bisogna importare i lavoratori.

Come conseguenza, il consueto rituale. Il ministro dell'Interno garantisce: riapriremo le frontiere. L'opposizione dissente. Il governatore di Banchitalia parla come se fosse il Capo della Polizia: occorre garantire le condizioni di legalità. Giuliano Amato non dimentica l'Europa: contro i clandestini, deve esserci un piano di lotta comunitario. In attesa che, la prossima settimana, il rituale sia replicato, desidereremmo sapere se gli industrialotti del Nord-Est vogliono pagare salari nazionali o d'esportazione: si arrendono al milione e rotti o restano fermi al biglietto da centomila? Delle case che quarant'anni fa non furono costruite nel Triangolo industriale per gli operai del Sud, oggi parlano soltanto gli storici. Temiamo che uguale sorte tocchi agli immigranti non solo presenti ma anche futuri, che il Paese reclama per poter produrre, e che Giuliano Amato invoca per continuare a pagare le pensioni.

Anche Rimini ha la sua quota di Capra & Cavoli. Forse è soltanto colpa del mio comprendonio, però quel manifesto a più firme che invoca tolleranza e legalità poteva esser fatto meglio. Ci si vede l'ansia benemerita di salvare il commercio ufficiale e di non infierire contro i venditori abusivi, ma gira e rigira, alla fine si arriva alla stretta che non ammette contorcimenti. Ha suonato alla mia porta uno studente russo per vendermi bamboline laccate. Avrei dovuto chiamare i CC, per rispetto della legalità? Se lo avessi voluto aiutare acquistando un oggetto, avrei, secondo le tesi della Cgil riminese, commesso un reato? Non ho fatto l'incauto acquisto. Sono stato intollerante, rifiutando l'offerta? Prevenzione e repressione, era un motto di parte; oggi è di tutti. Chi stabilisce le dosi dei due ingredienti? [768]

 

>> Tama 769, 30.7.2000

Ciak!

La scena. Venerdì 21 luglio, Rimini, rotonda del Grand Hôtel, poco prima delle ore 9 antimeridiane. Una moto dei carabinieri è a terra, a fianco di un’auto civile, condotta da una giovane signora, mamma di un pargolo di sette mesi. L’altra moto dei Cc è lì vicino, sul cavalletto. Dietro, al posto del triangolo, una vettura della Benemerita. Feriti, nessuno. Il conducente della moto ha riportato solo escoriazioni, come si sente dire da lui stesso. Si attende l’arrivo di una pattuglia della Polstrada o dei Vigili urbani, per i rilievi di legge. Il tempo passa. Un Cc offre alla mamma una minerale, mentre lei seduta su di una panchina allatta il fanciullo. Il tempo ripassa. Partono i solleciti alle centrali operative: c’è una signora con un bambino piccolissimo, fate presto. Ecco due agenti della Stradale in motocicletta. Si fermano, salutano i militari colleghi, ripartono. Arrivano nell’ordine due vetture di Vigili urbani in transito, due vetture dei Cc che si fermano ed un’altra coppia di automezzi della Polstrada che sostano sul luogo dell’incidente. E’ passata un’ora dal momento in cui esso è avvenuto. La porzione della rotonda interessata al sinistro è letteralmente occupata da macchine militari, cinque per l’esattezza, e da persone in divisa, quindici per la controesattezza. Sembra la scena di un film, di quelli che trasmette la tivù dove c’è sempre la poliziotta gentile che sorride alle mamme che hanno in braccio un bambino piccolo. Dopo l’interessamento dei primi militari per tranquillizzare la signora, i nuovi venuti, anche alti gradi, non dicono nulla, sostano silenziosi, al punto che i passanti che arrivano ignari, chiedono preoccupati che cosa sia successo. Sembra la ripresa di un telegiornale dopo un atto terroristico. Cinque macchine, due moto, quindici divise. A chi chiede, per sdrammatizzare dico che aspettiamo l’arrivo di Ciampi. Mancano però la Guardia di finanza e la Marina militare. Con un po’ di buona volontà si potrebbe rimediare. Passa anche il carro attrezzi per rimozione auto. Gentilmente, il conduttore si ferma a chiedere: serve niente? Dopo settanta minuti arriva da Cattolica (dove era impegnata) la pattuglia della Polstrada che deve verbalizzare. Il totale delle divise passate in rassegna fa diciassette. Per evitare gesti scaramantici da parte di qualche superstizioso, provvedono i Vigili, poco dopo, con altre due dell’Infortunistica. [769]

 

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