il rotTAMAto. 12

Rimini "piccola", un anno dopo ci danno ragione.
Il nonno eroe "inventato" allontanato dalla carica.


A proposito della nostra pagina n. 9.

Scrivevo lo scorso anno che ci sono, in questa Rimini "piccola", ma grande in ginocchio, dei personaggi che s'inventano un passato che non hanno.
Personaggi che rimandano a documenti relativi ad omonimi (e forse parenti).
Aggiungevo: "Documenti che i controllori ufficiali delle pubbliche storie nella Rimini 'grande' dovrebbero conoscere, per smentire il Nonno senza passato ieri, ma con un ruolo pubblico da eroe oggi".
I fatti mi hanno dato ragione. Quel nonno è stato rimosso una settimana fa dalla sua carica.
Avevo tentato di avere precise notizie biografiche attraverso le pagine Facebook sue e della sua associazione. Nessuno mi aveva risposto. I fatti "elettorali" di una settimana fa, mi hanno dato ragione.



Il testo della nostra pagina n. 9.
C'è una Rimini "grande" come quella che, nel secondo Dopoguerra, voleva trasformare in un supermercato l'antico Seminario alla destra del Tempio Malatestiano. Il Sindaco di allora per decenni chiuse "un occhio, spesso due". Parole di Vittorio Emiliani.
Poi il vecchio Convento francescano alla sinistra dello stesso Tempio cedette per metà il posto al cemento portasoldi. I resti del disastro innocente sono ancora, sotto gli occhi di tutti.

Si aggiunga alle memorie degli affari con l'edilizia, quella del "benemerito" nostro concittadino che a Milano, alla Fiera, s'affiancava sempre ai Presidenti della Repubblica in visita ufficiale. E che nessuno sapeva chi fosse, tranne i giornalisti. Vendette qui anche cose demaniali.
Nella Rimini "grande" il mattone non ha visto differenze di colore politico. I soldi sono uguali in tutti i portafogli.

C'è la Rimini "grande" del grande Fellini che raccontava personaggi mediocri, come lo zio Pataca, simbolo di una generazione politica che fa la spia anche a danno del cognato, più elegante di altri, che a differenza di Albertazzi, non raccontano i trascorsi giovanili, nei quali videro omicidi politici 'fatti commettere' dal loro capo, ed ogni anno pubblicamente commemorati, il 16 di agosto.

Poi ci sono quelli che oggi s'inventano un passato che non hanno avuto, raccontano per filo e per segno una carriera impossibile per chi negli anni della guerra era soltanto un ragazzino che andava a scuola. Una carriera 'ricopiata' da documenti ufficiali intestati a qualcuno che aveva lo stesso cognome. E che era nato vent'anni prima...
Documenti che i controllori ufficiali delle pubbliche storie nella Rimini "grande" dovrebbero conoscere, per smentire il Nonno senza passato ieri, ma con un ruolo pubblico da eroe oggi.
Ho tentato di avere precise notizie biografiche attraverso le pagine Facebook sue e della sua associazione. Nessuno mi ha risposto.

Posso quindi avanzare soltanto un'ipotesi. La Storia conserva i documenti ufficiali di una persona che potrebbe essere il padre (classe 1907) del nostro Nonno, nato nel 1927 nella stessa città dove l'omonimo (soltanto nel cognome) del 1907 risiedette e da dove il nostro Nonno da ragazzino (1940) proveniva, per recarsi a studiare a Rimini. A Rimini poi, nel 1942, si trasferisce il personaggio nato nel 1907, facendo parte di un Gap locale dal settembre 1943 al settembre 1944. Ed a Rimini scompare nel 1991.
Torniamo al Nonno nato nel 1927, per leggere cose pubblicate e che lo riguardano.

Nel 2013 si è vantato soltanto di aver abbandonato nel 1940 un corteo scolastico. Lo stesso di cui scrisse Oreste Cavallari ("Rimini imperiale!", Rimini 1979, p. 80): "Il 10 giugno del 1940 non ci fu qui alcun entusiasmo. Ero in piazza Cavour per sentire il discorso. Qualcuno parlò ad un gruppo di studenti. Quando gli studenti mi passarono davanti - io ero appoggiato al muro del caffè Commercio - lessi i cartelli. Irridevano alla Francia e all'Inghilterra. Nel complesso fu una cosa miserella".
In un pubblico documento dell'Università di Bologna (2012) invece lo si definisce "segretario della CLN di Viserba", ma dagli atti ufficiali non risulta il suo nome, bensì quello dell'omonimo (per cognome) nato nel 1907, appunto vent'anni prima di lui.
In un volume del 2012, il nato nel 1927 racconta di aver tentato di salvare un soldato tedesco colpito dall’aviazione alleata.
Dopo quella "grande" c'è la Rimini "piccola", gelosa dei respiri altrui, che un tempo rese la vita impossibile ad amici ormai scomparsi, attivi nel settore del giornalismo e della cultura. Si chiamavano Gianni Bezzi e Silvano Cardellini.
La Rimini "piccola" vuole l'esclusiva degli amplessi bancari, il cui retorico discorrere da balconi immaginari, è collegato al Potere politico che garantisce il diritto di dire la sua. Perciò, forza ragazzi, dateci dentro con l'incenso che tanto interessa a pochi che non siamo in chiesa ma nei laici palazzi della Cosa pubblica.
Perché, in questa Rimini "piccola", il Potere è sacro ed i peccatori sono quelli che vogliono dire qualcosa di testa loro.
Che cosa? "Niente, o cosa che non si può dire", suggerisce don Abbondio.

Una citazione di cronaca. Riprendo dal portale "Rimini2.0" una notizia datata 14 agosto 2015: "Lunedì 24 agosto a MobyCult torna un fedelissimo, Prezzemolo (Marco) Travaglio. Stavolta viene a presentare il suo libro fresco fresco di stampa: 'Slurp'. Spiegano gli organizzatori della rassegna che il libro contiene una panoramica sul 'virus del leccaculismo' nel giornalismo nostrano. C’è parecchia agitazione nelle redazioni di Rimini".
La 'notizia' mi conferma nella mia opinione: alla Rimini "piccola" piace tanto il cestino della carta straccia.
Cestinate, cestinate, qualcuno vi ricompenserà. Io la chiamo censura. Ma sono sicuro che mi diranno che sto sbagliando, ovviamente.
Però il giornale che ha cestinato una mia lettera che riproduco qui sotto, è lo stesso che scrisse un anno fa questo titolo a piena pagina, quale citazione autorevole tra virgolette: "Questa città? O la ami o la odi. L'unico modo è riderci sopra". Loro lo possono fare, io invito i "servizi" interni al gestore telefonico a non interferire sulla mia linea, come già accaduto per due volte nel passato.

08.07.2015. Patti chiari, idee confuse:
politica di facciata e sottobanco

Alla mia lettera qui apparsa il 14 luglio ("Elezioni comunali 2016: patti chiari prima delle urne"), un antico amico ha dato su Facebook un'interpretazione non rispondente alle mie intenzioni, come se io avessi auspicato una vittoria dell'attuale opposizione, che lui giudica senza chances per governare Rimini, per cui concludeva dichiarandosi convinto che "l'arrogante, il tignoso ed il decisionista Andrea Gnassi sia l'unico candidato per il futuro" della città.
Ribadisco qui quanto ho scritto nella risposta sul web: come semplice cittadino, mi sono permesso di fare alcune considerazioni ed osservazioni, per le quali non arriverà nessuna risposta o nessun chiarimento, questa è la politica, fatta di due cose: c'è quella di facciata e c'è quella sottobanco, per cui vale l'antica regola dei nostri avi che citavano i ladri di Pisa.
Riprendo in breve il resto della mia risposta sul web. Qui a Rimini se non sei alloggiato presso qualche casa madre, non puoi fare nulla neanche nel campo della cultura. Ne ho esperienza diretta: racconto una storiella divertente ed inedita. Il direttore di una rivista alla quale ho collaborato gratuitamente per oltre 20 anni, mi ha "messo in sonno", cancellandomi dalla redazione. Non ho fatto una piega. Quando poi mi ha contattato chiedendomi se volevo rimanere "in sonno" o essere riammesso alla redazione, qualche piega l'ho fatta, e lui mi ha cacciato definitivamente, dicendomi che sono un tipo "volgare e violento".
Aggiungo ora un altro particolare che ricavo da un mio testo ("Mi sono mal educato") presente su web dallo scorso marzo: "un vecchio amico e collega negli anni Ottanta spinse il caporedattore del giornale a cui collaboravo con una serie di articoli sulla Rimini del Novecento, ad intimarmi che dovevo fermarmi per cedere il passo e le pagine a quello stesso vecchio amico e collega". Che è lo stesso che volle insinuarsi nel 2004 ad un presentazione di un mio lavoro su "Giovanni Pascoli studente a Rimini (1871-1872)", per cui mi guardai bene dall'intervenire.


"Chi gestisce il potere non ama lo spirito critico"
"Lo spirito critico non è mai stato gradito da chi gestisce il potere, perché su di esso si fonda la possibilità di esercitare forme di controllo, evitando che il potere si trasformi in arbitrio, si nasconda nell’opacità. La democrazia è governo del popolo, ma pure governo in pubblico. Due elementi che rendono indispensabile uno spirito critico diffuso, sì che il suo attenuarsi si trasforma inevitabilmente in un indebolimento, o in una vera e propria scomparsa, della democrazia. Ma, si dice, l’attribuire pubblica rilevanza all’esercizio dello spirito critico implica discussione e così rallenta i processi di decisione, la cui velocità sembra essere divenuto l’unico bene da salvaguardare. Vengono, allora, presentati come un imperativo la separazione o almeno l’allentarsi del legame tra decisione e controllo, con l’inevitabile conseguenza di una riduzione degli spazi dove lo spirito critico può essere accettato, o benevolmente tollerato. Spazi privati, ovviamente, dove rifugiarsi per praticare un irrilevante otium, che non inneschi alcuna forma di contagio."
Stefano Rodotà ("la Repubblica", 02.03.2014)



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