Antonio Montanari
LA PROCESSIONE DEGLI IGNARI
Che cosa non funziona in certe notizie storiche


Il latino serve per non finire in acqua...


Come si fa a far nascere Pandolfo II Malatesti nel 1325 e poi affidargli nel marzo 1335 (quando il poverino avrebbe avuto nove o dieci anni) addirittura il comando di armati vittoriosi grazie ai quali sarebbe divenuto podestà di Fano? Dimenticando oltretutto che la questione era stata posta da uno studioso italiano già nel 1907 (anticipando al 1310-1315 quella nascita). Come ben sanno gli autori di un testo apparso a Stoccolma nel 2004…

Ma la processione degli «ignari», ovvero di «coloro che non sanno», è lunga.

Cominciamo da una iscrizione del 1490 (e non 1420 come in un primo tempo era stata letta). Essa ricorda il trasferimento della biblioteca dei Malatesti al piano superiore del convento di San Francesco da quello a terra, «pregiudicievole a materiali sì fatti» (Battaglini, Della corte letteraria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, 1794, p. 169). Questa iscrizione è tuttora conservata nel Museo della Città di Rimini.

Di questa iscrizione non è stata mai fornita sinora la corretta trascrizione. Infatti si è letto come «sum» quanto va trascritto come «summa».

Il testo latino è questo: «Principe Pandulpho. Malatestae sanguine cretus, dum Galaotus erat spes patriaeque pater. Divi eloqui interpres, Baiote Ioannes, summa tua cura sita hoc biblioteca loco. 1490».

Ecco la traduzione: «Sotto il principato di Pandolfo. Mentre Galeotto, nato dal sangue di Malatesta, era speranza e padre della Patria. Per tua somma cura, Giovanni Baioti teologo, la biblioteca è stata posta in questo luogo. 1490».

Nella processione degli ignari, compare poi chi non s'accorge che il terzo abate che regge una chiesa non può precedere cronologicamente il secondo suo predecessore, anche se i poveretti sono costretti ad essere ricordati soltanto nella dignità precaria delle note (le leggiamo, non le leggiamo…?).

Lo stesso autore non s'accorge che una lapide del 1686 non può essere datata con un decennio d'anticipo soltanto in virtù della propria fama di pasticcione conclamato ed acclarato. E che il 1682, «M.D.C.XIIXC», non può esser trasformato in un impossibile 1698.

Circa questi numerosi «ignari», una particolare attenzione merita il caso di Ciriaco d'Ancona, sulla cui venuta a Rimini è stata bellamente inventata una data da nessuno studioso serio ipotizzata.

Ciriaco de Pizzecolli d'Ancona (1390-1455) è un «bizzarro e geniale archeologo» che frequenta i circoli umanistici di Firenze. Ed è pure un «lettore di Dante» che per la sua ansia di sapere ama «presentarsi nei panni d'Ulisse» (Garin), ed ha ripetuti incontri con Sigismondo Pandolfo Malatesti signore di Rimini. Su invito di Sigismondo («Sigismundo Pandulphi filio Malatesta principe clarissimo favitante»: cfr. il suo Itinerarium edito da L. Mehus, Giovannelli, Firenze 1742), visita Rimini nel 1441 o forse due anni dopo (1443) come indica altra fonte (cfr. Corpus inscriptionum latinarum, XI, I, p. 80, n. 365).


Queste due date sono accettate da tutti, tranne uno che riporta tutt'altra indicazione («1435», «o comunque in un momento non lontano»!). Questa indicazione non risulta da nessuna fonte, ed è spacciata in nota come «versione corrente», ripresa «in modo acritico». Ma «versione corrente» letta e tramandata dove? Nello stesso libro, leggiamo con altro autore che la visita di Ciriaco è avvenuta «prima del 1441». Ovviamente non fa nessuna differenza fra 1441 o «prima del 1441», «o meglio nel 1443» (come un cattedratico riminese spiega in un ampio testo dedicato al Tempio malatestiano, ed edito a Cesena nel 2000).


La «versione corrente», stando alla nostra personale ignoranza, tanto «corrente» non dovrebbe essere, dal momento che non è citata né dall'altro autore del libro né nell'imponente tomo del cattedratico sullodato.

Ma l'autore ignaro ed inventore pure in un altro punto non convince: quando parlando di Giovanni Di Marco (a cui il libro è riservato, trattando dei suoi libri lasciati alla Biblioteca Malatestiana di Cesena), lo dichiara morto il 23 febbraio 1474. Da Angelo Battaglini (Dissertazione accademica sul commercio degli antichi e moderni librai, 1787, p. 51, nota 105), apprendiamo che Giovanni Di Marco «morì in Roma nel 1474, e fu sepolto a dì 23. Febbrajo». Battaglini non scrive che Giovanni Di Marco morì e fu sepolto il 23 febbraio, ma (ripetiamo) che «morì in Roma nel 1474», e che alla data del 23 febbraio «fu sepolto».


Battaglini riporta un documento riminese che è la sua fonte, il testo latino del notaio Nicolino Tabelioni del 5 marzo 1474, l'inventario dei beni di Giovanni Di Marco. Qui leggiamo che il medico riminese Giovanni Di Marco «obiit & ab hac vita migravit ac sepultus fuit…». Qui poi va notata la differenza, temporale in questo caso, che comporta quell'«ac» che non congiunge soltanto ma puntualizza («morì, e precisamente fu sepolto»), come ben comprese Battaglini quando (ripetiamo) scrisse: «morì in Roma nel 1474, e fu sepolto a dì 23. Febbrajo». Ovviamente gli storici del 1700 conoscevano il latino… Che invece ignora il nostro contemporaneo che in altro testo e per altro argomento non sa che nella lingua dei padri «in» e l'accusativo è molto diverso dall'«ad» usato con lo stesso caso. Ma l'ignaro non può farci caso e bellamente inventa una sua personale traduzione. Ed affoga per colpa di quell'«in» finendo dentro l'acqua, dalla quale si sarebbe salvato se avesse saputo dell'«ad»…

© Antonio Montanari. 47921 Rimini, via Emilia 23 (Celle), tel. 0541.740173
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1384. Pagina creata, 04.09.2010, 18:00.
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