Antonio Montanari
Le "Notti" di Aurelio Bertòla.
Storia inedita dei Canti in onore di Papa Ganganelli
[1998]

Premessa
Esaminiamo in queste pagine la storia delle undici edizioni italiane (1774-78) delle tre Notti Clementine di Aurelio De' Giorgi Bertòla, con particolare riguardo alle trasformazioni subìte dalla prima di esse, anche in stampe non approvate dal loro autore o che non rispettarono la sua volontà [1]. Cinque edizioni presentano la sola prima Notte (1774), altre due le due Notti (1775), e le ultime quattro le tre Notti (1775-78).Da tale storia emerge l'inedito ruolo avuto dall'abate savignanese Giovanni Cristofano Amaduzzi nell'edizione romana (1775) della prima e seconda Notte. Queste vicende sono esaminate attraverso le lettere che si scambiarono Bertòla, Amaduzzi [2] e Giovanni Bianchi (Iano Planco).
Bertòla, nato a Rimini nel 1753, fu costretto dalle scarse sostanze famigliari gestite dal fratellastro Cesare, un vecchio scapolo libertino, ad entrare in seminario a dieci anni. A quindici diventa monaco, con la complicità della madre che invano più tardi si pente del proprio atteggiamento. Si trasferisce prima a Bologna come novizio a San Michele in Bosco, poi a Milano, e nel '72 torna a Rimini dove si innamora di Gertrude Bartolini, corteggiata già quattro anni prima. Aurelio scappa dal monastero, arruolandosi in Ungheria: qui si ammala, per cui decide di rientrare in patria. È promosso Lettore di Italiano a Siena. Dal '76 all'83 soggiorna a Napoli, insegnando Storia e Geografia all'Accademia reale. Nell'84 ottiene la cattedra di Storia a Pavia. Nel '95 appare il Viaggio sul Reno, un diario che, con i suoi toni romantici, affascina le nuove generazioni europee.
Fiducioso in un riformismo di stampo illuministico, Bertòla è messo duramente alla prova dall'invasione napoleonica tra il 1796 ed il '98, anno della sua morte. Scambiato per filogiacobino, cerca aiuto nei generali austriaci che tramano con il Papa contro Bonaparte. Poi, gli stessi repubblicani gli affidano incarichi culturali e politici a Rimini, dove si spegne in grande povertà [3].

Abbreviazioni
BFS = Biblioteca dell'Accademia dei Filopatridi, Savignano sul Rubicone.
BGR = Biblioteca Civica Gambalunghiana di Rimini.
ELR = Efemeridi Letterarie di Roma, in FAF: ogni volume reca in calce l'elenco autografo di Amaduzzi dei suoi scritti in esso contenuti.
FAF = Fondo Amaduzzi, BFS.
FG-LB = Fondo Gambetti, Lettere al Dottor Giovanni Bianchi, in BGR.
FPS = Fondo Piancastelli, Carte di Romagna, in Biblioteca Civica A. Saffi di Forlì.
NG = Edizioni delle Notti conservate in BGR, segn. 7.B.V.73, opp. 1-11.
SG = Schede Gambetti in BGR.
Capitolo I
Bertòla e Giovanni Bianchi

Dal monastero di Monte Oliveto Maggiore di Siena il 6 novembre 1774 Bertòla scrive a Rimini a Giovanni Bianchi [4], di avergli inviato, tramite il Padre abate Giacinto Martinelli del monastero riminese di Scolca al Covignano, "due esemplari di una novella produzion sua uscita alla luce in occasione della morte della Santa Memoria di Clemente decimoquarto" (avvenuta il 22 settembre dello stesso 1774). Si tratta della Notte, un "patetico Canto" che sa "felicemente imitare il sublimissimo Poeta Young Inglese, tanto celebrato da tutte le nazioni", come si leggerà nella prefazione dello stampatore Costantini alla quinta edizione, apparsa a Perugia sempre nel 1774.
La lettera di Bertòla perviene venerdì 11 novembre a Bianchi che gli risponde il 19 [FPS, 8.289], raccontando che il giorno 16, andato "all'Ospizio degli Olivetani" (posto nel centro di Rimini, lungo l'attuale via Castelfidardo), non ha trovato l'abate Martinelli, "benché fosse passato il mezzodì". Verso sera del medesimo giorno 16, l'abate Martinelli però ha mandato a dire a Bianchi che il piego di Bertòla "non gli era peranche da Roma stato recapitato".
Nella stessa lettera del 19 novembre, Bianchi comunica a Bertòla di aver già visto una copia della Notte "con semplice sopracoperta", presso il Padre Guardiano di San Francesco, pervenuta "verso li 13 del corrente" novembre: "nello stesso tempo", aggiunge Bianchi, "sentij da Roma, che colà era stata stampata".
Nella Notte Bertòla ha inserito un ricordo di Bianchi, medico, filosofo, cultore di studi storici ed antiquari, personaggio famoso nella cultura europea del tempo, ed anche archiatro segreto onorario di papa Clemente XIV:
"Bianchi primo Cultor dell'arti mute,
Perché non fosti al tuo Signor presente?
Ben richiamar l'amabile salute
Potevi tu nel Corpo suo languente;
Intrepido Custode, ma lontano
Ahi! fosti eletto al grand'uffizio in vano." [5]
Bianchi il 19 novembre, infine, ringrazia Bertòla per la menzione, nella quale (egli scrive) "pare che V. S. Ill.ma supponga che troppo tardi sia stato consultato dal Santo Padre. Ma io non fui consultato mai, ed è una mera menzogna che io abbia approvata quella stessa medicazione, che gli facevano que' suoi medici, che io non adopro mai". Nella Notte Bertòla non ha però fatto tale supposizione, come risulta dalla strofa citata, il cui verso finale ("Ahi! fosti eletto al grand'uffizio in vano"), voleva significare soltanto che Bianchi non era stato presente a Roma nel momento del bisogno.
Nella sua seconda (ed ultima lettera esistente) a Bertòla, il 10 dicembre 1774 [FPS, 8.290] Bianchi scrive di aver ricevuto finalmente, tramite due "monaci giovani molto garbati", il "piego, che conteneva due copie della Notte […] ristampata in Siena". Questa edizione di Siena viene definita da Bianchi "accresciuta e abbellita", ed anche corretta nell'"ultimo verso" della strofa a lui dedicata, "onde s'esprime veramente la cosa com'è". Al contrario di quanto scrive Bianchi, quell'"ultimo verso" dell'edizione di Siena, è uguale a quello dell'edizione di Roma [6].
Che Bianchi fosse convinto di aver letto nell'edizione di Roma qualcosa di diverso da quanto in effetti c'era scritto, ci viene confermato dal passo di una lettera dello stesso Bianchi inviata, con la data "Rimino 11 dicembre 1774" [FAF, 68], a Roma, ad Amaduzzi [7]: "l'espressione di me che non fossi stato a tempo chiamato, era diversa, siccome tale l'aveano veduta anche a Bologna, come di là m'ha scritto il Sig. Lorenzo Drudi". A questo punto, Bianchi trascrive ad Amaduzzi la lettera di Drudi nella quale si cita la Notte in un'altra edizione apparsa a Ferrara: edizione che ricalca quella di Roma, e viene come seconda subito dopo di essa, precedendo quella di Siena, ampliata (terza della serie) [8].
Drudi [9] aveva comunicato a Bianchi: "pare, che l'Autore [Bertòla] abbia bevuta la menzogna, ch'Ella sia stata consultata, benché troppo tardi, sul male di Sua Santità". Anche Drudi come Bianchi aveva ‘letto' qualcosa che nel testo non c'era. Il brano di Drudi è tolto dalla sua epistola datata 3 dicembre 1774 [FG-LB, 156], ove a proposito della Notte si legge pure:"Io penso che, l'Autore sia il P. D. Aurelio Bertolli Olivetano, Giovine di molta abilità, e talento per la poesia spezialmente".
Il 14 dicembre [FG-LB, 157] Drudi ripeterà a Bianchi: "Io vederei volontieri la seconda edizione della Notte del nostro P. D. Aurelio Bertolli, che qui si è veduto, e che da lei sento essere stata accresciuta e corretta" [10]. E il 24 dicembre 1774: "Per ora non è possibile avere qui [a Bologna] la Notte del nostro P. Bertolla [Drudi non scrive più Bertolli], ché questo Librajo l'ha vendute tutte; ma si crede che ne verranno altre qui, e venendo non mancherò di servirla", promette Drudi a Bianchi in questa missiva che è l'ultima del carteggio [FG-LB, 158].
Sull'argomento, Bianchi torna con Amaduzzi il 22 dicembre 1774 [FAF, 69], parlando dell'edizione di Siena: "ella mi assicura che la strofe XLI che appartiene a me sia la stessa che quella [n. 36] della prima edizione, che a me parve alquanto differente, come tale prima anche al Sig. Drudi. Io non ho maniera di confrontarle anche perché la prima qui non si trova più". Bianchi aggiunge: "Il Sig. Drudi vorrebbe vedere cotesta di Siena. Io gli ho detto che mandi una di quelle di Ferrara che io gli manderò quella di Siena giacché il padre Bertola [Bianchi scrive Bertola per la prima volta, al posto di Bertolli o Bertolla] me n'ha mandate due copie, e così io avrò l'una e l'altra se me la manda" [11].
Capitolo II
Bertola e Giancristofano Amaduzzi

Bertola invia una copia della Notte anche ad Amaduzzi, il 15 novembre 1774: "Io non ho certamente l’onore di esserle noto. Duolmi assaissimo di presentarmele la prima volta con una si' frivola cosa, come e' la Produzione inchiusa. Ma un cosi' illustre ed umano concittadino dovrebbe pur valutare un pronto ed onorato desiderio" [FAF, 1]. Nella lettera (che inaugura il carteggio), Bertola precisa: "Ho fatto menzione di lei; e di altri due rispettabili Riminesi ai quali sono strettamente legato per mille titoli". Si tratta del ricordato Bianchi, e del vescovo di Todi Francesco Maria Pasini, da cui Bertola fu educato [12]. Anche l’edizione spedita ad Amaduzzi e' quella di Siena che contiene cinquantotto strofe contro le cinquantuno delle due precedenti di Roma e Ferrara. La "menzione" di Amaduzzi e' alla strofa XXVII [numerata, p. 12]:
"Empia Amaduzzi tuo, che ricco spande
E moltiforme di scienza un nembo,
D’Attico pretto mele un nappo, e il mande
A cosi' fausta genitrice in grembo;
Tu spargerai delle nettaree tracce
Al varco trionfale ambe le facce."
Amaduzzi il 19 novembre [FPS, 8.245] risponde a Bertola di avere già avuto per le mani "la prima edizione dell’ammirabile" Notte, "che credo fatta in Roma" [13]. Amaduzzi scrive anche di aver appreso che quel Canto era parto della nobile fantasia di Bertola. Le prime quattro edizioni della Notte sono infatti anonime. In quella di Perugia, la quinta, il nome del "P. D. Aurelio de’ Giorgi Bertola Riminese Monaco Ulivetano", e' citato solamente in nota a p. IV, nella presentazione dello stampatore Costantini [14]. Bertola definirà "elegantissima" questa edizione perugina [15].
Amaduzzi informa Bertola infine di averne già scritto "elogi convenienti a mons. Garampi in Varsavia ed al Ch. Giano Planco [Giovanni Bianchi] in Rimino". Della lettera di Amaduzzi a Bianchi, non c’e' traccia in FG-LB. Circa il contenuto dell’epistola di Amaduzzi a Garampi, ne sappiamo indirettamente qualcosa dalla risposta dello stesso Garampi, trascritta poi da Amaduzzi a Bertola il 7 gennaio 1775 [16].
Ha dunque scritto Garampi ad Amaduzzi: "Mi sono consolato non poco nel sentire, che fra tante indegne cose, che sonosi sparse contro la memoria del defonto Pontefice, vi sia almeno uno scritto, che si aggiri sulle vere sue lodi, e che un tale scritto proceda da un nostro compatriota. In vano l’ho qui cercato, quantunque con somma, ma con lodevole diligenza si mandino qui da piu' parti tutti gli scritti satirici, che escono costi'. Ella però mi faccia il piacere di procurarmi un esemplare della stampa, e di trasmettermelo per mezzo del Sig.r Avv.o Benadies, o del Sig. Ab. Evangelisti" [17].
Amaduzzi continua nella lettera a Bertola del 7 gennaio 1775: "Percio' questa mattina ho consegnato al secondo [l’Ab. Evangelisti] due esemplari da mandare al celebre Prelato in Varsavia". Mons. Garampi era un colto diplomatico della Santa Sede e studioso di Storia. Sarà fatto cardinale nel 1785.
Capitolo III
Bertòla e le Efemeridi romane

Nel fascicolo XLVIII [26 novembre 1774, pp. 382-384] delle Efemeridi letterarie di Roma, sotto la "data" di Siena (città dove è apparsa la terza edizione), Amaduzzi pubblica una recensione della Notte bertoliana, ricordando il dottor Bianchi, "già Archiatro segreto onorario del defunto Pontefice, che s'avrebbe voluto presente alla cura della sua languente salute".
Di questa recensione Amaduzzi, lo stesso 26 novembre 1774 [FG-LB], scrive a Bianchi senza però mai citare il nome di Bertòla: "la data di Siena, che Ella troverà nell'accluso foglio, le farà ravvisare appunto un atto di mia gratitudine, ed un tributo di vera lode verso di Lei […]. Ella gradisca pertanto questa esile mia dimostrazione di stima, e di doveroso attaccamento, e le sia ciò un argomento del desiderio che ho di fare tutto quel di più, che il tempo, e che le mie forze mi consentiranno di fare anche in appresso, in contestazione del mio obbligo, e a maggior gloria del di lei nome, che sarà pur gloria di nostra Patria" [18]. Segue un ricordo dell'"incomparabile nostro mons. Pasini".
Nella recensione, Amaduzzi definisce "accresciuta, e riformata in più parti" questa terza edizione di Siena [19] che, come si è visto, presenta sette strofe in più rispetto alle due edizioni precedenti. E dichiara che autore di quei versi anonimi è "il P. Don Aurelio Bertola Monaco Olivetano in Monte Oliveto di Siena, ma di nobile famiglia Riminese" [p. 382, II col.].
La recensione non sfugge a Garampi. L'11 gennaio 1775 [FPS, 8.246], Amaduzzi riporta a Bertòla il giudizio di Garampi, così espresso in lettera da Varsavia del 28 dicembre 1774 [FAF]: "Con sommo piacere ho letto nelle nostre Efemeridi lo spiritoso estratto da lei fatto della Notte del nostro P. Bertolli, o Bertola, come a lei piace di nominarlo [20]: e il saggio che ne ho preso, mi ha vieppiù invogliato di poter leggere l'intiera composizione". Garampi in tale lettera prega poi il savignanese di congratularsi con Bertòla e con i suoi superiori "acciò somministrino a codesto bravo talento tutti i comodi, e mezzi necessari per perfezionarsi non solo nella Poesia, ma anche ne' studi Filosofici, e Teologici propri della sua vocazione, i quali potranno anche renderlo vero Poeta di cose, e non di mere parole" [21].
L'articolo delle Efemeridi, è iniziativa spontanea dell'abate savignanese. Infatti, il sollecito per una recensione, inoltrato da Bertòla il 22 novembre 1774 [22], e che riporteremo tra qualche riga, giunge ad Amaduzzi quando il fascicolo delle Efemeridi del 26 novembre era già stato stampato. Ne abbiamo riprova nella lettera del giorno 29 novembre [23], in cui Bertòla ringrazia Amaduzzi, dopo aver ricevuto quel fascicolo: "Ella ha prevenuti i miei desiderj d'una maniera la più generosa: Ella ha voluto con un'analisi piena di spirito e di eleganza abbellire i miei versi".Il 22 novembre Bertòla aveva scritto ad Amaduzzi: "Se i Signori Efemeridisti volessero aver la degnazione di dar un cenno sulla prima Notte; e di annunziare al Pubblico la seconda; avrei fondamento da lusingarmi che i loro fogli darebbono un po' di peso alle mie fatiche; e mi servirebbono dirò così di una splendida apologia. Dico questo lontanissimo da ogni altra ambizione. Se Ella vedesse di poter cooperare alla sollecita soddisfazione dell'onesto mio desiderio, avrebbe campo di esercitare un atto degno veramente delle anime superiori; avvilire in qualche modo una genia invidiosa, calunniatrice, e fatale a tutto il Genere Umano; favorire gli amici della Verità; e sollevare i genj oppressi e nascosti".
Nell'epistola del 29 novembre, Bertòla commenta sulla recensione amaduzziana: "qual più dolce soddisfazione di quella, che ci procura la lode dei conoscitori grandi e disappassionati?"; e ricorda poi che le Efemeridi [24] nel numero del 10 settembre dello stesso 1774, "malmenarono" un suo "libretto, che un amico volle pubblicare in Forlì col titolo: Saggio di Ode italiane", costituito "la più parte" da "paragrafi di alcuni bei pezzi" tradotti dal tedesco quattro anni prima, quando il monaco riminese aveva soltanto diciassette anni [25].
Il Saggio aveva subìto una stroncatura, sia per la dedica iniziale in francese ("l'Autore sa bene assai quel vaghissimo idioma, ma non è nato sulla Senna": è la frase che prelude ad un elenco di incongruenze stilistiche); sia per la forma delle odi stesse: "vi è molto spirito, molta facilità, estro, e franchezza, ma oh Dio, la frase non è purissima, non è sempre morbida, non dilicata né scelta, quale conviensi a tali componimenti che voglion'essere tutti grazia, lindura, soavità, gentilezza e venustà". Infine, le Efemeridi avevano accusato Bertòla di "errori insieme di storia, e d'intelligenza pittorica", per una certa immagine che accostava Vasari a Pussin [26].
Nella lettera del 29 novembre, inoltre Bertòla dà per pubblicata ed esaurita la seconda edizione [di Ferrara] della Notte: "Non ostante la seconda edizione della mia Notte, le copie ne sono state divorate di guisa che io non me ne ritrovo pur una. Ne ho ritirate con fatica tre dalle mani dei Nostri; una delle quali trasmetto al P[ad]re M[aestro] Giorgi; e l'altre due al mio Gentiliss.mo Sig. Ab. Amaduzzi" [27]. Nella stessa missiva, Bertòla ipotizza che "il [tipografo] Bindi voglia farne una terza edizione in Siena", aggiungendo: "forse io gli consegnerò la seconda Notte che ho già terminata, perché l'unisca alla prima". La Seconda Notte apparirà invece, come vedremo, soltanto a partire dalla sesta edizione. È utile leggere anche il passo di altra epistola di Bertòla ad Amaduzzi, del 22 novembre 1774: "Io avevo già dato principio alla Seconda Notte. La prima mi è stata lacerata barbaramente quasi sugli occhi; e ciò con qualche mio rincrescimento. Ho creduto ben fatto risparmiarmi quello che poteva produrmi la seconda".
Capitolo IV
L'edizione curata da Amaduzzi

Nel corso del 1774, all'insaputa di Bertòla, appaiono altre due edizioni della Notte. Sono la quarta, stampata anch'essa presso Bindi a Siena, uguale alla terza, ma più elegante dal punto di vista grafico, ed in sedici pagine anziché in ventiquattro. E la quinta, uscita da Costantini a Perugia, quella che per la prima volta dichiara il nome del "chiarissimo Autore" [28], contenente cinquantuno strofe al pari delle prime due edizioni (Roma e Ferrara). Nel 1775 il testo di Bertòla si accresce, ed escono due edizioni intitolate Le Notti, Canti due.
"La mia Seconda Notte", narra Bertòla ad Amaduzzi il 13 dicembre 1774 riferendosi evidentemente a giudizi espressi sul manoscritto prima dell'invio in tipografia, "ha incontrato a Roma delle difficoltà per il tuono libero che vi regna per entro contro i calunniatori dell'immortale memoria del mio Eroe. Forse m'indurrò a farla stampare in Firenze". La prima edizione di queste due Notti, esce non a Firenze ma a Roma, per scelta dello stesso Bertòla, come vedremo in seguito.
Il 7 gennaio 1775 [FPS, 8.245 bis] Amaduzzi comunica a Bertòla: "Dopo d'avervi scritta l'ultima mia mi capitò subito l'edizione Romana delle Vostre Notti, e subito anche m'accorsi di sua imperfezione". Amaduzzi esplora i direttori della stampa, che riconosce "nelle persone del P. M[aestro] Fusconi, e dell'Abate Garattoni". Amaduzzi aggiunge che questa edizione romana (anonima) delle due Notti, segue "il primo esemplare Romano" in cinquantuno strofe: quindi, è senza la "menzione" dello stesso Amaduzzi, tagliata a suo dire dai citati direttori di stampa, "per non volere essi il rammarico di vedere in gloria il suo povero nome, e per non cooperare all'onore di uno, che indarno hanno cercato di infamare".
"Accorsi io in seguito dallo stampatore", prosegue Amaduzzi, "e trovate ancora le forme della stampa non disfatte, pattuii per una seconda edizione, e quindi incorporai nella prima Notte tutte le sestine, e le note mancanti, vi sostituii le correzioni, e mutazioni da voi fatte d'alcuni versi, ed emendai insieme gli errori di stampa, che v'erano stati commessi e per negligenza e per saccenteria de' correttori".
Amaduzzi poi spiega di essersi accordato, per ottenere l'imprimatur necessario, con il Padre Maestro di Sagro Palazzo ["Thomas Augustinus Ricchinius"], il quale concede subito "una volonterosissima permissione di riprodurre più perfetti questi vostri nobili canti, e rise della viltà dell'impotente invidia". Scrive ancora Amaduzzi: "Tacito, e disinvolto io ho già compita la mia edizione, e la dispenso a tutti quelli, che possono conoscere il merito del bel lavoro". L'edizione anonima delle due Notti (sesta della serie), ha cinquantuno strofe nella prima Notte, e reca l'indicazione "in Roma MDCCLXXV. Nella Stamperia di Ottavio Puccinelli posta incontro al Governo Vecchio" [29].
L'edizione delle due Notti, curata da Amaduzzi (settima), con le cinquantotto strofe della prima Notte, tra cui quella che lo riguarda, è dichiarata stampata "In Siena, ed in Roma", con la precisazione: "Nuova edizione più fedele, più compita, e più corretta". E reca sul frontespizio (per la prima volta) il nome dell'autore: "Padre Lettore Don Aurelio De' Giorgi Bertòla, Riminese Monaco Olivetano". A proposito di questa edizione, Amaduzzi annota con Bertòla, sempre nella lettera del 7 gennaio 1775: "Vorrei mandarvi alcuni de' miei esemplari, che troverete pur fregiati del vostro nome (e perché occultarlo?), ma non so come farmi. […] Già sono andati diversi esemplari in Rimino, in Napoli, in Cortona, in Perugia, in Vienna, e ne anderanno anche in Palermo, e altrove, e sempre in mani rispettabili".
L'11 gennaio 1775 [FPS, 8.246], Amaduzzi racconta a Bertòla, circa l'edizione anonima delle due Notti (la sesta): "Il Padre M.ro Fusconi undici giorni sono pretese meco giustificarsi, ma il fece non chiamato, ed il fece in mezzo a mille contraddizioni, conseguenze infelici della doppiezza, e solo capitale di sua mal condotta aulicità. Io gli feci sentire l'inutilità del suo passo con uno che di nulla gli faceva delitto, ma infine gli feci comprendere l'incoerenza d'una stampa regolata contro le ultime espresse volontà d'un Autore. Egli appellò ad una amplissima facoltà da voi datagli sopra il vostro lavoro, e poi finì con una reticenza, che indicava la sua inesperienza del vostro naturale, ma che meco non ardì di aggravare".
Quando Amaduzzi compone questa lettera, non ha ancora ricevuto l'epistola del 27 dicembre 1774, in cui Bertòla racconta la storia dell'edizione romana affidata da lui stesso a Fusconi: "Emmi venuto uno scrupolo in capo che mi tormenta assaissimo. L'Amico commissionato per l'edizione delle due Notti era, non saprei assegnarne un perché, intenzionato di far ristampare la prima Notte sulla prima edizione Romana imperfettissima soprattutto perché mancava del nome del mio soavissimo Amaduzzi. Egli me ne scrisse; io me gli opposi saldamente; ma temo la mia lettera non sia giunta in tempo prima che le Notti passassero sotto torchio. Io mi sto preparato alla più cruda mortificazione del mondo. Se ve n'è pervenuto un esemplare, riferite prontamente, e sgravatemi di questa pena. Scrivo perché abbiate una dozzina di esemplari per voi e per gli amici vostri" [30].
Il 30 gennaio 1775 Bertòla precisa ad Amaduzzi, dopo aver ricevuto la lettera di quest'ultimo dell'11 gennaio 1775: "Mandai al P[ad]re Fusconi la Seconda Notte perché la facesse stampare in Roma a mie spese unitamente alla prima dietro l'edizione senese. Ei mi rispose un sì stentato, e mi pregò a volermi scordare della edizione di Siena. Io gli feci subito vedere, benché con ogni riguardo di civiltà, la somma improprietà che vi era nella sua istanza; e assolutamente me gli opposi. Non ebbi altra risposta che questa; che la stampa era stata compita: ma come? a spese dello stampatore, e con un regalo di quattro copie all'autore. Il P[ad]re Fusconi ha forse diffidato di me fin d'allora; onde è che non mi sorprende quanto la reticenza con cui chiuse il discorso tenuto con voi: che s'egli diffidava poteva facilmente con un pretesto rimandarmi indietro la mia Poesia; ma regalarmela a uno stampatore! E giurabacco! E fra voi e me sputa alquanto di fratesca insolenza" [31].
Il 23 febbraio Bertòla ritorna sull'argomento: padre Fusconi gli ha inviato una lettera "piena zeppa di contraddizioni, nelle quali apparisce la doppiezza ributtante che lo ha guidato in questa occasione". Era la conferma di quanto "leggermente" gli aveva annunciato Amaduzzi [32]: "Scordiamoci amendue di questa oltraggiante miscea; e voi tenete per una consolazione il lamento che vi partecipo avanzatomi da molti amici per lettera, ai quali è pervenuta l'edizione Fusconiana, sopra la mancanza dei versi da me consacrati al vostro Nome, e creduta occorsa per colpa mia. In questo ordinario però toglierò tutti d'inganno" [33].A Fusconi, Bertòla aveva inviato il 5 ottobre 1774 (cioè prima che a Bianchi e ad Amaduzzi), una copia della Notte romana, ricordando la "cortese mano" dello stesso Fusconi, che gli aveva aperto "la via a nuovi letterarj progressi" [34].
Nella ricordata lettera dell'11 gennaio 1775, Amaduzzi sottolineava il successo dei Canti di Bertòla: "È sempre vostro merito maggiore che le vostre Poesie abbiano avuto tante edizioni [sette] in così breve tempo, sentendo, che pure in Perugia una fatta se ne sia [35], e me ne scrive appunto Monsignor Bolognini Gov[ernator]e dopo d'aver per suo mezzo inoltrato un esemplare della mia edizione al Sig. Avv. Genghini nostro Riminese [36], e suo Luogotente. Spedisco a voi costì per la posta, come mi ordinate, una copia della medesima edizione, e desidero mandarvene qualch'altra, come vi scrissi ultimamente, benché da ogni parte sia pressato a darne via, essendo il regalo la via più sollecita di ogni spaccio".
Amaduzzi accenna anche ad un articolo apparso nel foglio II delle Efemeridi sulla prima e seconda Notte [37], contenente un giudizio "onorifico, e decoroso" in mezzo ad alcuni rilievi relativi allo stile bertoliano, dettati da "pedanteria grammaticale" dell'anonimo recensore. Amaduzzi commenta che però "sono più pedanti i Novellisti Fiorentini, i quali vogliono Young inimitabile al pari di Pindaro; giudizio, che molti non si sentiranno di accettare" [38].
Leggiamo direttamente l'articolo in questione, pubblicato dalle Efemeridi [14 gennaio 1775, pp. 9-10]. Esso inizia ricordando che la nuova edizione delle Notti compariva "senza la ingiusta soppressione di alcuni versi dettati all'Autore dal concetto, e dalla stima ch'egli meritatamente conserva per uno stimabilissimo Letterato suo paesano", cioè Amaduzzi stesso: l'osservazione ci porta a ritenere che egli ne sia l'autore.
Poi l'articolo esamina la seconda Notte, dove in alcune stanze trova "quasi impercettibili negligenze di stile", ed accenna alle Ode italiane per dire che le Efemeridi ne avevano già riferito "con lode, e con qualche critica osservazione", sottolineando che esse, "perché prodotte dal nostro Autore nella tenera età di 17 anni saranno sempre un bel monumento dell'estro suo, del suo talento, e del felice genio poetico, ond'è animato".
Il 5 febbraio 1775 [FPS, 8.247] Amaduzzi precisa a Bertòla: "Sole venti copie mi restano della edizione da me fatta delle due Notti, giacché colle spontanee largizioni, e colla soddisfazione delle dimande ho esaurite tutte l'altre copie. Queste restano alla vostra disposizione, e a tal effetto le salverò dal naufragio. Vedete, che un così scarso numero non vi può servire di scorta per l'aggiunta di una terza Notte sul testo, e modo di quelle. Facendo tale ristampa io sarei d'avviso, che voi non doveste discendere ad alcuna vostra difesa [39]. I Geni creatori, ed originali non debbono mai render conto delle loro particolarità, mentre anche le stravaganze, ed i nei, che nell'umana imperfezione di chicchessia si rendono indispensabili, fanno in essi un distintivo, o sono almeno compensati da un bello superiore all'eccezione. Voi seguite pure le tracce del vostro spirito entusiasta, il quale vi farà sempre conoscere per un genio creatore, ed intollerante della servile imitazione".
Una lettera di Lodovico Coltellini ad Amaduzzi del 20 febbraio 1775 [FAF, 37] informa che Bertòla stava in quei giorni stampando ad Arezzo la terza Notte, unendovi la ristampa delle prime due. Coltellini scrive sul poeta riminese: "Questo giovinetto di ventun'anno ha un merito che sorpassa di gran lunga l'età sua" [40].
Sull'edizione aretina lo stesso Bertòla aveva informato Amaduzzi il 30 gennaio 1775: "Io aveva ideata già una terza Notte per così compire e dare un congedo a questa materia: la scrivo attualmente; ma non manderolla al P[ad]re Fusconi. Mi trovo nella nojosa necessità di fare qui [ad Arezzo], ove resterò fino a Quaresima, una nuova ristampa delle Notti, e vi aggiungerò la terza: perché da Rimini da Firenze da Siena, e da più altri luoghi sono continuamente pressato per copie di questi Canti Notturni. […] Se avete delle copie che io bramo speditele a Firenze, che poi io le farò passar qua".
Tra 1775 e 1778 appaiono quattro edizioni delle TreNotti. L'unica che, per la prima Notte, rechi il testo completo di cinquantotto strofe, è quella di Arezzo (ottava della serie): essa è la sola curata dallo stesso Bertòla. Le altre tre edizioni presentano, sempre per la prima Notte, soltanto cinquanta strofe. Da notizie contenute in due lettere di Bertòla ad Amaduzzi [41], del 21 febbraio 1776 e del 26 settembre 1778, possiamo stabilire che queste tre edizioni (nona, decima e undicesima), sono state stampate rispettivamente a Lucca nel 1776, a Venezia ed a Milano nel 1778.
Capitolo V
Les Nuits del marchese Caraccioli

"Il Marchese [Luigi Antonio] Caraccioli[42]mi scrive che si stampano attualmente in Parigi le vostre Notti Clementine da lui tradotte liberamente, e dice di mandarmene presto qualche esemplare": Amaduzzi così comunica a Bertòla (che si trovava a Napoli), il 27 gennaio 1778 [FPS, 8.255].
Il 18 luglio dell'anno precedente [FPS, 8.303], Amaduzzi aveva trascritto a Bertòla una lettera di Caraccioli, datata Parigi 1° luglio 1777, in cui si definivano le Notti Clementine un vero capolavoro: "sont divines: quélle pòesie! quel enthusiasme! quelle fecondité. Tout a contribué a faire ce chef d'oeuvre. L'esprit, le sentiment, l'imagination, le genie, la fiction, toute la nature y est sous les plus belles couleurs. Cet ouvrage seul suffit pour immortaliser Ganganelli, et fait un honeur infini à son auteur".
La prima presentazione di Caraccioli, fatta da Amaduzzi a Bertòla, suonava: "Egli è un po' fanatico; ma che ci fareste? Quando il fanatismo ha un oggetto buono, giova, e diverte; e si può facilmente soffrire" [9 settembre 1777, FPS, 8.304]. Il 4 marzo 1778 [FPS, 8.256] Amaduzzi trascrive al poeta riminese una frase di Caraccioli: "Je ne le sarai pas moin de voir ce de connaitre notre illustre Bertola. Veniat cito. Le Nuits Clémentines s'impriment, et nous les aurons à la fin du mois prochain, aussi tot je vou les ferai passer" [43].
Ed il 15 aprile 1778 [FPS, 8.257] Amaduzzi riferisce a Bertòla: "Colla posta di lunedì ricevei dal Sig. Marchese Caraccioli un grosso volume intitolato: Les Nuits Clémentines; Pöeme en IV chants sur la mort de Clémente XIV. Ganganelli par D. Giorgi Bertola: Traduction libre de l'Italien suivie du Pöeme original. A Paris 1778. Voi vi maraviglierete, come le vostre Notti da tre sieno divenute quattro, e vi maraviglierete, come il vostro piccolo volume sia cresciuto in uno così grosso, come è il presente. Dunque sappiate, che la prima Notte si è divisa in due, giacché la prima è formata da XXXIX. sestine, e le altre in numero di XX. sono state destinate a formare la seconda. Nella lettera, che il traduttore mi scrive, suppone d'aver fatto ciò per servire al genio de' Francesi, ma non dice, ove questo consista" [44].
Amaduzzi analizza questa traduzione, la cui "mole" nasce "dalla libera parafrasi del testo" di Bertòla, con "mille intrusioni di episodi, di riflessioni analoghe, di commenti, e di altre aggiunte sifatte". Bene o male, conclude Amaduzzi, per Bertòla è un merito che sia "stato tradotto in mezzo a Parigi idolatra de' suoi soli cittadini": "La prefazione è per voi molto onorifica, e vi è anche qualche cosa per me, che io non merito. Questa è di pag. XXI. La versione Francese delle Notti occupa pag. 420., e il vostro Poema originale è ristretto in 65. pagine". Il Caraccioli ha poi inserito nel volume una scelta di Idilli di Gessner tradotti da Bertòla dal tedesco [45].
Vediamo qualche particolare dalla traduzione di Caraccioli. Il passo su Amaduzzi "che ricco spande/ E moltiforme di scienza un nembo", viene reso così: "ton cher Amaduzzi, qui, sous les plus riches couleurs, repand la science avec profession" [p. 67]. La nota a questo passo, rimanda alla citazione di Amaduzzi nella prefazione di Caraccioli [pp. VII-VIII], dove si legge che il "célebre Abbé" possiede una "plume énergique" che "n'a jamais tracé que des choses aussi agréables qu'utiles". Una nota in calce alla p. VII della prefazione ricorda, a proposito di Amaduzzi, il suo recente discorso La Filosofia alleata della Religione, il quale "prouve parfaitament combien Rome est éclairée, e combien les superstitions sont éloignées de sa maniere de penser" [46].
Il passaggio relativo a Bianchi è ora inserito nella seconda Notte [p. 105], con una nota in cui si rammenta che Clemente XIV, "plein d'attachement e d'estime pour le Docteur Bianchi, le gratifie de titre de son Médicin; mais ne voulant pas l'enlever à Rimini, sa patrie, dont il était l'oracle et le conseil, ou lieu de l'appeler à Rome, il se contenta de le consulter" [47].
Dell'attività di Caraccioli come scrittore, Amaduzzi parla a Bertòla il 4 marzo 1778 [FPS, 8.256], quando riferisce che il Marchese gli aveva spedito un'"anonima petite brochure, intitolata l'Ecu de six francs, che è una critica de' costumi Francesi applicata a tutti i ceti". Il 24 settembre 1779 [FPS, 8.324] Amaduzzi comunica a Bertòla che Garampi gli aveva chiesto di vedere l'edizione francese delle Notti: "ed io gli ho ceduto l'esemplare che m'era stato mandato per il defunto nostro Monsig.r Fabbri Ganganelli", pronipote di Clemente XIV [48].
Capitolo VI
Catalogo delle edizioni delle Notti

A questo punto, è possibile riassumere il discorso svolto finora, elencando analiticamente le stampe delle varie Notti incontrate nei documenti citati, secondo i tipi di testo del Canto iniziale; e confrontandole con gli undici esemplari esistenti in BGR, che identificheremo con la sigla NG ed il numero relativo alla segnatura 7.B.V.73, opp. 1-11.
La prima Notte esce da sola in cinque edizioni, tre delle quali hanno cinquantuno strofe, mentre due sono di cinquantotto. Chiameremo di "tipo A" quelle con cinquantuno strofe, e di "tipo B" quelle con cinquantotto. Le edizioni n. 1 (senza nome dello stampatore, Roma), e n. 2 (Rinaldi, Ferrara), sono di "tipo A". La n. 3 e la n. 4 (entrambe impresse dai fratelli Luigi e Benedetto Bindi, Siena), sono di "tipo B". La n. 5 (Costantini, Perugia), è di "tipo A" [49]. Queste prime cinque edizioni del nostro catalogo, corrispondo perfettamente alla successione di NG da 1 a 5. (Soltanto le prime tre sono curate da Bertòla.)
La stessa prima Notte esce in due versioni nei due soli testi che contengono complessivamente i due Canti (1775). L'edizione n. 6 (a cura di Fusconi, presso Puccinelli, Roma), ha il "tipo A" [50]. La n. 7 (a cura di Amaduzzi, Siena-Roma), reca il "tipo B" [51]. Il n. 6 del nostro catalogo corrisponde a NG 7, così come il nostro n. 7 corrisponde a NG 6.
Stando agli esemplari NG 8-11 [52], le Tre Notti, oltre a quella aretina (NG 8, con la prima Notte di "tipo B", corrispondente al n. 8 del nostro catalogo), curata nel 1775 da Bertòla presso Bellotti di Arezzo [53, hanno infine avuto altre tre edizioni, tutte senza nome dello stampatore, luogo e data di stampa, con testo di cinquanta strofe ("tipo C", derivato dal "tipo A" che conteneva cinquantuno strofe). Due edizioni (NG. 9 e 10), sono anonime, mentre NG 11 reca il nome dell'autore.
In base alle indicazioni cronologiche contenute nelle già citt. lettere bertoliane del 21 febbraio 1776 e del 26 settembre 1778, sappiamo che tali tre ultime edizioni (non curate da Bertòla), sono rispettivamente apparse nel 1776 a Lucca, e nel 1778 a Venezia ed a Milano. A queste tre edizioni, assegniamo i numeri 9 (Lucca), 10 (Venezia) ed 11 (Milano) del nostro catalogo [54. La nostra classificazione si differenzia però in due casi dalla successione di NG 9-11.
Circa NG 9, si conserva in FAF, D.C.VIII.75, op. 8, una copia identica a tale esemplare gambalunghiano, con annotazione (di mano di Amaduzzi): "Questa imperfettissima edizione fu fatta in Lucca nel 1776 inscio Auctore". [55]Tale edizione quindi mantiene inalterato, nel nostro catalogo, il posto n. 9 (Lucca).
L'edizione NG 11 è identica a quella delle stesse Notti, inserita all'interno del tomo III delle Lettere interessanti di Clemente XIV. Ganganelli [56, stampato a Venezia nel 1778 da "Gio. Francesco Garbo, e figli" [BGR, CQ.317], per cui ad essa attribuiamo il n. 10 (Venezia) del nostro catalogo. Infine, l'edizione NG 10 deve essere considerata l'ultima della serie (n. 11, Milano).
La successione di NG 1-11 fu adottata, nel secolo scorso, dal benemerito canonico Zeffirino Gambetti [57] nelle sue "schede" [cfr. SG, voce "Bertòla", BGR].
Oltre a quella appena citata [FAF, D.C.VIII.75, op. 8], Amaduzzi possedeva altre sei edizioni delle Notti, raccolte assieme ad altri testi in unico volume [FAF, D.A.III.81 bis], ove esse vengono indicate con numeri romani (da VI ad XI), nel sommario compilato dallo stesso Amaduzzi in calce alla raccolta [58].
Infine, va registrata una dodicesima edizione, quella che reca nel frontespizio: "Secondo l'Edizione fatta in Arezzo per Michele Bellotti, Stampatore Vescov[ile]", in effetti conosciuta soltanto per essere appendice della versione francese di Caraccioli, e per aver sconvolto la prima Notte in due parti, con un totale di quattro Canti [59]. Per tali sue caratteristiche, non la consideriamo nel nostro albero ‘genealogico' [60].
Non abbiamo inteso qui affrontare il tema delle varianti di testo [61, che è ben più complesso della semplificazione da noi adottata, parlando di tre tipi ("A", "B", "C"), in base al numero delle strofe presenti in ogni tipo e nelle singole edizioni della prima Notte. Precisiamo che nel "tipo B" (cinquantotto strofe) rispetto al "tipo A" (cinquantuno strofe), si ha la soppressione di tre strofe (le nn. 5, 28, 49), e l'aggiunta di altre dieci (le nn. 24, 27, 32, 36, 37, 38, 43, 51, 55, 56). Il "tipo C" perde la strofa n. 5 rispetto al "tipo A" [62].
A noi premeva soltanto ricostruire le vicende editoriali delle Notti bertoliane, soprattutto della prima. Vicende interessanti per rilevare, oltre agli echi giornalistici ed ai commenti privati, l'intervento di Amaduzzi e la consistenza del fenomeno della ‘pirateria' editoriale, con stampe non approvate dall'autore, davanti ad un successo sbocciato in un breve arco di tempo: le prime cinque edizioni della prima Notte, escono nel giro di soli tre mesi.
Di questo successo editoriale, giustamente definito "clamoroso" da Augusto Campana [63, troviamo testimonianza anche in quanto Garampi scriveva [64 ad Amaduzzi (e da questi riportato a Bertòla il 22 agosto 1777 [FPS, 8.252]): "Io non ho più verun esemplare delle belle Notti Clementine. Di grazia Ella me ne procuri qualche duplicato". Aggiungeva Amaduzzi: "Vi stia a cuore questo duplicato delle Notti Clementine, o almeno accennatemi ove possa acquistare l'ultima edizione Aretina" (di due anni prima).
Il 13 aprile 1775 Metastasio, definendo "luminose" le Notti, aveva scritto a Bertòla: "Non ho trovato un sol verso in questo componimento che non annunzi il poeta; ed in mezzo all'oscurità misteriosa, qualità essenziale di questo nuovo genere di poesia, mi sono avveduto che il suo buon senso naturale la sforza di quando in quando all'uso di quella nobile e limpida chiarezza che assicura il voto del popolo, senza il quale non si va all'immortalità" [65].
Capitolo VII
Bertòla: "Mi nuoce esser poeta"

L'aggiunta degli Idilli di Gessner tradotti dall'Olivetano riminese [66], voluta da Caraccioli nell'edizione di Parigi delle Notti, serviva a documentare l'interesse di Bertòla verso la poesia tedesca [67], testimoniato anche dal suo studio intitolato Idea della poesia alemanna del 1779 [68], del cui progetto Amaduzzi gli chiede notizie il 4 marzo 1778 [FPS, 8.256], aggiungendo un'interessante pagina autobiografica: Amaduzzi ha appena pubblicato il discorso sulla Filosofia alleata della Religione, tenuto in Arcadia l'8 gennaio dello stesso 1778, per il quale vien "accusato all'Inquisizione con una formal delazione […] passata in mano dello stesso Pontefice, il quale la rimise indi al Tribunale dell'Inquisizione".
"Questa stampa stà ancora in occulto non so, se per prudenza, o per troppa cautela" scrive Amaduzzi: "Comunque sia, io sono contento di mostrarmi docile ai consigli degli amici. Per altro siccome non deve mai essere, che fanatici, ed ignoranti mi abbiano a soverchiare in un punto così ragionevole, così io mi vado munendo di saldi presidi contro la stessa prepotenza. Sentite cosa ho fatto. Ho mandato un esemplare della mia Orazione agli E[minentissi]mi Banditi, e Bandi, e questi mi hanno in seguito scritto lettere di piena commendazione, ed il primo in ispecie si esprime con tale effusione di bontà, che arrossisco di dover forse far uso per mia difesa di cosa, che insidia la mia modestia".
Per "cautela", Amaduzzi non ha affidato "la stampa a verun Legatore di libri", e l'ha cucita lui medesimo "alla meglio" [FPS, 15 aprile 1778, 8.257].
Roma, secondo Amaduzzi è una città che "vaneggia dietro le larve della Religione, mentre abbandona all'indifferenza il sostanziale della medesima" [69]. A questa realtà inquietante, Amaduzzi cerca sempre di contrapporre una "fredda, e tranquilla Filosofia". Turbata talora soltanto da quelle amiche che "ci lasciano […] o sottratte da noi per divisione accidentale, o perdute per volubile infedeltà, poiché esse oltre lo spirito interessano anche i nostri sensi, che sono di più difficile contentatura" [FPS, 11 giugno 1779, 8.261].
Amaduzzi aveva confessato l'estate precedente a Bertòla [FPS, 25 agosto 1778, 8.314]: "Io non rampogno, ma compatisco gli amanti. Dopo, che io ho conosciuto il dolce, e l'amaro de' due stati di servitù, e di libertà, non ho più avuto il coraggio di ritornare al primo. Ma io non debbo pretendere, che tutti s'uniformino a me, ben persuaso, che diversi sono i bisogni, come sono diversi i temperamenti. Io mi restringerò ad augurarvi quel maggior bene, che in mezzo al male si può godere, cioè il piacere della costanza, e della fedeltà, i bei frutti d'una facil pace, e la lontananza dalla struggitrice gelosia".
In calce alla lettera d'elogio per la prima Notte [FPS, 11 gennaio 1775, 8.246], Amaduzzi aveva scritto a Bertòla: "L'incostanza, ed il capriccio delle Donne m'ha fatto ritirare assai per tempo dalla coltivazione di quelle genialità, che sembrano una necessità di gioventù; ma io non ho potuto trattare, che femmine illetterate, ed incolte, cosicché forse avrei differito il mio ritiro, se avessi potuto meritarmi la corrispondenza di qualche virtuosa Donna, che colla coltura dello spirito si fosse sbarazzata dalle imperfezioni del sesso, e che avesse saputo farsi conciliare la catena con la quiete dell'animo, che è il mio principal oggetto".
Con un elegante e cortese gioco di specchi, Amaduzzi nelle sue epistole passa da queste osservazioni autobiografiche ad annotazioni su Bertòla, attorno alle quali si riflettono pure quelle espresse a proposito di altre figure, delineando così un preciso ritratto del poeta riminese. Con le sue parole, Amaduzzi ci aiuta a comprendere gli sviluppi della produzione letteraria e dell'esperienza umana di Bertòla, dopo il successo delle Notti Clementine: "Nella Contessa Mei, che io dovea assistere ne' giorni scorsi, trovava una vostra immagine; un'amabile volubilità, una dolce malinconia, una naturale pieghevolezza a tutte le cose, un temperamento tranquillo, una presentanea bizzarria, un grazioso regresso al buon sentiero, ed un'incolpabile aberrazione erano le belle fasi della sua indole, e della sua conversazione. Ond'io era ad un tempo amante, e monitore secondo le variazioni, e i bisogni, ed era tutto ciò col più tranquillo, e col più placido interessamento del mondo" [FPS, 12 settembre 1780, 8.342]; "Voi sareste lei stessa, se la natura non avesse equivocato di applicare una marca maschile ad una macchina decisa per essere di sesso femminile" [FPS, 19 settembre 1780, 8.343].
(Amaduzzi sembra qui ricalcare un pensiero di Pindemonte, contenuto in una lettera [3 luglio 1779] inviata allo stesso Amaduzzi: "Toltane la forza dell'ingegno, che rade volte ritrovasi nelle donne, egli ha tutto il resto affatto di donna; cioè incostanza di volontà, gracile temperamento, cuor tenero, animo d'ogni più lieve pericolo timoroso, e che so io": cfr. E. M. Luzzitelli, Ippolito Pindemonte e la fratellanza con Aurelio De' Giorgi Bertòla, Foggia, 1987, p. 78.)
Il 28 giugno 1776 [FAF] Amaduzzi aveva rimproverato Bertòla di lasciarsi "sedurre da ogni cosa": "Abbi piuttosto l'ambizione di passare per Filosofo, e di passare per uomo di senno. Tu non otterrai mai questo, se non procurerai di vincere, e di cambiare la tua natura col proposito e colla riflessione. […] Non ti avesse mai Metastasio lusingato, che le cose delicate sono quelle, che ti possono guidare ad una eccellenza di poesia! Queste anzi ti renderanno leggiero, molle, effeminato, e volubile. Non ti dipartire dal tuo Young, piangi con lui le tue peccata, piangi la corrutela del mondo, piangi quanto di male affligge la povera nostra specie, e così ti avezzerai a fare da Filosofo sul serio, nel grande, e nel solido. Il patetico medesimo piace alle belle, ed ha una possente forza sui cuori sensibili"[70].
Il 27 settembre 1779 Bertòla ha scritto ad Amaduzzi: "Oggi sono in uno stato, che mi nuoce esser poeta".
Il perché glielo spiega il 4 dicembre successivo: titolare della cattedra "di Geografia e Storia alla nuova Reale Accademia di Portici", Bertòla sente che lo pregiudica "presso alcuni […] la fama o buona o cattiva di poeta" [71]. Nel 1776 a Siena, ha pubblicato Versi e Prose, il libretto erotico che gli dà fama duratura in quel mondo letterario sul quale si era affacciato con i versi in onore di papa Ganganelli. Con le Notti Clementine, Bertòla era stato (come dichiara lui stesso), "fra i cantor d'Italia il primo" ad esser guidato "dalla debol lampada notturna" [72]. Poi, Versi e Prose hanno segnato una svolta, non solo di gusto poetico ma anche di rapporto con la cultura del suo tempo. L'insegnamento a Portici richiedeva ben altra fama che non la gloria delle seduzioni arcadiche o libertine.
Proprio per acquistar una reputazione più seria, Bertòla all'aspetto lirico in lui dominante (e corrispondente al trionfo di quella sensibilità che, sulla scia di Amaduzzi, potremmo definire femminea), cerca di sostituire il lato razionale della sua personalità, allo scopo di far risultare vincitori lo studio, l'analisi dotta e la "marca maschile". Bertòla è forse anche consapevole che la nuova cultura richiede dagli intellettuali un diverso impegno, al di là del solito produrre versi malinconici, encomiastici od erotici. Lo stesso Amaduzzi, discutendo di ben altri temi, e precisamente degli atteggiamenti del "puro Antiquario", gli aveva fatto notare[FPS, 24 dicembre 1776, 8.290] come fosse difficile che tali atteggiamenti stessero "perfettamente a livello collo spirito illuminato del secolo" [73].
Il giovane Bertòla mai cesserà di scrivere poesie, così come non smetterà di vivere avventure sentimentali, nelle quali dimostra una passionalità istintiva da lui assecondata razionalmente, confidando nella Natura come unica maestra[74]. Però cercherà la fama in campi differenti dal mondo dei versi, e lontani dalle galanterie dei salotti alla moda. Anche lui s'indirizzerà allo "spirito illuminato del secolo", ad esempio con la Filosofia dellaStoria (1787), opera che Amaduzzi, pur definendola "pregevolissima", considererà difficile per lo stile "cinquecentistico", nuovo nella penna di Bertòla, e "faticoso ad esser compreso di primo lancio da chi la legga per solo diletto" [75].
Le Notti costituiscono un'esperienza che Bertòla non avrebbe più ripetuta. Ad un certo punto, anzi, egli stesso sembra ripudiare i Canti Clementini, scrivendo ad Amaduzzi: "Voglio solamente lagnarmi con voi che abbiate messo a mia gloria le Notti, e le versioni dal Tedesco, quelle troppo giovanili, queste lavorate in fretta e per impegno, e le peggiori veramente fra tutte le cose mie"[76].
Amaduzzi lo ammonisce: "Non vorrei sentire, che voi poco amiate le vostre Notti, quando queste sono di un dettato epico, e sublime, ed aprirono il teatro primo della vostra gloria. Se non credete a voi stesso, credetelo alle versioni Francese ed Alemanna [77], che se ne fecero. Io le pregierò sempre grandemente, perché furono il primo veicolo alla nostra amicizia, perché hanno un merito intrinseco di valor poetico, e perché concorrono pure ad eternare la memoria del gran Clemente XIV" [78].
Capitolo VIII
Tra Parini e Dante

Crediamo necessario affiancare alle considerazioni fin qui espresse, una nota (non troppo) marginale sul contenuto delle TreNotti bertoliane, utile a comprendere il passaggio dall'edizione romana a quella senese del primo Canto, ed i successivi ampliamenti con le aggiunte delle altre due composizioni.
Quello "spirito illuminato del secolo" di cui parla Amaduzzi nel 1776, comincia a balenare in questi stessi Canti in onore di papa Ganganelli, proprio a partire dalla prima Notte. La quale inizia con l'invocazione a Young, musa e testimone della novità italiana del testo; culmina nell'esaltazione di Clemente XIV; e si chiude in una chiave autobiografica ("Io giovine poeta amico al sacro/ Util silenzio", I, LVII, 1-2), che permette all'autore di ricordare (I, LVIII, 3) il proprio educatore mons. Pasini, da poco deceduto, così come aveva citato Giovanni Bianchi (ed Amaduzzi, nell'edizione senese).
Le aggiunte nell'edizione senese delle terzine XXXVI-XXXVIII, dedicate alla ragione che "Orna i dover, le passion corregge" (I, XXXVII, 3), e della terzina LI dove si rammenta l'opera di pace svolta dal pontefice, assumono un senso preciso relativamente al quadro storico-culturale in cui Bertòla colloca la celebrazione della figura di papa Ganganelli.
Queste aggiunte testimoniano un marcato interesse verso la poesia civile, che Bertòla cala in un contesto lirico, nel quale prevalgono i toni del "patetico suono" (I,II, 4). Interesse che potrebbe derivare dalla lezione di Parini, nella cui ode La salubrità dell'aria (1759) appare in conclusione il concetto di poesia "utile", che troviamo poi riproposto nella chiusa autobiografica, appena citata, della prima Notte sul "giovine poeta amico al sacro/ Util silenzio".
L'elogio della ragione è collegabile con quello analogo dello "spirito filosofico", contenuto nel Discorso sopra la poesia [1761] di Parini; e dà alla prima Notte un cambiamento di tono: Bertòla non ricorre più soltanto a quella che Macpherson chiamava la "poésie de nature et de sentiment", ma alla lirica "de riflexion et d'esprit" che l'altra avrebbe voluto sconfiggere.
È questa la novità che incontriamo pure nella seconda Notte (in sostanza un canto politico, elaborato però nel rispetto del canone stilistico della poesia notturna), e nella terza Notte, in cui Bertòla rovescia la convenzione del modello di Young. Mentre le prime due iniziavano con la citazione dell'"orror" della montagna [79], la terza s'illumina dell'"insolito conforto" che gli porgono gli "splendori" del Cielo (III, II, 1-6).
Ma ciò che più ci preme di sottolineare in questa terza Notte, è uno spirito dantesco, tra allegorie femminili (la "Donna Real" con alloro, ghirlanda sul capo e l'"aurea tromba", III,VI-VII), e simbologie politiche come l'"Aquila ardita" dalle "temute penne" (III,XI, 4-5), che sembrano rimandare ad analoghi elementi della Commedia.
Con l'ultima Notte pare compiersi un progetto triadico simile a quello della stessa Commedia, con il passaggio dalla lugubre scena del primo componimento (I, I, 4) alla luce dei "chiari più dell'usato" raggi del giorno, che illuminano il verso finale di tutti i Canti clementini (III, XLII, 6).
Questo progetto triadico, se nella conclusione quasi rovescia o smentisce le premesse da cui era partito, esprime tuttavia nel suo svolgersi un mutamento del gusto del giovane Bertòla: pare quasi che, dai modelli della nuova poesia europea, egli voglia ritornare a quelli più solenni e severi della grande tradizione italiana [80].
Tale mutamento di gusto, visti gli esiti successivi, fu di breve durata, frutto di uno scarto tutto bertoliano, collegabile a variazioni non tanto di sensibilità letteraria quanto di umori esistenziali. La solita volubilità, potremmo commentare, ripetendo un giudizio espresso all'unisono sul poeta riminese da Amaduzzi e dalle tante donne che lo amarono, in primis quell'Elisa Mosconi che nel 1785 gli dette una figlia, Lauretta, e che lo chiamava "divino" nelle sue lunghe, appassionate lettere [81].
Una conferma, in sede critica, a tale giudizio, la troviamo nelle parole dello storico Angelo Fabi, finissimo interprete dell'opera e della vita di Aurelio Bertòla, quando osserva che il genio di costui "non era fatto per posarsi, ma per volare da un fiore all'altro" [82].
Fonti documentarie e bibliografiche
Lettere di G. C. Amaduzzi ad A. Bertòla, FPS, nn. 8.244-355. [83]
Lettere di G. C. Amaduzzi ad A. Bertòla, BGR. [84]
Lettere di G. C. Amaduzzi ad A. Bertòla, minute in FAF, codice 4. [85]
Lettere di A. Bertòla a G. C. Amaduzzi, FAF, codice 4 [con annotazione delle carte e non del numero delle lettere].
Lettera di A. Bertòla a G. Bianchi, FG-LB.
Lettere di G. Bianchi a G. C. Amaduzzi, FAF, codice 5c, tomo IV (nn. 68-59).
Lettere di G. Bianchi ad A. Bertòla, FPS, nn. 69.289-290.
Lettere di L. Coltellini a G. C. Amaduzzi, FAF, codice 8.
Lettere di L. Drudi a G. Bianchi, FG-LB, nn. 1-158. [Il gruppo 145-158 va dal 10 settembre al 24 dicembre 1774. Il carteggio inizia il 2 marzo 1776.]
Lettere di G. Garampi a G. C. Amaduzzi, FAF, codice 9.
 
I numeri che seguono le sigle FAF e FG-LB, si riferiscono alla successione delle lettere nelle relative raccolte, per i casi ove è possibile determinarla. Le parti di testo [tra parentesi quadre] sono nostre aggiunte, note e spiegazioni alle citazioni riportate tra virgolette. I testi sono riprodotti fedelmente agli originali.
 
Per un quadro sommario della cultura del Settecento tra Rimini e Savignano, per le biografie di Amaduzzi, Bertòla, Bianchi e Garampi, per la questione dei Gesuiti e Clemente XIV, e per una breve storia dell'Accademia dei Filopatridi, cfr. A. Montanari, Lumi di Romagna, Il Settecento a Rimini e dintorni, Il Ponte, Rimini, I ed. 1992, I ristampa 1993. Per Amaduzzi, cfr. l'Appendice storico-critica a La Filosofia alleata della Religione, curata da A. Montanari nell'ed. anast. pubblicata da Il Ponte, Rimini, 1993.
 
Ringraziamo sentitamente la dott. Paola Delbianco [BGR], Carla Mazzotti e la dott. Grazia Parini [BFS], per la cortese attenzione prestata alle nostre ricerche bibliografiche.
Alla dott. Grazia Parini dobbiamo la scoperta (molto importante ai fini del presente lavoro), dell'edizione di Lucca (1776, FAF, D.C.VIII.75, op. 8), non registrata tra le opere di Bertòla nello schedario dello stesso Fondo Amaduzzi di BFS.
Ringraziamo infine la Direzione della Biblioteca Statale di Lucca.
NOTE
Note al capitolo I
[1] I carteggi da cui sono ricavate le notizie del presente lavoro, vengono elencati nelle Fonti documentarie, alla pag. 51.
[2] Le lettere di Amaduzzi a Bertòla in FPS sono 112. Altre due epistole sono custodite in BGR: cfr. infra la nota 84. Infine, in FAF si conservano dodici minute di Amaduzzi, di cui quattro sono senza i corrispondenti originali in FPS.
[3] Cfr. A. Montanari, Un "Diario" inedito di A. B., Quaderni di Storia/1, Il Ponte, Rimini 1994.
[4] È l'unica lettera esistente in FG-LB.
[5] È la strofa 37 (non numerata), pp. XII-XIII, nell'edizione I, Roma. Nell'edizione III, Siena 1774 (quella inviata da Bertòla a Bianchi), è invece la strofa XLI (numerata nel testo, a p. 16).
[6] Le lettere di Bertòla a Bianchi, e di Bianchi a Bertòla, sono state pubblicate in A. Fabi, Aurelio Bertòla e le polemiche su Giovanni Bianchi, Quaderno "Studi Romagnoli" n. 6, Lega, Faenza 1972, pp. 12-14. Fabi, osservato che "la sestina relativa al Bianchi […] resta sempre uguale a se stessa" nelle varie edizioni (p. 13), si domanda: "Come mai, allora, il Bianchi parla di mutamento dell'ultimo verso delle sestine?" (p. 14). Prosegue Fabi: "Non è facile rispondere: si può fare l'ipotesi che quando ebbe sott'occhio quei versi la prima volta […] li abbia letti in fretta e, da quell'uomo suscettibile che era, abbia frainteso l'accenno alla sua assenza dal capezzale del papa malato trovandolo poco lusinghiero e inesatto; ma che poi l'impressione negativa sia completamente scomparsa a una lettura più pacata, eseguita sugli esemplari inviatigli in omaggio dal Bertòla" (p. 14). La lettera di Bertòla a Bianchi è cit. anche da C. Tonini, La Coltura letteraria e scientifica in Rimini, Danesi, Rimini 1884, II, pp. 367-368. Nel Commercium epistolicum di Bianchi [SC-MS. 974, BGR], per il mese di novembre 1774, oltre alla lettera di "sabbato 19", è annotata un'altra missiva, a noi sconosciuta, del 26.
[7] Amaduzzi, nato nel 1740 ed ex allievo dello stesso Bianchi a Rimini nella sua scuola privata di Lettere antiche, Filosofia e Scienze, dopo essere stato Lettore di Greco alla romana Sapienza nel 1769, era diventato l'anno successivo Soprintendente alla Stamperia di Propaganda Fide. Morì il 21 gennaio 1792. La sua biblioteca ed il suo carteggio sono all'Accademia dei Filopatridi di Savignano [FAF].
[8] Il 10 dicembre 1774 [FPS, 8.276], Amaduzzi scrive a Bertòla di aver visto "una quarta Senese edizione" della prima Notte; "e dico quarta, perché oltre la Romana, e le due Senesi ve n'è anche una Ferrarese copiata dalla Romana".
[9] Drudi, medico e scrittore, sarà bibliotecario della Gambalunghiana a Rimini tra 1797 e 1818, anno in cui morì.
[10] Drudi chiama "seconda" quella che in effetti, come si è visto, è la terza edizione, di Siena.
[11] Su Drudi, Amaduzzi scrive a Bertòla il 30 giugno 1778 [FPS, 8.312]: "Ho inteso, che il Dottor Drudi sia rimpatriato in Rimino, ma non credo, che Rimino diverrà per Lui niente più celebre". Scrive il cit. Tonini (Coltura, II, p. 529) che Drudi era stato inviato dalla Municipalità di Rimini a studiare Medicina, a pubbliche spese, a Bologna, Padova e Firenze nel 1771 per sei anni. Una minuta di Amaduzzi a Bertòla [24 gennaio 1776, FAF, cod. 4] precisa che "un tal Dott. Drudi" studiava allora in Firenze. Prosegue Amaduzzi nella missiva del 30 giugno 1778, su Drudi: "Le sue lettere l'enunciano un uomo asiatico, pesante, e per conseguenza mediocre. L'uomo di genio si manifesta di buon ora, e si fa conoscere anche nelle picciole cose. Bertòla anche prima del quarto lustro cominciò a far parlare di sé, e a far gustare le sue produzioni". Per Giovanni Bianchi, Drudi nel 1776 scrive una Laudatio, mentre a Rimini venivano duramente censurati Bertòla ed Amaduzzi per essersi rifiutati di unirsi al coro degli elogi verso lo stesso Bianchi, scomparso il 3 dicembre 1775, a 82 anni. Delle polemiche del tempo, ci sono ripetuti echi nelle lettere amaduzziane.
Note al capitolo II
[12] Le due lettere a Bianchi e ad Amaduzzi, come si è riportato, sono del novembre 1774: la prima, del giorno 6, è firmata Bertolli; la seconda, datata 15, è firmata Bertola. (Noi usiamo la forma accentata, come lo stesso poeta fece in lettere degli ultimi anni, ora conservate in FPS.) A Pasini (1720-53), Bertòla dedicò una breve biografia, pubblicata dalle Novelle Letterarie di Firenze, 9/1774, coll. 136-140.
[13] Il 5 novembre 1774 Amaduzzi scrive ad Anna Sernini: "Vedete di avere la Notte composta sulla morte del Santo Padre da un Olivetano riminese dimorante a Monte Oliveto di Siena sullo stile di quelle dello inglese Young e la troverete filosofica, patetica, robusta, elegante e gloriosa". Cfr. G. Gasperoni, La Storia e le Lettere nella seconda metà del secolo XVIII, TEC, Jesi 1904, lettera II, p. XXII dell'Appendice. [L'esemplare del testo di Gasperoni in BFS ha correzioni di mano dell'autore, in vista di nuova edizione.] Cfr. pure a p. 135 di G. Pecci, Aurelio Bertola e le sue "Notti Clementine" in relazione allo svolgimento della poesia encomiastica e sepolcrale, "La Romagna", 1915 (XII), pp. 64-75, 133-145, 195-207, 250-275. Questo scritto di Pecci si raccomanda ancor oggi per l'analisi storica e la ricerca documentaria. Pecci, basandosi sulla recensione di Amaduzzi alla prima Notte, pubblicata (se ne parla qui in seguito, cfr. infra la nota 19) nel novembre 1774 sulle Efemeridi, chiama seconda l'edizione senese inviata da Bertòla allo stesso Amaduzzi, la quale è invece la terza (p. 256). Infine, Pecci (ib.) indica Garampi tra i personaggi cantati in tale edizione, mentre Garampi appare soltanto nella Seconda Notte (strofa XXXVIII).
[14] Nel frontespizio l'autore sarà ricordato soltanto nelle edizioni settima e decima del nostro catalogo che descriveremo in seguito (capitolo 6. Catalogo delle edizioni delle Notti). Sono anonime anche le edizioni sesta, ottava, nona e undicesima.
[15] Cfr. lettera ad Amaduzzi del 7 marzo 1775.
[16] Cfr. la lettera FPS, 8.244. Su tale lettera, cfr. infra la nota 83.
[17] Come risulta dall'originale in FAF, la lettera è scritta da Varsavia il 30 novembre 1774.
Note al capitolo III
[18] Bianchi dal 1741 al 1744 ha insegnato Anatomia umana all'Università di Siena.
[19] Amaduzzi definisce "seconda" questa edizione senese, riferendosi ovviamente al testo (passato da cinquantuno a cinquantotto strofe), e non al prodotto tipografico (come invece stiamo facendo noi).
[20] Amaduzzi chiama Bertola l'abate riminese perché questi, come si è visto, firmava in tal modo le sue lettere al savignanese.
[21] Garampi scrive inoltre ad Amaduzzi (Varsavia, 11 gennaio 1775): "[…] ho inteso con sommo piacere i parziali riguardi, che il P. R.mo Stampa si compiace di avere per il nuovo nostro Poeta Riminese: onde pregola a rendergli anche in mio nome le più distinte grazie. Rendere ch'egli possa vieppiù coltivare i suoi talenti con l'onore e coi comodi necessari, senza però far pregiudizio agli altri studj più proprj della sua vocazione, alla disciplina Regolare, e al servigio ch'ei deve alla sua Congr[egazione]".
[22] È la seconda lettera del carteggio.
[23] Si tratta della terza epistola bertoliana.
[24] Cfr. Efemeridi, n. XXXVII, pp. 291-292.
[25] "A dir schietto mi vergogno che sì fatte piccolezze vadano per le mani dei conoscitori grandi": cfr. lettera di Bertòla ad Amaduzzi, 13 dicembre 1774. A Rimini il tipografo Giacomo Marsoner stamperà nel 1792 il bertoliano Saggio di Odi italiane, BGR, 11.MISC.RIM.XII, op. 6, pp. 52. (Si noti nel titolo: Odi e non Ode.) L'esemplare forlivese, edito da Giuseppe Sale, è presente in FAF [D.A.VI.134], con un'annotazione (nell'"indice" di mano di Amaduzzi): "(Sotto il nome di Luigi Alviro in età d'anni XVII.)".
[26] L'articolo non dovrebbe essere di mano di Amaduzzi, perché esso non appare nell'elenco posto in fine del volume ELR 1774, FAF. Su tale recensione, Amaduzzi stesso scriverà a Bertòla il 10 dicembre 1774 [FPS, 8.276]: "Posso immaginarmi chi sia stato l'Autore dell'articolo […]; ma esso avrà certo ignorata la vostra persona, di cui ora certamente ne ha migliore idea; siccome l'avrei io pure ignorata tutt'ora, se voi non vi manifestavate in sincerità. Ho riletto a bella posta l'articolo suddetto, e quantunque sia un poco critico, non è però tale, che non vi renda una solida giustizia". (Tutto il brano della lettera ha un vago tono autobiografico, in base a cui pare possibile formulare l'ipotesi che Amaduzzi stesso fosse l'autore di quell'articolo. Per analogia, si veda infra la nota 37.) Amaduzzi aggiunge anche notizie sulla favorevole accoglienza della prima Notte negli ambienti colti che frequentava a Roma.
[27] Sul sammaurese padre Giorgi, cfr. E. Pollini, Padre Agostino Giorgi nel 180° anniversario della morte, "Quaderno XI-1977", Accademia dei Filopatridi, pp. 41-60. Il 27 dicembre 1774 Bertòla scrive ad Amaduzzi di aver spedito la prima Notte a padre Giorgi, "senza aver avuto l'onore di alcun riscontro".
Note al capitolo IV
[28] Come si è già ricordato, il nome di Bertòla non appare sul frontespizio, ma nella presentazione scritta dallo stampatore Costantini.
[29] Chiameremo "edizione Fusconi" questa sesta romana del 1775. Di essa parla anche G. Pecci nel Saggio Bibliografico pubblicato in calce (pp. 274-275) al cit. Aurelio Bertola e le sue "Notti Clementine". Lorenzo Fusconi, Minore Conventuale ravennate (1726-1814), fu autore di vari testi poetici.
[30] Citiamo ancora dalla lettera bertoliana del 27 dicembre 1774 ad Amaduzzi: "Aspetto con impazienza l'ingenuo e venerato giudizio vostro sulla II Notte, onde profittarne, e prepararmi così a far di meglio in più lieve congiuntura". Sempre qui c'è un interessante passaggio autobiografico: "[…] le mie melanconiche situazioni non mi accordano la luce di un puro e tranquillo giorno; e se non sopravviene una dolce aura dissipatrice delle nebbie odiose che mi fanno assedio, preveggo bene ch'io piangerò e canterò pateticamente più per avventura che non fece Young, e con più ragione. Perdonate questo tratto alla mia talvolta soverchia e patetica ingenuità". (Questa parte autobiografica è cit. da Pecci a p. 75, nota 1, del suo studio del 1915.)
[31] Bertòla riporta a questo punto un passo di una lettera di Fusconi a lui indirizzata, da cui citiamo in parte: "Comunque io senta ch'Ella non sia di me contentissima per questa edizione, ardisco nulladimeno pregarla a nome di tutti i miei che le ne saremmo grati perpetuamente a comporre dopo sì belle Notti un Giorno in onore dell'immortale Clemente".
[32] Qui Bertòla dovrebbe riferirsi ad un giudizio espresso da Amaduzzi il 5 febbraio, secondo il quale Fusconi era uno di quei "volgari Poeti, che abbondano di parole e mancano di sentimenti, e non hanno imparato a riformare la favola nella scuola della Filosofia, madre della ragione, e dell'ingenuità" [FPS, 8.247].
[33] L'abate Garattoni "ebbe la degnazione di annojarmi con una prolissa e barbara lettera già due mesi sono, nella quale mi pregava a descrivere nella mia 2.a Notte il nuovo Arco di S. Arcangelo; e per due pagine mi esaltò le glorie bellezze e dovizie di quel paese. Freddure […]": così Bertòla ad Amaduzzi in questa lettera del 23 febbraio 1775.
[34] Tale lettera è pubblicata alle pp. 485-486 del tomo III delle Poesie e prose del Padre Maestro Lorenzo Fusconi. In BGR [12.R.VI.35] esiste la seconda edizione (1787), uscita presso la Stamperia Reale di Parma. Dopo la lettera, è riportata la prima Notte in cinquantuno strofe: la strofa n. 49 viene modificata da Fusconi, come diremo in seguito, alla nota 61.
[35] È la quinta edizione.
[36] Giuliano Genghini era anche poeta: uomo dal "carattere faceto e irriverente", amava qualificarsi "Pastor Arcade e Pubblico Lettor di Legge" (cfr. E. Pruccoli, L'Alberoni a San Marino nei carteggi di Iano Planco, "Annuario Scuola Secondaria Superiore di San Marino", XXIII, 1995-96, Studiostampa, San Marino 1966, p. 284).
[37] La recensione delle Efemeridi non appare nell'elenco delle collaborazioni di Amaduzzi, compilato in calce al volume ELR 1775, FAF. Come scriveremo tra breve, un'osservazione contenuta in quella recensione ci fa concludere che l'abbia stilata Amaduzzi stesso. Sappiamo che Don Giacinto Ceruti, come spiega una postilla di Amaduzzi nel medesimo ELR 1775, FAF, fu il principale curatore del foglio fino al n. XVII. Don Ceruti potrebbe dunque aver scritto quella recensione, con notizie però fornitegli da Amaduzzi. Il caso è analogo a quello già visto nella nota 26.
[38] Circa l'accenno ai "Novellisti Fiorentini", va precisato che nel vol. VI (1775) delle Novelle Letterarie di Firenze, coll. 6-7, si legge sulla Notte bertoliana stampata da Bindi a Siena (edizione terza): "L'autore di questa Poesia P. Don Aurelio de' Giorgi Bertola, Monaco Olivetano […] e Nobile Riminese […] con lugubri immagini s'introduce nel suo argomento, spaziando poi nelle lodi di sì glorioso Sommo Sacerdote. […] ma qualche volta s'abbassa per l'aspra difficoltà di sostenersi nel suo gran volo. […] l'impegno di livellarsi coll'inimitabile patetico dell'Inglese Poeta in tutto il suo canto era forse superiore alla forza dell'Italica fantasia. Questo non sia detto per iscoraggiare il P. Bertola; egli è meritevole di tutti gli encomi […]". Bertòla si lamenta con Amaduzzi (il 30 gennaio 1775) che i Novellisti fiorentini hanno trattato meglio le Ode che non la Notte, scrivendo: "chi ha mai sognato di livellarsi" con Young? "Nella nuova ristampa vorrei o in una notarella, o in due righe di prefazione eventualmente ribattere dolcemente pregiudizj così grossolani". E chiede un suggerimento ad Amaduzzi. Che gli risponde il 5 febbraio, come si vedrà, sconsigliandogli qualsiasi difesa. Le Novelle fiorentine trattano meglio l'edizione amaduzziana nella recensione apparsa nelle coll. 84-88 dello stesso 1775: "Correggendo ed aumentando l'Autore in più parti il suo lavoro, è quasi venuto a farne un nuovo impasto molto diverso dalla prima edizione Romana […]. Alla provida e liberal cura del Sig. Abate Gio. Cristofano Amaduzzi, grato alla santa ed eterna memoria del gran Pontefice Clemente XIV., impegnato per la gloria ed onore dell'illustre Poeta suo compatriota, dobbiamo la presente edizione. […] In somma il nostro giovane Poeta mostra in tutto una mente profonda, un cuor sensibile ed un estro sorprendente, e tuttociò egli accoppia quanto è possibile ad un Italiano con quel tenor malinconico, che forma il bello delle Notti di Young da lui prese ad imitare". Non sappiamo a quale altro articolo alludesse Bertòla scrivendo ad Amaduzzi il 28 febbraio 1775: "Esce una critica sanguinosa sulle mie Notti. Staremo a vedere". (Il richiamo alla "provida e liberal cura" di Amaduzzi, dimostra che questi faceva ben conoscere la propria attività.)
[39] È questa la risposta al consiglio richiesto da Bertòla nella cit. lettera del 30 gennaio 1775, circa la "notarella" e le "due righe di prefazione" con cui ribattere ai Novellisti fiorentini.
[40] Questa epistola fu pubblicata in G. Gasperoni, La Storia e le Lettere, cit., p. XLIV. A proposito dell'edizione aretina, si riferisce probabilmente ad essa un passo della missiva di Amaduzzi a Bertòla dell'8 aprile 1777 [FPS, 8.296], in cui leggiamo: "Non mancano mai occasioni per Vienna; e ne avremo anche molte per Parigi […]. Frattanto si manderanno le Notti Clementine, delle quali in anticipazione vi ringrazio […]".
[41] Il 21 febbraio 1776 Bertòla cita ad Amaduzzi una "nuova edizione fatta in Lucca", alla quale "dovrebbe aver avuto mano qualche frate. Sapete che hanno fatto? Hanno tolto dalla edizione aretina la terza Notte e unitala alla due stampate tronche e imperfettissime in Roma dal Padre Fusconi. Questa infamità mi ha disgustato assaissimo". Bertòla definisce "ridicola" l'iniziativa, "dopo tante copie dell'edizione Aretina che girava", copie che "vanno anche dove non sono richieste". (Tale lettera è pure nel cit. Pecci, Saggio Bibliografico, p. 274.) In data 26 settembre 1778, Bertòla scrive poi ad Amaduzzi: "In Milano, e più prima in Venezia, è stata fatta una edizione delle Tre Notti Clementine. Credo assolutamente che Fusconi le abbia fatte fare per mezzo de' suoi frati, giacché vi sono tutti quei difetti che ei volle ostinatamente ritenere nella prima Notte, quando fu la stampa in Roma. Che puntiglio!". (La lettera è ripresa da Pecci nel cit. Saggio Bibliografico, p. 275.) Le tre edizioni di Lucca, Venezia e Milano non recano l'indicazione dell'editore che, per altra via, è possibile determinare soltanto per una di esse (quella di Venezia), come vedremo più avanti.
Note al capitolo V
[42] In FAF si conservano due volumi di L. A. Caraccioli: La vie du pape Clément XIV, terza edizione, Parigi 1776 [D.A.VI.78], e La vie du pape Benoît XIV, Parigi 1783 [D.A.VII.138], con l'autografo di Amaduzzi in francese ["Jean Christophle Amaduzzi"]. In BGR esiste una traduzione italiana della Vita del Sommo Pontefice Clemente XIV Ganganelli scritta in francese dal Marchese Caraccioli [Allegrini "alla Croce Rossa", Firenze 1775, II edizione]. Caraccioli fu complimentato dal card. Ganganelli il 12 luglio 1764 per un suo Elogio istorico di Benedetto XIV (cfr. Lettere interessanti di Clemente XIV. Ganganelli, tomo III, Garbo, Venezia 1778, pp. 172-173).
[43] Risponde Bertòla ad Amaduzzi, da Napoli il 10 marzo 1778: "Godrei di veder la versione francese delle Notti prima di uscir d'Italia. Noi non passeremo per Parigi. Il nostro cammino è verso Vienna […]". Il 18 aprile aggiunge: "Ho intesa con piacere la bizzarra opera di Caraccioli. Di grazia, se non vi spiace, speditemi l'esemplare vostro […]".
[44] Nel codice 30, FAF, si conserva una lettera di Caraccioli a Gerolamo Fabri Ganganelli del 29 settembre 1778, che accompagnava il dono delle Notti bertoliane: "Vous trouverez dans ma traduction libre des grandes images, et des grandes verités à l'honneur de la Religion".
[45] In BGR [13.A.IX.3] è conservato un esemplare dell'edizione di cui parla Amaduzzi, uscita a Parigi "chez Lottin et Moutard", e stampata presso lo stesso Moutard, "Imprimeur-Libraire de la Reine". L'edizione consta di quattro parti: le 21 pp. di prefazione; le 420 pp. di questa libera, lunga e per certi versi bizzarra traduzione in prosa della Notti bertoliane, curata da Caraccioli, a cui fanno seguito le stesse Notti in originale [con l'indicazione "Michele Bellotti, Stampatore Vescovile in Arezzo, 1775"], divise però in quattro parti (66 pp.), e gli Idilli di Gessner tradotti in italiano da Bertòla (156 pp.). L'iniziale lettera di dedica, da parte del traduttore a S. A. Adam Frederic, Vescovo di Bamberg e Wirzbourg, è senza firma, recando in calce quattro asterischi. Un'altra edizione della BGR [7.B.VIII.162], apparsa a Rouen, "chez Pierre Boquer", sempre nel 1778, con soltanto la traduzione di Caraccioli, è firmata invece Carraccioly. (Circa la forma Caraccioli o Carraccioli, in SG, alla voce Caraccioli si rimanda a Carraccioli. Però gli schedari della BGR recano Caraccioli.) Una terza ed una quarta edizione della traduzione francese di Caraccioli, apparvero a Rotterdam presso J. Bronkhorst nello stesso 1778 [BGR, 7.B.VIII.254], ed a Berlino [BGR, 7.H.VI.180] presso Joachim Pauli nel 1779. L'edizione di Rotterdam ricalca quella precedente di Rouen, con la sola differenza che nella introduzione sono tagliate le ultime tre righe sul vescovo di Cortona e sulla sua accettazione della dedica delle Notti da parte di Bertòla (cfr. edizione aretina n. 8). Le Schede Gambetti [BGR] registrano soltanto le edizioni di Rouen e di Rotterdam.
[46] Nella prima Notte il traduttore scrive sul Rubicone, a p. 55, che questo piccolo fiume è "aujourd'hui connu sous le nome de Pisatello". Riportiamo questa citazione dotta, a testimonianza della secolare disputa sul vero Rubicone degli antichi, come la si definiva nel Settecento.
[47] Nell'edizione di Rouen, Amaduzzi è cit. a p. 40, Bianchi a p. 62.
[48] Mons. Girolamo "Fabbri" [recte Fabri] Ganganelli muore in Spagna il 24 maggio 1779: cfr. la lettera di Amaduzzi a Bertòla dell'11 giugno 1779 [FPS, 8.261], in cui si legge: "La mia inconcussa venerazione, e gratitudine per il suo grande Pro-Zio mi espone maggiormente a questo dolore […]
Note al capitolo VI
[49] Lo stampatore Costantini, nella ricordata sua presentazione, accenna erroneamente alla successione delle quattro precedenti edizioni, scrivendo che esse sono state pubblicate "in Roma, in Siena, in Ferrara, ed altrove (come m'è stato supposto)".
[50] Sul ruolo di Fusconi, ricapitolando le citazioni sopra riportate, si vedano le lettere di Bertòla ad Amaduzzi del 27 dicembre 1774, 30 gennaio e 23 febbraio 1775, e 26 settembre 1778.
[51] Amaduzzi in calce al volume della sua biblioteca [D.A.III.81 bis] che raccoglie sei esemplari di altrettante edizioni, scrive che le Notti da lui curate (edizione n. 7 del nostro catalogo), sono "più corrette e più piene". L'edizione amaduzziana reca soltanto la doppia indicazione "In Siena, ed in Roma", senza alcun nome degli stampatori; il testo della prima Notte segue l'edizione senese dei Bindi; e quello della seconda, l'edizione romana di Puccinelli.
[52] In BGR si conservano altri due esemplari oltre a quelli di NG 1-11; l'edizione n. 3 del nostro catalogo, è in 13.MISC.XCII, 44 [con copertina e scritta antica a penna sul frontespizio: "del Sig.e Aurelio de' Giorgi Bertola Riminese"]; l'edizione n. 8, è in 13.MISC.LXXXII, 10.
[53] Questa edizione n. 8 del nostro catalogo, contiene la dedica di Bertòla al vescovo di Cortona, mons. Giuseppe Ippoliti, datata Arezzo 15 febbraio 1775.
[54] L'edizione veneziana reca in calce anche La Concordia della Santa Sede col Portogallo, Stanze dell'abbate Francesco Zacchiroli (pp. 55-59).
[55] Tale edizione (un cui esemplare è alla Biblioteca Statale di Lucca, busta 728, n. 21), ha rassomiglianze tipografiche, soprattutto in certi fregi con il poemetto bertoliano L'Estate, impresso da Giuseppe Rocchi nel 1777 a Lucca [BGR, 7.B.V.73, op. 12], per cui si può ipotizzare che sia stata prodotta dal medesimo stampatore. Questi fregi, di tipo alquanto funerario, sono presenti anche nell'edizione delle tre Notti n. 8, curata da Bellotti di Arezzo, ed in un altro poemetto bertoliano, edito da Bindi di Siena nel 1774, La Provvidenza. Se ne può dedurre che tali elementi tipografici caratterizzino, in quegli anni, l'area toscana. Più eleganti sono altre stampe, apparse una nel 1779 probabilmente a Napoli (si tratta dellabertoliana Ode al signor Abate Metastasio [BGR, 7.B.V.73, op. 13]), e l'altra nel 1793 a Milano (L'invito di Dafni Orobiano con prefazione di Ticofilo Cimerio [Bertòla], presso Giuseppe Galeazzi [BGR, 7.B.V.73, op. 16]).
[56] Si tratta dell'opera già cit. in precedenza.
[57] Sulla figura di Z. Gambetti (1803-1871), si veda G. C. Mengozzi, Un illuminato bibliofilo, Z. G., "Studi Romagnoli", xxxvii (1986), Bologna 1990, pp. 285-293.
[58] Riportiamo l'elenco amaduzziano delle edizioni contenute nel volume FAF, D.A.III.81 bis, con [tra parentesi quadra] il numero del nostro catalogo: esse sono quelle di Roma 1774 (VI [1]), Perugia 1774 (VII [5]), Siena 1774 (VIII [3]), Roma 1775 (IX [6], con la scritta di mano dello stesso Amaduzzi: "Per dono dell'Autore"), Roma-Siena 1775 (X [7]), ed Arezzo 1775 (XI [8]). L'edizione di Arezzo 1775 delle Tre Notti, è quella di cui Amaduzzi scrive a Bertòla il 15 aprile 1777 [FPS, 8.295], dicendo di averla ricevuta tramite il Padre Lettore Mancini che si trovava a Santa Maria Nuova in Campo Vacino: è lo stesso Padre Mancini che, nel dicembre 1774, gli aveva mostrato "una quarta senese edizione" della prima Notte, che Amaduzzi non possedeva [cfr. lettera di Amaduzzi a Bertòla, FPS, 8.276, 10 dicembre 1774, cit. supra].
[59] L'indicazione del frontespizio ("Secondo l'Edizione fatta in Arezzo"), appare un falso perché l'edizione (ottava) del 1775 presso Bellotti, è in tre e non in quattro Canti.
[60] G. Pecci, in Le opere a stampa di A. Bertòla, da "Studi su A. B. nel II centenario della nascita (1953)", Steb, Bologna s. d., pp. 298-299, elenca dieci edizioni (ai suoi numeri facciamo corrispondere [tra parentesi quadra] quelli del nostro catalogo): 104 [5], 105 [3], 106 [4], 107 [2], 108 [7], 109 [6], 110 [8], 111 [9], 112 [come l'edizione aggiunta alle citt. Lettere interessanti di Clemente XIV (1778), uguale alla nostra n. 10], 113 [11]. Fabi nel cit. Aurelio Bertòla e le polemiche su Giovanni Bianchi, p. 14, nota 26, corregge le classificazioni di Pecci, ricordando le citt. raccolte in BGR [7.B.V.73, opp.1-11] ed in FAF [D.A.III.81 bis, VI-XI].
[61] Una curiosità legata ad una variante di testo non soltanto formale: nelle edizioni nn. 1, 2 e 5 del nostro catalogo, il primo verso della strofa 49 reca: "Ma tu, N. N. […]". Nella stessa strofa dell'edizione n. 6, curata da Lorenzo Fusconi, il verso in questione reca: "Ma tu, Lorenzo […]". Nelle edizioni 9, 10 ed 11, si legge: "Ma tu, Fusconi […]", con l'aggiunta di una nota: "Il P. M. Fusconi Min. Conv. Poeta, e Oratore sublime". (Il che spiega le parole ed il tono di Bertòla nella cit. lettera ad Amaduzzi del 26 settembre 1778: "Credo assolutamente che Fusconi le abbia fatte fare […]".) Infine, nel cit. III tomo delle Poesie e prose di Fusconi [BGR, 12.R.VI.35], Fusconi stesso modifica ancora il primo verso della strofa 49: "Ma tu, Labisco […]", usando il proprio nome arcadico [Labisco Teredonio]. Nel medesimo tomo, leggiamo: "Io ammiro Ossian, Young, Gesner [sic]; ma non saprei già gradire, che le maniere celtiche, inglesi, tedesche si maritino con le nostre" (p. 530). A p. 525, Fusconi ricorda: "[…] ho speso gli anni più freschi della mia vita a pensar ben altro che canzonette e sonetti, senza mai quasi un momento di ozio"; Clemente XIV "si degnò di chiamarmi a leggere nell'Archiginnasio della Romana Sapienza; impiego a me pesantissimo". Un biografo ricorda che Fusconi fu alla Sapienza "maestro in divinità": "a più alto grado sarebbe stato promosso ma la morte del pontefice troncò le belle speranze" (cfr. D. Vaccolini in Biografia degli italiani illustri, Alvisopoli, III, Venezia 1836, pp. 175-176).
[62] Nell'edizione italiana di Bellotti, posta dopo la traduzione francese di Caraccioli [1778], il totale delle strofe delle prime due Notti, corrispondenti alla prima Notte originaria (come si è visto nella lettera di Amaduzzi FPS, 8.257), è di cinquantanove (trentanove nella prima, e venti nella seconda), cioè una in più rispetto al "tipo B" in precedenza considerato: vi è aggiunta, infatti, la strofa ventesima nella ‘nuova' prima Notte. Tale strofa ventesima (che non coincide con nessuna delle tre eliminate nel "tipo B", rispetto a quello "A"), ricorda che, per diffondere in Europa i "bei parti" del "filantropo Eroe" (Clemente XIV), "manca solo qualche man gentile" che li "raccolga, e li dispensi": il senso di questi versi potrebbe indirizzare il ‘sospetto' circa l'autore dell'aggiunta, verso lo stesso Caraccioli (il più facile ‘indiziato', per essere stato il curatore del volume nel suo complesso).
[63] Cfr. in Studi su A. B., op. cit., p. 48.
[64] La lettera di Garampi, in FAF, è datata Vienna 4 agosto 1777.
[65] Cfr. in Studi su A. B., op. cit., p. 94.
Note al capitolo VII
[66] Tali Idilli erano apparsi presso Raimondi di Napoli nel 1777 col titolo Scelta d'idilj di Gessner tradotti dal tedesco. Due di essi, erano stati anticipati dall'Antologia Romana (1777, tomo III, pp. 225-229 e 233-234), con una presentazione in cui si ricordava che Bertòla in precedenza aveva "comunicato il gusto della patetica sentimentosa poesia Britanna colle tre applauditissime Notti Clementine". Nello stesso 1777 escono (sempre a Napoli, presso Raimondi), le Poesie diverse tradotte dall'alemanno, pubblicate da Bertòla in occasione delle nozze Piccolomini-Bertozzi. Cfr. A. Fabi, A. Bertòla per L. A. Bertozzi, "Studia Picena" 1994, pp. 262-264.
[67] Su tale interesse verso la poesia tedesca, si può rammentare anche la Lettera indirizzata da Bertòla al Giornale Letterario di Siena [tomo II, 1776, FAF, D.B.III.25], datata Napoli 24 dicembre 1776, a cui fa seguito la traduzione del Filete, un "idillio pescatorio" di E. C. von Kleist (1715-59), autore anche di un Canto funebre. Nella Lettera, Bertòla spiega che la sua traduzione è più fedele che elegante, "per far gustare all'Italia tutte le bellezze della poesia tedesca". Il Filete è un canto alla natura, il cui "bello" deve ispirare nell'uomo un "senso gentile": contro di esso, combattono le "cieche passioni ardenti", dalle quali il cuor "giusto" non deve farsi sopraffare, ricordando che "gloria, potere,/ Ricchezze altro non son, che sogni vani". Prima di morire, Filete lascia al figlio questo testamento: sèrbati fedele alla virtù, "procura l'altrui felicità", "alza lo spirto al grande/ Signor della natura, a cui son servi/ I venti e il mare; che governa il tutto/ Per comun ben". Bertòla definisce questa morale "un po' troppo raffinata per un pescatore". Inevitabilmente, e in contrapposizione a questa opinione di Bertòla, si pensa al pastore leopardiano del Canto notturno. La lettera (come si è visto), è scritta da Napoli, dove Bertòla era appena giunto da Siena. Qui aveva curato il cit. Giornale Letterario (nel primo semestre 1776). In una nota di Amaduzzi in calce alla pag. IV dell'annuncio editoriale, leggiamo: "Il primo semestre fu quasi tutto lavoro del P. Don Aurelio De' Giorgi Bertola Olivetano". Nel primo tomo del Giornale Letterario di Siena , Bertòla pubblicò anonima l'Ode al Sig. Abate Metastasio, dichiarando però il proprio nome come autore nell'indice finale. Degli scritti bertoliani sul Giornale senese si è occupato M. Cerruti nel saggio Bertòla tra "Aufklärung cattolica" e sperimentazioni neoclassiche (Università di Torino, L'arte di interpretare, Studi critici offerti a Giovanni Getto, L'Arciere, pp. 411-421), segnalatoci da Carla Mazzotti (BFS).
[68] L'opera sarà ampliata nel 1784 nella Idea della bella letteratura alemanna.
[69] Questa lettera di Amaduzzi è del 7 gennaio 1786 [FPS, 8.273]: ma le osservazioni in essa contenute valgono anche per il decennio precedente. Altre immagini sulla Roma di quel tempo, offre Amaduzzi nelle epistole a Bertòla. Ci sono "tante migliaia di sedicenti abati", tra cui anche "un certo Abate Anguilla Romano, falsificatore di Bolle Apostoliche", chierico prima degradato poi affidato alle cure del boia [FPS, 23 luglio 1779, 8.263]. I libri in arrivo vengono controllati uno per uno in Dogana. Per spedizioni cumulative è possibile fornire un elenco da sottoporre all'esame del Frate Revisore, chiedendo per iscritto di concedere l'extrahatur senza "una personale rivista" [FPS, 6 luglio 1779, 8.262].
[70] Nella lettera [FAS, cod. 4] si legge poi: "Per me la verità è un elemento, senza cui non posso vivere, né far nulla. […] Uno dei motivi per cui amo il mio Bertòla, è il vederlo non ributtante alla medesima".
[71] Queste lettere sono ricordate in A. Fabi, A. Bertòla per L. A. Bertozzi, op. cit., pp. 274-275. Tali lettere furono scritte "dopo circa un mese dalla pubblicazione delle Nuove poesie campestri e marittime", avvenuta a Genova (ib. p. 273). Aggiunge Fabi: "Ma lo stato d'animo che spingeva Bertòla al ripudio della poesia non dovette durare molto a lungo, se nel 1782 uscì a Cremona, per i tipi di L. Manini, il volume che dal nome arcadico di Bertòla s'intitolava Poesie di Ticofilo Cimerio" (p. 275). Sul Discorso Preliminare alle Nuove poesie, Fabi osserva che esso enuncia "considerazioni che per Bertòla dovevano certo costituire dei punti fermi", dalle quali emerge "un'esigenza di realismo che anticipa l'atmosfera romantica" (pp. 269-270). Tale Discorso Preliminare è indirizzato "al dottiss. e preclariss. mons. Lodovico Agostino de' Conti Bertozzi Vescovo di Cagli".
[72] I versi sono in un sonetto di Bertòla, ricopiato da Amaduzzi in calce al volume D.A.III bis che contiene le varie edizioni delle Notti. Aggiunge Amaduzzi in nota alla trascrizione: "Allude il chiarissimo autore al suo celebre Poema delle tre Notti, stampate in morte della S. M. di Clemente XIV". Tale sonetto è riprodotto in parte anche da Pecci nel cit. studio del 1915, p. 75, nota 1.
[73] Nell'affermazione di Amaduzzi si può cogliere un riflesso della lezione di B. Bacchini e L. A. Muratori. Sull'argomento, in relazione alla realtà riminese, cfr. A. Montanari, Modelli letterari dell'autobiografia latina di Giovanni Bianchi (Iano Planco, 1693-1775), "Studi Romagnoli 1994"; e l'introduzione dello stesso Montanari, intitolata Antonio Bianchi scrittore, al volume A. Bianchi, Storia di Rimino dalle origini al 1832, Manoscritti inediti, Ghigi, Rimini 1997, p. LII.
[74] Sul tema rimandiamo ad A. Montanari, La filosofia della voluttà, Aurelio Bertòla nelle lettere di Elisa Mosconi, Raffaelli, Rimini 1977.
[75] Lettera dell'11 marzo 1789, minuta in FAF, codice 4.
[76] Bertòla, in data 2 marzo 1789, ringrazia Amaduzzi della recensione scrittagli sulle Efemeridi [1788, pp. 411-415], per la nuova edizione [la quarta] delle sue Favole.
[77] Pecci (nel cit. lavoro del 1953, p. 301), registra due edizioni di Berlino presso Joachim Pauli: la prima è la traduzione francese di Caraccioli (già ricordata); la seconda è in lingua tedesca: Clementische Nachte. Esiste infine un'edizione portoghese nel 1785 (Rollandiana, Lisboa). In base al numero delle pagine, le edizioni in lingua tedesca e portoghese sembrano derivate da quella di Caraccioli.
[78] È la cit. lettera dell'11 marzo 1789. La storia del successo delle Notti ci rimanda alla fortuna di un genere letterario, ed alla sensibilità dei lettori che bene illustrano la cultura del tempo. Le Notti, nonostante il loro stile pesante ed oscuro in alcuni passaggi, hanno il merito, come scrisse Pecci nello studio del 1915 (p. 273), di "aver in qual modo influito nella evoluzione di un genere letterario che, dai presuntuosi e barocchi componimenti laudativi arcadici, doveva giungere" ai Sepolcri di Foscolo.
Note al capitolo VIII
[79] "Tutto m'avvolgo nell'orror del monte" (I, I, 1); "Io torno nell'orror della montagna" (II, 1, 2).
[80] Bertòla si differenzia dal "dantismo biblico" che si ritrova nelle Visioni sacre e morali (1749-66) di Alfonso Varano (1705-88), autore caratterizzato da opposizione al pensiero illuministico. Secondo Pecci (p. 253 dello studio del 1915) le Notti Clementine "si riaccostano direttamente al tipo arcadico di visioni laudative", ed hanno "molti elementi comuni pure al tipo Varaniano".
[81] Cfr. su tali lettere nel cit. La filosofia della voluttà.
[82] Cfr. A. Fabi, A. Bertòla per L. A. Bertozzi, cit., p. 263, ove Bertòla è definito “estremamente volubile, aperto ad ogni suggestione, desideroso di mutare luoghi ed incarichi”.
Note alle Fonti documentarie e bibliografiche
[83] La numerazione ufficiale del carteggio FPS non rispetta in molti casi l'esatta successione cronologica. La lettera n. 8.244, datata 7 gennaio 1775 (già cit. in precedenza), viene dopo quella del 19 novembre 1774 che reca invece il n. 8.245: quest'ultima quindi deve aprire il carteggio, mentre diventa 8.245 bis la ex 8.244. Non citiamo, per motivi di spazio, tutte le altre modifiche da noi apportate alla numerazione ufficiale. Carlo Piancastelli (1867-1938) acquistò i carteggi bertoliani nel 1907 dalla contessa riminese Adriana Costa Reghini (1877-1929), moglie del conte Filippo Battaglini (1856-1936), a cui erano pervenuti dal (lontano) congiunto Giambattista Soardi (1790-1875), figlio di Luca e Maria Martinelli, e nipote di Nicola Martinelli nel cui palazzo Bertòla morì. Nicola e Francesco Martinelli erano stati nominati dal poeta esecutori testamentari. A Nicola, Bertòla lasciò libri e scritti conservati a Rimini, sottolineando che tra essi si trovavano "molte Lettere ed altre Carte di Uomini illustri che non sono da trascurarsi". La "Libraria" di Pavia fu invece destinata ad Orintia Romagnoli Sacrati. Giambattista Soardi era nipote di un'Amelia Soardi che nel 1786 sposò Gaetano Francesco Battaglini (1753-1810), tra i cui discendenti ci fu il conte Filippo, marito di Adriana Costa Reghini. Giambattista Soardi fu sepolto nella tomba di famiglia dei Battaglini. All'inizio del xviii sec., lo zio di Aurelio Bertòla, Ercole, aveva avuto in moglie una Battaglini, Isotta. (Nel 1910 la biblioteca del conte Filippo Battaglini, fu messa in vendita a Firenze.) Circa i legami tra i Bertòla ed i Martinelli, in atto del Notaio Urbani [374, Archivio Stato Rimini, vol. 1768, parte i, c. 167 r/v], Cesare Bertolli (fratellastro del poeta) è qualificato "prossimo Parente" del conte Ferdinando Martinelli. [Queste annotazioni sulle carte Bertòla ed il Fondo Piancastelli, sono tolte dal cit. La filosofia della voluttà, p. 89.]
[84] Come già sommariamente anticipato sopra alla nota 2, due lettere di Amaduzzi a Bertòla (datate 3 gennaio 1776 e 5 aprile 1786), sono nella Miscellanea Manoscritta Riminese del Fondo Gambetti [BGR], cartella "Amaduzzi G. C.". La prima contiene l'inedito ‘saggio' biografico su G. Bianchi (Iano Planco), ricordato da A. Fabi nel cit. Aurelio Bertòla e le polemiche su Giovanni Bianchi, p. 22.
[85] Delle dodici minute di epistole scritte da Amaduzzi a Bertòla, che si trovano in tale codice di FAF, soltanto otto corrispondono ad altrettante lettere conservate in FPS. Come si è accennato sopra alla nota 2, le rimanenti quattro (con le date del 24 gennaio, 28 giugno, 20 agosto 1776, e dell'11 marzo 1789), sostituiscono gli originali perduti. Le epistole amaduzziane disponibili sono quindi 112 a Forlì, 4 a Savignano e 2 a Rimini, per un totale di 118 documenti. Nella lettera del 24 gennaio 1776 leggiamo su Bianchi: "io avea sentito a Roma nell'anno 1766 Planco medesimo ritrattare la sua contrarietà all'innesto [del vaiolo], ed io ho sue lettere nelle quali mi confessa d'aver mutato parere in vista del buon esito, che i Medici ne attestavano". Amaduzzi rimanda alla biografia scritta per Bianchi nell'Antologia Romana (1776, pp. 227-229 e 235-239), ove si trova che Bianchi "s'oppose da prima all'innesto del vajuolo, cedendo in appresso all'evidenza del buon'esito con quel candore, e coraggio, che suole ispirare l'amore della verità nei cuori degli uomini grandi" (p. 229). Bertòla, invece, nel necrologio pubblicato sulla Gazzetta Universale di Firenze, non sapeva di tale conversione, e citava l'opposizione all'inoculazione del vaiolo come "un pregiudizio così contumace" [cfr. nel cit. A. Fabi, Aurelio Bertòla e le polemiche su Giovanni Bianchi, p. 11].
Le Notti in Biblioteca
[BGR = Biblioteca Civica Gambalunghiana di Rimini;
SG = Schede Gambetti, BGR;
FAF = Fondo Amaduzzi, presso Biblioteca dell'Accademia dei Filopatridi, Savignano sul Rubicone.]

N. ESEMPLARI IN BGR E FAF, TITOLO

01 1774 BGR/SG N. 01 PRIMA NOTTE, FAF, D.A.III.81 BIS, VI
02 1774 BGR/SG N. 02 PRIMA NOTTE
03 1774 BGR/SG N. 03 PRIMA NOTTE, FAF, D.A.III.81 BIS, VIII
04 1774 BGR/SG N. 04 PRIMA NOTTE
05 1774 BGR/SG N. 05 PRIMA NOTTE, FAF, D.A.III.81 BIS, VII
06 1775 BGR/SG N. 07 NOTTI DUE, FAF, D.A.III.81 BIS, IX
07 1775 BGR/SG N.0 6 NOTTI DUE, FAF, D.A.III.81 BIS, X
08 1775 BGR/SG N. 08 NOTTI TRE, FAF, D.A.III.81 BIS, XI
09 1776 BGR/SG N. 09 NOTTI TRE, FAF, D.C.VIII,75, 8
10 1778 BGR/SG N. 11 NOTTI TRE
11 1778 BGR/SG N. 10 NOTTI TRE

Edizioni italiane
N. B. Il nome posto tra [parentesi quadra], dopo la data, è quello del curatore dell'edizione.
N. ANNO LUOGO EDITORE
01 1774 Bertòla] ROMA>SIENA BINDI
04 1774 [----------] SIENA BINDI
05 1774 [----------] PERUGIA COSTANTINI
06 1775 [Fusconi] ROMA PUCCINELLI
07 1775 [Amaduzzi] SIENA-ROMA BINDI-PUCCINELLI
08 1775 [Bertòla] AREZZO BELLOTTI
09 1776 [----------] LUCCA [ROCCHI?]
10 1778 [----------] VENEZIA GARBO
11 1778 [----------] MILANO -----
 

© Antonio Montanari. 47921 Rimini, via Emilia 23 (Celle), tel. 0541.740173
"Riministoria" è un sito amatoriale, non un prodotto editoriale. Tutto il materiale in esso contenuto, compreso "il Rimino", è da intendersi quale "copia pro manuscripto". Quindi esso non rientra nella legge 7.3.2001, n. 62, "Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 2001. Mail
Rev. grafica 13.04.2015.