Accademia dei Lincei riminesi

Rimini-Siena, e ritorno
Alle origini dei Lincei di Iano Planco (1745)

Perché Giovanni Bianchi, ritornato a Rimini nel novembre del 1744, decide di ripristinare nella propria città l'Accademia di Cesi? Bisogna fare un passo indietro nel tempo, ritornando al 1741, quando Planco va ad insegnare a Siena. L'amico padre teatino Paolo Paciaudi, al momento della sua decisione di accettare la Cattedra di Anatomia umana in quell'Università, lo aveva sconsigliato: «Se fusse o Firenze o Pisa direi: andate pureŠ Ma Siena, Siena che decoro può recarvi? [...] bisognerà che vi apprestiate a sostenere le maledicenze dell'invida genìa de' paesani di Siena professori della vostra scienza. Già si sa che dove il Forestiero è solo a primeggiare ha da essere inquietato da' Nazionali».

E' interessante la risposta di Bianchi: «Io come Filosofo non mi sono mai affezionato a niuna cosa in particolare; ma essendomi dilettato di varj studi, colà io attenderei a quelli che io potessi, dove qui io non posso per così dire attendere ad alcuno, tutto il giorno essendo occupato in cure tediose di malati senza alcun profitto. Questa è una città che dà ai Medici il medesimo incomodo che Roma, e ogni altra gran città, ma il premio è senza alcun paragone infinitamente minore».

La partenza di Bianchi da Rimini verso la città toscana, è come una fuga da un ambiente che egli sentiva oppressivo, e che non lo appagava (e non soltanto pagava, come lui stesso osserva). Nel '41, Planco gode già di una discreta fama. La chiamata a Siena, scriverà più tardi, è avvenuta senza alcun suo «maneggio». Tutto merito, quindi, della sua cultura e dei suoi studi. Due anni prima, nel '39, a Venezia ha pubblicato il «De conchis minus notis liber», dove parla dei Foraminiferi («protozoi marini provvisti di un guscio calcareo di forma varia», spiega il dizionario), rendendo famoso il nostro Covignano per i Corni d'Ammone, molluschi cefalopodi fossili che egli vi ha ritrovati.

Il «De conchis» ebbe importanza europea come possiamo ricavare dalle «Novelle letterarie» fiorentine del 12 aprile 1743, dove leggiamo che Bianchi, per le sue scoperte in questo campo, venne definito «Linceo» da Gian Filippo Breynio, professore di Storia Naturale in Danzica. Il giudizio di Breynio può esser considerato una specie di suggerimento a Bianchi: il quale, vedendosi così grandemente elogiato, non può non aver pensato ad un'impresa che eguagliasse in fama quella dell'Accademia di Cesi.La chiamata alla Cattedra senese significò per Bianchi non soltanto soddisfare la sua ambizione, ma anche affrontare un'esperienza resa difficile dalle polemiche che egli suscitò nell'ambiente accademico sia con le accuse di ignoranza indirizzate ai colleghi universitari, sia con le vanterie contenute nell'autobiografia latina anonima, pubblicatagli da Giovanni Lami nel '42 a Firenze. L'ostilità e la diffidenza che nacquero attorno alla sua persona, lo convinsero a ritornare nella natìa Rimini alla fine del novembre 1744.

Bianchi motiva il suo rientro in patria con l'accettazione di una duplice offerta fattagli dalla comunità di Rimini: la concessione della «cittadinanza nobile, e lo stipendio di scudi 200 annui per la sola permanenza». In realtà, allo stipendio doveva corrispondere un preciso impegno di lavoro con l'incarico di «medico primario condotto». (L'incarico, inizialmente confermato di sei anni in sei anni, diventa a vita il 28 agosto 1769.)

Il Consiglio civico ha espresso 42 voti favorevoli e 3 contrari. La stessa offerta della cittadinanza nobile e dello stipendio, gli era già stata fatta in precedenza, il 7 ottobre 1741: in un documento di Bianchi, leggiamo che egli la rifiutò perché «volle andare, e leggere la notomia pubblicamente in Siena per tre anni, insegnando insieme colà diverse altre cose privatamente». Giuseppe Garampi il 16 marzo 1743 ha scritto a Bianchi: «Ho udito alcuni (già suoi parziali) ora essere alquanto mutati da quel buon animo che prima per essolei nutrivano contuttociò gran fidanza io averei che venendo ella in Rimini potesse e colla sua presenza e col suo discorso facilmente rivoltarli in suo favore. Oltredicché forse alcuni ch'ella avea già contrarii spererei che ora non le potessero fare ostacolo alcuno».

Per quanto ben remunerata ed illustrata con le lusinghe di un titolo nobiliare (oltremodo gradito alla sua vanità), la carica assunta da Planco era di nessun valore rispetto al prestigio derivantegli da una Cattedra universitaria: la situazione dovette turbarlo parecchio, e spingerlo a ricercare una rivalsa psicologica ed intellettuale, con lo scopo di poter continuare a primeggiare e di non farsi dimenticare da colleghi ed avversari, due categorie destinate spesso a coincidere ed a fondersi in una sola, e non sempre per colpa sua.

Lo strumento con cui realizzare questo scopo, Bianchi lo individua nel rimettere «in piedi l'antica accademia filosofica, ed erudita de' Lincei, avedoci rifatte le leggi, ed avendoci aggregate non solamente le persone più dotte della città di Rimino, ma di altri paesi ancora», come scrive in un testo autobiografico anonimo del 1751, i «Recapiti» (la parola «recapito» ha il significato di considerazione reputazione, stima.).

Delle beghe senesi, c'è testimonianza in una lettera che Bianchi aveva inviato all'Università: è una sua domanda per ottenere che «il settore Anatomico» fosse «a lui onninamente sottoposto nelle cose di Anatomia», il che fa pensare a contrasti ed a rivalità tra colleghi. In effetti la partenza di Planco da Siena è la nuova fuga da una realtà che, come aveva previsto padre Paciaudi, ben presto gli si rivelò ostile. (Planco non rinuncerà però, negli anni successivi, all'idea di tornare ad occupare una Cattedra di Anatomia, come si ricava da una lettera di un suo amico, del 1750.)

La rifondazione dell'Accademia di Cesi, dai documenti esistenti, risulta come momento iniziale di un progetto di più ampio respiro che avrebbe dovuto articolarsi anche nell'impianto di una stamperia con iniziative editoriali sotto l'insegna della Lince. In una lettera al libraio e stampatore veneziano Giovanni Battista Pasquali, a cui Bianchi chiese un piano di organizzazione della stamperia, Planco scrive: «Bisognerebbe nel tempo che si fa il torchio, e gettare i caratteri, far fare un'insegna di legno da mettere nel frontespizio, ed io penso di metterci una Lince, o sia un Lupo Cerviero con attorno le lettere che dicano Lynceis Restitutis. [...] Io le mando la figura della Lince, che posi nel Fitobasano, perché serva di norma come ha da essere l'animale nel legno, che bisogna vedere che abbia gli occhi vivaci, e che sia fiero, e che non paia un Gatto».

Alla base di questo progetto, probabilmente c'è anche il desiderio di imitare, se non superare, i risultati di altre imprese culturali, quali le fiorentine «Novelle letterarie» di Giovanni Lami. Pure il concittadino Giuseppe Malatesta Garuffi poteva rappresentare per Bianchi un modello da emulare. Garuffi fu sacerdote e direttore della Biblioteca Gambalunghiana dal 1678 al 1694; tra l'altro, compilò una storia delle accademie italiane, «L'Italia Accademica», il cui primo ed unico volume a stampa (1688), non piacque a Ludovico Antonio Muratori, ed a Forlì nel 1705 animò il «Genio de' letterati».

Garuffi aveva avviato un ampio programma, sotto il titolo di «Bibbioteca Manuale degli Eruditi», con Accademia e stamperia, a cui sembra rimandare quello analogo di Bianchi. (Questo titolo di «Bibbioteca» viene quasi sempre riprodotto come «Biblioteca», ma sia nell'unico volume a stampa così chiamato, sia nei rimandi che troviamo all'interno del «Genio de' letterati», la dicitura corretta è quella che ho riportato.) La «Bibbioteca» è divisa in 130 titoli, «i quali contengono moltissime Erudizioni, Istoriche, Poetiche, Morali, varie, e di sagra Scrittura». Secondo quanto Garuffi scrive nel «Genio de' letterati», la «Bibbioteca» costituisce l'opera iniziale di un ampio piano editoriale.

Bianchi, per il fallimento del suo tentativo, avrebbe potuto accusare, come già aveva fatto a proposito della gestione della Civica Biblioteca di Rimini, l'insensibilità dei pubblici amministratori che «non curano libri e librerie perché sono tutti ignoranti e vigliacchi». Ma la Municipalità allora era troppo occupata a gestire una complessa situazione economica, causata da continue emergenze militari, carestie e necessità collettive, per poter pensare al finanziamento di iniziative editoriali private, per quanto importanti esse fossero.

Per altre notizie: http://digilander.libero.it/ianoplanco.

Antonio Montanari

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