Declino e nuvole da bastone.
Su FIAT e la “nuvola” dell’architetto Massimiliano Fuksas.
Prepariamoci a subire l’ennesimo pugno allo stomaco da parte di un Italia beona parassitaria corrotta e incapace che privilegia il suo status quò perdente anziché migliorarsi in qualcosa di vincente. Non voglio fare un trattato di estetica ma quanti brutti modelli ha prodotto la Fiat, oserei dire quasi tutti. Anche quelli belli venivano prima o poi plastificati con calandre e stop posticci attaccati per fare il modello “nuovo”. Storico il baffetto storto alla Hitler che le auto anni ottanta avevano per indicare il marchio Fiat (////), era un fiasco pure quello e tardi se ne sono accorti ritornando a quello precedente. Una produzione fatta per ciechi se manco i coreani hanno prodotto auto più brutte della 'Duna'. Auto che venivano innaugurate dalle più prestigiose autorità e dagli operai orgogliosi. Spettacoli che altro non erano che l’interfaccia della stessa maniera balorda di fare le cose, scelte nazionali che solo che al baratro potevano portare, dove poi immancabilmente ci siamo trovati a discutere. -Ad un mese circa di distanza di questo scritto la General motors paga per venire fuori da un accordo con la Fiat, ditemi chi non avrebbe pagato per scappare!!- Eppure si continua con lo stesso schema di promozione produttiva (e sociale) una selezione che altro non è che quello del design architettonico con tutte le implicazioni artistiche ed estetiche del caso. Il bello è che pare che non si sia soddisfatti dei danni compiuti e si continui ancora a fare gli stessi errori, tanto la colpa non è mai loro, è del governo o del sitema ma sono sempre gli stessi che ne combinano a iosa, mai altri, mai perchè solo alcuni hanno diritto a campare, per gli altri niente, assolutamente niente, alla faccia del vero cambiamento!! Altro esempio. In questo clima di disfacimento totale c’è chi si impegna a finanziare elogiare e creare manufatti architettonici come la “nuvola” dell’architetto Massimiliano Fuksas. L’ennesimo schiaffo al buon senso dell’ “allegra macchina…” che in passato impugnò il bastone , ammissione pubblica di Fuksas. Era quello che faceva nei lontani tempi dell’uccisione dei fratelli Mattei questo grande professionista che rappresenta l’Italia all’estero e che secondo me tutt ’ ora non smette di fare. Se lo fa è perché alterna la clava al vecchio bastone che cimelio glorioso vuole che sia, non cerca teste da spaccare ma realizzazioni progettuali che sono altrettanto nocive per la testa e per lo stomaco insieme, specie per i malcapitati futuri utenti. Cari signori, sappiate che le nuvole costano care, che si pagano specie dopo che sono state fatte, perché sono chine scivolose che difficilmente si possono risalire. Che esempi di disfacimento e di Tsunami vari non se ne ha bisogno perché a malapena ci si riesce a ripararne i danni, lo sanno bene i malcapitati nonostante i trionfalismi umanitari. Lo stato si abbatte non si cambia! Quante altre distruzioni dobbiamo assistere ! Quante altre macerie fumanti che lasciano sinistre 'nuvole' dobbiamo vedere. Basta con l’ennesima esaltante prova di sfregio alla Fontana o alla Burri che sia. Di buchi buche per strada, tagli, lamiere arrugginite e plastiche bruciate e sfondate, bidonville stracci e straccioni non se ne sente la mancanza, tanto meno di 'nuvole' provenienti dalle fumanti macerie. Finiamo con le prese per i fondelli, di furbi e di furbizie non se ne fa niente specie quando già tutti lo sanno. Non finanziamo questi mostri, farlo è a discapito di tante cose importanti e vitali che mancano. Non impegniamo tecnici e tecnologie preziose per stupidaggini che stanno in perenne restauro come il Beaubourg o architetture mai abitate perché del tutto inagibili come la casa sulle cascate di Wright, queste cose le sanno tutti anche quelli che come gli struzzi non vogliono vederle. Lo chiamano regime, lo chiamano declino, a me mi sembra la solita minestra decotta prontamente riscaldata per annunciare un nuovo piatto, lascio a voi le conclusioni.
Considerati spettri archeologici sono stati "murati vivi" | Museo in Germania (sotto) | Museo a NY.(vedi sotto) |
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ValadierDonghi
di un amministrazione di sinistra che tanto blatera sugli scempi e che aspetta la resa dei conti con i cementificatori che hanno deturpato la città eterna così come altrove. Cosa ti propongono a pochi metri da due chiese classiche una pompa di benzina che fa del lungo Tevere quell’autostrada tipica del non identificabile luogo di periferia dove non si capisce se si è sulla Pontina o sulla Casilina, l’ennesima spersonalizzazione metrpolitana a cui tanti architetti formatisi con il concetto di ”architettura internazionale” sono affezionati. Vero “monumento della Pace” in guerra con una città fortunatamente diversa, vittime il Valadier e Martino Longhi il Vecchio. Una conferma che nelle file dei destrutturalisti l’avversione all’architettura non si è assopita anche se adesso si offendono se qualcuno li definisce ideologi. Gli enormi gusci dell’autidorium sono tanto grandi quanto inespressivi compreso la parte di “sostegno” , monotone murature degne di un recinto di un qualunque magazzino che respingono l’approccio fisico e visivo , una barriera architettonica se non sbaglio. In questo caso la vittima è il progetto di Libera a cui hanno tolto il parco che qualificava le case del “villaggio dei Giornalisti”, riducendo il più riuscito quartiere ispirato alle moderne visioni di urbanizzazione alla LeCorbusier alla stregua di tanti altri anonimi quartieri che fanno delle borgate romane una infinita e monotona periferia. Siccome sono proposte da un amministrazione di sinistra sono innovative e qualificanti, fortuna loro. L’edilizia popolare fatta Milano dal palazzinaro Berlusconi ( le fonti finanziarie per farsi le televisioni) è identica per squallore anch’esse frutto di amministrazioni di sinistra e conseguentemente “giuste”. Per i maniaci degli schieramenti dato che critico la sinistra queste considerazioni non sono sostenute a destra, sono semplicemente personali. |
Una scuola? Una banca? fate voi! |
Un mito o un caso? |
Come ci hanno fatto disoccupati | ||
Giocattoli?, é una mostra! | Artista | Body art |
per seguire quello che fanno in altre parti del mondo che sono dedite ad altri tipi di economie proprio perché non hanno il nostro patrimonio di conoscenze e ne le nostre consolidate capacità. Una delle cause più devastanti perpetrate per distruggere il nostro dna sono state delle precise regie culturali che hanno fatto si che tutto ciò che ci apparteneva e che ci aveva dato prestigio da sempre diventasse da un momento all'altro "provinciale", incapace di esprimere qualcosa se non il "già visto" o "accademico" (?!). Precise testimonianze si trovano nei libri di storia dell'arte come, per es., l'Argan che riduceva tutta la storia dell'arte repubblicana e imperiale di Roma in poche pagine con delle descrizioni offensive:- il Laocoonte ...barocco.. umiliando un’ammirevole scultura e una fase importante dello sviluppo artistico. Altre parole ricorrenti come ..il potere.. l'imperialismo...formano il concetto che l'espressione artistica di un popolo è una semplice congiura di sadici sfruttatori e corrotti, paradossalmente ne consegue che se non si hanno tali degenerazioni non viene fuori l’arte, è evidente in questo l’atteggiamento militante dello storico e la finalità politica. Peggio perché anche più efficaci sono stati i critici e i giornalisti che hanno favorito il percorso culturale dei giorni nostri, inventandosi e favorendo un eclissi dell'arte che è stata solo un raggiro per togliersi di torno chiunque avesse tentato realizzare qualcosa di interessante. Altro assurdo paradosso che conferma e da sostegno a quello che dico è il fatto che con l'esaurirsi delle avanguardie di "rottura" perché ormai da rompere non è rimasto altro ci si trova sempre di più allo sconfinamento artistico degli stessi critici che diventano loro stessi gli artisti, a parole naturalmente, come di parole velenose non è stato altro che l'avvicendamento culturale degli ultimi anni. Artefice sfrenato di tutto questo teatro è stato e non il solo il devastante Bonito Oliva, fautore di artisti incapaci quanto chiacchieroni e presenzalisti non che gregari politici ed abili simulatori che bellamente li ha a sua volta umiliati espropiandoli di quel poco che sono con suoi testi che totalizzano il tutto delle varie correnti da lui stesso create (il “critico artista” l’opera d’arte è il testo scritto, al vernissage si vede un pretesto di opera, un paravento d’artista e il critico che fa il gallo nel pollaio, altro che i scrittori “cannibali”delle ultime mode di successo). Non a caso questi artisti molto spavaldi in pubblico in pratica vivono e pendono dalle labbra dei loro critici. State certi difficilmente si troveranno autonomamente a creare qualcosa di proprio in quanto vincolati alle "accademie" di tali potentati poco inclini ad accettare ciò che gli sfugge dai loro artigli. E’ auspicabile in futuro una Perestrojca e una Glasnoz, come quella che fecero in Russia per avviare l’uscita dal comunismo, per uscire dall’avanguardismo (cosa che i compagni nostrani si guardano bene dal fare paludati nell’anti revisionismo e non da meno una destra che ci specula passivamente sulle spalle perché ha ben poco da dire). Questo comporterebbe l’azzeramento dei finanziamenti a pioggia e le numerose carriere “professorili” che tanto incentivano il fenomeno con l’aggravante per quest’ultimi dell’entrata di nuovi personaggi che non si sono sporcati le mani con questo potere, figuriamoci quando accadrà. |
Come nessuno si sognerebbe di cambiare la torre Eiffel non vedo perché da noi si deve cambiare proprio la via dei fori che con il Colosseo è la maggiore attrattiva culturale della città. Per dare importanza a degli approfondimenti stratigrafici hanno funestato la più bella passeggiata archeologica del mondo per mettere in evidenza modestissime abitazioni medioevali le cui rovine sono orrende e dei livelli di pavimentazioni utili solo a dei ricercatori. Non si capisce perché al Pantheon, in piazza della Minerva, stabilite le quote hanno ripristinato l’agibilità esistente mentre in questo caso si deve lasciare tutto scoperchiato. Immaginatevi piazza della Minerva ridotta a scavo archeologico, magari con delle passerelle aeree come in un centro petrolchimico, ditemi se non sarebbe spettrale. Questo invece pare piaccia a Fuksas come a molti tecnocrati, ottimo se si fa qualcosa di meglio, un ovazione al passato se si scade in cose meno belle. Purtroppo per loro, il corso della storia pone di per se paragoni obbligati e ingovernabili che sfuggono anche alle più smaliziate furbizie culturali:
Il problema di via dei fori è quello di una città nuova che non hanno fatto da ormai sessanta anni e che non faranno se continueranno ad investire in parziali interventi come questo. La nuova città manca e si sente; abbiamo solo quella vaticana e quella iniziata dai sabaudi e finita dai fascisti in un ventennio dopo il disastro della I guerra mondiale, portata a oltre un milione di abitanti quando prima si stava notevolmente sotto questo numero. A paragone adesso Roma dovrebbe essere una città alla pari o più grande delle più gigantesche metropoli di altre nazioni. Tutto questo non solo non c’è ma si annaspa a fare vivere una città mediocre bloccata nello sviluppo architettonico che dal dopoguerra in poi ha dato sfogo ad un approssimativa urbanizzazione edilizia. Questo va inteso non come esaltazione del passato ma come incapacità di chi è venuto dopo.
Il centro storico l’anno realizzato sino a prima della guerra seguendo la grammatica architettonica classica corrispondente per stile, come era stata quella sabauda o quella papalina, al punto che ne esaltava l’aspetto. Quali sono i dettami per qualificare e seguire la tutela del paesaggio archeologico? Quali gli emblemi o riferimenti di stile da praticare tra quelli realizzati in questi ultimi cinquant’anni e oltre trascorsi? A fronte di un cospicuo numero di istituzioni, organismi, dei vari tecnici, senza contare la mastodontica sopraintendeza o a tutti i luminari concentrati nelle università,cosa è venuto fuori? Non si sa niente, non viene alcuna chiara e forte indicazione. Le opere dell’ultimo mezzo secolo sono tutte differenti molte delle quali già criticate dagli stessi autori. Paesaggio all’Arlecchino? Arlecchino grande Architetto?!!
Terzo punto che ne riassume i primi due. Mancando la Roma del dopoguerra si fabbrica sulle uniche aree di pregio esistenti che non sono quelle create di recente salvo alcuni interventi degli anni 60’. Fare quello che non si riesce a fare fuori delle mura Aureliane nell’area archeologica corrisponde a follia pura. Si interviene sulle antichità con la scusa che necessitino di attrattive particolari , è come se alla Gioconda le mettessero un abito nuovo per dagli interesse. Cosa c’entrano nuovi bar ristoranti aree shopping , come se al centro ce ne fossero pochi. Che senso ha trasformare luoghi eternamente belli e di valore che hanno un indiscusso richiamo consolidato nel tempo, in effimere costruzioni che verranno modificate successivamente al primo starnuto di qualche appartenente ai soliti poteri forti che per rimpinguarsi le saccocce propone una ennesima "sprovincializzazione". Come si deprezza un Luigi XVI se ha una parte non originale, si può rovinare alla stessa maniera un reperto o zona archeologica. Non si accorgono che fanno la stessa operazione degli alberghi alla valle dei templi in sicilia, con la differenza di qualche carta timbrata in più, visibile e utile solo a qualche funzionario.
Una considerazione va anche allo stile architettonico di Fuksas. Sono state degradate tante aree di Roma con passerelle tipo quelle del terminal dell’Ostiense, sicuramente nuove come stile ma già vecchissime. Rivestimenti ingialliti e anneriti là dove dovevano essere bianchi. Strutture irreparabili e inagibili nelle pavimentazioni e nei percorsi, funzioni a cui erano state preposte; attualmente miseramente abbandonate. Farne ancora altre, anche se riviste e corrette o perché il mercato industriale langue, non è architettura. Salviamoci da una Bagnoli ultima edizione su una Iroschima archeologica con la scusa del tecnologico! Risparmiamoci le congetture, perché la monumentalità romana non è fascista ma bella, come è bella quella greca da cui è stata presa; se non sbaglio manca ancora la vulgata sulla “monumentalità fascista dell’acropoli d’Atene”, per fortuna! Risparmiamoci questa riedizione della stessa strada che è, poi in definitiva, il protrarsi dello stesso problema, perché oltre a non risolvere niente ne verrebbe irrimediabilmente devastato il fascino indiscusso del paesaggio. Non ultimo risparmiamoci i finanziamenti dei cui scandali ne abbiamo fin troppi. L’abbaglio della plastica e del ferro è superato già da un pezzo, non riesco a capire perché l’ostinazione di tanti architetti è dura a morire. Tutti cercano materiali naturali ecologici e questi vanno ancora a servire la macroindustria, lo stile “americanista” della sinistra sessantottina che cerca il capitale per poi farsi vittima. Lo sa bene Travaglio, anche lì, da loro, c’è richiesta di materiali nobili preziosi finemente lavorati. Basta con la falsa modernità, mito del nuovo, di quel cambiamento che altro non è che il solito stravolgimento che ci fa ricredere dell’accaduto quando ormai è troppo tardi. Chiedetevi, propositori e seguaci del progetto in mostra, cosa offre tale "innovazione" a chi viene qui a cercare l’antico. Burri ha ancora molto seguito, lasciamolo appeso al muro nelle case dei fanatici del degrado ma non fuori, in qualsiasi posto è brutto!!!
Nonostante fosse solo una piccola sala “dentro” un'altra mostra di debole significato, era sufficiente per capire il Rossi architetto. L’impatto è che dietro una presunzione di grande artista c’è la non mano di disegnatore, la mancanza di scelta del colore e l’incapacità di rappresentare la forma.* Non a caso non ho usato la parola architetto perché nessuno li presenterebbe come tali. A paragone gli schizzi di Portoghesi sembrano di Michelangelo, però bisogna dire che paradossalmente, è quì la chiave del successo. Quell’imprecisione, quell’ indecisione, quell’ambiguità, quella cruda semplicità che rende “stupide” forme pure e semplici tali da dargli un aspetto curioso fa si che anche questo colosso dell’architettura moderna e in particolare di quella italiana sia un altro Ligabue del panorama progettuale . La differenza è che Ligabue affianca alla sua pittura un ambientazione “mentale” che fa più opera di quello che si vede nel quadro e può rendere un certo fascino. Così pure, un altro esempio, possono essere i disegni di Fellini, suggestivi perché pensi ai films . Il problema è che in questo caso dovrebbero richiamare dei progetti e se poi si dovrebbe arrivare alla resa tecnica lascio a voi il giudizio. La grossonalità di questi “ligabue” ha uno “spessore” maggiore quando diventano cattedratici e vengono presi a riferimento. Uno che ha dietro la così detta preparazione “accademica” va avanti in maniera progressiva anche involontariamente perché sta tutto dentro il tempo trascorso all’apprendimento, mentre chi invece ha difficoltà prima o poi si blocca. Non a caso è che grandi idee come quelle presentate alla biennale del 94’ finiscono con l’esaurirsi alle prime opere, pur collocandosi a livelli alti o colti temine allora in voga.
P.s:
Con questo livello di formazione vorrei sapere, adesso che tutti i disegni sono frutto del computer che ha una diversa elaborazione, cosa sarà una mostra su uno stile o meglio sul legame di una vita di un architetto ad uno stile.
In futuro avremo le mostre dei software con le marche di successo e a parte i nomi di chi li ha usati , cosa che forse non scandalizza molto ma se ci si sta attenti tra breve avremo mostre sull’Auto Cad style, ArchiCad style ecc. ecc.
A parte tutto e a parte quello che ho scritto prima, tanto per contraddirmi,avrei preferito che l'auditorium l'avesse fatto "Ligabue" sarebbe stato sicuramente più interessante.
Due mostre differenti con problematiche differenti ma accomunate da una stessa causa.
Alla fine degli anni 70’ i tempi erano maturi per una grande svolta urbanistica nel modo di concepire lo sviluppo urbano che aveva caratterizzato in negativo il corso del dopoguerra.
Timidi esempi erano stati quelli a Roma per le olimpiadi del 60’ ma non potevano soddisfare l’impianto della città moderna.
Al contempo una vasta schiera di architetti e di progetti erano pronti per iniziare questo nuovo corso comprese le amministrazioni delle più grosse città . A Roma per esempio già si prevedeva che i ministeri si sarebbero spostati fuori o lungo l’anulare. Sembrava tutto ad un passo quando invece non cambiò niente pur essendo governate da quelle forze politiche che tanto avevano insistito per un nuovo centro direzionale e per l’eliminazione della piaga della speculazione edilizia.
Venne fuori il riuso del centro storico in concomitanza con la mania dell’archeologia industriale e quel gioco di parole sensazionale, il post modern, sancì il tutto . Confluenze di circostanze culturali che di per se sono delle grandi cose ma che in pratica non alleggerirono città asfittiche come ad esempio Roma, ormai al collasso, dopo una orribile cementificazione selvaggia che la cingeva come un nodo scorsoio.
Come ad una chiamata alla armi, certi architetti, misero in campo tutto il meglio del passato, orgoglio nazionale che vide comparire in molte pubblicazioni il tricolore. Una licenziosa riproposizione della metafisica e del razionalismo fino a poco prima banditi . Rossi Purini e molti altri per il PCI e finchè resse il PSI, Portoghesi, giocarono molto su questo argomento.
La sostanza era che questi architetti dovevano edulcorare la non costruzione urbana con un giusto quanto pretestuoso vincolo di aderenza ai caratteri storici stilistici del luogo di dove si doveva creare il nuovo. Ridicolizzando il passato con edifici “macchietta” e ridicolizzando le aspirazioni moderne di una città riducendola a rimanere come era senza effettivo sviluppo.
*Così avremo la parodia della forma e la presa in giro dello spettatore, un abile regia che annulla l’architettura. In un certo senso questi “classicisti” non sono altro che l’incarnazione mascherata della decadenza.
La furbata dei gloriosi anni 80’ prosegue oggi con un Fuksas che propone soluzioni archeologiche alla “Star Treck”.
Presentazione del libro con partecipazione dello stesso autore. Un importante appuntamento perché sancisce ufficialmente diversi famosi temi architettonici di Bruschi, alcuni risalenti addirittura a 35 anni fa, un po’ bistrattate dalla massa degli stessi addetti, architetti e storici dell’arte in particolare. Sono argomenti importanti quanto scomodi per molti che nell’attuale progettazione vogliono procedere a briglia sciolta. Un rigore analitico scrupoloso anche se di opere antiche pone problemi di mole notevole proprio oggi con lo smarrimento che si nota in giro, vedi precedenti miei articoli sulla biennale di Venezia. Un libro pieno di tanta saggia e giusta riflessione che imbarazza chi si appresta a trovare scorciatoie nelle definizioni di epoche stili e generi perché vengono definiti nella loro fluido trascorrere del tempo senza drastiche interruzioni. Un libro che insegna, come ha detto una delle relatrici, una responsabilità e uno scopo didattico non sottovalutabile. Non è una storia dell’architettura ma fa gran parte della storia dell’architettura . Il sottoscritto no ha letto il libro appena stampato, due copie all’ingresso della sala dell’Accademia di S.Luca , sparite quasi subito. Come già detto sono gli argomenti che hanno contraddistinto le posizioni prese nella lunga carriera dell’autore e dei saggi già noti, l’aula non era completamente piena forse per il troppo freddo. Anche se tratta un periodo già prima del Brunelleschi si pone rispetto ai quattro principi come strumento di analisi di varie opere: la prospettiva, il proporzionamento, la sintesi intellettuale come chiave interpretativa. La pittura, a Lui tanto cara, come completezza del manufatto, la Cappella degli Scrovegni, l’architettura dipinta, "la carne e la pelle", come gli affreschi o le vetrate nel gotico. Da Arnolfo di Cambio i cosmati e i marmorari romani fino a Giotto e a Taddeo Gaddi. Il “periodo romano” che ha visto Brunelleschi e Donatello, Leon Battista Alberti nell’esperienza cruciale dell’arte rinascimentale. Da Santo Spirito alla lanterna della cupola di Sanata Maria del fiore il passaggio di Brunelleschi dal gotico al rinascimentale. Giuliano da Sangallo e l’ultimo Bramante milanese nella classificazione dei “veri” ordini vitruviani . Gli ultimi anni del pontificato di Alessanddro VI che fa dell’antichità classica il sostegno ideologico alla sua politica. L’opera nella centralità della bellezza estetica sul gusto di stile Medici. Cito autori e termini a cascata solo per far capire che il libro è pieno di tanti argomenti interessanti, l’autore non la definisce una storia dell’arte. C’è tutto da scoprire tutto da studiare se si vuole avere una conoscenza sostanziosa delle tematiche rinascimentali.
Renzo Piano su Black Out intervistato da Fabio Fazio .
Un fatterello banale di un simpatico programma di intrattenimento che nel suo piccolo rivela quello che tento di provare con le pagine di questo sito. Anche per Fazio è scomodo esse utente del prodotto di architetti come Renzo, anche se di medesime affinità politiche non ché di vedute sociali, lo si notava nonostante l’ accurata diplomazia del dialogo. In sintesi, Fazio intervistando Renzo Piano nel suo programma ad un certo punto gli dice “bravo”, sincero complimento o adulatore? No, Fazio gli sottolineava l’allarmante situazione delle città rese invivibili perché costruite troppo disomogenee ed esteticamente poco piacevoli, ad un argomento così serio e drammatico Piano rispondeva con voli pindarici sulla letteratura la poesia di Calvino eccetera al punto da rendere inutile la discussione, così gli ha detto “bravo” per interrompere l’ intervista resa ormai inconcludente.
Più coraggio .
Che i professionisti del settore sono una certezza in quel che fanno non sorprende, in questo caso architetti curatori di mostre critici e compagnia bella all’unisono ne diffondono egregiamente la sensazione. Paradossale è il fatto che quando non si possono fare le classiche adesioni militanti viene subito a galla la verità che purtroppo è scomoda e allora si camuffa l’evidente con una diplomazia che Philippe Daverio ne ha tanta da vendere. In questo periodo di guerre di religione, scoppiate, a mio avviso, perché non si potevano ignorare o camuffare più di quanto si è fatto, la cultura delle arti è un altrettanto eventuale teatro di guerra con insidiosi piani scivolosi anche per chi lavora per gli apparati di regime. Mancava poco che le forme tonde di Philippe fossero sospettate di essere cinture esplosive piazzate sullo stomaco pronte a demolire quel castello di sabbia che è la cultura dell’attuale architettura. Ancora più paradossale è il fatto che in verità basterebbe un petardo o anche una miccetta per demolire questo fumoso castello di sabbia forse unica vera e propria architettura di cui non si esalta il trionfo con mostre . Fortunatamente la debolezza del caso non necessita di Kamikaze e nemmeno di pacifisti anche perché è ignorata da tutti.