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 Patti   Austin 

" Questo sito sarà certamente ricordato in futuro.  Quando, infatti, un giorno qualcuno ricercherà le cause della morte del soul, saprà dove iniziare ..." ( Richard Searling - Jazz FM )  

Patti Austin nasce a New York City  la notte di S.Lorenzo (10 Agosto) del 1948, da Edna e Gordon Austin.   L'ambiente familiare la aiuta notevolmente a sviluppare l'amore per la musica : il padre Gordon è infatti un noto trombonista jazz, che suona - tra gli altri - per Quincy Jones e che è solito mettere a disposizione la propria casa per frequenti cene, alle quali  partecipano i volti più noti del mondo della musica.   

Diventa prassi consolidata, così,  che a casa degli Austin si ritrovino spesso  - il più delle volte trattenendosi fino a notte fonda, improvvisando performance al pianoforte -  artisti di grido come Dinah Washington,  Sammy Davis Jr.,  Harry Belafonte e  Quincy Jones.    Proprio la grande amicizia di mamma e papà con Dinah Washington fa sì che la piccola Patti "debutti" a soli tre anni e mezzo all'Apollo Theater di Harlem,  dove la bambina sale sul palco al fianco della già nota cantante, effettuando un accompagnamento (backing) simbolico, e risquotendo simpatia, più che altro, come mascotte.

La ragazzina, però, ha davvero talento e gli show occasionali che improvvisa a scuola e nella villetta di famiglia fanno sì che il padre la lasci entrare, sin da giovanissima, nel mondo dello spettacolo.  La sua carriera inizia, pertanto, mentre ancora siede sui banche delle elementari : in quegli anni, infatti,  partecipa allo show televisivo di Sammy Davis Jr,  poi parte (a nove anni) insieme al padre  per il tour europeo di Quincy Jones  e, come se non bastasse, appare in teatro in "Lost in the Stars" e in "Finian's Rainbow"  

Sempre il padre, inoltre, permette che nel 1965 (all'età di diciassette anni) Patti parta in tour con Harry Bellafonte - come ricordato sopra, uno dei "compagni di merende" -  nel ruolo di corista.    L'esperienze riesce alla grande, tanto che l'anno successivo  - appena finita la scuola -  Patti firma il suo primo contratto da cantante con la "Coral Records".  Con la nota etichetta incide diversi singoli - quasi tutti souleggianti - ma nessuno di essi (neanche "What A Difference A Day Makes" che in futuro sarà super- ripreso e sempre con successo da molti altri artisti) ottiene il benchè minimo successo. 

In ogni caso, il nome della ragazza comincia ad essere piuttosto conosciuto ed apprezzato; tanto che la catena di alberghi "Intercontinental" sceglie Patti per un tour di tre anni che la porta a cantare, in giro per gran parte degli Stati Uniti, nei raffinatissimi night club affiliati alla stessa catena alberghiera.

 

Al 1966 risale la prima grande esperienza nel mondo dello spettacolo; Patti accompagna James Brown nella hit “It’s a Man’s World”  , uno dei più grandi successi di quell’anno;  il suo lavoro come background vocalist  viene talmente apprezzato che i critici iniziano a chiamarla la “regina dell’accompagnamento” e molti artisti – ad esempio Cat Stevens,  Billy Joel,  Joe Cocker,  George Benson e Paul Simon – le chiedono espressamente, nel corso del tempo, di mettere la splendida voce al servizio dei propri brani. 

Pur non trascurando il lavoro di corista (dove la sua fama ormai è ben consolidata) Patti cova sempre in sé il desiderio di riprovare a sfondare come solista, tanto che a 21 anni tenta di nuovo : questa volta l’occasione gliela offre la “United Artists Records” che pubblica il singolo “Family tree”, un brano che – pur spinto da una buona promozione – arriva a malapena al numero 45 della R&B chart.   La delusione è grande e Patti lascia intendere di volersi accontentare della gloria acquisita con il lavoro di accompagnamento vocale, ed in più inizia a cantare brevi brani per spot commerciali.

Quello che all’inizio sembra un gioco, si rivela, però, una miniera d’oro per Patti, alla quale  - nel corso degli anni -  viene chiesto di abbinare la propria voce ad una ottantina di prodotti.   In un vortice di jingles, canzoncine, apparizioni pubblicitarie e manifesti commerciali, con ritmi sempre più incalzanti  - roba da fare invidia a Mike Bongiorno  -  Patti Austin si trova a reclamizzare, tra le altre cose : la birra Budweiser,  l’olio d’oliva Mazola (con una zeta sola),  l’ufficio del turismo di New York,  profumi vari,  una sconosciuta compagnia aerea,  fino a toccare l’apice con il cibo per gatti “Miaow, Miaow mix”, una sbobba di vitamine e carboidrati a favore della quale Patti Austin canta appassionata per mezzo minuto.

 

                                            

   "Take away the pain Stain" (1966)

 

La vita artistica di Patti scorre tranquilla fino al 1975, quando decide di ritentare con la carriera solista. Porta a Creed Taylor – dell’etichetta “CTI” – una decina di canzoni scritte di proprio pugno e chiede di inciderle.  I brani appaiono di buona qualità e Creed Taylor accetta : a 28 anni ( l’uscita è prevista per il Febbraio del 1976) Patti finalmente avrà il suo album di debutto, “End of the Rainbow” .

L’album è una buona miscela di gospel, r&b, molto orecchiabile ( anni di reclame pubblicitaria per saponette e dentifrici non si dimenticano ) e tendente al pop; le liriche appaiono buone e mai banali;  tra i brani spiccano “You Don’t Have to Say You’re Sorry” e “Say You Love”, nonché le vere gemme – per chi ama le ballate - “In my Life” ( brano in seguito riarrangiato e ricantato in vari album dalla stessa Patti ; insomma una delle canzoni cui l’artista resta, ancor oggi, più legata ) e “What’s At The End Of The Rainbow”, due torch songs svenevoli, ma molto apprezzate [ la torch song è una pallossima ballata che tocca, nel 99% dei casi, il tema della delusione amorosa. Molto in voga nel country, anche nella black music è piuttosto adoperata; con risultati altrettanto melensi n.d.a. ]

I risultati dell’album di debutto non sono dei peggiori tanto che alla “CTI Records” decidono di riprovarci. Appena un anno dopo, nel 1977, esce l’album “Havana Candy”, composto di otto tracce : di queste, sei l’autrice è la stessa Patti Austin (vengono ben accolte dalla critica “Golden Oldies” e “I Need Somebody”), una è scritta da Patti insieme al produttore Dave Grusin e un’altra, “Lost in the stars”, è opera di Kurt Weill e Ernestine Anderson. 

L’album risulta, per opinione generale, di buona qualità, ma, al momento di fare i conti con le classifiche, paga i problemi finanziari della “CTI”, che sta vivendo un momento difficile.  L’opera di Patti, pertanto, non gode di un buon lancio pubblicitario e soprattutto, non gode di arrangiamenti troppo sofisticati, dal momento che l’etichetta di Creed Taylor aveva licenziato – al fine di contenere le spese – gran parte degli arrangiatori che avevano contribuito alle fortune della casa discografica. 

 

La collaborazione con la  “CTI Records”, comunque, continua ed i managers, anche se i primi due album non hanno ricevuto un adeguato successo, le danno carta bianca : il talento è indiscusso e, sebbene i primissimi posti delle classifiche siano irraggiungibili, la qualità dei brani è fuori discussione. Nel 1979 e nel 1980 vengono, perciò, registrati altri due album : “Live at the Bottom Line  e  Body Language

Il primo è un album registrato durante i suoi concerti a New York e, in quelle esibizioni dal vivo, si apprezza tutta la potenza e la grande tecnica vocale della prodigiosa Patti.  In tale album – per i critici “il più raffinato di tutti“, tanto che (in versione cd ) è piuttosto venduto ancora oggi   – spiccano “ You’re the One I Want ”, nonché una cover di “ Jump for Joy ” dei Jackson Five.

Il secondo è un omaggio alle proprie origine jazz (il padre, come detto sopra, era – oltre che anfitrione - soprattutto jazzista ) e viene recensito altrettanto bene : se il precedente era stato definito “the finest”, questo viene giudicato “the smoothest” e, in particolare, tutti giudicano eccellente il brano “ People in Love ( Do the Strangest Things ) ”.

E che la lontananza dai primi posti in classifica non sia sinonimo di mediocrità lo testimoniano le continue collaborazioni e gli attestati di stima che le provengono dal mondo della musica.  Infatti, pur non avendo mai registrato un “monster album” (cioè un album da top ten) duetta, nel 1978, con Michael Jackson in “ It’s the Falling in Love ”, canta “ The Closer I Get to You ” (1979) nell’album di Tom Brown,  duetta (1980) con George Benson in “ Moody’s Mood for Love ” e accompagna (1981) Quincy Jones nell’album “ The Dude ”, cantando in " Razzamatazz ", un brano che entra prepotentemente nelle classifiche americane ed inglesi.

Proprio il legame con l'amico di famiglia Quincy Jones, all'inizio degli anni Ottanta, segna la esplosione definitiva di Patti Austin.  Dopo molti anni di collaborazioni, il popolare "Q" (soprannome di Quincy Jones) le offre l'occasione di incidere un album da solista e inizia a prendersi maggiormente cura di quella amica d'infanzia, offrendole quello che in diversi anni di carriera le era mancato : una adeguata attività di promozione, con una più importante e continuativa presenza sui mass-media.    

E’ il Settembre del 1981 quando Patti registra per la “Qwest Records” (casa discografica fondata dallo stesso Quincy Jones) l’album “Every Home Should Have One”.  Il lavoro non viene accolto dalla critica con grande entusiasmo, dal momento che Patti sembra essere rimasta “a metà del guado” : il disco pare non abbastanza classico per competere coi mostri sacri della black music, non abbastanza moderno per fare presa sui giovani ed entrare nelle alte vette delle classifiche. Del lavoro viene salvato solo il pezzo "Do You love me", che per parecchi mesi funziona come riempi-pista nei clubs.

All’improvviso, però, la svolta : un brano secondario dell’album  - e precisamente  “Baby, Come To Me” cantato in coppia con James Ingram -  viene utilizzato, un anno dopo l'uscita, come sottofondo in una scena d’amore della soap opera “General Hospital” ( la prima vera soap opera americana, quella (e chi non lo ricorda ?) in rivalità con “Dallas” e “Febbre d’Amore” e che faceva fermare per un’ora al giorno milioni di casalinghe americane; quella in cui recitava un giovanissimo Ricky Martin ) ed è l’apoteosi : nei giorni successivi le radio sono subissate di richieste di adolescenti & casalinghe, che richiedono il titolo di quel pezzo semi-sconosciuto.

Alla Qwest Record il fatto non pare vero : il brano (uscito il 24 Aprile 1981)  prima di essere utilizzato nel teleromanzo, era arrivato, come punta massima, al 73 posto della classifica (ed il fatto era stato accolto positivamente !); dopo la pioggia di richieste il pezzo viene messo di nuovo sul mercato con un diverso numero di catalogo (siamo il 16 Ottobre 1982) e, come previsto, scala posizione su posizione fino ad arrivare, nei primi mesi del 1983 al primo posto.

 

Di fronte ad un exploit del genere, i produttori (facile immaginarselo) decidono di riprovare con la stessa formula.  E’ l’anno 1983 quando Patti Austin e James Ingram  ri-duettano per accompagnare le  scene d’amore del film “Best Friend”, ma questa volta il successo non si ripete nelle dimensioni precedenti : il brano “How Do You Keep The Music Playing” arriva solo al 45 posto della classifica (Luglio 1983) anche se la colonna sonora ottiene la nomination per l’Oscar.  

L’esperienza di colonne sonore non finisce, però, così : interpreta il tema del film “Two of a Kind” e del successo “Shirley Valentine”, per la quale interpretazione Patti viene nominata per un Golden Globe, un Grammy Award e un Academy Award. La popolarità di Patti è ormai estesissima : non solo la conosce bene tutto il Nord America e la Gran Bretagna, ma inizia a essere apprezzata anche in Europa e in Giappone.

Siamo agli inizi degli anni Ottanta e patti Austin è all’apice della popolarità.  Per sfruttare il momento esce (1983 ) una raccolta dei suoi migliori successi – intitolata “In My Life” – mentre nel 1984 è sul mercato l’album omonimo “Patti Austin”, un lavoro molto orecchiabile e commerciale, nel quale spiccano “Hot ! In The Flames of Love” e “Star Struck” due singoli molto richiesti nelle radio devote al R&B, ma soprattutto “Rhythm Of the Street”, un pezzo che a Settembre di quell’anno diviene, per i frequenti passaggi, un tormentone su MTV.  

 

                                                                                        

Alla soglia dei quarant’anni e all’apice del successo il mondo della musica inizia a considerare maggiormente il talento di Patti Austin e i servizi giornalistici e televisivi si fanno sempre più frequenti. L’artista viene definita unanimemente un “Jolly” della musica nera, per la straordinaria bravura nel sapere alternare e miscelare tra loro tutte le varie sfaccettature del “black sound” : chiaramente orientata al  jazz e il r&b, nessuno le nega un posto di rilievo anche nel mondo del soul e della disco-music (da cui il frequente appellativo “the disco-diva”), per la sorprendente capacità di scrivere e di passare, con una grande voce, dal più sfrenato pezzo up-tempo alla appassionata ballata, per arrivare alle sofisticate interpretazioni da night club dove il r&b ed il jazz vengono esaltati  in performance indimenticabili ( le sue versioni dal vivo del classicone “Smoke Gets In Your Eyes” fanno storia e ovunque va non si può tirare indietro dal riproporlo ).

Comunque non sono da meno le serate all’insegna del soul, dove Patti non si può ugualmente esimere dal riproporre brani storici come “Take Away The Pain, Stain” , “I’ve Given You All My Love” o “You’re Too Much A Part of Me” e “I Wanna Be Loved” , tutti registrati con la "Coral Records" dal 1965 al 1967, cioè appena uscita dalle superiori.

 

Da una quindicina d’anni è stabilmente inserita nel mondo del pop e stupisce soprattutto per le sue qualità di completa donna del mondo dello spettacolo.  Infatti, oltre a registrare un album dopo l’altro (è arrivata a 15), si dedica con un successo a radio e televisione, una passione che l’ha sempre accompagnata, sin dalla giovinezza.

La prima comparsa sugli schermi televisivi risale, infatti, al 1970, quando appare nel film “It’s Your thing” mentre canta allo Yankee Stadium di New York.   Del 1978 è l’apparizione nel film-fiasco “The Wiz”, poi nel 1980 appare nelle vesti di una backup singer (che sforzo !) nel film autobiografico di Paul Simon dal titolo “One Trick Pony”, pellicola nella quale recitano anche Sam & Dave (nella difficilissima parte di Sam & Dave) e David Sanborn (nell’altrettanto difficile parte di David Sanborn).    Nel 1988 recita nel film diretto da Francis Ford Coppola, “Tucker ” e questa volta le tocca di fare la parte di Millie, la simpatica cuoca del  protagonista ( appunto Preston Tucker, colui che con la propria industria automobilistica fece fortuna a Detroit ); una performance, quest'ultima, che entusiasma i critici, che si chiedono il perché non si dedichi – vista la bravura - a ruoli drammatici.

Niente da fare per i ruoli drammatici, visto che subito dopo viene chiamata ad interpretare varie commedie : tra le più riuscite “Cleopatra” nella quale recita nel ruolo della protagonista (con risultati inusuali, dal momento che mai si era vista una Cleopatra della stazza di oltre settanta chili ) e “Sleeping Beauty”.

Nel 1999 è ancora nel cast di una sit-com “Jackie’s Back” ad interpretare il ruolo di Vesta Crotchley, la professoressa di Jackie; mentre si susseguono le apparizioni televisive a molti show televisivi, come : “Hangin’ with Mr. Cooper”, “The Dr. Ruth Show” “Joan Rivers” e “Arsenio Hall”, dove brilla per simpatia e semplicità.  

 

 

Dopo gli spot pubblicitari ed i film non possono mancare le canzoni per bambini (“Christmas Time is Here”, “Happy Anniversary Charlie Brown” tra tutte), curiosamente alternate ad un costante impegno sociale. Oltre ad essere un punto di riferimento della AFTRA, l'associazione sindacale che rappresenta i lavoratori dello spettacolo,  Patti Austin ha al suo attivo decine e decide di partecipazioni a concerti anti-AIDS e la lotta all'HIV è un suo cavallo di battaglia da molti anni.    

Naturalmente non manca l'impegno a favore della comunità nera americana ed, infatti,  in collaborazione con la BET (Black Entertainmente Television)  è la protagonista un fortunatissimo musical :  "Oh Freedom".    Tale opera -  molto estesa ed impegnativa, e patrocinata dal Civil Right Museum di Memphis -   racconta tutta la evoluzione degli Afro-Americani, dai tempi del commercio degli schiavi fino ai tempi presenti,  e ha fatto a lungo il tutto esaurito a San Francisco, dove è stata messa in scena con lo straordinario accompagnamento della "San Francisco Symphony Orchestra".

 

                         

                

   

 

Nel 1991 esce l'album "Carry on" seguito l'anno successivo da "Live", entrambi dischi nei quali l' artista ripropone covers dei propri successi storici e di altri brani famosi (vengono re-interpretati "How Can I Be Sure" dei Rascals, "Monday Monday" dei Mamas & The Papas, nonchè la sua "Do You Love Me", "Baby Come To Me" e "How Do You Keep The Music Playing").  Questi e gli altri album degli anni Novanta  confermano ancora di più il suo successo e la consacrano come una vera e propria diva, soprattutto in Estremo Oriente, dove - specialmente nelle Filippine e in Giaappone -  raggiunge il rango di  superstar. 

 

L’ultima sua mania è la moda : negli  anni novanta prende a disegnare abiti e,  sebbene gli esordi non siano eccezionali (“All'inizio non ho avuto grandi consensi, anche se i miei amici mi hanno detto che le mie creazioni sono carine; soprattutto Stevie (Stevie Wonder n.d.a.) indossa i miei abiti sempre con entusiasmo”), vari imprenditori – tutti leggermente più attendibili di Stevie Wonder - decidono di puntare su di lei, convincendola, però, ad indirizzare il suo estro creativo - più che all'alta moda  -  al pret-a-porter femminile per taglie forti.   Nel 1996 esce finalmente - su "Home Shopping Network" -  la prima collezione firmata "Patti Austin"  

L'anno seguente si esibisce ai Giardini del Frontone di Perugia per "Umbria Jazz",  anche qui ritrovando, tra la platea, il solito contorno di ammiratori orientali.  E' sempre il 1997 quando porta in tour "Colors of Christmas" un lavoro nel quale canta insieme ai vecchi amici Peabo Bryson, Roberta Flack, James Ingram e Jeffrey Osborne. 

 

L'ultimo episodio che l'ha riguardata è forse il più importante della sua vita.  Dopo aver prenotato un posto sul boeing 93 della "United Airlines" diretto da Newark a San Francisco, è costretta a disdire la prenotazione il giorno precedente la partenza per improvvisi impegni di lavoro.  Il giorno dopo, alle 10 di mattina, quell'aereo precipita in Pennsylvania  -  poco dopo  Pittsburg -  a poche decine di minuti di volo di distanza dalla Casa Bianca.  E' l'11 Settembre 2001.

Dei quattro aerei dirottati dai terroristi facenti capo ad Al-Quaeda, questo è l'aereo nel quale i kamikaze, capitanati da Ahmed Al Aznawi, mettono al corrente i passeggeri della propria missione suicida;  l'aereo-bomba però non raggiunge l'obiettivo, schiantandosi alla periferia di Washington con 45 passeggeri a bordo, ufficialmente per la reazione degli stessi passeggeri, tanto che gli occupanti quel volo passano alla storia come gli «eroi del volo 93».

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