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Biblioteca Paravia "Storia e Pensiero"


 

 

Carlo Pascal

 

 

LE CREDENZE D`OLTRETOMBA

nelle Opere Letterarie dell`Antichità Classica

 

 

seconda edizione con correzione e aggiunte

 

 

 

 

G. B. PARAVIA & C:

Torino - Milano - Firenze - Roma - Napoli - Palermo

- 1923 -

 

 


 

Prefazione alla prima edizione

 

 

A chi considera la vastità del tema,che io mi sono proposto,può sembrare che io abbia tentato audace impresa con l`affrontarlo e con lo svolgerlo. Nè forse v`ha chi più di me si sia reso conto e dell`ampiezza ed importanza dei soggetti qui trattati e delle esigue forze di chi si accingeva a trattarli. Ma non credo opportuno indugiarmi in proteste ed in iscuse,per l`opera compiuta: tanto più che le une e le altre non facilmente acquistan fede presso gli studiosi,ed anzi ne provacono spesso più acre il giudizio,come riconoscimento d`insufficienza,cui si accompagni,stoltamente,la pervicacia nel fare. Ad ogni modo già dissi in altra occasione,che il modo più sicuro per non errare è di non lavorare,ed aggiunsi,come aggiunco ora,che io non saprei accomodarmini. Si accolga dunque,quale esso sia il,questo mio lavoro,e solo mi consenta,non a giustificazione,bensì a dichiarazione dell`opera mia,di spiegare quali limiti volli fissargli,e quale procedimento seguire nello svolgerlo.

Anzitutto,il mio studio riguarda quasi esclusivamente i documenti letterarii.Dei documenti archelogici io credetti usufruire sol quelli che mi parevano indispensabili alla illustrazione dei letterarii. Il che vuol dire che l`opera mia non verte prevalentemente su quell`immenso materiale di monumenti plastici e figurativi,che si è andato da secoli accumulando in tutte le collezioni antiquarie ed al quale volsero così alacri cure uomini dottissimi. Per ordinare e rivagliare tutto quel materiale,e per trarre da esso tutto quel  che fosse possibile,riguardo all`atteggiamento vario delle coscienze antiche dinanzi al problema dell`oltretomba,occorrerebbe aggiungere più volumi ai due che qui presento: e per quanto alacre fosse stata la volontà per più anni durata a tentare quella immensa mole di fatti,poche linee si aggiungerebbero forse al quadro generale,che qui si vede in rapido abbozzo.Ad ogni modo,ove le due manifestazioni di arte,la letteraria e la figurativa,si integravano,per presentare le linee di una credenza,facemmo,secondo le forze nostre,tesoro di entrambe,pur limitando a semplici accenni e richiami la menzione della seconda.

La trattazione delle credenze cristiane noi ponemmo non regolarmente,ma là ove ci parevano evidenti o probabili i riscontri con le credenze pagane,o la continuazione da quelle a queste. E s`intende che anche qui non si poteva,senza ardimento impari alle forze,addentrarsi nella selva irta e spinosa del Medio-Evo;e l`addentrarvisi sarebbe stato dilungarsi troppo dalla mèta proposta; pure,quanto di ancor vitale si trasmise dalla coscienza pagana al Medio-Evo trova qua e là nelle nostre pagine dichiarazione,forse non del tutto inadeguata.

Il mio libro vuole essere una breve storia riassuntiva delle trepidazioni e delle speranze,che travagliarano ed esaltarono per milennii l`anima umana. Dalle prime forme rudimentali delle concezioni d`oltretomba si passa gradualmente ai mistici sogni,agli estatici rapimenti,alle ebrezze della vita perpetuantesi di pura virtù spirituale nelle eteree luminosità del cielo. Ma da quelle prime forme rudimentali a queste ultime arditezze di anime sognatrici,è uno sforzo continuo,incessante,per disperdere il buio della distruzione,per far rifulgere da quelle tenebre una luce di vita. L`uomo primitivo che rimaneva attonito davanti allo spettacolo  della morte,e trattava il defunto come se fosse ancor vivo,e lo provvedeva di vivande e gli poneva accanto gli oggetti più cari,non credeva alla morte,come non ci credeva Socrate,quando morendo esortava i compagni a persuadere Critone,che di lì a poco Socrate non sarebbe più colà,non sarebbe in quel corpo,che essi vedrebbero freddo e inerte. Ma,nell`uno e nell`altro,questa speranza e questa fede,non era senza ombre. Di lì a poco l`uomo primitivo si accorgeva che lo spirito avvitatore si era dipartito da quel corpo e che il corpo stesso si disfaceva,e il trasferiva dalla sua casa in separato luogo,e l`ornava di bende,di corone,di vasi,di oggetti appartenuti al defunto; e con vigile pietà anche nella nuova sede continuava a portagli offerte e doni. E così Socrate,benchè avesse l`animo esaltato dal suo sogno luminoso di vita,enunciava anche il dubbio della distruzione e della morte totale. O la morte,egli diceva ai suoi giudici,è il non essere nulla,ed il non avere alcuna sensazione di nulla,o è un cotal trasmutarsi e trasmigrare dal loco di quaggiù in un altro. E se non è nessuna sensazione la morte,ed è come un sonno,che uno dorma senza sogno,dessa è meraviglioso guadagno..... E se per contro la morte è come una peregrinazione di qui in altro loco,e ciò che si dice è il vero,che colà dunque i morti dimorino tutti,qual bene sarebbe,o i giudici,maggiore di questo? - Ora,a distanza di tanti secoli,il dilemma socratico ritorna in un grande scrittore dei nostri giorni,Maurizio Maeterinck,che sulla morte ha detto in un suo saggio più di un`austera parola.

 " Il maggior pregio della vita,egli scrive,è che essa ci prepara quell`ora: essa è l`unico cammino,che ci meni a quel termine fatale,a quell`incomparabile mistero,ove dolori e sofferenze non saranno più possibili,perchè avremo perduto l`organo che possa elaborarli;ove il peggio che ci possa capitare è il sonno senza sogno,che noi contiamo tra i più grandi beni della terra,ove infine non si può quasi immaginare che un pensiero non sopravviva,per mescolarsi alla sostanza dell`universo,che,se non è un mare d`indifferenza,non può essere che un oceano di gioia ".

Anche qui le luci della speranza sono oscurate dai foschi ombreggiamenti,dal disperato conforto dell`anniettamento supremo,dal sonno senza ogni;ma la parola finale vibra di esultanza e di vita. E così la morte stessa è circonfusa di luce:il letto del sepolcro,diceva Lope De Vega,è pieno di luminose visioni.

L`argomento da me scelto non è di briosa giovialità o di spensierata gaiezza.Certo,ma neppure è necessariamente triste. La concezione della morte può essere anche di liberazione,e perfino di vibrante letizia. Noi troppo raramente ci poniamo di fronte al grande mistero. Quanto più rivolgiamo dall`altra parte atterrita la faccia,tanto pi`quel mistero è pieno di orrore. Conuno strano inganno verso noi stessi,tentiamo quasi dissimularne l`esistenza,ne distogliamo il pensiero,non ne parliamo neppure,come di cosa spaventosa,e che verrà a suo tempo,fatalmente,e di cui,finchè duri la vita,non sia opportuno occuparsi; ma quel pensiero è quasi sottinteso in ogni altro pesiero,in ogni moto del nostro spirito,in ogni palpito del nostro cuore; non confessato,s`insinua nel nostro linguaggio;nascosto e ricacciato giù in fondo all`animo,prorompe e scatta a quando a quando imperioso. Così quanto più si evita quel pensiero,più esso è immanente nella nostra vita,pieno di cupa ombra,che niun raggio della nostra intelligenza dissipa o dirada. Non vogliamo ficcare lo sguardo nell`abisso,quasi per paura che l`abisso ci inghiotta. In verità,la vita non è serena,perchè quest`ombra la ricopre e la oscura.

La vita sembra essere fatalmente schiava della morte,tanto più schiava,quanto più teme di affrontarla. Meglio guardarla in faccia,questa fosca dominatrice. La vita può ritornare serena,solo se partirà dal presupposto del suo termine ultimo e fatale,solo se partirà dal presupposto del suo termine ultimo e fatale,solo se sarà veramente,nel senso più alto  e più lieto,preparazione alla morte. Tale fu concepita dagli epicurei,che nello studio della sapienza afforzavano l`animo contro i ciechi terrori d`oltretomba,e la vita concepivano come nobile magistero di elevazione intellettuale,rifuggente da vane paure;tale da quegli stoici,che educavano a sdegnosa fierezza di austerità il loro carattere,per attingerne forza contro gli estremi cimenti; tale da quei platonici,che estasiavano la loro mente nei sogni magnifici della felicità,serbata a chi avesse vissuto la pura vita dello spirito;tale da quegli orfici,che,come poi i cristiani,concepivano la vita come una nuova prova dolorosa,dalla quale l`anima dovesse uscire redenta in fine alla libertà ed alla luce. E sarà bello e confortevole per noi il vagare attraverso tutti questi sogni,queste speranze inquiete,questi trepidi desiderii,queste cupe angoscie; e quasi evocare l`eco di altre voci,perdute lontano nei secoli; di altre voci,che sembrano risuonare nel fondo dell`anima nostra,quando si compone in pio raccoglimento,pensosa dei suoi destini.

 

 

Prefazione alla seconda Edizione

 

 

La prima edizione di quest`opera è da qualche anno esaurita. Or se ne pubblica,dopo più di dieci anni dalla prima,questa seconda edizione,che in qualche cosa si avvantaggia su quella,benchè non sieno molte le aggiunte,e resti immutato il piano generale. Questo piano appunto,e la disposizione della materia e la cotenenza furono fatti bersaglio a qualche critica non giusta. Mi fu domandato,ad esempio,che ci stesse a fare,in un`opera sulle sulle credenze d`oltretomba,un capitolo sul delitto e la sua pena sulla terra. Ma se tra le credenze sulla vita oltremondana era quella di Furie,che perseguitassero i dannati,non si doveva spiegare che secondo alcuni le persecuzioni delle Furie non si esercitava nell`altra vita,bensì in questa? E le ombre dei morti chiedenti vendetta no dovevano esser materia di esposizione? Lo stesso si dica dell`ultimo capitolo,sull`apoteosi imperiale,che alcuni  anche vollero ritenere estraneo al tema. No, quel capitolo è necessario complemento dell`altro,sulla sorte riserbata alle grandi anime dopo la morte. Se per le grandi anime quel processo quasi di deificazione s`immaginava successivo alla morte,per Augusto s`immaginò che l`anima di Cesare avesse dall`alto dei cieli comunicato al suo figliuolo adottivo sulla terra la sua natura divina: si tratta dunque pur sempre di superstizioni e credenze,che toccano la potenza e l`attività di un`anima nei regni oltremondani. Ciò ho voluto dire a giustificazione del mio immutato consiglio di lasciare tali trattazioni,come parti integranti di quest`opera. La quale,checchè si pensi del suo valore,non è un semplice riassunto di opinioni o una raccolta di materiali. Confido che ogni candido giudice troverà in non pochi punti esposizioni e risultati affatto nuovi. Così le trattazioni sulla concezione primitiva dei Mani,sulle tre vie della vita oltremondana corrispondenti alle tre vie della vita terrena,sulla Morte immortale e la seconda morte,sul riposo dei dannati,sul mitro di Eracle nell`XI dell`Odissea,sulla destinazione stoico-orfica tra anima ed ombra,sulle due più famose visioni d`oltretomba nell`antichità classica latina,sulla Casa del Sonno nelle Metamorfosi e nell`Eneide,sulle fonti del Sogno di Scipione ciceroniano,sul triplice (e non duplice) regno oltremondano in Vergilio,sulla resurrezione della carne,sull`assunzione dei beati nel cielo,sulle apoteosi degl`imperatori e dei poeti,ecc.,apportano,se non m`inganno,in più d`un punto,qualche contributo di conclusioni nuove. Del resto ho tenuto conto delle critiche e delle osservazioni fattemi,e con tanto più grato animo,quanto più esse mi sono sembrate spassionate e serene. Non mancarono certo critiche deliberamente ostili,ma furono voci isolate e mi è cagion di conforto contrapporre ad esse tante autorevoli attestazioni di simpatia per questa mia lunga fatica. La quale si ripresenta ora con rinnovata fiducia al giudizio dei lettori,che si augura candidi e giusti estimatori; e le fanno buona scorta la nobiltà del soggetto,e le molte cure che io vi posi,e,se non mi fa velo alla mente l`amor proprio,la trattazione,la quale,se pur necessariamente è qua e là manchevole e imperfetta,spero che in genere non sia del tutto inadeguata,ed infine la benevolenza antica,gli studiosi onesti accolgono ogni frutto del mio lavoro.

Febbraio 1923.                                                                                                              Carlo Pascal

 

 

 

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